I COLONI dell’isola di Lincoln avevano, dunque, riconquistato il loro domicilio, senza essere stati obbligati a percorrere l’antico condotto; ciò risparmiò loro di dover fare i muratori. Era stata una fortuna, in verità, che al momento in cui si accingevano al lavoro, la banda delle scimmie fosse stata presa da un terrore improvviso e inesplicabile, che le aveva cacciate da GraniteHouse. Quegli animali avevano, forse, presentito il serio attacco che stavano per subire da un’altra parte? Era il solo modo plausibile d’interpretare la loro ritirata.
Durante le ultime ore di quella giornata i cadaveri delle scimmie furono trasportati nel bosco e ivi sotterrati; poi, i coloni s’adoperarono a riparare il disordine causato dagli intrusi, disordine e non danno, giacché, se avevano scompigliato le suppellettili delle varie stanze, però non avevano rotto nulla. Nab riaccese i suoi fornelli, e le riserve della dispensa fornirono un pasto sostanzioso, al quale tutti fecero largamente onore.
Jup non fu dimenticato e mangiò anch’esso con appetito dei pinoli e dei rizomi, di cui fu abbondantemente fornito. Pencroff gli aveva slegato le braccia, ma reputò opportuno lasciargli le pastoie alle gambe, sino al momento in cui avrebbe potuto contare sulla sua rassegnazione.
Poi, prima di coricarsi, Cyrus Smith e i suoi compagni, seduti intorno alla tavola, discussero alcuni progetti, la cui attuazione era urgente.
I più importanti e di maggior premura erano: la costruzione di un ponte sul Mercy, allo scopo di mettere in comunicazione la parte sud dell’isola con GraniteHouse; poi la sistemazione d’un recinto destinato ad accogliere i mufloni o altri animali da lana, che conveniva catturare.
Come si vede, questi due progetti tendevano a risolvere la questione degli abiti, ch’era allora la più seria. Infatti, il ponte avrebbe reso facile il trasporto dell’involucro del pallone, che avrebbe fornito la biancheria, e il recinto doveva render possibile la raccolta di lana, per gli abiti d’inverno.
Quanto al recinto, l’intenzione di Cyrus Smith era di costruirlo alle sorgenti stesse del Creek Rosso, laddove i ruminanti avrebbero trovato pascoli freschi e abbondanti. La strada fra l’altipiano di Bellavista e le sorgenti del fiume era già in parte tracciata, e con un carro meglio costruito del primo i trasporti dei materiali sarebbero stati più facili, soprattutto se fosse stato possibile catturare qualche animale da tiro.
Ma, se la lontananza del recinto da GraniteHouse non presentava nessun inconveniente, non sarebbe stato lo stesso per il pollaio, sul quale Nab richiamò l’attenzione dei coloni. Bisognava, infatti, che i volatili fossero alla portata del capocuoco, e nessun posto parve più adatto all’installazione di detto pollaio di quella parte delle rive del lago, che confinava con l’antico sbocco. Gli uccelli acquatici vi avrebbero potuto prosperare quanto gli altri e la coppia di tinamù, presa nell’ultima escursione, doveva servire a un primo tentativo di addomesticamento.
L’indomani, 3 novembre, furono intrapresi i nuovi lavori per la costruzione del ponte e tutte le braccia furono richieste per quella importante bisogna. Seghe, accette, cesoie, martelli furono caricati sulle spalle dei coloni, i quali, trasformati in carpentieri, discesero sul greto.
Là giunti, Pencroff fece una riflessione:
«E se, durante la nostra assenza, a mastro Jup venisse il capriccio di ritirare quella scala, che ci ha tanto cortesemente restituita ieri?»
«Assicuriamola per la sua estremità inferiore» rispose Cyrus Smith.
Ciò fu fatto mediante due pali solidamente confitti nella sabbia. Poi, i coloni, risalendo la riva sinistra del Mercy, arrivarono presto al gomito formato dal fiume.
Ivi si fermarono, allo scopo d’esaminare se il ponte dovesse essere gettato in quel punto. Il luogo parve adatto.
Infatti, da lì a Porto Pallone, scoperto il giorno prima sulla costa meridionale, non c’era che una distanza di tre miglia e mezzo, e dal ponte al porto sarebbe stato facile tracciare una strada carrabile, che avrebbe reso facili le comunicazioni tra GraniteHouse e il sud dell’isola.
Allora Cyrus Smith comunicò ai suoi compagni un progetto molto semplice e vantaggioso, ch’egli meditava già da qualche tempo. Si trattava d’isolare completamente l’altipiano di Bellavista, così da metterlo al sicuro da ogni attacco di quadrupedi o di quadrumani. In questo modo, GraniteHouse, i Camini, il pollaio e tutta la parte superiore dell’altipiano destinata alle seminagioni, sarebbero stati protetti contro le incursioni di animali predaci.
Nulla di più facile che attuare quel progetto; ed ecco come l’ingegnere proponeva di fare.
L’altipiano si trovava già difeso su tre lati da corsi d’acqua artificiali o naturali: a nordovest, a partire dall’angolo che dava sull’apertura dell’antico scarico, fino alla spaccatura della riva est per lo sfogo delle acque, vi era la riva del lago Grant; a nord, da questa apertura fino al mare, vi era il nuovo corso d’acqua, che s’era scavato un letto sull’altipiano e sul greto, a valle e a monte della cascata; bastava, infatti, scavare ancora di più il letto di quel rivo, per renderne il passaggio impraticabile agli animali. Lungo tutto il confine orientale, vi era il mare stesso, partendo dalla foce del suddetto rivo fino alla foce del Mercy. A sud, finalmente, dalla foce del Mercy fino al gomito formato dal medesimo, vi era il fiume su cui sarebbe stato costruito il ponte.
Rimaneva, dunque, la parte ovest dell’altipiano, compresa tra il gomito del fiume e l’angolo sud del lago, per un tratto inferiore a un miglio, accessibile al primo venuto. Ma niente di più facile che scavare un fosso, largo e profondo, che si sarebbe riempito con le acque del lago la cui eccedenza sarebbe andata a gettarsi nel letto del Mercy, formando una seconda cascata. Il livello del lago si sarebbe abbassato un poco, in seguito a questo nuovo straripamento delle acque; ma Cyrus Smith aveva constatato che il tributo del Creek Rosso era abbastanza notevole per permettere l’esecuzione del progetto.
«Così, dunque,» aggiunse l’ingegnere «l’altipiano di Bellavista diventerà una vera isola, essendo circondato dall’acqua da tutte le parti, e non comunicherà con il resto del nostro dominio se non per mezzo del ponte che stiamo gettando sul Mercy, dei due ponticelli eretti a monte e a valle della cascata, e infine di due altri ponticelli da costruirsi, uno sul fossato che vi propongo di scavare e l’altro sulla riva sinistra del Mercy. Ora, se questo ponte e questi ponticelli potranno essere alzati a volontà, l’altipiano di Bellavista sarà al sicuro da ogni sorpresa.»
Cyrus Smith, allo scopo di farsi meglio capire dai compagni, aveva disegnato una carta topografica dell’altipiano, e così il suo progetto fu immediatamente capito in tutto il suo insieme. Esso fu unanimemente approvato, e Pencroff, brandendo la sua accetta da carpentiere, esclamò:
«Il ponte, prima di tutto!»
Era il lavoro più urgente. Furono scelti degli alberi, abbattuti, spogliati dei rami, segati in travi, tavole e assi. Il ponte, fisso nella parte che poggiava sulla riva destra del Mercy, doveva invece essere mobile nella parte che si sarebbe congiunta alla riva sinistra, in guisa da poter essere rialzato per mezzo di contrappesi, come certi ponti di chiusa.
Come si capisce, fu un lavoro considerevole, e se fu abilmente condotto, richiese però un certo tempo, poiché il Mercy era largo ottanta piedi circa. Bisognò, dunque, conficcare dei pali nel letto del fiume, allo scopo di sostenere il piano fisso del ponte, e impiantare un maglio per colpire le testate dei pali, che dovevano formare così due campate e permettere al ponte di sopportare pesanti carichi.
Fortunatamente non mancavano né gli attrezzi per lavorare il legnane le armature di ferro per consolidarlo, né l’ingegnosità di un uomo meravigliosamente pratico di quei lavori, né infine lo zelo dei suoi compagni che, dopo sette mesi, avevano necessariamente acquistato una grande abilità manuale. E, bisogna riconoscerlo, Gedeon Spilett non era il più maldestro e gareggiava in abilità con lo stesso marinaio, «che non si sarebbe mai aspettato tanto da un semplice giornalista!»
La costruzione del ponte sul Mercy durò tre settimane, durante le quali si lavorò molto duramente. I coloni facevano colazione sul luogo stesso dei lavori, e il tempo essendo magnifico, non si rientrava a GraniteHouse che per la cena.
Durante questo periodo fu constatato che mastro Jup s’acclimatava facilmente e familiarizzava con i suoi nuovi padroni, che guardava sempre con occhio estremamente curioso. Nondimeno, per misura precauzionale, Pencroff non gli lasciava ancora assoluta libertà di movimenti, volendo aspettare, con ragione, che i confini dell’altipiano diventassero insormontabili, in seguito ai lavori progettati. Top e Jup se la intendevano a meraviglia e giocavano volentieri insieme, ma Jup faceva tutto con gravità.
Il 20 novembre il ponte fu finito. La sua parte mobile, equilibrata da contrappesi, girava facilmente, e bastava un lieve sforzo per sollevarla; tra i cardini e l’ultima traversa sulla quale andava ad appoggiarsi, quando era abbassata, vi era uno spazio di venti piedi, sufficiente perché gli animali non potessero varcarlo.
Si trattò allora d’andare a cercare l’involucro dell’aerostato, che i coloni avevano fretta di mettere completamente al sicuro; ma per trasportarlo era necessario portare un carro fino a Porto Pallone, e, di conseguenza, bisognava aprire una strada attraverso le folte boscaglie del Far West. Ciò richiedeva un certo tempo. Così Nab e Pencroff si spinsero prima in ricognizione sino al porto, e siccome constatarono che la tela non soffriva in nessun modo nella grotta ov’era stata immagazzinata, fu deciso che i lavori relativi all’altipiano di Bellavista sarebbero proseguiti senza interruzione.
«Questo,» fece osservare Pencroff «ci permetterà di costruire il nostro pollaio in migliori condizioni, poiché non avremo da temere né la visita delle volpi, né l’aggressione d’altre bestie nocive.»
«Senza contare,» aggiunse Nab «che potremo dissodare il terreno dell’altipiano, trapiantarvi le piante selvatiche…»
«E preparare il nostro secondo campo di grano!» esclamò il marinaio con aria trionfante.
E infatti, il primo campo di grano, seminato con un unico chicco, aveva mirabilmente prosperato, grazie alle cure di Pencroff. Esso aveva prodotto le dieci spighe annunciate dall’ingegnere, e, poiché ogni spiga portava ottanta chicchi, la colonia si trovava in possesso di ottocento chicchi in sei mesi, il che prometteva per ogni anno un doppio raccolto.
Quegli ottocento chicchi, meno una cinquantina, che vennero conservati per prudenza, dovevano, dunque, essere seminati in un nuovo campo, con cura non minore di quella riservata all’unico chicco.
Il campo fu preparato, poi venne circondato da una palizzata, alta e munita di punte, che i quadrupedi avrebbero molto difficilmente superata. Quanto agli uccelli, bastarono, a tenerli lontani, alcune raganelle e degli spaventapasseri, dovuti all’immaginazione fantastica di Pencroff. I settecentocinquanta chicchi furono allora deposti in piccoli solchi regolari, e si lasciò che la natura facesse il resto.
Il 21 novembre, Cyrus Smith cominciò a disegnare il fossato, che doveva chiudere l’altipiano a ovest, dall’angolo sud del lago Grant fino alla svolta del Mercy. C’erano due o tre piedi di humus, e al di sotto il granito. Bisognò, dunque, fabbricare nuovamente della nitroglicerina, la quale fece il suo consueto effetto. In meno di quindici giorni, un fossato largo dodici piedi e profondo sei, fu scavato nel duro suolo dell’altipiano. Una nuova apertura fu, con lo stesso mezzo, praticata nell’orlo roccioso del lago, e le acque si precipitarono in quel nuovo letto, formando un piccolo corso d’acqua al quale fu dato il nome di Creek Glicerina, che divenne un affluente del Mercy. Come l’ingegnere aveva previsto, il livello del lago si abbassò, ma quasi impercettibilmente. Infine, per completare la chiusura, il letto del rigagnolo del greto fu notevolmente allargato e le sabbie furono contenute per mezzo di una doppia palizzata.
Con la prima quindicina di dicembre, i lavori furono finiti, e l’altipiano di Bellavista, vale a dire una specie di pentagono irregolare, che aveva un perimetro di quattro miglia circa, circondato da una cinta liquida, fu assolutamente al sicuro da ogni aggressione.
Durante quel mese di dicembre, il caldo fu intenso. Ciò non ostante, i coloni non vollero sospendere l’esecuzione dei loro progetti; e siccome si rendeva sempre più urgente la costruzione della corte per gli animali domestici, si accinsero senz’altro a questo lavoro.
È inutile dire che, dopo la chiusura completa dell’altipiano, mastro jup era stato messo in libertà. Egli non lasciava più i suoi padroni e non manifestava alcun desiderio di fuggire. Era un animale docile, vigorosissimo nello stesso tempo e di un’agilità sorprendente. Ah! Quando si trattava di arrampicarsi sulla scala di GraniteHouse, nessuno avrebbe potuto rivaleggiare con lui. Veniva già adibito ad alcuni lavori: trainava dei carichi di legna e di pietre estratte dall’alveo del Creek Glicerina.
«Non è ancora un muratore, ma è già una «scimmia»«diceva scherzosamente Harbert, alludendo al soprannome di scimmia, che i muratori danno ai loro apprendisti. E mai nome fu meglio appropriato di quello.
La corte occupò un’area di ben duecento iarde quadrate, che fu scelta sulla riva sudest del lago. Essa venne cinta d’una palizzata e vi furono costruiti diversi ricoveri per i vari animali che dovevano popolarla. Erano capanne di frasche, divise in scompartimenti, cui non rimase in breve che aspettare gli ospiti.
I primi furono la coppia di tinamù, che non tardarono molto a prolificare abbondantemente. Essi ebbero in seguito per compagni una mezza dozzina di anatre, che frequentavano le rive del lago. Alcune appartenevano a quella specie cinese, le cui ali s’aprono a ventaglio e che, per lo splendore e la vivacità delle piume, rivaleggiano con i fagiani dorati. Pochi giorni dopo, Harbert s’impadronì di una coppia di gallinacei dalla coda rotonda e costituita di lunghe penne, dei magnifici alettori, che s’addomesticarono assai presto. Quanto ai pellicani, ai martinpescatori, alle gallinelle, vennero spontaneamente al pollaio e tutto quel piccolo mondo, dopo alquante dispute, tubando, pigolando, chiocciando, finì per intendersi e s’accrebbe in proporzioni rassicuranti per l’alimentazione futura della colonia.
Cyrus Smith, volendo completare la sua opera, installò una piccionaia in un angolo del cortile. Vi furono accolti una dozzina di quei piccioni, che frequentavano i picchi dell’altipiano. Questi uccelli s’abituarono facilmente a rientrare ogni sera alla loro nuova dimora e mostrarono più inclinazione ad addomesticarsi dei colombi selvatici, loro congeneri, che, d’altronde, si riproducono soltanto allo stato selvaggio. Finalmente, era venuto il momento di utilizzare l’involucro dell’aerostato per la confezione della biancheria, giacché conservarlo così com’era e arrischiarsi ad abbandonare l’isola in un pallone ad aria calda, sopra un mare per così dire senza limiti, sarebbe stato giustificabile soltanto per gente mancante di tutto, e Cyrus Smith, spirito pratico, non poteva pensare a questo.
Si trattava, dunque, di portare l’involucro a GraniteHouse, e i coloni cercarono per questo di rendere più maneggevole e leggero il loro pesante carro. Ma, se il veicolo non mancava, il motore non c’era ancora. Non esisteva, dunque, nell’isola qualche ruminante di specie indigena, che potesse sostituire il cavallo, l’asino, il bue o la vacca? Questo era il problema.
«In verità,» diceva Pencroff «una bestia da tiro ci sarebbe molto utile, in attesa che il signor Cyrus ci costruisca un carro a vapore, o anche una locomotiva, poiché, certamente, verrà il giorno che avremo una ferrovia da GraniteHouse a Porto Pallone, con diramazione sul monte Franklin!»
E l’onesto marinaio, parlando così, credeva veramente a quello che diceva! Oh, l’immaginazione, quando è accompagnata dalla fede!
Ma, per non esagerare, un semplice quadrupede da tiro sarebbe stato l’ideale per Pencroff, e siccome la Provvidenza aveva un debole per lui, non lo fece troppo sospirare.
Un giorno, il 23 dicembre, i coloni udirono Nab e Top che facevano a gara l’uno a gridare e l’altro ad abbaiare contemporaneamente. Gli altri, occupati ai Camini, accorsero subito, temendo qualche spiacevole incidente.
Che cosa videro? Due begli animali di grandi dimensioni, che s’erano imprudentemente avventurati sull’altipiano attraverso i ponticelli rimasti abbassati. Si sarebbero detti due cavalli, o almeno due asini, maschio e femmina, eleganti di forme, mantello color isabella, gambe e coda bianche, testa, collo e tronco a righe nere come le zebre. Essi avanzavano tranquillamente, senza manifestare alcuna inquietudine e guardavano con occhio vivo quegli uomini, nei quali non potevano ancora riconoscere dei padroni.
«Sono onagri!» esclamò Harbert «quadrupedi che stanno fra la zebra e il quagga.»
«E perché non asini?» domandò Nab.
«Perché non hanno le orecchie lunghe e le loro forme sono più graziose.»
«Asini o cavalli» rimbeccò Pencroff «sono dei «motori», come direbbe il signor Smith, e come tali, buoni da catturare.»
Il marinaio, cercando di non spaventare i due animali, s’insinuò fra le erbe fino al ponticello del Creek Glicerina, lo fece ribaltare e gli onagri divennero
prigionieri.
E adesso, se ne sarebbero impadroniti con la violenza, sottomettendoli poi a un addomesticamento forzato? No. Si decise che, durante alcuni giorni, si sarebbero lasciati andare e venire liberamente sull’altipiano, dove l’erba era abbondante, e immediatamente l’ingegnere fece costruire vicino al pollaio una stalla, nella quale gli onagri dovevano trovare, con una buona lettiera, un rifugio per la notte.
Così, dunque, la magnifica coppia fu lasciata interamente libera nei suoi movimenti, e i coloni evitarono persino di avvicinarsi a essa per non spaventarla. Nondimeno, parecchie volte gli animali sembrarono provare il bisogno di lasciare quell’altipiano, troppo ristretto per loro, avvezzi ai larghi spazi e alle foreste profonde. Si vedevano, allora, correre lungo la cinta d’acqua, che opponeva loro un’insormontabile barriera; gettare acuti ragli, poi galoppare attraverso le erbe; e tornata la calma, restavano ore intere a considerare quei grandi boschi, preclusi loro per sempre!
Intanto, erano state confezionate bardature e tirelle in fibre vegetali e pochi giorni dopo la cattura degli onagri, non solo il carro era pronto per essere attaccato, ma una strada diritta, o piuttosto un varco, era stato aperto attraverso la foresta del Far West, dal gomito del Mercy fino a Porto Pallone. Potevano, dunque, condurvi il carro; e infatti, verso la fine di dicembre, gli onagri furono provati per la prima volta.
Pencroff aveva già abbastanza assuefatto le due bestie a venire a mangiare dalla sua mano, ed esse si lasciavano avvicinare senza difficoltà; ma, una volta attaccate al carro s’impennarono e costò gran fatica trattenerle/Tuttavia, non avrebbero tardato a piegarsi al nuovo servizio, giacché l’onagro, meno ribelle della zebra, si aggioga frequentemente nelle parti montagnose dell’Africa australe, e si è potuto persino acclimatarlo in Europa, in zone relativamente fredde.
Quel giorno, tutta la colonia, meno Pencroff, che stava davanti alle sue bestie, sali sul carro e prese la via di Porto Pallone. Si può immaginare quanto i passeggeri furono sballottati su quella strada appena abbozzata; ma il veicolo arrivò senza incontrare ostacoli, e il giorno stesso fu possibile caricarvi l’involucro e i diversi attrezzi del pallone.
Alle otto di sera, il carro, dopo aver ripassato il ponte del Mercy, ridiscendeva la riva sinistra del fiume e si fermava sul greto. Gli onagri venivano staccati e ricondotti nella stalla; e Pencroff, prima di addormentarsi, emise un tale sospiro di soddisfazione che fece rumorosamente risuonare di echi la GraniteHouse.