VIII

La sala crionica gli faceva pensare a un grigio novembre.

Larry non aveva mai conosciuto le stagioni della Terra, ne sapeva qualcosa solo dalle poesie e dai videonastri di scuola. Ma entrando in quello stanzone freddo e silenzioso dove la popolazione congelata dell’astronave passava gli anni nel sonno, provò un brivido, come per le avvisaglie di un inverno incipiente.

Le sale crioniche occupavano due interi livelli dell’astronave. Erano comparti enormi, con tante file di giacigli coperti, simili ai sarcofagi degli antichi egiziani. Queste urne, però, contenevano vivi, non morti. Non erano fatte di pietra, ma di acciaio inossidabile e plastica, ed erano perforate da tubi in cui passava elio liquido a 4 gradi sopra lo zero assoluto. Invece che da rilievi, erano decorate da quadranti e indicatori, che permettevano di controllare le condizioni del dormiente chiuso dentro. Vivo. Congelato, immobile, senza respiro, muto, per anni e anni. Ma vivo.

Larry non si era mai fatto congelare. Ci pensava, a volte. Ma somigliava troppo alla morte.

Tutto, nella sala crionica, faceva pensare alla morte, all’inferno: il freddo, il silenzio, la solitudine. Larry si sentiva gelato fino al midollo, nonostante la giacchetta termica che portava sulla tuta. Le luci opache facevano apparire tutto ancora più piatto, più grigio, e il pavimento ovattato smorzava perfino il rumore dei passi.

Il dottor Hsai era già lì ad aspettarlo, alcune file avanti. Larry affrettò il passo.

— Strano posto per un appuntamento — disse lo psicotecnico, quando Larry lo raggiunse. Pareva incuriosito più che seccato.

— Volevo parlarvi in privato — disse Larry. — E questo è uno dei pochi posti a bordo dove si può essere sicuri di non venire interrotti o ascoltati.

Le sopracciglia sottili del dottor Hsai s’inarcarono. — Ah… e di che cosa volevate parlarmi? — Se aveva freddo, non lo dava a vedere.

— Ho sentito dire che avete deciso di dimettere Dan Christopher.

Hsai accennò di sì. — Non abbiamo motivi per trattenerlo in infermeria. È ricoverato ormai da un mese, e l’ho visto tutti i giorni. Non ho osservato segni di malattia mentale… come del resto mi aspettavo date le circostanze.

— Che cosa intendete dire?

— Il signor Christopher non soffre di anomalie provocate da alterazioni fisiche. Non ha i caratteri della schizoidia, una psicopatia che deriva da squilibri molecolari del sistema nervoso. Non ha lesioni al cervello, non ha, insomma, malattie collegate al fisico.

— Ma…

Il dottor Hsai alzò una mano esile, dalle dita lunghe: — Lasciatemi continuare, per favore. I disturbi del signor Christopher sono eminentemente nella sfera emotiva. E nell’infermeria, sotto la vigilanza costante dei medici, i disturbi di questo genere non si manifestano.

Larry si accigliò. — Ma potete scandagliargli la mente… analizzare quello che dice, quello che persa… Ci sono i sogni, i test…

— Purtroppo — disse il dottor Hsai, — io sono solo uno psicotecnico, non uno psichiatra. L’unico psichiatra rimasto sveglio è morto anni fa nell’epidemia; gli altri due sono qui, addormentati.

— Ma non siete in grado di dirmi…

— Quello che sono in grado di dirvi è che il comportamento anormale del signor Christopher non deriva da disturbi fisici. In infermeria è stato prima ostile e sospettoso, perché era furente per essere stato, come diceva lui, arrestato e messo in galera. Ma nel giro di una settimana si è adattato alla situazione, e da allora è calmo e docile.

— E nell’ultimo mese non abbiamo avuto incidenti — borbottò Larry.

Il dottor Hsai si strinse nelle spalle. — O è perfettamente sano, sia di mente sia di corpo, oppure…

— Oppure?

— Oppure è tanto abile da nascondermi i suoi veri sentimenti, e aspetta di essere dimesso per sfogare l’ostilità che cova dentro.

— Può comportarsi in modo normale pur essendo…

— Nevrotico? Psicopatico? Pazzo? — Il dottor Hsai sorrise tristemente. — Altroché. I paranoici, in particolare, sanno comportarsi in modo perfettamente normale… finché non sono sottoposti a uno stress che fa esplodere la psicosi.

Larry rabbrividì, e non solo di freddo. — Che cosa possiamo fare?

— Non serve a niente trattenerlo in infermeria. E ha tutti i diritti di essere dimesso e riprendere il suo lavoro.

— E se poi si mette a dare i numeri e… provoca altri incidenti?

Sottovoce, il dottor Hsai disse: — Se volete il mio parere, il signor Christopher non è malato. È solo arrabbiato e deluso. Ha risentito della perdita della sua ragazza e di quella nomina a presidente che si aspettava.

— In altri termini, ce l’ha a morte con me.

— Esattamente.

— E farà tutto il possibile per riavere Valery e farsi eleggere presidente.

— Sì.

Larry respirò a fondo, fissando lo sguardo negli occhi scuri e calmi dello psicotecnico. — Lo credete capace di atti violenti? Di un assassinio, per esempio?

Hsai scosse la testa. — Tutti, in determinate circostanze, possiamo diventare assassini. Anche voi e io.

Bell’aiuto, pensò Larry.

— Lo dobbiamo dimettere — ripeté il dottor Hsai. — Potete farlo sorvegliare, se volete. Ma tenerlo in infermeria non servirebbe assolutamente a niente.

— D’accordo — convenne a malincuore Larry, — Dimettetelo.

Hsai annuì e si avviò verso il portello più vicino per tornare fuori, al calore della vita. A un certo punto si voltò a guardare Larry e parve sorpreso che non gli andasse dietro. Ma Larry rimase dov’era, vicino a una delle grandi urne crioniche.

Dan vuole Valery, e vuole essere presidente… Lo sapevi già da te. Non è una novità.

, gli rispose la sua mente. Ma se è pazzo, se ha commesso atti violenti, compreso un tentativo d’assassinio, la colpa è mia. In parte, almeno, se non interamente. Soprattutto se è pazzo, perché allora non è responsabile delle sue azioni. Mentre io lo sono. Io lo sono!

Va bene, la colpa è in parte tua. E allora, in che modo puoi rimediare?

Avrebbe voluto rispondersi non lo so. Ma sapeva quello che avrebbe potuto fare. Puoi dargli quello che vuole. Lasciare che si prenda la presidenza. Lasciare che si prenda Valery.

Sai che non puoi fare questo. Che diventeresti pazzo tu. Che perderesti la voglia di vivere.

Puoi dormire. Farti rinchiudere in una di queste urne e dormire per tanti anni. Finché non saranno tutt’e due morti. E poi cominciare una nuova vita.

Certo. O magari non svegliarti più.

Scegli.

Si accorse improvvisamente di essere davanti all’urna del dottor Loring. I grafici indicavano che il vecchio era ancora vivo, ad aspettare nel suo limbo di gelo che fosse pronta l’équipe di chirurghi che avrebbe tentato di salvarlo.

Rinunciare alla presidenza? Rinunciare a Valery?

No.

Questo vuol dire che esaspererai Dan, lo spingerai al punto di fare cose anche peggiori.

Sudava. Nonostante il freddo, era grondante. — Non posso! — bisbigliò con furore. — Non voglio, non gli permetterò di portarmi via tutto!


C’era sempre stato chiasso nel self-service. Abbastanza spazioso da contenere trecento persone sedute, il ristorante faceva anche da ritrovo e sala per concerti. Era bene illuminato, vivacemente decorato, e straripava di gente praticamente giorno e notte. Un’intera parete era occupata da un videoschermo sul quale passavano continuamente immagini della Terra, dello spazio stellato all’esterno e dell’astronave stessa.

Quando Dan entrò, restando un momento fermo sulla porta, il lungo video presentava una spiaggia della Terra, in riva a un oceano: onde enormi andavano a cozzare contro aspre scogliere, rompendosi in spettacolari getti di spuma. Il cielo era azzurro, il sole una palla dorata che avvicinandosi all’orizzonte si faceva sempre più rossa. La sottile striscia di spiaggia tra le rocce era punteggiata di persone. Sullo sfondo in cima alle scogliere più alte, c’erano delle case.

Dan, fermo sulla porta, assimilava tutta la scena sullo schermo, il chiasso e le luci del ristorante. Dopo un mese di confino all’infermeria, era come riscoprire la vita.

Un gruppo di persone entrò, urtandolo. Molti gli sorrisero, qualcuno gli rivolse una frase di saluto.

— Finalmente ti si rivede, Dan.

— Tutto bene?

— Sempre in gamba, eh?

Dan sorrise, annuì, ricambiò strette di mano.

Poi la vide, seduta in fondo alla sala, sola, con un’espressione tesa. Aveva davanti un piatto, ma non mangiava. Aspettava, fissando il vuoto.

Rapidamente Dan andò al pannello di distribuzione; ordinò, premendo pulsanti, i cibi che voleva, e andò a ritirarli all’apposita fessura: per tutto il tempo, tenne un occhio sulla testa bionda di Valery. Poi, col suo vassoio fumante, la raggiunse al tavolo.

— Aspetti da tanto?

Valery alzò gli occhi, trasalendo. — Oh… no, sono qui da pochi minuti.

Dan le si sedette di fronte. — Grazie per avere accettato di vedermi.

Val pareva stanca, e anche un po’ spaventata. — Strano posto, per un appuntamento… voglio dire, c’è un baccano d’inferno.

Una mezza dozzina di adolescenti comparve sul palcoscenico dall’altra parte della sala, carichi di strumenti musicali elettronici.

Dan sorrise allegramente. — C’è vita, c’è animazione. A me piace. Le orecchie sono messe a dura prova, ma ci si distrae.

— Ti trovo bene… molto bene — disse Valery.

— Hai paura di me — disse Dan, rendendosene improvvisamente conto. — Perché? Pensi anche tu che sono matto?

— Chi…

Dan le prese una mano. — Val, Val. So bene quello che pensa Larry. So che è stato lui a farmi tenere rinchiuso in infermeria per un mese.

Sottraendo lentamente la mano alla stretta, Val disse: — Dan, non voglio che tu e Larry siate nemici. Riconciliatevi…

— Vorrei che fosse possibile. Te lo giuro, sarebbe un grande sollievo. Gli lascerei perfino tenere la presidenza se solo fossi sicuro…

— Sicuro di che?

Dan scosse la testa. — Non può funzionare. È te che voglio, Val. Se avessi te, forse lascerei anche perdere il resto.

— Il resto?

— Sì… ho avuto tanto, tanto tempo per pensare, all’infermeria. Mi dicono che non ci sono stati incidenti, in quest’ultimo mese.

Valery esitò, poi disse: — Infatti.

— Vedi? È stato furbissimo… astuto come una volpe.

— Cosa intendi dire?

— Non capisci? Vuol far credere che il responsabile sono io. È già riuscito a convincere un mucchio di gente che sono pazzo, che ho provocato io gli incidenti, che sono stato io a buttare tuo padre nel tunnel.

Val lo guardò fisso. — Sei stato tu?

Dan la guardò negli occhi, e ci vide tutta l’ansia e la paura che la tormentavano.

— L’hai fatta a Larry, questa domanda?

— Cosa vuoi dire?

— Lo sai, Valery.

— Ma perché? — disse Valery, in un bisbiglio appena udibile. — Che motivo potrebbe avere Larry?

— Hai mai pensato — chiese lentamente Dan — che se c’è davvero un pazzo a bordo di questa astronave, dev’essere Larry?

— No! È impossibile!

— Impossibile?

— Dan… tu ti sbagli. Gli incidenti potrebbero essere stati davvero solo incidenti.

— E allora perché Larry tenta di convincere tutti quanti che io sono matto?

— Ha paura…

— Ha paura di me?

Valery sbottò, senza controllarsi: — Larry ha paura che tu sia malato. Perché se sei malato, puoi fare del male ad altre persone, danneggiare l’astronave, magari farci morire tutti.

— È quello che sta facendo lui.

— No…

Dan sentiva la collera montare dentro di sé, sentiva la faccia infiammarsi. — Ha paura di me perché sa che io so di non aver provocato nessuno di quegli incidenti. Sa che non avrò pace finché non potrò smascherare davanti a tutti il vero responsabile… l’uomo che ha ucciso mio padre e che ha quasi ucciso il tuo. Ecco di che cosa ha paura!

— Dan, ascoltami. — La voce di Valery era supplichevole. — Dammi retta. Se continuate così, uno di voi due finirà ucciso. Se non tutt’e due. Smettila, per favore. Lascia perdere.

Dan scosse la testa. — È impossibile, Valery. Non ce la faccio.

— Neanche per me? Per la mia tranquillità, perché non mi tormenti più? Io soffro a vedere come vi scannate a vicenda.

— Non c’è niente da fare…

— Senti — disse Valery, con voce che tremava, le lacrime agli occhi. — Se dicessi a Larry che ho cambiato idea… che voglio sposare te… Ti daresti pace?

Dan si sentì come se fosse stato trasportato di colpo nel mozzo dell’astronave a gravità zero. Ebbe la sensazione di cadere, di cadere senza fine, ruotando su se stesso, con la testa che gli girava… Strinse forte gli occhi. Basta! Basta, basta, basta…

Guardò Valery così bella, così sola, spaventata e implorante, e disse: — Val… io non voglio che tu serva a comprarmi. Non voglio averti così. Finiremmo con l’odiarci. Io… no, io e Larry dobbiamo vedercela tra noi.

— Vi distruggerete l’un l’altro — disse Valery, con un filo di voce, esausta.

— Può darsi.

— Distruggerete l’astronave.

— Proprio quello che voglio evitare.

— E distruggerete anche me, alla fine.

Bruscamente Valery si alzò dal tavolo e corse fuori dal ristorante, lasciando Dan solo.

Загрузка...