III

L’astronave era costruita sul principio delle ruote concentriche, e consisteva in sette strutture anulari che ruotavano attorno a un mozzo centrale. Andando verso l’esterno, gli anelli si facevano via via più grossi, e aumentava lo spazio per l’equipaggiamento e gli alloggi. L’intera astronave ruotava lentamente, creando una gravità artificiale. Nell’anello più lontano dal centro, il livello 1, la gravità era di 1 g., come sulla Terra, e ci si sentiva del normale peso terrestre. Spostandosi verso il centro, peso e gravità diminuivano sensibilmente, fino a diventare, al mozzo, praticamente nulli.

Quel migliaio di uomini e donne che erano svegli e attivi alloggiavano al livello 1. I sette livelli erano collegati da tubi.

L’infermeria era al livello 2, dove la gravità era poco meno di 1 g. A causa di questo, si provava un senso di piacevole leggerezza, che metteva di buon umore e, a detta dei medici, aiutava i malati a guarire.

L’infermeria occupava un lungo tratto del livello 2, e non aveva oblò aperti sull’esterno. La parete principale era costituita da videoschermi sui quali sfilavano in continuazione immagini della Terra: della vecchia Terra dei tempi in cui la prorompente popolazione non aveva ancora abbattuto le foreste, squarciato il suolo ricco di minerali, sparso dappertutto putride città.

Dan Christopher, seduto sul suo lettino, ondeggiava lievemente sul materasso imbottito di liquido. Aveva passato la mattina fra brevi sonni e brevi veglie. Quand’era stato svegliato la prima volta, per il controllo, dal sistema automatico di sensori al suo capezzale, i videoschermi fuori delle pareti di vetroplastica del suo cubicolo gli avevano presentato un impossibile cielo azzurro con un paesaggio d’aspre montagne bianche chiazzate di verde sotto un sole sfolgorante.

Dan sapeva che il sole era una stella, anche se non somigliava a nessuna delle stelle che aveva visto. Ora, a mattina inoltrata, la scena che aveva davanti agli occhi era una foresta verde cupo, dove il sole filtrava in polverose strisce e strani animali a quattro zampe s’aggiravano cautamente nel sottobosco.

Sprecano energia elettrica per farci vedere paesaggi si disse. Si sentiva intontito, un po’ per i sogni angosciosi che aveva fatto, un po’, immaginò, per i tranquillanti che dovevano avergli somministrato a palate. Ma sotto la calma piatta prodotta dai medicinali, sapeva di avere dentro un nodo di terrore e di rabbia.

È morto. L’uomo che ci ha dato quest’astronave, che ha promosso questo viaggio, che mi ha messo al mondo, è morto. L’uomo più importante che ci fosse a bordo. Morto. E fra due mesi arriveremo a destinazione. Fra due mesi sarebbe stato rianimato e finalmente l’avrei conosciuto. Invece è morto.

Due infermiere passarono svelte davanti al suo cubicolo, chiacchierando. Dan le ignorò. Quando, di lì a poco, sarebbe arrivato il medico capo, gli avrebbe detto che voleva andarsene dall’infermeria.

Dei colpetti alla porta lo svegliarono del tutto. Attraverso il vetroplastica, vide Joe Haller: il solito, fidato Joe, ottimo ingegnere e ottimo amico. Coi suoi capelli lunghi e la barba, non godeva delle simpatie degli anziani, ma era uno degli uomini più onesti e in gamba che ci fossero a bordo. Dopo Larry, era il migliore e più vecchio amico di Christopher. A un cenno di Dan, Joe aprì la porta ed entrò nell’angusto cubicolo, e poiché non c’era posto per una sedia, si mise in piedi vicino al letto.

— Come va? — chiese.

— Mica male — disse Dan. — Devo farmi dimettere, subito. Da quanto tempo sono qui?

— Oggi è il terzo giorno.

Dan sentì come una scossa in tutto il corpo. — Tre giorni? Ma allora il Consiglio…

— Si è già riunito. Larry è stato eletto presidente.

— Larry!

Joe si strinse nelle spalle ed evitò di guardare Dan negli occhi. — Lui c’era, tu non c’eri. Non so che cosa sia successo prima della riunione, che cosa abbia fatto Larry per convincere i consiglieri. Sembra, da voci che si sentono in giro, che abbia fatto sapere loro che voleva essere eletto, dicendo che la carica spettava a lui perché in questo momento tu eri malato e non eri in grado di reggerne la responsabilità.

Dan s’accasciò sul lettino.

Con aria preoccupata, Joe aggiunse: — Hanno… hanno fatto i funerali dei morti nell’incendio. Ieri.

— Ieri.

— Sì.

— Anche quello di mio padre? Non hanno neppure aspettato…

— Hanno fatto una cerimonia unica, per tutti. I resti sono finiti nella cella idroponica.

— Non potevano aspettare che ci fossi anch’io? Joe si strinse nelle spalle e guardò altrove.

Dan gli afferrò un polso. — Non potevano aspettare un giorno o due, che ci fossi anch’io? — urlò. — Per mio padre!

— Larry ha ordinato…

— Larry!

— Insomma — disse Joe, con voce vibrante, — so che tu e Larry siete amici fin da bambini. Ma in questo momento lui non si sta comportando certo da amico con te.

Dan si lasciò di nuovo sprofondare nell’accogliente calore del lettino. Sentiva il cuore battergli con furia e, risolutamente, tirò un lungo respiro.

— Devo stare calmo — disse, con voce ferma ora. — Se mi agito, i medici mi rimpinzano un’altra volta di tranquillanti. Ma se mi faccio vedere sereno e disteso, mi lasceranno andare.

Joe lo guardò fisso per un momento.

— Cosa hai intenzione di fare, una volta dimesso? — chiese poi.

— Non so — disse Dan. — Qualcosa farò… ma non so ancora cosa.

Joe se ne andò poco dopo, e Dan si tenne rigidamente sotto controllo, evitando di parlare, di muoversi, tentando perfino di non pensare. Si concentrò sugli schermi dei sensori a fianco del letto: bisognava mantenere quelle tracce luminose il più possibile quiete, inalterate. Sorvegliarne l’agitarsi: battito cardiaco, pressione sanguigna, onde alfa, respirazione, metabolismo basale. Tutto calmo e regolare. Calmo e regolare. Fissare le strisce luminose, farsi ipnotizzare. Sentire, dentro, il funzionamento del muscolo cardiaco. Più lento. Più lento. Regolare. Calmo. Regolare…

Guardando fissamente gli schermi s’addormentò. E sognò che le strisce luminose erano funi, serpenti che lo avvolgevano, lo soffocavano, lo stritolavano. Ma poi lui stava a guardare da lontano, e i serpenti luminosi stringevano, uccidevano qualcun altro. Suo padre! Lui stesso! Si svegliò urlando.


— Più ci penso e più mi rallegro per la tua elezione — disse il dottor Loring.

Larry Belsen era nella stanza principale dell’alloggio dei Loring, seduto vicino a Valery sul divano ribaltabile. Il padre di Valery era comodamente sprofondato in una poltrona di rete di plastica, che a ogni suo movimento gemeva. Larry si aspettava che cedesse da un momento all’altro sotto tutto quel peso.

Il dottor Loring era uno dei dodici anziani svegli, e quindi era membro di diritto del Consiglio. Era un bambino quando l’astronave era partita dalla Terra, e non aveva mai voluto il sonno criogenico. — Non voglio perdermi niente, dal principio alla fine — diceva spesso. Il Consiglio equilibrava le forze dell’età, della tradizione, della stabilità, con le spinte innovatrici dell’esuberanza giovanile. I dodici anziani svegli erano membri a vita, ma i seggi rimanenti erano occupati da uomini e donne giovani, e il presidente era sempre eletto tra i giovani, con incarico annuale.

— Sì, sarai un buon presidente, Lawrence, ragazzo mio — riprese il dottor Loring. — In tutta franchezza ho sempre avuto i miei dubbi su Dan… — diede un’occhiata a sua figlia — …riguardo alle sue capacità di dirigere il Consiglio. È troppo emotivo. Ci sono aspetti della vita in cui essere emotivi non guasta, ma per fare il presidente…

Valery sorrise. — È la terza volta che ci dici queste cose, papà.

— Ah, sì? Non me n’ero accorto. Be’… — il dottor Loring scosse la testa, un po’ imbarazzato. Era un uomo corpulento, grosso di ossatura e panciuto, ed era praticamente calvo, se non per qualche ispido ciuffetto bianco attorno alle orecchie. Aveva occhi grandi e acquosi che sembravano sempre ammiccare, e spesso dentro di sé Larry lo paragonava a un ranocchio trasformato in principe… cinquant’anni prima.

Il dottor Loring si mosse, sollevando un coro di mugolii dalla plastica, e gridò: — A che punto è la cena?

La madre di Valery era nel cucinino, e sorvegliava pensosa la teoria di quadranti allineati lungo il forno.

— Sto scervellandomi a calcolare i tempi perché tutto venga pronto insieme… Valery, prepara la tavola, intanto.

Val si alzò, e il dottor Loring disse: — Com’era tutto più facile quando funzionavano i forni a microonde. Questo sistema di cucinare col calore… è barbaro.

— Non possiamo permetterci di sprecare energia elettrica per cucinare, almeno finché il generatore centrale non sarà riparato — disse Larry.

— Mmm. Da quanto tempo non funziona? Si parlava appunto di Dan. È compito suo…

— Non ha nessuna colpa e non merita rimproveri — lo interruppe Larry. — Nessuno a bordo dell’astronave sa gran che sul generatore… Dan e il suo gruppo hanno dovuto informarsi, prima di intraprendere il lavoro.

— Dico solo che se la sono presa comoda — borbottò il dottor Loring.

— Devono starci attenti — insistette Larry. — Joe Haller sta setacciando la memoria principale dell’elaboratore in cerca di istruzioni specifiche. Uno sbaglio avrebbe conseguenze gravissime per tutti.

— Non roderti il fegato, caro — disse la signora Loring. — La cena è pronta, finalmente… almeno credo.

Fu un pasto eccellente. Verdura e frutta venivano dagli orti idroponici, e la carne sintetica dal ranch dei biochimici, dove sostanze nutritive, enzimi e altri prodotti chimici venivano combinati a formare una goccia che aveva tutto il potere nutritivo della proteina organica. Nessuna delle persone sveglie aveva mai assaggiato la carne di un animale, se non in una lontana e dimenticata infanzia, ma i biochimici ci tenevano a dire che la loro carne sintetica era saporita come la vecchia bistecca, e anche di più.

Via via che il pasto procedeva, Larry diventava sempre più nervoso. Devo dirglielo, prima o poi, si ripeteva continuamente. Ma la conversazione attorno alla tavola si dipanava piacevolmente, e lui non trovava mai il pretesto per annunciare il progetto di matrimonio.

Lanciava continue occhiate a Valery, sperando che dicesse qualcosa che lo aiutasse a cominciare. Ma lei sembrava prendere particolarmente gusto al suo disagio disperato.

Come sempre, il dottor Loring monopolizzava la conversazione. E se di solito Larry non aveva difficoltà ad ascoltare i suoi sproloqui facendoli entrare da un orecchio e uscire dall’altro, quella sera stava sulle spine. Cristo, se stesse zitto un momento!

Fu la signora Loring a venirgli in aiuto, alla fine. Era lei il modello da cui Valery aveva preso la bellezza, ed era ancora bella, nonostante l’età, ed era forte e vitale. Aveva gli stessi capelli biondo acceso di Valery e gli stessi occhi scintillanti.

Posò una mano sul braccio del marito e disse, interrompendolo: — Che ne diresti di accompagnare il dessert con un po’ di vino? Ce n’è ancora in quella tua bottiglia?

Il dottor Loring la guardò incerto. — Be’… sì, se credi… è che…

— Lo so, lo teniamo per le occasioni speciali — disse la signora Loring. — Ma questa è un’occasione speciale, no? Non capita tutti i giorni che si elegga un nuovo presidente.

Il dottor Loring spinse indietro la sedia per alzarsi, e allora Larry colse la palla al balzo. — L’occasione è doppia… Io e Valery abbiamo deciso di sposarci. — Lo disse tutto d’un fiato.

— Cosa? Voi due… — Il dottor Loring trasecolò.

La signora Loring non parve affatto meravigliata. — Splendida idea. Ora che sei presidente, puoi infischiartene di quella stupida selezione dell’elaboratore, vero?

Con un sorriso smisurato, il dottor Loring abbrancò la mano di Larry, e scuotendola con forza disse: — Congratulazioni. Sono contento, contentissimo!

Larry si sentì alleggerito di mille chili. Guardò Valery: sua madre la baciava sulla guancia, ed erano tutt’e due raggianti.

— Il vino — disse il dottor Loring, lasciando finalmente andare la mano di Larry. — Altroché se è un’occasione speciale! — Si alzò dalla tavola e s’avviò ondeggiando verso il cucinino, dove aprì un armadietto borbottando: — Dovrebbe essere qui.

— Mi fa tanto piacere, davvero — disse la signora Loring con voce pacata. — So che Valery vuole un bene dell’anima a Dan… ma tu sei sempre stato il preferito…

Larry sorrise goffamente, ma il pensiero di Dan lo tormentava. Prima la presidenza, ora Valery. Mi odierà. E ne ha tutte le ragioni.

Valery disse: — Ci ho pensato su, e credo che sia meglio aspettare a dire a Dan… di noi. In questo momento è già abbastanza scosso.

La signora Loring annuì. — Sì, hai ragione.

— Mah… io non… — fece per obiettare Larry.

Valery gli scoccò uno dei suoi più bei sorrisi. — Lascia decidere a me, Larry, per favore. Sta passando un brutto momento, e sarebbe crudele dargli anche questo colpo.

— È crudele anche lasciargli credere…

— So io quello che devo fare.

— Però…

— Per favore.

Larry cedette. — Va bene. Ma non far durare troppo la finzione. Più la tiri per le lunghe e peggio è.

— Io lo conosco e so come trattarlo — disse Valery.

Il dottor Loring pescò una bottiglia verde dal fondo dell’armadietto. — Ah ah! — Alzò la bottiglia tenendola per il collo. — Non ne è rimasto molto, ma un brindisi alla coppia felice lo rimedieremo.

Larry sorrise, anche se in quel momento non si sentiva particolarmente felice.

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