VI

Il ponte di comando crepitava d’eccitazione.

Larry era al suo solito posto, dietro gli operatori. Sui video guizzavano immagini di ogni parte dell’astronave, pulsava il battito di ogni sistema.

Per un attimo il ponte tacque, in un silenzio d’attesa. Tutti trattennero il respiro, cosicché si sentiva solamente il sussurro degli aereatori e il mormorìo dei pannelli.

Larry era immobile dietro uno degli operatori e sorvegliava lo schermo sul suo pannello, dove si vedevano i lunghi cilindri scintillanti di quattro sonde a razzo automatizzate. Nell’angolo a destra in basso, sfavillò un 10 rosso.

— Dieci secondi al lancio — mormorò l’operatore.

L’operatore al pannello vicino aggiunse: — Tutti i sistemi in condizioni di funzionamento normale.

Il primo video alla sinistra di Larry mostrava una mappa stellare tracciata dall’elaboratore, con decine di puntini luminosi sparsi qua e là. Su un lato, quasi al limite dello schermo, uno dei puntini brillava a intervalli. Era l’obiettivo, il pianeta maggiore di Alpha Centauri, e si spostava sullo schermo, dirigendosi verso un cerchio punteggiato al centro della mappa.

Larry guardava. Il puntino lampeggiante raggiunse il cerchio e si fermò.

— Contatto — disse l’operatore. — Siamo nella bocca del lancio.

Ticchettando, il numero sul video sovrapposto all’immagine delle sonde cominciò a scendere: nove, otto, sette…

— Gli addetti al lancio sono pronti. — Su un pannello di controllo una luce passò dall’ambra al verde.

— Sei, cinque…

— Accensione motori.

— …quattro, tre, due…

— Portello aperto.

Larry vide il portello metallico davanti alle sonde scivolare via, scoprendo le stelle.

— …uno, zero.

— Fuori!

I quattro cilindri guizzarono via e in un batter d’occhio sparirono nel buio dello spazio.

— Schermo radar in funzione — disse una voce animata. — Accensioni come prestabilito. Tutti e quattro in rotta!

Larry non si rese conto di aver trattenuto il fiato se non quando lo lasciò andare in un lungo sospiro di sollievo. Gli operatori lanciarono un grido di trionfo, poi si voltarono l’uno verso l’altro dispensandosi sorrisi, strette di mano, pacche sulle spalle. Le ragazze furono baciate.

Al centro della festosa baraonda, Larry sorrideva soddisfatto. Fra un mese avremo dati esaurienti sul pianeta, e allora decideremo se entrare in orbita o tentare di andare avanti.

Gli stavano tutti attorno dandogli manate sulle spalle, ridendo con lui.

Larry alzò le braccia. — Ehi, non le ho mica lanciate io le sonde. Sono stato solo a guardarvi. Le congratulazioni vanno a voi.

Gli operatori continuarono a far calca attorno a lui, e alla fine Larry disse: — Okay, il lancio è stato perfetto. Che ne direste ora di tornare ai vostri posti? Non vorremo dare all’elaboratore l’impressione di poter guidare l’astronave da solo, eh?

Brontolando allegramente gli operatori tornarono ai loro posti, e i pochi estranei che erano stati ammessi al ponte per assistere al lancio se ne andarono, uscendo dai due portelli alle estremità della fila curva di pannelli di controllo.

Quando fu certo che tutto procedeva regolarmente, anche Larry tornò al suo sedile contro la parete in fondo al ponte, e vi si rilassò.

Ma non per molto.

Il dottor Loring sbucò sul ponte e per un momento si fermò, grasso, ansante e ammiccante a guardare la fila di pannelli. Larry si accigliò.

Lo sa che i non addetti ai lavori non possono entrare qui senza permesso!

Loring si voltò verso di lui. — Ah, sei lì — disse e si avviò pesantemente per raggiungerlo. — Congratulazioni. Ho visto il lancio sullo schermo d’intercomunicazione. Una meraviglia.

Larry si alzò lentamente dalla sedia. — Grazie. Ma… lo sapete che solo gli addetti ai lavori hanno accesso al ponte.

Loring agitò una mano carnosa. — Lo so, lo so. Mille scuse. Ma… non sono venuto qui soltanto per congratularmi. — Gettò un’occhiata agli operatori che, intenti al loro lavoro, gli voltavano le spalle. — Ehm… potremmo andare un momento nel tuo ufficio? Si tratta di una faccenda alquanto delicata.

C’erano momenti in cui Larry trovava il dottor Loring divertente, e momenti, come questo, in cui lo trovava esasperante. Abbi pazienza, si disse. T’ha fatto praticamente da padre, e si crede in diritto di intromettersi.

Annuì, aprì una porta nella parete, e precedette il dottor Loring in un corridoietto che collegava il ponte di comando col centro di calcolo. Su un lato di questo passaggio interno c’era il suo ufficio. Entrarono e Larry passò una mano sull’interruttore della luce. Il sensore a infrarossi percepì il calore del suo corpo e accese i pannelli luminosi sul soffitto.

Larry indicò la poltrona di rete di plastica e si sedette dietro la scrivania. Con precauzione, molto lentamente, Loring calò la sua mole nella poltrona, e la plastica gemette.

— Allora, cosa c’è? — chiese Larry.

— Si tratta di Dan Christopher — disse il dottor Loring, con fare preoccupato.

Larry aspettò che il vecchio aggiungesse qualcosa, e quando vide che si limitava a starsene lì seduto con aria infelice, lo sollecitò: — Be’? Cosa avete da dirmi di Dan?

— Di Dan… e Valery.

Automaticamente, Larry tentò di nascondere la scossa che lo traversò tutto. Idiota! Di che cosa hai paura? È innamorata di te.

In tono paziente, chiese al dottor Loring: — Va bene, cosa avete da dirmi di Dan e Valery?

Scuotendo la testa, il dottor Loring rispose: — Si sono visti un paio di volte, dopo l’incendio. Hanno cenato insieme… da soli.

— Lo so.

— Io gliel’ho detto a Val, che non va affatto bene comportarsi così. Si sta cacciando in un imbroglio.

— Se è questo che siete venuto a dirmi, lo sapevo già, da lei. Non ci teniamo nascosto niente. E non c’è niente di male se passa una sera con un vecchio amico…

— Lui la rivuole.

— Lo so. — Ricordo quello che provavo io quando Val doveva sposare lui.

— Le ha chiesto di aspettare a sposarti finché non si sarà presa la decisione riguardo al pianeta di Alpha Centauri.

Larry annuì.

— Secondo me, ci darà dei fastidi.

Larry cominciava a perdere la pazienza. — Sentite, dottor Loring, io so quello che prova Dan. E so che sta tentando di tirare il Consiglio dalla sua parte e farmi destituire. Ma tenete presente che siamo stati amici tanto tempo e…

— È convinto — lo interruppe il dottor Loring, alzando la voce, — che l’incendio non sia stato una disgrazia. Dice che suo padre è stato assassinato.

— Assassinato?

— Sì.

— E da chi? Chi avrebbe fatto una cosa simile? E perché?

Il dottor Loring fu lì lì per sorridere. — Vedi che ci sono cose che non sai? Valery non t’ha detto tutto, per paura di aggravare la posizione tra te e Dan. Ma con me non ha segreti!

— Ma perché Dan crede che suo padre sia stato assassinato? Che motivo poteva esserci per assassinarlo?

Il dottor Loring si strinse nelle spalle. — Ho saputo per caso che ha chiesto a un certo Cranston di setacciare una delle vecchie memorie dell’elaboratore in cerca di non so quale messaggio che suo padre avrebbe introdotto nella macchina al principio del viaggio. O forse addirittura, quando l’astronave orbitava attorno alla Terra.

Larry si lasciò andare contro lo schienale.

— Dammi retta — insistette Loring, agitando un dito tozzo. — Ti dico che Dan è pericoloso. È uno squilibrato… un matto. Ed è deciso a ottenere quello che vuole, con Valery, l’astronave… tutto quanto. Il che significa, in un modo o nell’altro, che vuole sbarazzarsi di te.

Dan Christopher svolgeva il suo compito a bordo nel gruppo Propulsione e Potenza.

Istruito fin dall’infanzia in fisica e ingegneria elettronica, Dan vigilava sugli importantissimi reattori a fusione d’idrogeno, le centrali termonucleari che fornivano all’astronave la propulsione a razzo e l’energia elettrica. I reattori a fusione, che producevano energia con reazioni analoghe a quelle di una stella, erano tanto piccoli da stare in una coppia di bolle schermate sul livello 7, l’anello più interno dell’astronave, il più vicino al mozzo. E piccoli come erano, avevano tanta potenza da portare l’astronave attraverso lo spazio da una stella all’altra, fornendo alla gente, per decenni, tutta l’energia necessaria.

Erano come stelle in miniatura. Dentro ciascuno dei pesanti gusci di protezione di piombo e acciaio a forma d’uovo, c’era una minuscola stella fatta dall’uomo: una palla di plasma a una temperatura di centinaia di milioni di gradi, tenuta sospesa nel vuoto da campi magnetici potentissimi. Il plasma di fusione era alimentato con deuterio, un pesante isotopo dell’idrogeno a quasi un atomo alla volta. Gli atomi di deuterio si fondevano in elio, e si liberava energia: lo stesso processo con cui producono energia il sole, le stelle… e la bomba all’idrogeno.

C’era tanta energia nei reattori a fusione da trasformare l’intera astronave in una piccola stella sfolgorante… per un’esplosiva frazione di secondo.

In teoria, sia i reattori sia i trasformatori d’energia che convertivano il calore del plasma di fusione in elettricità avrebbero dovuto essere silenziosi. Ma percorrendo la passerella metallica sospesa sopra uno dei reattori, Dan sentiva attraverso le suole delle scarpe il brontolìo a bassa frequenza della stella incatenata ai comandi dell’uomo. Le piastre metalliche del pavimento vibravano, l’aria stessa sembrava greve del respiro di un gigante invisibile.

Dan si sporse dall’esile parapetto della passerella e rimase a guardare il gruppo di lavoro sul pavimento di sotto. Il parapetto poteva essere esile perché al livello 7 la gravità era un decimo di quella della Terra. E proprio per questo i costruttori dell’astronave avevano collocato l’attrezzatura più pesante lì, dove il peso era quasi inesistente e un uomo poteva sollevare da solo un generatore da cinque quintali.

Dan sentiva il parapetto tremare nelle sue mani, scosso dal canto subsonico dei reattori. I reattori erano piccoli a vedersi, nient’altro che un paio di cupole di metallo opaco del diametro di venti metri, simili a due uova deposte da un gigantesco uccello meccanico. Sul lato opposto del livello 7 c’erano un’altra coppia di reattori e generatori ausiliari. Tra le due bolle erano annidati gli strumenti di controllo e gli uffici del gruppo Propulsione e Potenza.

Gli uomini che lavoravano sotto la passerella erano impegnati nella difficile impresa di rimettere in funzione il generatore centrale. Tutti i guasti erano stati riparati, e il generatore era stato rimontato al suo posto tra i due reattori. Ma non andava ancora.

Dopo una logorante settimana di lavoro, Joe Haller aveva fatto il punto della situazione. — C’è da diventare matti. Tutto è a posto e non funziona niente.

Dan sapeva che prima o poi ne sarebbero venuti a capo, ma intanto non poteva fare a meno di chiedersi perché l’apparecchio non funzionasse, quando tutti i calcoli e le prove indicavano che era perfettamente in ordine.

Che ci sia un sabotatore nella squadra di Joe?, si chiese, guardando gli uomini al lavoro. Ma che motivo può avere? E chi può essere?

— Un messaggio per il signor Christopher — disse la voce piattamente calma dell’elaboratore agli altoparlanti d’intercomunicazione.

Di malavoglia, Dan si avviò verso l’area di comando. Le strisce di lamina magnetizzata dalle scarpe aderivano leggermente alle piastre della passerella.

Quando si chiuse la porta alle spalle, il brontolìo penetrante dei reattori svanì, lasciando il posto al più acuto ronzìo dell’attrezzatura elettrica: monitor, terminali dell’elaboratore, videoschermi. Mezza dozzina di persone, sedute ai pannelli di controllo, sorvegliavano il rendimento dei reattori e dei generatori.

Dan vide un pannello vuoto, s’infilò nella sedia e premette il pulsante del telefono. — Parla Dan Christopher — disse.

Il piccolo videoschermo sopra il pannello ebbe un guizzo, poi prese forma la faccia del dottor Hsai, atteggiata a un cortese sorriso orientale.

— Siete stato gentile a rispondere subito alla mia chiamata — disse lo psicotecnico con voce soave. — So che avete molto da fare.

Dan rispose al sorriso. — Anche voi, immagino. Avete bisogno di qualcosa?

Con espressione appena un po’ più seria, il dottor Hsai rispose: — Mi preoccupa che non vi siate più fatto vedere, signor Christopher. Abbiamo preso appuntamento per una visita tre volte ma non siete mai venuto.

Dan si strinse nelle spalle. — Come avete detto voi stesso, ho molto da fare.

— Sì, certo. Ma la salute viene prima di tutto. Se difetta quella, anche il lavoro ne risente.

— Io sto benissimo.

Il dottor Hsai annuì chiudendo gli occhi. — Può darsi. Ma non sempre un malanno si manifesta con sintomi appariscenti, visibili anche al paziente. Siete stato dimesso dall’infermeria con l’intesa che sareste tornato periodicamente a farvi visitare.

Dan sentiva la collera montargli dentro. — Sentite, dottor Hsai, io ho davvero molto da fare. Non ho né tempo né voglia di rispondere alle vostre stupide domande e di farmi scandagliare il cervello. E nessuno mi obbliga. Faccio il mio lavoro e sto bene. Non potete costringermi in nessun modo a lasciarvi pasticciare con la mia testa!

— Signor Christopher! — Il dottor Hsai era stravolto.

— E tenete presente una cosa, dottore — continuò Dan. — Stiamo decelerando verso Alpha Centauri. I reattori alimentano i motori principali secondo un programma stabilito con estrema cura. L’astronave non è in grado di reggere più di un certo carico di propulsione, modesto… non è fatta per una propulsione elevata, si spaccherebbe in due…

— Questo lo sanno tutti.

— Ah, sì? Siamo in una fase molto delicata del volo; un piccolo errore di calcolo, un impercettibile guasto ai reattori, e crepiamo tutti. Perciò vi consiglio di non seccarmi più e lasciare che mi concentri sul lavoro. Rimandiamo lo scrutamento del cervello a quando saremo sani e salvi in orbita, coi motori a razzo spenti.

— Io volevo solo…

Dan avvertiva che intorno a lui tutti avevano sospeso il lavoro e lo guardavano, ma si concentrò sullo schermo. — Non mi importa di quello che voi volete — tagliò corto seccamente. — Come non m’importa di sapere chi sta cercando motivi per sbattermi di nuovo in infermeria… fosse anche il presidente! Io continuerò a fare il mio lavoro e a farlo bene. Capito?

Il dottor Hsai annuì, serio, adesso. — Scusatemi per avere interrotto il vostro importante lavoro — disse.

Poi sfiorò il pulsante del videofono dalla sua parte, e dopo che la faccia di Dan Christopher fu svanita dallo schermo, rimase a lungo seduto, con gli occhi chiusi e le labbra increspate.

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