XIV

La mattina dopo Dan cercò Valery e la trovò nella biblioteca dell’astronave, in una delle cabine di lettura dei nastri.

Sulla parete della cabina c’erano due video montati uno di fianco all’altro, e Val stava confrontando alcuni dei suoi spettrogrammi con le carte d’analisi spettrali conservate negli archivi della biblioteca.

Dan bussò alla porta di vetro, e Val si voltò, gli sorrise e gli fece segno di entrare.

Nella cabina c’era un’unica poltroncina, e per Dan restava appena lo spazio sufficiente a star in piedi. — È intimo, qua dentro — disse sorridendo.

— Non è un luogo di ritrovo, in effetti — disse Valery, facendosi un po’ in là sul sedile.

— Sei libera stasera? Mangiamo insieme?

Valery scosse la testa.

— A mezzogiorno allora?

— Dan — disse Valery tristemente. — Ho detto a te e a Larry la stessa cosa. Finché non la smettete di litigare, non voglio aver niente a che fare con nessuno dei due.

— Ma avevi detto…

— Ho detto tante cose. Ora dico no a tutt’e due… finché non la piantate di scannarvi.

— Ma Larry è…

— Non voglio sentire niente.

Dan si rabbuiò.

— Non fare quella faccia — disse Valery, sorridendo. — Non è il caso.

— No?

— No… Guarda, questi sono alcuni degli spettrogrammi che ho fatto. Sei il primo a vederli non li ho mostrati ancora a nessuno.

Dan si strinse nelle spalle. — Che emozione!

— Non fare il villano. Devi promettermi che non dirai niente a nessuno finché non farò la mia relazione al Consiglio, la settimana prossima. Non voglio che trapelino notizie di cui non sono ancora assolutamente certa.

— Terrò il segreto, sta’ tranquilla.

— Dunque… — Valery abbassò la voce a un bisbiglio. — Sembra che tutt’e due le stelle abbiano pianeti simili alla Terra.

— Cosa?

Val annuì, e riprese, alzando un poco la voce nell’eccitazione: — Epsilon Indi è la più vicina, perciò è più facile studiare i suoi pianeti. Non che abbia visto niente di più che un puntino luminoso; ma le misurazioni gravimetriche sono eccellenti, e i dati spettrali… — Si voltò verso i due schermi. — Guarda… questo è uno spettro del pianeta più interno di Epsilon Indi, quello che ha su per giù le dimensioni e la massa della Terra. L’ho raccolto ventiquattr’ore fa. E questo, sull’altro schermo, è uno spettro della Terra che ho raccolto con lo stesso telescopio qualche giorno fa. I due pianeti sono circa alla stessa distanza da noi: quattro anni luce.

Dan guardò. Ciascuno dei due schermi presentava una macchia di colore intersecata da centinaia di righe scure. Lo spettro della Terra era dominato dal giallo, quello del pianeta di Epsilon Indi dall’arancione.

— Il fondo continuo non ha importanza — disse Valery. — Guarda le righe dell’assorbimento… — Indicò prima una e poi l’altra immagine. — Ossigeno… qui, e anche qui. Azoto, in tutt’e due. Vapore acqueo… anidride carbonica — la mano esile andava continuamente avanti e indietro, — e tutto più o meno allo stesso grado di concentrazione. È fantastico!

— Vuoi dire che questo pianeta è praticamente uguale alla Terra?

— Da dove siamo noi, almeno, non si notano differenze.

— Ma… — Dan si sentiva rimescolare lo stomaco. — Ma il pianeta di Epsilon Indi è lontano da noi quanto la Terra e il sistema solare.

— Questo è vero.

— Non potremmo mai arrivarci.

Invece di rispondere, Valery premette un tasto sul pannello davanti al video. Una delle immagini svanì, e fu sostituita da un altro spettrogramma.

— Questo è lo spettro del Pianeta Giallo… è molto più intenso perché siamo vicini.

— E l’altro è sempre quello della Terra?

— Sì — disse Val. — Guarda le differenze della composizione atmosferica. Ossidi solforosi, masse di anidride carbonica e ossido di carbonio, e altre cose che non ho ancora identificato.

Persino all’occhio inesperto di Dan i due spettrogrammi apparivano decisamente molto diversi.

— Dopo quello che hai passato sul Pianeta Giallo — disse Valery, — penso che sarai anche tu dell’idea di riparare l’astronave e andare avanti.

Dan non disse niente, e si appoggiò alla parete acusticamente isolata della cabina. Era pallido con gli occhi pensosi.

— Grazie per avermi confidato le tue scoperte — disse sottovoce. — E… non preoccuparti, non ne farò parola con nessuno.

Poi aprì la porta e uscì dalla cabina.

Valery lo guardò allontanarsi lungo la corsia tra gli scaffali dei nastri magnetici. Ora ho detto a ciascuno dei due il contrario di quello che avrebbero voluto sentirsi dire, pensò. Quale dei due tenterà di chiudermi la bocca prima della riunione del Consiglio?


Passarono quattro giorni.

Larry era nella sala del Consiglio, seduto al suo posto a capo del tavolo. Ma delle altre sedie, molte erano vuote. C’erano solo Dan, Polanyi, Mort Campbell e Guido Lastella, tutti raggruppati vicino e Larry.

— Da quello che mi avete detto — concludeva Larry, guardando la mappa sullo schermo in fondo alla sala, — non abbiamo altra scelta che ridiscendere sul pianeta e tentare di riparare la raffineria.

— Polanyi incrociò le braccia sul ventre. — Sembra anche a me. Sia che ci fermiamo qui sia che proseguiamo, dobbiamo avere abbastanza deuterio per vivere sull’astronave ancora molti anni.

— E, ci si fermi o si vada avanti, l’astronave dev’essere revisionata completamente — disse Campbell. — Sta andando in pezzi, dobbiamo rattopparla.

Larry guardò Lastella. — La ricostruzione della raffineria richiederà molti viaggi avanti e indietro tra il pianeta e l’astronave.

L’astronauta inclinò leggermente la testa da un lato.

— È il mio mestiere, sono qui per questo.

— Sì, certo — disse Larry, serio. — Pensi che dovrai pilotare sempre tu la scialuppa, o potrai farti sostituire da qualcuno dei giovani che hai addestrato?

— Ce ne sono almeno tre o quattro bravi come me, — disse Lastella. — E si potrebbe utilizzare anche qualcuna delle scialuppe di riserva.

Larry annuì pensieroso.

— Io direi di tenerne una sempre ferma vicino al campo — propose Dan, — per servire in una situazione d’emergenza.

— Buona idea — disse Larry.

— L’unico vero pericolo del pianeta — mormorò Lastella — sono gli uragani.

Polanyi disse: — Sembrano legati all’attività vulcanica. Se rianimassimo i nostri geologi e meteorologi forse saremmo in grado di prevedere…

Larry lo interruppe. — Non possiamo rianimare tanta gente, a meno che non decidiamo di fermarci qui. E questa decisione la si prenderà solo quando si saprà con certezza che non ci sono altri pianeti possibili.

— Dovremo in ogni caso orbitare attorno a questo pianeta per molto tempo — obiettò Dan. — Anni, forse.

Gli altri annuirono.

— Io scendo col primo gruppo — continuò Dan. — Voglio accertare l’entità dei danni.

Larry obiettò: — Ma i medici…

— Sono il responsabile degli impianti — tagliò corto seccamente Dan, alzando la voce. — È il mio lavoro, devo scendere.

Larry frenò l’impulso di urlargli una rispostaccia. — Va bene — disse freddamente. — Allora non resta che stabilire quando si comincia.

— Al più presto — disse Dan.

— Il luogo dell’accampamento adesso è al buio — disse Lastella, sbirciando l’orologio. — Sarà giorno fra… otto ore.

— Cioè a mezzanotte, ora dell’astronave.

— Esatto.

Dan disse: — Raduniamo una squadra e alle prime luci scendiamo.

— Si può partire a mezzanotte — disse Lastella.

— Perfetto. Io, tu e l’attrezzatura indispensabile per poter riprendere il lavoro. Abbiamo bisogno di qualcun altro?

Larry si sentì ancora una volta tagliato fuori.

— Io vi consiglierei di farvi una dormita — disse. — Intanto io farò tirar fuori dal deposito le scialuppe di riserva.

— Benissimo.

Si alzarono tutti e si avviarono alla porta. Larry fu l’ultimo ad arrivarci, e vide che Dan si era fermato ad aspettarlo.

— A me non la fai — disse Dan.

Larry si accigliò. — Che intendi dire?

— Tu non hai la minima intenzione di fermarti qui. Lo sai benissimo. Tu farai revisionare e riparare l’astronave e poi tenterai di convincere tutti a ripartire.

Per dove?, fu sul punto di chiedere Larry. Ma non volle dare a Dan la soddisfazione, e disse invece: — T’è piaciuta tanto l’esperienza che hai fatto sul pianeta? Ti sembra un parco di divertimenti?

— È sempre meglio dell’astronave.

Larry sbuffò. — È come dire che la morte è meglio della vita.

— Ti sbagli! — scattò Dan. — Non capisci l’errore che fai? Dobbiamo fermarci qui. Andare avanti significherebbe morire tutti. È questo che vuoi?

— Ne abbiamo già discusso, Dan.

— E sei sempre della stessa idea?

— Questo pianeta è micidiale — disse Larry. — Per quanto possiamo modificare i nostri figli, o i nipoti, o i pronipoti… io non credo che saranno mai in grado di sopravvivere sul Pianeta Giallo. — Dan fece per replicare, ma Larry continuò: — L’universo è grande. Sarebbe assurdo e criminale fermarci su questo pianeta quando ce n’è sicuramente uno migliore.

— Vedremo — disse Dan, con la voce che tremava. — Vedremo. E presto.


Mezzanotte.

Sul ponte di comando niente distingueva un’ora dall’altra. Nei corridoi, nei tubi di collegamento, nel self-service, di notte, le luci venivano abbassate. Ma negli spazi di lavoro, come appunto il ponte di comando, era sempre tutto uguale, a mezzanotte come a mezzogiorno. Cambiavano solo le persone.

Larry era in piedi alle spalle di un operatore, e guardava i video che presentavano il pianeta e la scialuppa in posizione sulla piattaforma di lancio, vicino al mozzo.

Ora il luogo dell’accampamento era illuminato, e dove c’erano state tende e impianti, si vedeva una grande macchia scura.

Larry trasferì lo sguardo sul video che presentava la scialuppa pronta per il lancio, e vide i due uomini in tuta pressurizzata seduti fianco a fianco nella cabina di pilotaggio. La voce di Lastella scandiva le frasi del conto alla rovescia:

— Serbatoi aperti.

— …nove, otto, sette…

— Razzi pronti per l’accensione.

— …cinque, quattro…

— Sistemi di rilevazione telemetrica e radar attivati — disse un operatore.

— …due, uno, zero.

La catapulta elettrica scagliò la scialuppa fuori dal portello aperto della camera di compensazione. E sul video Larry la vide farsi sempre più piccola, finché non diventò un puntino in più fra le innumerevoli stelle.

— Accensione razzi — disse la voce di Lastella.

Il puntino s’illuminò per un attimo di un bagliore vivo. Poi sparì anche quello.

— Volo seguito al telescopio d’osservazione — disse un operatore.

Larry si voltò verso il suo video, e vide la scialuppa, simile a una meteora luminosa che striava di rosso il vasto paesaggio dorato del pianeta.

— Rilevazioni telemetriche e ricezione della voce ottime.

Larry mise una mano sulla spalla dell’operatrice e disse: — Vado nel mio alloggio a dormire un po’. Chiamami quando atterrano.

E lasciandosi alle spalle la luce viva e il trambusto del ponte di comando, uscì nella penombra notturna dei corridoi. Entrò nel suo scomparto buio, e si buttò immediatamente sulla cuccetta.

Quando suonò il videofono, premette il pulsante SOLO VOCE.

— Sì?

— Hanno atterrato. Lastella riferisce che è andato tutto bene. Ora scenderanno sulla superficie e cominceranno a guardarsi attorno.

— Grazie.

Larry rimase a lungo seduto sulla cuccetta, immobile. Poi parlò di nuovo al videofono: — Valery Loring, per favore.

Una pausa. Sicuramente dorme già, la sveglio.

Sul video apparve la faccia della signora Loring. — Larry, sei tu? Non ti vedo. Sei al buio?

— Scusatemi se vi ho svegliato. Val non c’è?

— Non dormivo. Soffro d’insonnia da… — La voce si ruppe. Poi: — Val è all’osservatorio. Ha preso a lavorarci a ore strane, negli ultimi tempi.

— Grazie. La chiamerò là.

Ma sapeva che non avrebbe telefonato. Doveva andare all’osservatorio e vederla faccia a faccia.


Altre due notti, si disse Valery. Altre due notti, e la mattina del terzo giorno il Consiglio si sarebbe riunito.

Era una settimana ormai che passava la notte all’osservatorio, seduta alla scrivania di suo padre. Le miriadi di stelle spruzzate nel buio di fuori accentuavano il senso di freddo e di solitudine che si provava a stare lassù. La loro luce era senza calore. La grande massa del Pianeta Giallo non si vedeva, era dall’altra parte dell’astronave.

La sagoma mastodontica del telescopio si stagliava contro le stelle, e gli altri strumenti, più piccoli, facevano un guazzabuglio d’ombre. Nero su nero. Buio e più buio. Impercettibilmente attenuato dalle luci del terminale dell’elaboratore e dei videoschermi.

In tutte quelle notti, Val si era sempre sforzata di stare sveglia, naturalmente, e aveva anche fatto molto lavoro. Ma nei lunghi intervalli in cui erano gli strumenti a lavorare e per lei c’era poco o niente da fare, spesso, troppo spesso, era scivolata nel sonno, cullata dal silenzio e dall’assenza di peso.

Clic!

Valery si tese.

Si udì il rumore di un portello che si apriva. Val sforzò gli occhi ma non riuscì a vedere niente. C’erano diversi portelli che davano nell’osservatorio, ma anche quando se ne apriva uno, la luce dei tubi al di là era troppo debole per notare la differenza.

Passi ovattati. Piedi in pantofole che attraversavano silenziosamente il pavimento dell’osservatorio.

— Chi è? — chiese Val. Nessuna risposta.

Dan è sceso sul pianeta con la scialuppa.

— Larry, sei tu, vero?

La snella figura di Larry si delineò nell’ombra, a non più di cinque metri da Val. — Sì, sono io.

— Oh… mi hai spaventato… un po’.

— Scusa, non volevo.

Adesso era vicinissimo e Val vide che aveva la faccia molto stanca.

— Perché… come mai sei venuto a trovarmi?

Per un attimo lui la guardò fisso, senza rispondere. — Avevo bisogno di parlare con qualcuno — disse alla fine. — Mi sono sentito terribilmente solo in questi giorni. Senza amici, senza nessuno.

— Io ti sono sempre amica, Larry.

— È difficile considerarti un’amica, Val. Dopo quello che è successo… no, non potremo mai essere amici.

— Non capisco.

Larry parve affranto. — Non capisci? Quando riferirai al Consiglio che non hai trovato un pianeta simile alla Terra voteranno per fermarci qui. Eleggeranno presidente Dan, e i genetisti si metteranno al lavoro per adattare la prossima generazione a quel mondo micidiale laggiù. I tuoi figli, Val! Tuoi e di Dan. Saranno mostri grossi come gorilla, capaci di respirare zolfo.

Val dovette fare uno sforzo per mantenere ferma la voce. — Ma che altro possiamo fare?

— Dobbiamo andare avanti. Dobbiamo trovarlo il pianeta simile alla Terra. In questo grande universo…

— Non è detto che ci sia — disse Valery. — Forse la Terra è unica. Perché dovrebbe esserci un altro pianeta uguale?

Larry non rispose. Buttò indietro la testa e guardò le stelle che si affollavano tutto intorno.

— Capisco perché ti piace star qui — disse. — C’è una gran pace. È come esser soli in mezzo all’universo… fluttuare leggeri fra le stelle. Non sarebbe neanche un brutto modo di morire, cadere nel vuoto qui fuori. Senza peso, senza più preoccupazioni, liberi nello spazio sterminato.

— Che… cosa intendi dire?

Larry si scosse e fissò lo sguardo su di lei, e davanti a quegli occhi azzurro ghiaccio, Valery rabbrividì.

— Hai convinto il dottor Hsai a far rianimare il gruppo di psichiatri — disse Larry in tono inespressivo.

— Be’… ne abbiamo parlato, sì…

— Perché? Io gli avevo detto che non era necessario. Perché l’hai spinto ad agire contro la mia volontà?

— Non l’ho spinto — disse Valery, quasi gridando. — Ha deciso lui.

— Ma dopo aver parlato con te. — Larry, coi piedi che toccavano appena il pavimento, la sovrastava, profilandosi minaccioso nell’ombra.

Valery si alzò dalla sedia e lo urtò, facendolo rimbalzare via leggermente.

— Larry… tu e Dan siete tutti e due convinti che c’è un pazzo, un assassino, che circola liberamente su quest’astronave. Tu pensi che sia Dan, e Dan pensa che sia tu.

— E allora?

Con misurata lentezza, Valery scivolò lungo la scrivania, e vi si sedette, aggrappandosi all’orlo con tutt’e due le mani.

— E allora non è bene che ci sia uno psichiatra che lo esamini? E… che esamini anche te?

— Me? E perché mai? Non sono io l’assassino!

Improvvisamente Val non seppe più come dire quello che sapeva di dover dire. Ma si buttò lo stesso a capofitto.

— Larry… hai mai pensato che Dan potrebbe sì essere un assassino, ma senza saperlo?

— Come sarebbe a dire?

— Che magari commette atti violenti, ma non ne è consapevole. E poi non ha ancora ucciso nessuno, in fin dei conti.

— Ha tentato di uccidere tuo padre. E può darsi davvero che l’incendio nello spazio crionico non sia scoppiato per caso.

— D’accordo, ammettiamo che gli incidenti li abbia provocati lui — disse Valery, aprendo piano piano con la destra il primo cassetto della scrivania. — Ma forse non lo sa. Forse è solo un malato.

— Questo non vuol dire che non sia pericoloso.

— Certo — convenne Val. — Ma… credi anche tu che potrebbe non rendersi conto di quello che fa?

Con una faccia un po’ perplessa, Larry disse: — Be’… sì, immagino che sia possibile.

Val trattenne il fiato un momento, poi sbottò: — Vedi allora che potresti essere tu il colpevole di tutto? Tu il malato che non sa quello che fa?

Larry sbarrò gli occhi e indietreggiò come se avesse ricevuto un pugno nello stomaco.

— Questo è impossibile… — disse. — Ti sbagli. È un’idea pazzesca… non sono io…

La mano di Valery si chiuse sul metallo duro e freddo che aveva trovato frugando.

— Perché sei venuto qui stasera? Perché sei venuto qui la notte che mio padre ha rischiato di morire?

— È un’idea pazzesca! — ripeté Larry urlando, e andò verso Val.

Val estrasse dal cassetto la pistola sonica e sparò a bruciapelo. Lo schiocco fu impercettibile, ma Larry s’irrigidì tutto, con le braccia congelate a pochi centimetri da lei, gli occhi diventati di colpo vitrei. Non cadde, perché nella gravità zero non poteva cadere. Rimase sospeso, privo di sensi.

Val scoprì che le mani le tremavano violentemente, e che singhiozzava.

— Brava. Hai collaborato splendidamente.

Sorridendo, Dan Christopher sbucò dalle ombre dietro la scrivania.

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