V

La riunione finì.

Molto più in fretta di quando erano entrati, i consiglieri uscirono dalla sala, tutti tranne Dan. Larry li guardò andarsene, finché lui e Dan non rimasero soli, seduti uno di fronte all’altro ai due capi del tavolo, a fissarsi.

Lo conosco da sempre, pensò Larry, e di colpo m’è diventato estraneo.

Si alzò dalla sedia e si costrinse ad andare fino in fondo al tavolo, dov’era seduto Dan.

— Ti sei proprio rimesso in salute — disse, sforzandosi di sorridere. Si sedette sull’orlo del tavolo, vicino alla sedia di Dan. — Ci hai dato dentro forte.

Dan, abbandonato contro lo schienale della sedia, alzò gli occhi a guardarlo. — Perché ti sei fatto eleggere presidente? Eravamo d’accordo che sarebbe toccato a me quest’anno.

— Lo so — disse Larry, sentendosi un verme. — Ma tu… insomma, tu eri all’infermeria e nessuno sapeva quando saresti uscito. I medici dicevano che fisicamente eri a posto, ma i nervi…

— E così ti sei fatto avanti tu.

— Sì.

— E ora che sei presidente, puoi anche sposare Valery. Non è così?

Dio, mi legge dentro!

— Non dirmi che non ci hai pensato — incalzò Dan.

Cercando di controllare la voce. Larry rispose: — Insomma, lo sai anche tu che siamo tutti e due innamorati di Val da quando eravamo bambini…

— D’accordo, siamo stati allevati tutti e tre dai Loring. Ma sono finiti i tempi in cui si giocava a fratello e sorella. La sposi o no?

— Be’… dipende da lei — disse Larry.

— Doveva sposare me!

— Secondo la selezione dell’elaboratore. Ma non è del tutto irrevocabile.

Dan lo guardò con odio, ma si limitò a dire: — Lascerai che sia lei a decidere tra noi due?

— Certo.

— Benissimo.

Larry tirò un sospiro di sollievo.

Ma Dan riprese: — Hai nominato una commissione d’inchiesta per indagare sull’incendio?

— Una commissione… ma no, basta il rapporto del gruppo Controllo Avarie di Mort Campbell. A cosa servirebbe una commissione d’inchiesta?

Drizzandosi sulla sedia, Dan disse: — Si deve scoprire la causa dell’incendio. Sono morte cinquanta persone, bisognerà pur sapere perché. Qualcuno è responsabile. Gli incidenti non succedono senza causa.

Sconcertato, Larry disse: — Ma lo sappiamo, il perché. I circuiti erano sovraccarichi, il materiale isolante logorato…

Dan picchiò una manata sul tavolo. — Voglio un’indagine a fondo! Con una regolare commissione d’inchiesta. E voglio dirigerla io, la commissione. Se non la nomini tu, tirerò in ballo la questione alla prossima seduta del Consiglio.

— Ma sarebbe come dare uno schiaffo a Mort Campbell. È compito suo…

— Non me ne importa un accidente di Campbell! — urlò Dan. — La nomini questa commissione, o la faccio nominare dal Consiglio?

Larry si sentì avvilito. Un’altra manovra per imporsi al Consiglio. — D’accordo — disse lentamente. — Nominerò la commissione, e la dirigerai tu. Ma non scoprirai niente che non si sappia già.

— Può darsi. — Dan si alzò dalla sedia, e senza aggiungere una parola né guardarsi indietro, si avviò a lunghi passi verso la porta e uscì.

Per qualche minuto, Larry rimase seduto dov’era, solo nella sala del Consiglio. Poi tornò alla sua poltrona e compose un numero telefonico sui tasti del pannello sul tavolo.

— Infermeria — disse una bella ragazza. Sullo schermo a parete, la sua faccia era ingigantita.

— Lo psicotecnico capo, per favore.

— Il dottor Hsai? Credo che sia occupato, in questo momento.

— Ditegli che ho bisogno urgente di parlargli, qualunque cosa stia facendo. Sono il presidente.

— Oh… sì, signore. Subito.

L’infermiera sparì, e Larry si permise un sorriso. I privilegi del rango. Poi sullo schermo apparve la faccia minuta di un orientale sui trent’anni.

— Avete bisogno di me, signor Belsen?

— Scusatemi se vi disturbo ma è importante. Dan Christopher mi preoccupa… Si comporta… insomma, in modo strano.

Hsai fece una faccia comprensiva. — È naturale. Ha risentito profondamente della perdita di suo padre.

— Troppo profondamente, forse?

Il dottor Hsai sorrise. — Vi risponderò parafrasando un venerabile adagio: quando il profondo è troppo profondo?

Larry esitò un momento, poi si decise. — Ne ha risentito tanto da perdere l’equilibrio?

— Ahhh… ho capito. Vi sembra un po’ squilibrato?

— Si comporta in modo strano, dottore. Lancia accuse, vuole fare indagini sull’incendio in cui è morto suo padre, ne parla come se fosse stato provocato da qualcuno, deliberatamente.

— Davvero?

— Sì.

Il dottor Hsai rimase un momento pensieroso. — Dovevo in ogni caso fargli una visita di controllo tra qualche giorno. L’anticiperò, e la farò più accurata.

— M’informerete dell’esito, dottore?

— Veramente il rapporto del medico col paziente…

— Lo so, lo so. Ma Dan può avere molta influenza all’interno del Consiglio, ed è importante che io sappia se si può contare o meno sul suo discernimento.

— Certo. Be’, vedrò di comunicarvi la mia impressione senza violare le norme dell’etica professionale.

— Mi fareste un grande favore.

— Bene, presidente. Lo visiterò domani.

— Grazie, dottore.


L’ufficio di Larry, come capo del Centro di Comando e Vigilanza, era in realtà una celletta incastrata tra il ponte di comando e il centro di calcolo. Grande appena abbastanza per uno scrittoio e un videoschermo a parete, era il luogo adatto a uno che odiasse la folla e gli spazi aperti… o a uno che preferisse passare il tempo in giro per l’astronave piuttosto che a tavolino.

Larry entrò, si sedette allo scrittoio, e di colpo si sentì stanchissimo. Si passò una mano sulla fronte.

Un colpetto alla porta.

— Avanti.

Era il dottor Loring. — Ti disturbo?

— No, assolutamente — disse Larry. — Sedetevi. — E indicò l’unica sedia oltre alla sua.

Con la sua mole, Loring parve far gonfiare le pareti all’infuori. Allargò ben bene la plastica della sedia, poi vi si lasciò cadere dentro, e Larry trasalì, aspettandosi che le gambe metalliche cedessero.

— Sono venuto a congratularmi. Hai condotto bene la riunione, nonostante… le interferenze.

Larry annuì soprappensiero. — Il fatto è — disse — che prima di oggi non mi ero mai reso conto fino in fondo che il pianeta verso cui viaggiamo da cinquant’anni potrebbe essere davvero inabitabile per noi.

— Sì. Sarebbe deludente.

— Deludente? — Larry fece ruotare la sedia mettendosi faccia a faccia con Loring. — Sarebbe una catastrofe. Significherebbe un ripensamento di tutto lo scopo del viaggio. Vogliamo davvero fermarci su un mondo diverso dalla Terra, e trasformare i nostri figli in… qualcosa di diverso da noi?

— Francamente, non vedo alternative — disse Loring. — Non sappiamo se esistano pianeti migliori.

— E allora guardiamoci in giro, cerchiamone uno — ribatté Larry in tono risoluto. — Non mi va di essere messo con le spalle al muro. Voglio avere la possibilità di scegliere se fermarci ad Alpha Centauri o no.

Loring parve un po’ sorpreso. — Parli sul serio? Prenderesti davvero in considerazione l’idea di andare avanti?

Larry annuì.

— Ma… qui sull’astronave pensano tutti che il viaggio sia quasi alla fine.

— Lo so — disse Larry. — Invece forse è solo all’inizio.

Il dottor Loring scosse la testa, facendo tremolare le guance cascanti. — Sarà un rospo duro da ingoiare. La gente non è psicologicamente preparata ad andare avanti. E L’astronave non è in condizioni…

— L’astronave può essere revisionata, riparata. E la gente… è scontato che la decisione finale la prenderemo tutti insieme. Ma voglio che le alternative siano chiare. O almeno che l’alternativa ad Alpha Centauri ci sia.

— Non abbiamo gli strumenti per studiare pianeti di altre stelle dall’astronave. Siamo appena in grado di farci un’idea del pianeta maggiore di Centauri.

— E allora fabbricateli, gli strumenti — disse Larry. — Le nozioni per farlo non vi mancano, dottor Loring.

— Entro due mesi? Mi pare…

— Meno di due mesi — disse Larry, con la voce dura e fredda. — Dobbiamo disporre di dati prima di essere costretti a entrare in orbita attorno al pianeta maggiore.

Per una volta, il dottor Loring rimase senza parole. Se ne stette lì a bocca aperta, sbattendo gli occhi umidi.

— Avrete tutto l’aiuto necessario — disse Larry. — A questo penserò io. Ma voglio la prova che esiste un pianeta simile alla Terra. Deve esserci, da qualche parte.

— Perché? Perché tu vuoi che ci sia?

Larry strinse i denti, e sforzandosi di stare calmo, rispose: — No… non è soltanto questo. È che non voglio vedere i miei figli alterati per poter vivere su un mondo inumano. I figli di Val. I vostri nipoti.

Un lungo silenzio. Poi Loring disse: — Lo sai che si è fatto vivo con lei?

— Dan?

— Sì. Le ha chiesto di cenare con lui stasera.

— E lei ha accettato?

— Sì. Pensò che gli dirà che ha deciso di sposare te.

Scuotendo la testa, Larry disse: — Non credo che glielo dirà. Dan sta passando un brutto periodo, e non credo che Val voglia dargli anche questo colpo.

— Ma deve farlo! — La faccia del dottor Loring s’infiammò. — Altrimenti… mica può lasciargli credere…

— Lo so — disse Larry. — Avete ragione. Ma ho paura che Dan sia sull’orlo del collasso nervoso. È come uno che è uscito fuori e s’è legato alla ruota del livello 1. Gira, gira… e più gira, più perde la ragione.


Era stato un pranzo silenzioso e teso. Valery e Dan avevano mangiato al self-service dell’astronave, in uno dei piccoli scomparti in penombra, lontano dalla schiera di tavolini centrali dove c’era folla e chiasso.

Avevano parlato pochissimo. Valery, con una tuta rosso acceso, era bella ma molto seria. Dan, in tuta nera, era cupo e taciturno.

Ora percorrevano un corridoio silenzioso, tornando verso l’alloggio di Dan, un comparto singolo che era uguale in tutto, compreso un disegno di Val sulla parete, a quello di Larry.

— Hai deciso per Larry, vero? — chiese bruscamente Dan.

Valery si fermò nel mezzo del corridoio deserto. — Sì, credo di aver deciso per lui. Gli ho detto di sì.

Dan le prese un braccio e continuò a camminare, a passo spedito, tirandosela dietro. Poi senza guardarla, le chiese: — Lo ami?

— Vi amo tutt’e due. Lo sai.

— Però vuoi sposare lui.

— Lui… me l’ha chiesto.

— E tu vuoi che i tuoi figli siano i figli del presidente.

— Questo non c’entra!

— E se il presidente fossi io?

Valery scosse la testa. — Non lo sei.

— Potrei diventarlo.

— No… è una possibilità che non avrai più. Larry è stato eletto e sarà rieletto.

Sempre guardando diritto davanti a sé, Dan disse: — E se il Consiglio votasse la sua destituzione? Prima che sia scaduto l’anno di mandato?

— Cosa? — Valery si fermò di nuovo e liberò il braccio con uno strattone. — Cosa stai dicendo, Dan?

Stringendosi nelle spalle, Dan rispose: — Non sarebbe la prima volta che un presidente in carica viene destituito. Basta che il Consiglio decida che è inadatto al compito. O che c’è un uomo migliore di lui da mettere al suo posto.

— Togliti quest’idea dalla testa — disse Valery, seria. — Faresti del male a Larry e ancora di più a te stesso.

— Io merito di fare il presidente — ribatté Dan. — Ma soprattutto, molto di più di questo, voglio te. Io ti amo, Val. Da sempre. Spaccherei in due quest’astronave per averti, se fosse necessario.

— Oh, Dan… no… per favore…

Dan la prese fra le braccia e la strinse. — Tu non sposerai né Larry né nessun altro. Sposerai me. Credi di aver deciso, ma aspetta. Ti assicuro che non più tardi di quando entreremo in orbita attorno al pianeta, vedrai tutto diversamente.

Qualcosa nella testa di Val le diceva di strapparsi da quella stretta, e qualcosa di più impellente la faceva star ferma dov’era. Alzò gli occhi, incontrò lo sguardo intenso paurosamente serio di Dan, e disse: — Dan… non farmi mettere zizzania tra te e Larry. Siete amici da… — S’interruppe sentendo lei stessa che quelle parole erano pateticamente forzate.

— Forse Larry ha assassinato mio padre.

— Cosa? — Nello sbalordimento, Valery si sottrasse alla stretta.

— Non credo che l’incendio sia scoppiato per caso. Sono convinto che l’ha provocato qualcuno. E Larry ne ha tratto molti vantaggi.

— Dan, ma tu sei matto! C’era anche suo padre nell’incendio…

— Se te lo dimostrassi? — urlò quasi Dan. — Ti andrebbe allora di sposare un assassino?

— Smettila, Dan!

— Rispondi. Ti andrebbe?

Valery gli voltò le spalle e scappò via.

— Val… Aspetta… — Dan la rincorse e l’afferrò per un braccio.

— Me ne vado a casa! — Valery liberò il braccio. — E se hai un minimo di decenza, non dire mai più una cosa simile!

E lo lasciò lì, piantato in mezzo al corridoio con un’aria improvvisamente desolata e indifesa… ma anche, se ne accorse voltandosi a guardarlo, cupamente risoluta, dura, ostinata. Rabbrividì. Larry, un assassino? Era un assassino? Era follia pura. Ma… allora Dan era pazzo! Quale delle due cose?

E con un ultimo accesso d’orrore, Valery concluse: Che sia vera l’una o l’altra cosa, io ne sono in parte responsabile!


Dan rimase lì, a guardare Val scappar via, consapevole di essere lui ad allontanarla.

Forse sono davvero matto, si disse. Com’è possibile che Larry… non è possibile. Non Larry.

Ma un’altra parte della sua mente ronzava con inesorabile logica: qualcuno ha provocato l’incendio. Qualcuno ha ucciso cinquanta persone e ti ha scavalcato facendosi eleggere presidente al tuo posto. Qualcuno vuol cambiare tutto, fare andare le cose a modo suo.

Nauseato, confuso, furibondo più che altro con se stesso, si avviò al suo alloggio.

Solo dopo che si fu buttato sulla cuccetta notò, sul video-schermo, la scritta MESSAGGIO IN ATTESA a sfavillanti lettere gialle. Si girò, e premette un pulsante giallo sul pannello di comando. Sullo schermo apparve la faccia di un giovane. Dan non lo conosceva, ma sapeva di averlo già visto, e si sforzò di ricordare dove.

— Sono Ross Cranston, della sezione elaboratori. Ho un messaggio riservato per Dan Christopher. Sarò nel mio alloggio fino al primo turno di domani mattina.

La comunicazione registrata sparì dallo schermo, e Dan, perplesso, pigiò il pulsante verde e disse: — Vorrei parlare con Ross Cranston.

I circuiti telefonici risposero con un lieve ronzìo. Poi sullo schermo apparve la stessa faccia di prima.

Ross Cranston parve un po’ sorpreso. — Oh… voi siete Dan Christopher, vero?

— Sì — disse Dan. — Volevate parlarmi?

— Sì, ma non al telefono — disse Cranston. — Se volete, vengo io da voi… o potete venire voi da me.

— Di che si tratta? — disse Dan.

Un po’ nervoso, Cranston rispose: — Preferirei… credo che sia meglio parlarne in privato.

— Ma di che cosa?

— Riguarda vostro padre.

Dan fu immediatamente tutto teso. — Vengo da voi. A che numero state?

Dieci minuti dopo, Dan bussò alla porta di Cranston. L’educazione imponeva colpetti leggeri, con le unghie, perché i comparti erano tutti tanto piccoli che bastava niente per farsi sentire, mentre un rumore forte avrebbe dato noia alla gente negli alloggi vicini. Ma Dan, a secondare i suoi impulsi, avrebbe picchiato pugni su quella porta.

Cranston gli aprì. Era molto più basso di Dan, coi capelli biondicci, lunghi, e una faccia un po’ troppo tonda per un giovane ma non ancora veramente grassa. Ed era timido, nervoso, con gli occhi irrequieti che guizzavano da tutte le parti.

— Allora, di che si tratta? — disse Dan, entrando. Il comparto era uguale a tutti gli altri, se non che Cranston aveva coperto le pareti di grafici e disegni strani, che erano poi moduli d’uscita dell’unità stampante dell’elaboratore.

Cranston indicò a Dan una sedia, poi prese dalla cuccetta un grosso cuscino, lo buttò per terra e si sedette a gambe incrociate.

— Io sono della sezione elaboratori — esordì.

— Questo me l’avete già detto al telefono — ribatté Dan.

— Sì. Ecco, stamattina facevamo dei controlli statistici di routine, introducendo nell’elaboratore i nomi delle cinquanta vittime dell’incendio per aggiornare la banca dei dati.

Dan aveva lo stomaco che si torceva. — E allora?

— Be’… quando siamo arrivati al nome di vostro padre, dev’essere scattato un sottoprogramma speciale, perché è stato emesso un messaggio.

— Un messaggio?

Cranston annuì. — È un po’ strano… non sono ben sicuro di che cosa significhi. Ma ho pensato che dovevate esserne informato.

— Che cosa diceva, questo messaggio? — Ogni nervo del corpo di Dan era in tensione.

Cranston allungò pigramente una mano e prese un foglietto dallo scrittoio. — Eccolo, ne ho fatto fare una copia.

Dan gli strappò di mano il sottile pezzo di carta. Lo guardò, scosse la testa, tornò a guardarlo.


PRTY SBRTN 7

PRM MMRY 2337-99-1


— È incomprensibile.

— No. È solo un sistema di abbreviazioni che i programmatori usavano al tempo in cui è cominciato il viaggio. Questo lo so per certo.

— Cosa vuol dire, allora?

— Se non sbaglio, e credo di non sbagliare, vuol dire che c’è un sottoprogramma di priorità sette, in una delle memorie principali, quelle che risalgono al principio del viaggio.

— I numeri cosa significano?

— Sono una forma d’indirizzamento, servono per rintracciare il sottoprogramma nella memoria relativa.

Improvvisamente Dan esplose. — Sottoprogramma, indirizzamento, memorie principali… di che diavolo state parlando? Spiegatevi!

Cranston si ritrasse spaventato. — D’accordo… calma, è abbastanza semplice. Pare che qualcuno abbia inserito un messaggio di priorità speciale che evidentemente doveva essere letto solo nel caso che vostro padre morisse, perché l’elaboratore non ce ne ha segnalato la presenza finché non l’abbiamo informato, appunto, della morte di vostro padre.

— Un messaggio di mio padre? — Dan era stravolto. — Che sospettasse… che sapesse? — Cranston lo guardava allibito. Dan l’afferrò per il davanti della tuta. — Trovate quel messaggio, subito! E senza farne parola con nessuno, capito?

— Va… va bene… come volete.

— Quanto tempo vi ci vorrà?

Divincolandosi, Cranston disse: — Non so… è difficile dirlo. Un giorno o due… anche di più se devo tenere il segreto con tutti.

— Fate più presto che potete — insistette Dan. — E non parlatene con nessuno, dico nessuno! Capito?

— Sì… certo…

— Benissimo. — Dan si alzò e uscì a lunghi passi dal comparto, lasciando Cranston accovacciato sul pavimento, con un’espressione tra sorpresa e spaventata, a lisciarsi il davanti della tuta.

Un messaggio di mio padre, si ripeté. È chiaro che sapeva quello che gli sarebbe successo!

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