XVI

Era una sensazione strana, fantastica.

Larry era già stato altre volte fuori dell’astronave, ma mai da quando erano entrati in orbita attorno al pianeta. E gli sembrava che la gran massa curva sospesa su di lui fosse insieme ammiccante e minacciosa, pronta a cascargli addosso.

Scosse la testa dentro il casco. — Non è il momento di fare i turisti — disse.

La squadra che era uscita fuori nello spazio alla ricerca di Dan era composta da un dozzina di uomini. Dodici uomini per scoprire le migliaia di posti dove poteva essere nascosto.

Questi uomini agivano secondo un piano. Erano usciti da una camera di compensazione al livello 1, e si erano sparpagliati lungo la circonferenza della ruota. Il piano era che ciascuno avrebbe dovuto esplorare la zona tra due tubi di collegamento. Se nessuno dei dodici avesse trovato Dan, tutti, contemporaneamente, sarebbero saliti lungo i tubi al livello 2, avrebbero esplorato quello, e poi sarebbero passati al successivo. E così via, fino al mozzo.

Ci vorrebbero cento uomini, pensò Larry. Ma solo dodici si erano offerti volontari. La maggior parte degli abitanti dell’astronave non era mai stata fuori nello spazio.

Larry vide l’uomo più vicino a lui sparire oltre la curva della ruota, e rimase solo, ritto sull’involucro metallico con gli stivali a presa magnetica, a guardare il tubo di compensazione che arrivava fino alle cupole di vetroplastica del mozzo.

Le stelle formavano uno sfondo di milioni d’occhi fissi su di lui. Alle sue spalle, Larry sentiva, più che vederla, l’imponente presenza del pianeta.

La voce di Campbell crepitò nella cuffia. — Tutti pronti?

A uno a uno, gli altri undici risposero dando il numero che era stato frettolosamente dipinto a spruzzo sulla tuta.

— Benissimo, ciascuno si muova verso sinistra. Tenete le pistole pronte.

Larry sfiorò il laser, trasformato da arnese in arma, agganciato alla cintura. Le pistole soniche non funzionavano nel vuoto. Se fosse stato necessario sparare, qualcuno sarebbe morto.

Cominciò a camminare a spirale attorno alla gigantesca ruota, con gli stivali magnetici che lo facevano aderire al metallo. Girò infinite volte, spostandosi via via da un tubo all’altro. Non c’erano praticamente nascondigli: la parete esterna del livello 1 era quasi perfettamente liscia, interrotta soltanto da qualche oblò.

Larry evitò con cura di metter piede sugli oblò, che erano fatti di vetroplastica e non fornivano presa agli stivali magnetici. Non aveva nessuna voglia di navigare nello spazio, anche se era provvisto di getti di guida alla cintura. Molto meglio non perdere il contatto con l’astronave.

Quando alla fine arrivò al tubo di collegamento successivo, si accorse che sudava, ansimava, ma era contento. Nessuna traccia di Dan. E questo gli faceva piacere.

Almeno non abbiamo dovuto affrontarci a colpi di laser.

— Per il momento — si sentì mormorare.

A uno a uno, gli altri fecero rapporto. Nessuno aveva trovato Dan.

— Bene — disse Campbell. — Ora ciascuno salga per il tubo a cui si trova. Al livello due fermatevi e riferite.

Ci stavano impiegando troppo tempo, pensò Larry. Era passata più di un’ora da quando erano usciti. E ce ne sarebbe voluta un’altra, e anche più per esplorare il livello 2. Era troppo. Avrebbero dovuto rientrare senza ispezionare il terzo anello. Se Dan non saltava fuori subito, la ricerca doveva essere interrotta. A meno di non trovare qualcun altro disposto a dare un mano.

Larry aveva sempre caldo dentro la tuta. C’era un radiatore in fondo allo zaino di condizionamento, ma non assorbiva mai abbastanza il calore del suo corpo. Arrivato a metà del tubo, si accorse che grondava sudore.

Girava, girava. Il basso diventava l’alto, e poi di nuovo il basso. Marciava instancabile sul guscio metallico del tubo, e vedeva le stelle e il pianeta oscillare. Usa gli occhi per cercare Dan!, si ricordò. Ma dove? Poteva essere accovacciato dietro quell’antenna: e subito Larry controllò. No. Poteva essere librato a un centinaio di metri dall’astronave, e allora sarebbe stato praticamente invisibile contro lo sfondo delle stelle. Non lo vedremo mai… a meno di essere tanto fortunati da guardare nel posto giusto al momento giusto.

E poi Larry cominciò a provare la strana sensazione di avere Dan alle spalle che seguiva i suoi passi, in punta di piedi, come fanno a volte i bambini quando vogliono sorprendere qualcuno.

Era assurdo, irragionevole. Ma la sensazione durava, diventava più forte. Rabbrividì.

Si girò di scatto. Fu un movimento goffo, e gli stivali persero il contatto con l’astronave. Nessuno! E allora Larry si accorse che fluttuava nel vuoto. Diede un colpo secco all’unità di comando sulla cintura e i microgetti, sbuffando brevemente, lo rimandarono a sbattere contro la superficie del tubo. Gli si piegarono le gambe un momento, ma riuscì a stare in piedi.

Stai diventando impressionabile, si disse rabbiosamente.

Diede un’occhiata all’indicatore di livello dell’ossigeno che aveva al polso. Era ancora nel verde, ma cominciava a vedersi una scheggia di giallo. Quando dal giallo fosse passato al rosso sarebbe stata ora di rientrare o cambiare la bombola.

La cuffia ronzò. — Presidente?

— Sì.

— Un momento, prego.

Poi la voce di Valery disse: — Larry? Sembra che il dottor Hsai abbia trovato qualcosa.

— Cosa?

— Aspetta… te lo passo.

Larry continuò a marciare, continuò a guardarsi attorno.

— Salve, presidente — disse lo psicotecnico, formale.

— Salve, dottore — rispose meccanicamente Larry.

— Ho rivisto le mie note su Dan Christopher.

— E allora?

— Credo di avere trovato qualcosa di significativo.

Larry friggeva. — Ho capito. Di che si tratta?

Ma era inutile far fretta al dottor Hsai. — Vi ricordate quando. Dan Christopher è stato affidato per la prima volta alle mie cure? Subito dopo la morte del padre?

— Sì, continuate.

— È stato trattenuto in infermeria alcuni giorni e poi è stato dimesso. Successivamente, io ho tentato di mantenermi in contatto con lui, di seguire il caso.

— Lo so, l’avete tenuto in osservazione un mese — disse Larry. E non avete capito niente, aggiunse mentalmente.

— Sì. Ma prima… subito dopo che era stato dimesso dall’infermeria per la prima volta, io gli ho chiesto ripetutamente di presentarsi per una visita di controllo. E lui si è sempre rifiutato.

— E allora?

La voce del dottor Hsai si mantenne calma, con appena un’ombra d’eccitazione. — A un certo punto, mi ha detto chiaro e tondo di lasciarlo in pace, che disturbavo il suo lavoro.

— Ah sì?

— Ho qui la registrazione delle sue parole precise… ascoltate…

Larry si fermò, restando appeso immobile al guscio del tubo. Il vasto movimento rotatorio dell’astronave lo volgeva maestosamente intorno, come un solitario passeggero di un’antica giostra. Poi udì la voce di Dan, e per un attimo, finché non ricordò che era una registrazione, si spaventò:

I reattori alimentano i motori principali secondo un programma stabilito con estrema cura — diceva Dan, in tono alterato. — L’astronave non è in grado di reggere più di un certo carico di propulsione, modesto, non è fatta per una propulsione elevata, si spaccherebbe in due…

Questo lo sanno tutti. — Era la voce di Hsai.

E Dan rispose: — Ah, sì. Siamo in una fase molto delicata del volo. Un piccolo errore di calcolo, un impercettibile guasto ai reattori, e crepiamo tutti.

Clic.

— Avete capito quello che in realtà voleva dirmi? — chiese il dottor Hsai.

— Francamente, no — rispose Larry sconcertato. — Quello che ha detto è verissimo.

— Certo. Ma l’innegabile verità delle sue parole sottintendeva la minaccia di farci morire tutti quanti se non gli avessimo lasciato fare quello che voleva.

— Cosa?

— Sono convinto che è questo che ha in mente — continuò Hsai. — Non sono uno psichiatra, certo, ma mi pare che un atto autodistruttivo sarebbe in carattere col comportamento di Christopher.

Larry immediatamente gridò: — I reattori!

La voce di Val disse: — Larry, tu credi che sarebbe capace di fare una cosa del genere?

— Non possiamo correre il rischio di non crederlo. Val, avverti il gruppo Propulsione e Potenza di evacuare il livello sette. Che rimangano solo i tecnici strettamente indispensabili, e li voglio in tuta pressurizzata, Svelta!

— Vado subito.

Larry armeggiò con gli interruttori della radio sulla cintura.

— Mort, sono Larry. — Sarà la frequenza giusta?

— L’hai trovato?

— No. Mi hanno chiamato dall’interno. Hsai dice che Dan potrebbe tentare di far esplodere i reattori.

— No…

— Vado su coi getti. Tu continua le ricerche qui fuori, tanto per essere sicuri.

— Va bene.

Larry si staccò dalla parete del tubo e sfiorò i comandi dei microgetti. Fu come se delle minuscole mani l’afferrassero alla vita e lo spingessero su, verso il mozzo dell’astronave. Uno dopo l’altro gli anelli passarono sotto di lui.

Quando arrivò al sesto livello, vide, più su, al settimo, un lampo e uno sbuffo come di vapore. Poi, qualcosa, un pezzo di metallo lacerato, volò via. Larry puntò in quella direzione.

L’unico oblò del livello 7 era stato sfondato. Larry si afferrò all’orlo lacerato e si issò dentro.

Se accendo la luce del casco, divento un bersaglio infallibile.

Qualcosa di pesante e metallico sbatté in lontananza, e una ventata rimbombante come un tuono investì Larry.

Il portello di sicurezza! Ha aperto il portello di sicurezza tra gli uffici e lo spazio dei reattori.

Larry accese la lampada del casco, ed estrasse il laser dalla fondina.

L’ufficio era uno scempio. Quando l’oblò era stato forzato, il violento spostamento d’aria aveva squassato tutto. Le sedie erano rovesciate, gli accessori delle scrivanie rotti e sparpagliati dappertutto. Le carte erano volate fuori.

Non c’erano cadaveri, però.

L’avvertimento di Valery doveva essere arrivato in tempo.

Larry soppesò la pistola nella destra, respirò a fondo, e l’aria della tuta gli parve improvvisamente buona. Nella bassa gravità del livello 7, i movimenti erano facili anche con la tuta; ma avviandosi verso il portello di sicurezza, Larry si mosse lentamente, con cautela. Dan aveva un vantaggio di pochi minuti su di lui, forse avrebbe potuto sorprenderlo.

Il portello era aperto, e lo spazio dei reattori immerso nel buio. Per un attimo, Larry pensò di spegnere la lampada del casco. Ma sarebbe stato cieco, senza.

Avanzò, camminando di traverso. Sapeva che il portello dava su una passerella sospesa sopra i due reattori e il generatore centrale.

Mise un piede sulla passerella, e immediatamente spense la luce del casco.

Sotto di lui c’era Dan, inginocchiato vicino al generatore e illuminato dalla luce del suo casco. Aveva in mano una pistola laser con cui stava bruciando alcuni fili esterni del generatore. Le viscere dell’apparecchio eruttavano fumo e scintille.

Senza pensarci due volte, Larry scavalcò l’esile parapetto della passerella e si lanciò su Dan. Fu come un sogno, un incubo. Traversò i venti metri che li separavano fluttuando come una nuvola. Alzando la destra, scagliò la pistola contro Dan con tutta la forza di cui era capace. La pistola cadde sulla mano di Dan, e fece ruzzolare via il suo laser. Senza rumore.

Dan si voltò, e il bagliore della torcia colpì Larry dritto negli occhi. Poi i due si scontrarono, con un impatto che li scaraventò oltre il generatore e li fece finire, in un groviglio confuso di braccia e gambe, nello stretto spazio tra il generatore e uno dei reattori.

Sembravano due robot. Nella bassa gravità, ogni movimento energico era spinto oltre il limite del necessario, e i due lottavano goffamente, barcollando, rimbalzando, rotolando sul pavimento e colpendosi l’un l’altro.

La testa di Larry fu sbattuta contro l’interno del casco almeno una decina di volte. Gli fischiavano le orecchie. Sentiva il sapore del sangue in bocca. Il sudore gli colava pungente negli occhi.

Dan allungò una mano su per la spalla di Larry, tentando di afferrare il tubo dell’ossigeno. Larry gli tirò via il braccio con un colpo secco, e lo spinse contro la liscia parete metallica del reattore. Dan si piegò in due, afferrò Larry per le gambe e lo mandò lungo disteso all’indietro.

Sentendosi come una tartaruga rovesciata sul dorso, Larry tentò di rimettersi in piedi, ma Dan gli fu sopra, urlando qualcosa d’incomprensibile, e stringendolo per le spalle lo sbatacchiò contro le piastre metalliche del pavimento. A ogni colpo a Larry si confondeva la vista, e non sapeva se gli si sarebbe rotta prima la testa oppure la tuta.

Agganciò le braccia attorno a Dan, tentando di resistergli e nello stesso tempo di trattenerlo. Ma Dan andava su e giù sopra di lui, scuotendolo ripetutamente con tutta la massa del suo corpo.

Le mani di Larry, annaspando freneticamente, si chiusero su un tubo sottile. Il tubo dell’ossigeno! Il primo impulso fu di strapparlo, ma poi Larry si limitò a stringerlo, stringerlo con tutte le sue forze.

Dopo pochi istanti, Dan smise di scuoterlo. Tentò di prendergli il braccio, ma Larry gli stava troppo avvinghiato. Poi rotolò sul dorso, ma Larry non mollò la presa sul tubo. Lo tenne stretto, stretto, togliendo ai polmoni di Dan l’ossigeno, lasciandolo soffocare.

Dan s’afflosciò e rimase inerte.

Larry aspettò ancora qualche secondo prima di mollare il tubo. Poi crollò anche lui, sopra il corpo immobile di Dan. No. Non posso… lasciarmi andare. Si riavrà presto… appena gli arriverà aria fresca.

Stordito, sanguinante, si tirò su in ginocchio. Sapeva che non ce l’avrebbe fatta a rimettersi in piedi. Accese la lampada del casco e si guardò in giro, cercando i laser. Le gambe di Dan cominciavano a muoversi debolmente. Strisciando a quattro zampe, Larry trovò una delle pistole e la prese in mano. Poi si buttò a sedere pesantemente, appoggiandosi al generatore, puntò la pistola contro Dan, e con la mano libera premette l’interruttore della radio della tuta.

— L’ho fermato — disse, con un filo di voce. — Siamo nello spazio dei reattori.

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