Phil si dibatteva in una grigia risacca rinvigorente. Poi si accorse che era un asciugamano umido col quale Juno lo stava massaggiando.
— Come va la testa? — chiese lei con un sorriso che mise in mostra la cicatrice sul labbro.
Gli sembrava che la testa gli pesasse più del solito, ma non sentiva alcun dolore particolare, finché con la mano non toccò il rigonfiamento sul mento.
— Stai benissimo — gli disse Juno, gettando l’asciugamano sul tavolo nero e argento rovesciato. Phil ne dubitava.
— Credete che il signor Brimstine possa essere un Belzebita?
Phil girò cautamente la testa. Sacheverell, la cui tunica verde pareva ora un accappatoio appariscente e non troppo pulito e la cui carnagione scura era tornata a essere una semplice abbronzatura, era impegnato in una specie di consulto con Jack e Cookie. Stavano bevendo. Mary si dava da fare al suo tavolo di lavoro.
— Un che? — chiese sospettosamente Cookie.
— Ma sì, un Satanista, un adoratore del Diavolo — spiegò bruscamente Sacheverell. — Questo spiegherebbe il suo furto del Gatto Verde. Un Satanista si opporrebbe con tutte le forze al fiorire del bene nel mondo.
— Piantatela di dire scemenze — lo interruppe Cookie. — A Moe Brimstine non interessano affatto queste robe mistiche. A lui interessano solo i soldi. E lo stesso vale per il signor Billig. E Moe Brimstine lavora solo per se stesso o per il signor Billig. O probabilmente per entrambi. Non è così, Jack?
Il re non pareva incline alla loquacità, ma rispose con un convinto cenno di assenso.
Juno mise un bicchiere nelle mani di Phil. — Bevi questo — gli disse. Phil guardò il liquido bruno. — Che cos’è? — chiese.
— Non latte di soia — lo assicurò lei. — Bevilo!
Il whisky, a cui era mescolato qualcosa di amaro, gli bruciò la gola e gli fece lacrimare gli occhi, ma quasi immediatamente la testa cominciò a schiarirglisi. Ispezionò la stanza. A parte il tavolo di Mary, nulla era stato rimesso a posto, ma qualcuno aveva coperto la finestra rotta col tappeto di preghiera.
— E poi — stava dicendo Cookie con grande sicurezza — anche quella vostra idea che il gatto sia una roba mistica è una scemenza.
Sacheverell guardò lui e Jack con espressione esterrefatta. — Ma non l’avete sentito? — chiese. — Non l’avete sentito quello che ha fatto a tutti noi?
Jack si mosse a disagio, evitando il suo sguardo, mentre Cookie si stringeva nelle spalle. — Oh, quello! — rispose nervosamente. — Eravamo fuori di noi, un po’ per la lotta, un po’ per le vostre chiacchiere. Potevamo credere a qualsiasi cosa.
— Ma non avete sentito cambiare il vostro intero essere? — insistette Sacheverell. — Non avete sentito germogliare l’amore e la comprensione universale?
— Universale un accidente! — disse Cookie rudemente. — Io non ho sentito un bel niente. E tu, Jackie?
Il re non annuì, ma neppure scosse la testa. Ed evitò gli occhi di Sacheverell.
Quest’ultimo li guardò con triste stupore. — Vi siete già dimenticati — disse. — Avete voluto dimenticare. Ma come spiegate — chiese a Cookie — il comportamento dei gatti? L’hanno riconosciuto. L’hanno adorato.
— Sono andati in calore, tutto qui — affermò Cookie. — Probabilmente quella bestia è un mutante ermafrodita, supersessuato. E poi c’è un’altra cosa: se quel gatto è davvero soprannaturale e ha tutti questi poteri, perché si è lasciato paralizzare? Perché non ha somministrato anche a Moe Brimstine un po’ di quella roba universale?
— C’era il vetro e una certa distanza fra loro — gli ricordò Sacheverell. — E poi se il signor Brimstine è un Belzebita…
— Inoltre — continuò Cookie senza badargli — perché si è lasciato paralizzare da Jackie, la prima volta? Di’ un po’, Jackie, prima di colpire quel gattaccio hai sentito sbocciare tutto questo amore universale o no?
Jack aggrottò le sopracciglia. — Io l’ho paralizzato istintivamente — disse adagio, gli occhi fissi sul calice rovesciato, che scelse proprio quel momento per rotolare di qualche centimetro. — Ho visto qualcosa con la coda dell’occhio e ho sparato. — Fece una pausa. — Per la verità credevo che fosse un topo.
— Istintivamente o no, l’hai paralizzato, e poi l’abbiamo chiuso nell’armadio non appena ci siamo accorti che era verde — disse Cookie con aria sicura. — Il che prova al di là di ogni dubbio che il gatto non ha alcun potere. È stato Sashy che ci ha fatto credere che ne avesse. Mi aveva talmente suggestionato, che se qualcuno fosse entrato con addosso un lenzuolo arancione dicendo di essere Maometto gli avrei creduto.
— Ma supponete che il Gatto Verde fosse stato colto di sorpresa — replicò Sacheverell. — Ogni divinità ha i suoi limiti. Forse il Gatto Verde non è così abile a leggere nella mente come nell’unire telepaticamente i pensieri e i sentimenti dei mortali.
Cookie fece un rumore volgare. Jack gli gettò una rapida occhiata insieme irritata e implorante, che voleva dire: “Hai dimostrato la tua tesi. Adesso smettila.”
Sacheverell alzò le spalle e disse: — Bene, se devo scendere al vostro livello materialistico, spiegatemi perché allora il Gatto è così importante per il signor Brimstine?
— Che ne so io? — disse Cookie stizzosamente. — Forse lo usa per contrabbandare eroina, o per passare dei documenti segreti a Vanadin: forse appartiene all’attuale amante del re del Sud Africa. Moe ti ha detto qualcosa, Jackie?
— Soltanto che avrebbe pagato diecimila dollari per un gatto verde, sempre che non fosse tinto. Questo un paio di settimane fa. Qualcuno dei ragazzi chiese dettagli, ma lui disse che non ce n’erano. — Si alzò. — Ma a che serve parlarne? Non possiamo fare niente — disse bruscamente guardando Sacheverell, come se lo sfidasse, o lo implorasse, a rispondere.
— Be’… — cominciò Sacheverell.
Phil aveva finito di pensare. Si alzò, spingendo in fuori il suo piccolo petto. — Possiamo salvare il gatto verde da Brimstine — disse. — Chi è con me?
Cookie si voltò di scatto verso di lui. — Nessuno, neanche tu — disse. Jack si coprì gli occhi con una mano. — È arrivato lo scimunito — disse lamentosamente.
Juno si sollevò dalla sedia e si mosse pesantemente verso di lui con il bicchiere e la bottiglia. — Senti, Phil — disse — devo ammettere che hai del fegato. Ma nessuno, proprio nessuno, si mette contro Moe Brimstine.
Phil ci pensò un momento. — Io l’ho fatto — disse con orgoglio.
— Sì, lo so — ammise lei — ma lui non ti ha mica preso sul serio.
Phil guardò Sacheverell. — E voi? — chiese. — Voi credete in Lucky.
Cookie gettò a Sacheverell un’occhiata di avvertimento. — Se uno solo di noi procura dei fastidi a Moe Brimstine per quel gatto, ci ritroveremo tutti quanti a respirare plastica fusa!
— Be’… — disse Sacheverell guardandosi intorno in cerca di consiglio. I suoi occhi si fissarono sulla moglie. — Mary, quali passi pensi che dovremmo compiere?
Mary, impegnata con la lingua fra i denti in una difficile opera di rifinitura, scosse le spalle. — Non mi interessa quello che volete fare voi — disse, togliendo una microscopica scaglia di cera. — Io sto lavorando su Moe Brimstine a modo mio — e sollevò, perché potessero vederla, una piccola testa di cera che già cominciava ad assumere l’aspetto di quella del vice capo della Divertimenti SpA. — E quando sarà finita — aggiunse — allora comincerò con gli aghi e gli spilloni!
Juno disse: — Ugh! — Cookie sembrò quasi impressionato. Sacheverell si morsicò pensosamente le labbra, osservando cautamente Jack e Cookie. — Sì — disse — suppongo che dopo tutto questo sia il sistema migliore.
— Va bene — disse Phil, e si avviò verso la porta.
— Dove credi di andare? — disse Cookie.
— A riprendere il gatto — disse Phil.
Vi fu un accorrere generale e tutti in coro cercarono di convincerlo dell’assurdità dell’impresa, ma fu Juno che lo afferrò per le spalle, facendolo voltare.
— Phil — disse — una volta tanto devo ammettere che questi deficienti hanno ragione. Non puoi fare niente per quel… quello stupido gatto. Devi ficcartelo nella zucca una volta per tutte.
Phil si limitò a sorridere.
Lei scosse la testa con aria disgustata. — Non avrei dovuto farti bere il whisky.
— Non è colpa del whisky, ma di quello che ci hai messo dentro — intervenne Cookie. — È completamente sbronzo.
Phil gli sorrise serenamente, come per confermare la sua opinione, e allora, d’improvviso, si ritrassero tutti, e per un attimo lui pensò che avessero riconosciuto la sua ferma determinazione e si fossero inchinati all’inevitabile. Poi si accorse che stavano guardando oltre le sue spalle e sentì un soffio d’aria fredda che proveniva dall’esterno.
Il dottor Romadka appoggiò una valigia nera nell’ingresso, disse sorridendo: — Salve Sacheverell, salve Mary — e fece un cenno di saluto a Jack, a Juno e a Cookie, prima di rivolgere, come per caso, lo sguardo a Phil.
— E bravo Phil — disse allegramente l’analista — mi avete fatto fare una bella corsa. È già tanto che sia riuscito a trovarvi. Avevamo iniziato una conversazione molto interessante e sono ansioso di continuarla. — Lanciò una breve occhiata agli altri. — Spero ci vorrete scusare se parliamo un momento di faccende professionali. Vedi, Phil — continuò con tono persuasivo — immagino che la… ehm, persona che ti ha persuaso, o meglio obbligato a fuggire, abbia cercato di metterti in testa le idee più strane. Ma sono sicuro di poterti dimostrare in pochi minuti quanto siano assurde. Detto per inciso, si tratta della stessa persona che aveva spento le luci e bloccato tutte le porte. Una bella imbrogliona, non ti pare? E pensare che è mia figlia. Adesso saluta i tuoi amici, Phil… Spero che non ce l’avranno con me se ti porto via…
Mentre finiva il suo discorso, il dottor Romadka si era fatto avanti, e la luce fece risaltare chiaramente i quattro graffi sulla guancia. Mary disse malignamente: — Anton, non ho mai creduto a quella paziente pazza furiosa che minaccia sempre cose terribili, ma ora devo ammettere di essermi sbagliata. Qualcuno ti ha dato proprio delle belle unghiate.
Il sorriso del dottor Romadka impallidì un poco. — A volte le illusioni si rivelano reali, Mary — disse scherzosamente — anche se il mio lavoro consiste nel provare il contrario. Vero, Phil? Proprio come non c’è nessuna donna con gli zoccoli e il pelo che si dimentica di oscurare la finestra prima di spogliarsi.
— O nessun gatto verde — aggiunse Phil calmo.
— Già, appunto — fece il dottor Romadka, secco.
— Ma perché non ammettere, caro dottore — continuò freddamente Phil — che anche il gatto verde è una di quelle illusioni che si rivelano molto reali? E che voi lo state cercando? Non cogliereste affatto di sorpresa questi signori: tutti lo hanno visto.
Gli occhi del dottore si fecero improvvisamente sospettosi, e lo restarono anche quando Cookie disse in tono scandalizzato: — Noi non abbiamo visto niente — e Jack confermò: — Dottore, non sappiamo di cosa sta parlando quello lì. Ma di sicuro è matto. È per questo che ve l’avevo mandato.
Phil osservò divertito lo psicoanalista scrutare Juno, Sacheverell e Mary. Poi rise e disse loro misteriosamente: — Per voi potrebbe essere peggio se vado via col dottore invece che mettermi contro Brimstine.
Gli occhi di Romadka si fecero ancora più sospettosi, ma Jack intervenne: — Sentite, dottore, avete intenzione di prendervi cura di questo tipo e di rinchiuderlo da qualche parte, in modo che non possa più dare fastidi?
— Di questo potete starne certi — fece brusco il dottor Romadka, mettendo da parte i sorrisi e le finzioni. — Ficcati bene in testa, Phil, che tu verrai con me, ti piaccia o no. E se per caso ti venisse voglia di scappare ancora, sappi che ho degli amici fuori.
— Allora va bene — disse Jack. — Io sono d’accordo. Saremo felici di sbarazzarcene.
Juno, che da un pezzo aveva la fronte aggrottata, scosse la testa come un toro confuso. — Accidenti, Jack, non lo so mica io. Non mi piace questa storia.
— Juno… — cominciò Jack minacciosamente.
— Non mi piace l’idea di gettare questo poveretto in pasto ai lupi — finì lei con aria di sfida.
— In pasto ai lupi, signora Jones? — disse il dottor Romadka con aria minacciosa — È una cosa necessaria per il bene di tutti Per favore, spiegate…
Proprio in quel momento Sacheverell si fece avanti con grande decisione. Non c’era più alcuna traccia di simpatia nell’occhiata dura che lanciò a Phil. — Penso che Anton e Jack abbiano ragione — disse, afferrando Phil per un braccio e spingendolo verso la porta. — Sono stanco dei vostri inganni, signor Gish. Andate subito con Anton e i suoi amici, senza tante storie.
Phil udì un grugnito di soddisfazione da parte del dottor Romadka. Cercò di liberarsi da Sacheverell, ma questi lo strinse ancora più forte e quando la sua bocca fu vicino all’orecchio di Phil, mormorò. — Sali le scale, due rampe.
Sacheverell diede a Phil una brusca spinta mentre lui stesso finiva addosso al dottor Romadka, che si era chinato per raccogliere la borsa nera, riuscendo contemporaneamente a gettare a terra l’antica lampada da pavimento che illuminava debolmente l’ingresso.
Phil si lanciò su per la scala cigolante nell’improvvisa oscurità, aiutandosi a tentoni con la ringhiera traballante. Alle sue spalle si udivano grida e passi in corsa. Il più vicino era Sacheverell che urlava con quanto fiato aveva in gola: — Eccolo! Inseguiamolo!
Phil raggiunse il pianerottolo, poi la seconda rampa, con Sacheverell sempre alle spalle simile a un pipistrello verde.
Arrivati in cima, afferrò Phil e lo spinse dentro una porta. Per un attimo le loro facce si trovarono vicine.
— Fuori dalla finestra, poi sulla trave — gli sussurrò. — Bisogna osare tutto per Lui!
La porta si richiuse e udì Sacheverell urlare: — È in soffitta. Seguitemi. — Phil si ritrovò nell’oscurità, di fronte a un’alta finestra debolmente illuminata dall’esterno, mentre sul pavimento ai suoi piedi correvano freneticamente i topi che avevano fatto della stanza il loro rifugio.
Raggiunse la finestra, che era a due imposte, con antichi vetri lattiginosi. Gli era capitato spesso di incontrare nei romanzi vecchie finestre come quella che si rifiutavano di aprirsi. Questa invece girò senza difficoltà sui cardini. Si arrampicò sul davanzale e restò accucciato, tenendosi in equilibrio con una mano.
Attorno a lui vi erano tegole di ardesia e assi di legno vecchie di due secoli, che puzzavano di muffa. Di fronte, a circa sette metri di distanza, la strada piena di traffico. Fra i due, una trave di ferro larga una quindicina di centimetri, debolmente illuminata dai fari delle automobili. La trave, coperta di sudiciume, era incastrata nel camino di mattoni che sorgeva proprio a fianco della finestra. In effetti, uno dei piedi di Phil era posato su di essa. Sotto, due piani di buio.
Ciò che successe poi fu forse una conseguenza della droga calmante e inibitrice della paura che Juno gli aveva messo nel whisky, anche se Phil lo attribuì all’influenza di Lucky e all’incitamento grottesco, eppure stranamente efficace, di Sacheverell. Sta di fatto che Phil non era un atleta, e anzi soffriva un poco di agorafobia.
In ogni modo, si alzò lentamente in piedi, abbandonò la finestra, restò immobile un attimo, poi corse agilmente lungo la trave. Arrivato alla strada rotolò goffamente dall’altra parte del parapetto e si gettò lungo disteso sul marciapiede.
Nello stesso istante dall’oscurità alle sue spalle si alzò una lama abbagliante di luce blu che tagliò la trave di sbieco, sfavillò per un attimo contro il soffitto nero sopra il tetto della casa, e si spense.
La trave resistette per un momento. Poi, lentamente, le due labbra del taglio cominciarono a scivolare l’una sull’altra. Il camino cadde pigramente. Si udirono delle grida dal basso. Il tetto degli Akeley si mosse verso la strada di qualche decina di centimetri. E si fermò. Delle nuvolette di fumo si sollevarono nell’aria.
Phil cominciò a correre lungo la strada fino a un taxi parcheggiato a un isolato di distanza. Stava pensando che qualunque cosa fossero gli “ortho” dei ragazzi di Moe Brimstine, a quanto pareva li avevano anche gli amici di Romadka. Non poté fare a meno di pensare alla drammatica situazione del gruppo nella soffitta oscillante. Gli pareva quasi di sentire le titaniche imprecazioni di Juno.
Si infilò nel taxi.
— Al Tan Jet — disse all’autista. — È una specie di night club.
— Sì, lo conosco — disse l’altro con l’aria di chi la sa lunga, e diede a Phil un’occhiata triste e rassegnata, del genere che si riserva a coloro che insistono, contro tutti i buoni consigli, a cercare la propria rovina.