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Il primo impulso di Phil fu quello di balzare dalla jeep e di cercarlo. Ma il gelo nel cuore gli diceva che Lucky era ormai lontano. E poi quella piazza era una vera e propria jungla; sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio.

Non era mai stato prima in quel posto, ma a giudicare dalle scolarette doveva trovarsi in un quartiere abitato da intellettuali. Dapprima aveva pensato che la scuola fosse solo femminile, poi aveva notato anche alcuni ragazzi fra gli studenti che tornavano a casa, e ne aveva dedotto che la maggior parte delle famiglie del quartiere avevano deliberatamente scelto di avere quante più figlie possibile. Da quando era diventato possibile predeterminare il sesso grazie alla centrifugazione dello sperma umano, moltissimi genitori avevano deciso di avere dei figli maschi, specialmente al primo parto, ripromettendosi di solito di avere delle figlie più tardi. Ma poiché sfortunatamente le famiglie di tre persone erano la regola, ne era derivata una sovrappopolazione maschile, che aveva indotto il governo ad emanare inefficaci leggi contro la predeterminazione del sesso; vi erano stati infruttuosi tentativi di auto-controllo da parte dei medici, molti discorsi al Congresso e un movimento quasi fanatico fra le classi intellettuali per generare solo femmine. Questo non solo per ristabilire l’equilibrio fra i sessi, ma forse anche perché si era sparsa la voce che era stata raggiunta la partenogenesi umana. Phil si ricordava di una conversazione televisiva trasmessa una domenica pomeriggio: Saranno donne nate da vergini le nostre uniche intellettuali?

Altri aspetti dei dintorni confermavano la sua ipotesi: le case avevano un’aria piuttosto dimessa, i grattacieli erano bassi, la pubblicità era ridotta ai soli cartelloni, il traffico scarso e non si vedevano auto pirata.

Lasciò vagare lo sguardo lungo le file di finestre, chiedendosi dove potesse essere andato Lucky. Intanto accese la radio della jeep. “…mentre si ritiene che Billig, l’uomo del mistero, la mente della Divertimenti SpA, abbia lasciato il paese. Questa sera alle venti e trenta, ora di New Washington, il Presidente Barnes rivolgerà un discorso a tutti noi Americani, in parte per far tacere le poche voci di protesta, ispirate dalla Divertimenti, contro la messa al bando dei combattimenti fra maschi e femmine e dei sexy jukebox, ma soprattutto per spiegare alla cittadinanza disorientata le vere ragioni che hanno indotto questa mattina il governo federale a incriminare sessantanove alti funzionari. Io prevedo (e ricordate, amici, che questa è una mia personale previsione, non soggetta a querela) che il Presidente rivelerà che la Divertimenti SpA vendeva pillole oniriche, tavolette per la sterilità temporanea e infine, amici, e sono stupefatto e disgustato io nel dirlo quanto voi nell’ascoltarlo, robot femmine equipaggiati per funzioni oscene.

“E ora un’importante notizia a proposito dei gatti. I gatti non sono portatori di alcuna infezione, e non devono essere uccisi in nessun caso, siano essi domestici o randagi. Ma tutti i proprietari di gatti devono portarli alla più vicina stazione di polizia, e lo stesso deve fare chiunque trovi dei gatti per strada. Vi è una severa multa per i primi, se non lo faranno, e un premio di cento dollari per i secondi. E allora forza, ragazzi! Come mai questo improvviso interesse del governo per i gatti? Il ministero della Sanità mantiene il più assoluto riserbo, ma il vostro commentatore è in grado di anticiparvi una notizia proveniente da fonte bene informata: è stato scoperto che una razza molto rara di gatti è portatrice di un virus in grado di debellare il cancro. Non sarebbe meraviglioso, amici miei, sapere che questa terribile malattia non costituisce più una minaccia?

“Ma ricordatevi di questo, cari ascoltatori, e ve lo dirò in marziano: Zip-zap-zup! Che vuol dire: Portate i gatti!

“Ed ora, amici, a proposito della notizia che la ‘supernova’ della sensoradio, Zelda Zornia, mentre era in vacanza in Brasile, ha fatto una sensotrasmissione pubblicitaria per i gioielli da bagno, vorrei assicurare tutti voi ascoltatori dediti alla moralità, che…”

Phil si schiarì le idee, cercando di mettersi nei panni di Lucky, di intuire la direzione nella quale si era allontanato. Mosse dubbiosamente la testa da una parte e dall’altra, come l’ago di una bussola o il piattino di una seduta spiritica, e finalmente si fermò. Scese dalla jeep e si incamminò dritto attraverso i cespugli polverosi, scricchiolanti.

Superata un’ultima siepe stentata si trovò a guardare, al di là di una strada vuota, una vecchia casa, vecchia quasi quanto quella degli Akeley, ma con il cielo libero al di sopra.

Era a tre piani, costruita in mattoni antichi, e faceva la stessa impressione pomposa e rispettabile di un banchiere dell’Ottocento. Intorno aveva un giardino pieno di erbacce come la piazza, chiuso da un’alta cancellata di ferro.

L’unica stonatura era costituita da un oggetto circolare, del diametro di almeno quindici metri, sospeso al di sopra del tetto mediante un traliccio. A giudicare dal colore verdastro, sembrava fatto di rame. Aveva l’aria di essere vecchio quasi quanto la casa, e altrettanto intonato, come se il banchiere dell’Ottocento avesse deciso di mettersi un berretto verde, sfidando chiunque a dirgli qualcosa.

Phil attraversò la strada, salì alcuni gradini e sbirciò attraverso il cancello. Vicino alla porta con la sua antiquata maniglia di ottone riuscì a distinguere una targa di bronzo annerita, su cui era scritto: FONDAZIONE HUMBERFORD.

Si guardò intorno a disagio. Nel punto in cui doveva trovarsi la jeep, vide le teste e le spalle di due uomini vestiti di nero. Quel colore gli ricordava in modo spiacevole gli abiti che indossavano le guardie di Billig. Sembrava che i due stessero discutendo. Uno di essi si sollevò, come se stesse per salire sulla jeep, ma l’altro lo tirò indietro e i due si allontanarono. Non nella sua direzione, però, notò Phil con sollievo.

Spinse il cancello di ferro, che si aprì con un cigolìo tale che Phil indietreggiò intimorito. Visto però che non succedeva niente, si infilò dentro e cominciò a sbirciare fra le erbacce, poi si avventurò nel giardino, chiamando sottovoce: — Lucky!

Di tanto in tanto, gettava un’occhiata nella direzione della jeep. Una volta scorse gli elmetti radio e le divise blu di tre poliziotti. Si domandò se la prossima volta avrebbe visto il dottor Romadka, o gli Akeley, o forse Carstairs, Llewellyn e Buck, e rabbrividì al pensiero che per un pelo qualcuno non l’aveva catturato.

Ma la sorpresa successiva gli venne da qualcosa di più vicino. Aveva fatto il giro della casa, dopo aver frugato il giardino posteriore, egualmente privo di vita e non curato, quando vide un uomo dai capelli neri che lo guardava dalla strada.

Quello che lo allarmò di più era la straordinaria somiglianza dell’uomo con la ragazza che Phil aveva visto spogliarsi aell’appartamento di fronte al suo, quella con gli zoccoli. L’uomo aveva la stessa vivace espressione da fauno.

Phil si sentì gelare. Ma l’uomo si limitò a sbadigliare, si voltò e se ne Andò, canticchiando o fischiettando un motivetto che gli fece venire la pelle d’oca, perché gli ricordava qualcosa che aveva sentito nel suo sogno.

Tutta quell’esperienza stava assumendo sempre più le caratteristiche di un sogno ad occhi aperti: la casa silenziosa, il giardino abbandonato, la sua inutile ricerca, il ricordo malinconico dell’addio di Mitzie, la sensazione opprimente di un passato morto. Tuttavia la sensazione che Lucky fosse vicino era sempre forte, e alla fine Phil si rese conto che avrebbe dovuto fare una cosa che aveva fino a quel momento evitato.

Salì riluttante i gradini che portavano alla porta d’ingresso sotto il piccolo portico, allungò la mano verso la maniglia, poi, per allontanare ancora un po’ il momento fatidico, chiamò alcune volte: — Lucky!

Qualcuno, alle sue spalle, chiese gentilmente: — Cercate un gatto?

Phil si voltò con una sensazione di colpa, e si trovò di fronte un uomo molto vecchio, alto e fragile come uno spirito, e apparentemente altrettanto silenzioso, dal momento che Phil non l’aveva neppure sentito arrivare. Il suo viso sottile, pieno di rughe, coi capelli bianchi tagliati corti, aveva un’aria di inquietante familiarità. Quel viso univa alla nobiltà di un asceta precristiano una nota di irriverente umorismo, come se il suo possessore fosse ritornato a una saggia fanciullezza. Nonostante il batticuore che gli aveva procurato quella domanda, così sorprendentemente precisa, a Phil l’uomo piacque fin dalla prima occhiata.

Vedendolo esitare, il vecchio proseguì: — Il mio interesse, sia detto per inciso, è puramente accademico. O se preferite è una curiosità infantile, il che è poi lo stesso. — I suoi occhi ebbero un lampo malizioso. — Si tratta forse di un gatto verde? — chiese rapidamente. — No, non occorre che rispondiate a questa domanda, non più di quanto abbiate risposto alla prima. Non voglio mettervi a disagio. È solo che la mia mente è abituata a fare le deduzioni più azzardate.

Fece un largo sorriso, e Phil, benché frastornato, non poté fare a meno di sorridere.

— Forse siete un giornalista — continuò il vecchio tranquillamente, — o almeno possiamo far finta che lo siate. Il dottor Garnett chiama sempre la stampa quando la Fondazione Humberford fa qualche scoperta, anche se purtroppo devo dire che la stampa ha smesso di venire vent’anni fa. Ormai la parapsicologia non fa più notizia. Ma forse nel frattempo è cresciuta una nuova razza di giornalisti che si interessa ancora di poteri paranormali. In ogni modo Garnett e gli altri saranno felicissimi per la presenza della stampa.

— Volete dire che la Fondazione Humberford si occupa di percezioni extrasensoriali e altre cose del genere? — chiese Phil.

— Dovreste saperlo, dal momento che siete stato mandato qui per fare un articolo — disse il vecchio con aria di rimprovero. — Certo, i reporter spesso non hanno la più pallida idea di quello che dovrebbe essere l’oggetto del loro articolo, così siete scusato.

Phil si sorprese di nuovo a sorridere. Non riusciva a capire come mai il vecchio sapesse di Lucky, né cosa c’entrasse in tutta la vicenda, ma si sentiva stranamente sicuro che non aveva niente a che fare con le organizzazioni che stavano dando la caccia al gatto. E la maliziosa finzione del vecchio che Phil fosse un giornalista poteva servire almeno a fargli superare quella porta imponente e dare un’occhiata in giro.

— E così la Fondazione Humberford ha fatto una nuova scoperta nel campo della parapsicologia? — chiese in tono discorsivo.

L’altro annuì. — Il dottor Garnett era molto eccitato. Tanto che non ha avuto tempo di spiegarmi di cosasi trattava, tranne che si stanno ottenendo dei risultati straordinari. È successo stamattina. Così sono corso qui. I poteri paranormali tendono a svanire rapidamente, perciò è meglio studiarli finché ci sono. Garnett ha l’ordine di chiamarmi non appena succede qualcosa di interessante. In verità quasi tutti i laboratori scientifici della regione hanno questo ordine, solo che gli altri non sempre mi chiamano. Ma, grazie a Thoth, Garnett non lavora in un campo sottoposto al benevolo controllo dei servizi di sicurezza, e lui stesso non ha una mentalità del genere. Anzi, non sono neppure certo che abbia mai sentito parlare dell’FBL. Così potreste fare davvero un bel colpo, signor…?

— Gish. Phil Gish.

La mano del vecchio strinse la sua. Era leggera come una piuma. — Morton Opperly.

Phil lo guardò per parecchi secondi, senza fiato. — Il…?

L’altro annuì con un’alzata di spalle, come per scusarsi. Phil ci mise un po’ prima di convincersi. Quello era Morton Opperly, lo scienziato che aveva lavorato al Progetto Manhattan, che aveva firmato insieme a Einstein la Dichiarazione dei Fisici, che aveva cercato senza successo di farsi imprigionare per il suo rifiuto di svolgere ricerche durante la terza guerra mondiale, che era diventato una leggenda. Phil aveva sempre creduto che fosse morto da parecchi anni.

Guardò il famoso scienziato con felice reverenza. La domanda che gli venne spontanea alle labbra fu una testimonianza dell’abilità di Opperly nel creare un’atmosfera di discussione libera, senza restrizioni, sconosciuta ormai in America fin dal 1940.

— Signor Opperly, cosa sono gli ortho?

— Gli ortho? Potrebbe essere un’abbreviazione di molti termini scientifici, Phil, ma scommetto che state parlando di quelli che sparano. Il loro nome completo è ortho-fissili. Il guaio dei normali materiali fissili, cioè di quelli in condizioni normali, è che i frammenti e i neutroni esplodono in tutte le direzioni e che la massa critica è piuttosto grande. Ma se si riesce ad allineare gli atomi col loro asse di rotazione nella stessa direzione, allora tutti si scindono nello stesso punto e ogni neutrone colpisce il nucleo dell’atomo a esso più vicino. In tal modo tutti i neutroni vengono utilizzati e la massa critica diventa piccolissima. Metà dei frammenti vola in una direzione, metà nell’altra, rendendo l’apparecchio un’arma estremamente conveniente e pericolosa, a parte il fatto che spara in due direzioni opposte.

— E come è possibile allineare gli atomi? — chiese Phil.

— Mediante un campo elettrico e una temperatura vicina allo zero assoluto — rispose Opperly, premendo un bottone vicino alla porta. — È la cosa più semplice del mondo. I nuovi isolanti possono mantenere la temperatura del caricatore a un grado Kelvin per settimane. Il caricatore contiene abbastanza proiettili fissili da assicurare un fuoco rapido, cioè un raggio stabile che dura più di un minuto. Pensi di farti un ortho a casa, Phil? Temo che non lo vendano in scatole di montaggio. Tutto quello che ti ho detto è top secret, pena di morte eccetera. Ma sto diventando così vecchio che non capisco più le regole del segreto militare. Racconto tutto. Continuo a dire a Bobbie T. che un giorno o l’altro dovrà eliminarmi ma, come tutti, si rifiuta di prendermi sul serio. È il trucco che hanno usato con me nella terza guerra, e non l’hanno mai dimenticato.

— Bobbie T.?

Opperly fece un altro dei suoi sorrisi di scusa. — Barnes. Il Presidente Robert T. Barnes. Eravamo fra i soci fondatori della Società Spaziale del Midwest. Naturalmente allora era solo uno sbarbatello, e ora è diventato una vecchia zitella istupidita che cita le scritture. Ma i sogni in comune hanno la capacità di unire per sempre delle persone. Di tanto in tanto vado a trovarlo, con il mio distintivo della Società Spaziale. È una delle mie fonti di informazione su quello che succede nel mondo, anche se i servizi di sicurezza non gli dicono molto. È così che ho saputo del gatto verde.

Phil stava cercando di farsi coraggio per chiedere a Opperly che cosa ne sapeva del gatto, quando udì dei passi alle sue spalle.

L’uomo che assomigliava alla ragazza con gli zoccoli era fermo al cancello. Proprio in quel momento la porta si aprì e apparve un altro uomo: aveva un’aria da studioso, e il viso che si contraeva per il nervosismo e l’agitazione. Le tasche della giacca e del panciotto rigurgitavano di microlibri, tanto da poterci fare almeno una decina di enciclopedie. Aveva anche un paio di micronotes col loro stilo, e per finire una penna stilografica. I suoi capelli erano grigi e sottili, e portava un antico pince-nez che si contraeva insieme al suo naso.

— Dottor Opperly! — esclamò con voce acuta che tradiva agitazione e contentezza insieme. — Siete arrivato al momento cruciale!

— Mi fa piacere, Hugo — rispose Opperly. — Dov’è Garnett?

Ma l’altro stava guardando Phil, il quale aveva deciso che il suo tic era permanente. In quel momento stava esprimendo una certa inquietudine mista a curiosità.

— Oh — disse Opperly con aria casuale — questo signore è Phil Gish, della stampa. — I suoi occhi ammiccarono. — Di Radioluna America. Phil, questo è il Rettore Hugo Frobister. Rettore di filosofia, il massimo grado accademico, sapete. Io sono solo un misero Dottore.

Frobister rivolse a Phil un sorriso raggiante, come se fosse un benefattore con un assegno da centomila dollari. — Felicissimo di conoscervi, signor Gish — disse. Poi estrasse con un gesto fulmineo il micronotes e appoggiò sulla sua superficie bianca lo stilo, i cui movimenti venivano riprodotti in un decimillesimo dello spazio su un nastro all’interno. — Radioluna America, avete detto?

In quel momento l’uomo al cancello si avvicinò con passi pesanti. Phil sentì una sensazione di disagio; ma il nuovo venuto rivolse loro un largo sorriso innocente che accentuò la bellezza del suo viso da fauno.

— Anch’io stampa — annunciò felice. — Presento me a voi, Dion da Silva. Molto felice.

Frobister parve sul punto di liquefarsi per la gioia, anche se l’allegria di da Silva era indubbiamente contagiosa. — Che giornale? — chiese Frobister.

Phil si accorse che Opperly stava scrutando intensamente il nuovo venuto, il quale sembrava avere delle difficoltà a capire la domanda di Frobister.

— Come che? — chiese, inarcando le folte sopracciglia.

La Prensa — suggerì improvvisamente Opperly. — Il signor da Silva è un inviato de La Prensa.

— Sì questo. Grazie — confermò da Silva.

Phil avrebbe giurato che Opperly non aveva mai visto prima da Silva e che da Silva non aveva mai sentito parlare de La Prensa.

Frobister tuttavia accettò la spiegazione senza discutere. — Entrate, entrate, signori — disse facendosi da parte. — Immagino che prima vorrete visitare la nostra piccola Fondazione e dare un’occhiata a tutti i nostri progetti. Per avere un quadro d’insieme.

— Sono sicuro che preferiscono vedere subito Garnett e venire al sodo — disse Opperly. — A proposito, Hugo, dov’è Winston?

— A dire la verità non ho la più pallida idea di cosa stia facendo il dottor Garnett — rispose Frobister, tutto soddisfatto. — Sono successe una quantità di cose questa mattina. In tutti i progetti. Comunque dovremo fare il giro della Fondazione per trovarlo.

Opperly gettò a Phil un’occhiata di comica rassegnazione. Dion da Silva passò davanti a Phil, dispensando a tutti ampi sorrisi e dicendo: — Bello, bello. — Phil era sempre più eccitato: sentiva che stava avvicinandosi a Lucky.

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