All’interno, la Fondazione Humberford si presentava come una via di mezzo fra una tetra dimora edoardiana e un laboratorio scientifico piacevolmente disordinato. Librerie a vetri piene di libri rilegati in pelle, che non venivano aperti da anni, si trovavano fianco a fianco con moderni scaffali di microfilm. I ritratti anneriti di John Junius Humberford e dei suoi antenati guardavano dall’alto macchine per mescolare le immancabili carte di Rhine e schermi fluorescenti tridimensionali su cui decine di registrazioni di onde cerebrali, prese da diversi angoli, si univano per formare il nebuloso simulacro di un pensiero umano. Imponenti salotti, che facevano pensare a signore in crinolina che prendevano il tè, erano invece occupati da ragazze dall’espressione solenne e sommariamente vestite, con degli elettrodi applicati in una ventina di parti del corpo. Tecnici con larghi camici inciampavano in tappeti vecchi di un centinaio d’anni.
Ma quel giorno si notava un’eccitazione particolare, che faceva dimenticare la metà edoardiana della casa, e perfino il sudiciume delle pareti. Il Rettore Frobister e il suo codazzo di visitatori passavano completamente inosservati. Ragazze che pronunciavano trionfanti i nomi delle carte di Rhine fissavano nel vuoto senza vederli. Chiaroveggenti intenti a disegnare oggetti immaginati da qualcun altro tre piani più sopra, non alzavano lo sguardo dalle lavagne. Un tecnico sbucò con una grossa siringa in mano e prese dei campioni d’aria sotto il loro naso, apparentemente senza accorgersi di loro. Delle macchine collegate fra di loro ronzavano e sputavano carte.
Phil era così occupato a cercare il suo gatto verde che sentì poco o niente delle spiegazioni di Frobister, tranne alcune frasi pronunciate con voce molto acuta: — … Questa è la sua centodiciassettemilatrecentodiciottesima prova con le carte… Comunicazione telepatica con gli animali inferiori… un giorno forse potremo comprendere i pensieri di un’ameba… No, non so proprio dove sia il dottor Garnett, signorina Ames. Ora sono occupato con visitatori importanti… la telecinesi renderà antiquate le sensoradio…
Mentre saliva dietro a da Silva le scale che portavano al piano superiore, Phil cominciò a prestare più attenzione a Frobister. — Nella stanza che ora vi mostrerò — stava dicendo il Rettore — è in corso un esperimento di telepatia totale. Quando questa tecnica sarà perfezionata, sarà possibile per due individui mettere a nudo le rispettive menti, e confrontare i loro pensieri allo stato puro, per così dire.
— Bene! — intervenne da Silva.
Frobister alzò le sopracciglia, seccato per l’interruzione, prima di ricordarsi che si trattava di un giornalista. Poi continuò, sorridendo: — Nel caso in questione, tuttavia, siamo ancora a uno stadio preliminare: due individui, per mezzo di prolungate conversazioni, di scritti, di disegni, di espressioni musicali, eccetera, stanno tentando di scambiarsi i loro più segreti pensieri, fino al punto che tenderanno a diventare telepatici, come pare succeda ad alcune coppie sposate. — Quando raggiunsero il piano superiore, Frobister aveva il fiato grosso. — Per inciso — continuò — il giovanotto coinvolto in questo esperimento è uno dei nostri medium migliori, mentre la signorina è un’attrice della sensoradio, che gentilmente dedica il proprio tempo libero alla causa della scienza.
Fece una pausa, tenendo la mano sopra la maniglia di ottone della porta.
— Forse è meglio non disturbarli, Hugo — suggerì Opperly con voce un po’ affaticata, appoggiandosi al muro, ma senza mostrare altri postumi della salita. — Mi sembra un esperimento piuttosto intimo.
Frobister scosse la testa. — Come ho detto — disse, scandendo le sillabe — questi due ricercatori sono impegnati a mettere a nudo le rispettive menti.
Aprì la porta, guardò dentro, rimase a bocca aperta, e la richiuse rapidamente, ma non prima che da Silva, sbirciando al di sopra delle sue spalle, emettesse un suono di approvazione.
— Come dicevo, le loro menti — ripeté Frobister, allontanandosi dalla porta un po’ scosso. — Forse avete ragione, dottor Opperly, meglio non disturbarli. Gli esperimenti a volte sono alquanto faticosi. — Guardò con aria apprensiva il supposto inviato de La Prensa. — Voglio sperare, señor da Silva…
— Molto bene! — lo rassicurò da Silva entusiasta.
Frobister lo guardò dubbiosamente, si riscosse e disse con rinnovata energia: — Ora, signori, non rimane che mostrarvi il nostro progetto principale: quello sul tetto. Se vorrete precedermi su questa scala a chiocciola…
— Credo che vi aspetterò qui, Hugo — disse Opperly. — Anche le visite possono essere faticose.
— Ma credo che il dottor Garnett sia sul tetto.
— Allora fallo scendere.
Mentre Phil si arrampicava sulla scala di metallo, illuminata da finestrelle circolari che si aprivano nelle pareti coperte di muffa, gli venne da pensare che Lucky quel giorno doveva aver avuto una giornata campale, avvicinando le persone nella comprensione e nell’amore, e tutto il resto. Anzi, si sentiva quasi geloso per il modo in cui Lucky stava distribuendo i suoi favori a tutti.
Dal basso gli giunse la voce cerimoniosa del Rettore Frobister. — Credo che sia utile precisare, per meglio chiarire quanto vedrete, che una delle ragioni principali che indussero J.J. Humberford a dare vita alla sua Fondazione fu la convinzione che l’umanità si sarebbe molto presto autodistrutta se non fosse intervenuta qualche potenza superiore. Perciò noi ci sentiamo in dovere di applicare quel poco che sappiamo sulla percezione extrasensoriale per raggiungere questo fine. Anche se vi fosse una sola possibilità su un milione di mettersi in contatto con una potenza superiore, da qualche parte nell’universo, la posta in gioco è talmente alta che non dobbiamo trascurare neanche questa minima possibilità. Per inciso, signori, fate attenzione al penultimo gradino. Non c’è.
Phil, che stava giusto per appoggiarci il piede, fece appena in tempo ad allungare il passo, e si trovò sul tetto. Lo specchio al sodio in orbita attorno alla Terra rifletteva la luce del Sole, ma certo non in misura tale da spiegare gli occhiali da sole che Frobister porse a lui e a da Silva.
Phil osservò le incrostazioni di verderame sulla superficie inferiore del disco concavo sopra il tetto. Ispezionò il traliccio sottile che lo so steneva e la piccola tettoia al centro del tetto. Ma Frobister li stava invitando a salire una scala che conduceva a una piccola piattaforma vicino all’orlo del disco.
Un volta raggiunta la piattaforma. Phil intuì immediatamente la necessità degli occhiali scuri. L’interno del disco era talmente lucido che perfino la luce dello specchio al sodio vi si rifletteva con un bagliore accecante. Serrò le palpebre e si infilò rapidamente gli occhiali scuri.
— Come sapete — stava dicendo Frobister — la natura esatta delle onde mentali è sconosciuta. Può darsi che esse si muovano istantanea mente, o almeno a una velocità molte volte superiore a quella della luce. Non siamo ancora riusciti a misurarla esattamente, anche se abbiamo cronometrato le trasmissioni di pensiero fra qui e Montevideo. I fattori psicofisiologici non ci hanno permesso di ottenere risultati attendibili. Può anche darsi che non si tratti di onde. E d’altra parte, è possibile che vengano riflesse e rifratte come la luce normale.
— Giusto — intervenne da Silva, che Phil, ancora abbagliato per l’occhiata data allo specchio, poteva distinguere solo confusamente.
— Voi credete che sia così? — chiese Frobister bruscamente.
Il faunesco inviato de La Prensa si strinse nelle spalle muscolose. — Solo suppongo — disse.
— In ogni modo — continuò Frobister — noi stiamo lavorando in base a questa ultima ipotesi. Questa struttura di rame è uno specchio parabolico. Le onde mentali che si originano nel suo centro focale vengono concentrate in un raggio diretto verso l’alto, verso qualunque sistema planetario si trovi in questa direzione.
— Straordinario — disse da Silva. — Spiega tutto.
— Cosa volete dire? — chiese Frobister seccamente.
— Mi inchino davanti a meraviglie di scienza — gli rispose da Silva.
Frobister annuì. — Avete ragione. Chi può sapere se il messaggio che ora viene trasmesso, questa invocazione d’aiuto di un’umanità ingannata e minacciata dalla guerra, non possa giungere, fra un giorno o fra un secolo, a una razza veramente matura e buona, che accorrerà rapidamente in nostro aiuto? A proposito, signor Gish, state attento alla ringhiera. È rotta.
Phil allontanò di scatto la mano dalla ringhiera arrugginita. — Capisco — disse a Frobister. — Ma come fanno queste onde mentali a originarsi nel centro focale?
— Osservate — disse Frobister. Strizzando gli occhi, Phil studiò la superficie abbagliante dello specchio. Da un buco posto al centro della coppa emergeva una sfera rosso-bruna che indossava un paio di occhiali dalle lenti molto scure. Le labbra della sfera si mossero e Phil udì una voce stranamente familiare che diceva: — SOS Terra. SOS Terra.
— È un medium al di sopra della media — disse Frobister con un risolino — se mi permettete la battuta. Naturalmente sta lanciando onde mentali, npn sonore, ma la voce aiuta la sua concentrazione extrasensoriale. È un tipo piuttosto eccentrico, uno studioso di religioni. Ma quasi tutti i nostri uomini migliori sono un po’ strani.
Nel frattempo gli occhi di Phil si erano finalmente adattati alla luce, e poté così vedere che la testa sudata al centro dello specchio parabolico era quella di Sacheverell Akeley. Nello stesso istante anche Sacheverell riconobbe Phil, e la sua testa abbronzata sparì d’incanto, come quella di un burattino.
— Ma cosa fa? — disse Frobister in tono duro. — Ha ancora venti minuti di lavoro. Comunque, signori, credo che abbiate visto tutto quello che vi può servire per i vostri articoli. Possiamo scendere.
Mentre Phil raggiungeva il tetto, Sacheverell Akeley lo raggiunse di corsa, con la fronte abbronzata coperta di sudore.
— Cosa fate qui? — chiese Phil immediatamente. — Come avete fatto a scappare? Dagli amici di Romadka, voglio dire.
— Se ne sono andati in gran fretta un paio d’ore dopo Romadka — rispose Sacheverell rapidamente. — Dopo una telefonata. Tra l’altro Romadka si è portato via tre dei nostri gatti. Per quanto mi riguarda, io lavoro qui da un’infinità di tempo. Ma la cosa importante — continuò abbassando la voce a un sussurro — è che Lui si trova qui, vero? Il Gatto Verde, voglio dire. Non ho mai proiettato i miei pensieri con tanta intensità, neppure verso le stelle.
Prima che Phil potesse rispondere, Frobister e da Silva li guardarono con curiosità. Phil e Sacheverell li seguirono lungo la scala a chiocciola.
Al piano inferiore trovarono Opperly immerso in una conversazione con un uomo che pareva vivere per metà fuori dal mondo. Era grasso, barbuto, e i suoi occhi sembravano in grado di vedere molto al di là delle cose che guardava. Sacheverell tirò Phil per una manica. — È Garnett. Ha poteri extrasensoriali spaventosi — gli sussurrò in un orecchio.
— Ma come lo spieghi, Winnie? — stava dicendo Opperly. — Come mai questi successi in quasi tutti i vostri progetti, così d’improvviso?
Garnett si accigliò. — Be’, c’è una circostanza insolita. Uno dei nostri tecnici dice di aver trovato degli ormoni, o una molecola proteica particolare, nell’aria del laboratorio.
— Che ormoni? — chiese Opperly.
— Non è stato facile identificarli. — Garnett esitò. — Sono incredibilmente variabili. Come camaleonti.
Opperly sorrise e ammiccò a Phil.
— Dimmi, Winnie, non avete per caso trovato un animale un po’ strano alla Fondazione questa mattina?
La mano di Sacheverell si strinse sul braccio di Phil.
Il dottor Garnett si guardò intorno perplesso. Poi alzò le sopracciglia. — Sì — disse. — Ginny Ames ha trovato un gatto verde, uno di quegli animali mutanti che vanno di moda, immagino. Era sulla porta che miagolava, stamattina. Non avevamo molto da dargli, allora lei ha provveduto con della conserva di sambuco, e sembra che gli sia piaciuta. Credo sia ancora in giro.
— Winnie, non hai ricevuto nessuna segnalazione dai servizi di sicurezza? — chiese Opperly incredulo. — O dall’FBL?
Garnett scosse la testa. — Sono almeno dieci anni che non arriva più niente. L’ESP è così poco popolare che perfino il governo si è dimenticato di noi.
— Capisco — disse Opperly con gli occhi che gli brillavano. — In questo caso non hai saputo niente di una creatura mutante, simile a un gatto verde, apparentemente dotata di incredibili poteri parapsicologici, che ha indotto parecchi alti ufficiali a fuggire in Russia, e a fare una quantità di cose altrettanto pazze? La notizia non è stata resa di dominio pubblico, ma le più alte gerarchie scientifiche e mediche hanno ricevuto rapporti sull’argomento, con l’invito a comunicare al governo tutto quello che sanno o che sentono dire. Perfino a me è stato detto qualcosa.
— C’era da scommetterlo — disse Garnett disgustato. — Salta fuori qualcosa che riguarda la parapsicologia, e consultano tutti tranne noi. — Poi guardò Opperly come uno che si svegli in quel momento. — Vorresti dire che questa creatura è la causa di tutti i risultati che stiamo ottenendo?
Opperly annuì. — Proprio così.
— Ma come? Perché…
Opperly si strinse nelle spalle. — Non lo so. Stavo solo facendo una delle mie supposizioni azzardate di cui ho parlato poco fa ai miei amici giornalisti — disse, sorridendo a Phil e a da Silva.
— Supposizioni! — disse Garnett. — Bene, lo scopriremo subito. — E si avviò lungo il corridoio, sollevando nuvolette di polvere dall’antico tappeto. — Daremo un’occhiata a questo animale e vedremo se è vero. Signorina Ames…! — cominciò a chiamare, e improvvisamente il suo viso assunse ancora quell’espressione assente, come se non si trovasse del tutto in questo mondo. Si fermò. — Lei sta pensando la stessa cosa — disse a voce bassa, ma così distante che anche Phil capì che stava usando le sue percezioni. — È d’accordo con te, Op. — La sua espressione si fece ancora più assente. — Anzi, tutti sono d’accordo. Tutti quelli della Fondazione, o quasi. — Dalla sua espressione si sarebbe detto che ormai avesse perso quasi ogni contatto con la realtà. La sua voce divenne un flebile mormorio. — Anzi, hai ragione tu.
La porta all’estremità del corridoio si aprì e apparve una giovane donna con un lungo naso che indossava un camice da laboratorio e che rivolse un cenno gentile a Garnett. Aveva gli occhi semichiusi e la fronte distesa, come se gli stesse proiettando mentalmente qualcosa. Poi si accorse dei visitatori. — Vorresti vedere questo animale verde con gli occhi del corpo? — chiese.
— Certamente, Ginny — disse Garnett e si avviò. Phil avrebbe voluto metterli immediatamente al corrente di tutto quello che sapeva su Lucky, ma da Silva lo prevenne.
— Signori — disse — penso voi capire meglio che io credevo. Spiacente sottovalutato voi. Meglio dire ora…
In quel momento Lucky emerse dalla porta in cui era entrata Ginny. Avanzò pigramente, sicuro di sé come un dio. La ragazza chiuse la porta alle sue spalle. Phil sentì il suo spirito risollevarsi d’improvviso, come sempre all’apparizione del gatto verde.
Akeley gli strinse il braccio. — È Lui!
E quasi nello stesso istante una voce imperiosa parlò alle loro spalle. — Fatevi da parte, tutti quanti.
Phil obbedì, come gli altri.
Dave Greeley era fermo in cima alle scale. L’ufficiale dell’FBL aveva un’aria efficiente, di chi sa il fatto suo, anche se i suoi capelli sembravano ancora più grigi e la sua espressione ancora più preoccupata della notte prima.
Fece un breve cenno a Opperly e disse: — Scusatemi, dottore — poi abbassò il paralizzatore fra la doppia fila di persone addossate alle pareti e premette il grilletto. Ma i suoi nervi non dovevano essere saldi come Phil aveva creduto, perché il gatto non cadde a terra. Fu invece la signorina Ames a boccheggiare stupita. — La mia gamba… Non la sento più!
Greeley fece una smorfia e riaggiustò la mira, mentre dal tappeto vicino ai piedi della signorina Ames si sollevavano nuvolette di polvere. Ma nello stesso istante Phil avvertì l’onda d’oro che emanava da Lucky. Il viso di Greeley si fece rosso e le sue dita irrigidite lasciarono l’arma, come se una mano invisibile le stesse aprendo e la pistola cadde a terra.
In quel momento un’altra voce parlò alle loro spalle, languida e sprezzante: — Non muovetevi, signori, se non volete finir male.
Dalle scale era apparsa Dora Pannes. La biondo-viola era vestita con un semplice abito grigio, e una grossa borsa le pendeva da una spalla ma sembrava ancora più bella della notte prima. La sua mano delicata stringeva un grosso ortho.
Phil non si sentì minimamente spaventato, anche se un vago ricordo cercava di affacciarsi da un angolo della sua mente. Sapeva che lei non avrebbe potuto far del male a nessuno, finché Lucky era lì. Era molto più interessato alle reazioni degli altri.
Ma, tranne una sola eccezione, non ci furono reazioni di sorta.
L’eccezione fu da Silva. Il suo sguardo era fisso su Dora Pannes con famelica adorazione.
La bionda avanzò con fare deciso, senza neppure guardare da Silva. Mentre passava a fianco di Greeley, raccolse con un gesto fulmineo il paralizzatore, poi ne prese uno ancora più grosso da sotto la giacca dell’uomo, li infilò entrambi nella borsa, e continuò a camminare verso il gatto.
Adesso comincerà a sentirla, si disse Phil.
La bionda continuò ad avanzare. Lucky la osservava con aria indifferente, poi improvvisamente saltò sul davanzale della finestra con il pelo gonfio, le orecchie tese all’indietro, ed emise un lungo sibilo rabbioso.
Nell’istante seguente Phil sentì un terrore innominabile, quale non aveva mai provato prima, come se tutto il mondo stesse per essere stritolato in un solo istante, come se il buio fra le stelle stesse scendendo su di lui per strangolarlo. Confusamente, vide che anche gli altri erano impalliditi. Guardò terrorizzato Lucky, come se il gatto si fosse trasformato in un demonio, e vide Dora Pannes che freddamente allungava una mano per afferrarlo. Il gatto cercò di evitarla, ma lei fu più veloce. Allora le balzò dritto in faccia, con gli artigli tesi. Dora, calmissima, se lo staccò dal viso e lo mise nella borsa, la richiuse e tornò indietro. Era bella e composta come quando era apparsa dalle scale. Neppure una goccia di sangue era ancora scesa dai graffi.
Mentre gli passava di fianco, da Silva la guardò con espressione istupidita. Nei suoi occhi c’era ancora l’ombra del desiderio.
— Povero scemo — disse lei, poi sparì lungo le scale.
Phil sentì il cuore che batteva dieci, undici, dodici volte, come i rintocchi di un orologio, poi si lanciò giù per le scale, mentre qualcun altro correva dietro di lui.
Raggiunse la porta d’ingresso e balzò dai gradini in tempo per vedere un’auto nera allontanarsi rombando. Greeley era al suo fianco, e abbaiava ordini in una radiolina portatile. Dalla direzione opposta spuntò a gran velocità un’altra auto. Delle fiamme rosse sprizzarono da sotto i paraurti, mentre i retrorazzi la facevano fermare di fronte al cancello. Greeley si infilò sul sedile posteriore, e Phil lo seguì.
— Puoi ancora vederli — gridò Greeley all’autista. — Usa i razzi! — Poi si rivolse a Phil. — E voi chi siete?
— Phil Gish, di Radioluna America — rispose Phil incautamente, ma le ultime parole si persero nel rombo dei razzi.
L’altra macchina era almeno a cinque isolati di distanza quando erano partiti all’inseguimento. Mentre Phil si districava con difficoltà dal groviglio in cui l’aveva cacciato la brusca accelerata, notò che la distanza si era ridotta quasi a un isolato.
— Spegni i jet — ordinò Greeley. — Possiamo bloccarla col motore normale; ma sta’ attento che non ci sfugga. Potrebbero avere i razzi anche loro. Che posizione avete nel Progetto Micio, Phil?
— Sono una specie di osservatore speciale — improvvisò Phil, boccheggiando, e tenendosi aggrappato con due mani. — La mia sezione ritiene che il gatto verde potrebbe anche non essere pericoloso.
— Come? — chiese Greeley, scrutando davanti.
— Non l’avete sentito, alla Fondazione?
— Sentito cosa? — chiese Greeley, misurando la distanza sempre più corta fra i due veicoli. — Quel senso di terrore?
— No. Di pace, di compensione…
Ma proprio in quell’istante la macchina di fronte a loro rallentò leggermente e ne venne gettato fuori qualcosa di verde, che rotolò su se stesso una dozzina di volte, e poi sfrecciò verso un vicolo.
— Frena! — urlò Greeley, e Phil quasi venne rovesciato addosso all’uomo di fianco al guidatore mentre i retrorazzi entravano in azione e la parte posteriore della macchina si sollevava. Poi si accorse di essere rimasto solo nella macchina e si precipitò fuori.
— È un vicolo cieco. Non può uscire — stava dicendo Greeley. — Avanziamo affiancati. Gish, voi stategli dietro.
— Non fategli del male — avvertì Phil.
— Non ci pensiamo neanche! — gli gridò Greeley.
Ormai Phil li aveva raggiunti, e poteva vedere il gatto verde accucciato alla fine del vicolo, a sette o otto metri dalla linea degli uomini che avanzavano, pronto a difendersi.
La distanza si ridusse a tre metri. Il gatto scattò in avanti, procedendo di sbieco, prima da una parte poi dall’altra; infine si lanciò fra Greeley e l’uomo alla sua destra, dritto verso Phil che lo attendeva a braccia aperte.
— Lucky! — esclamò al colmo della felicità, sollevando il gatto.
Cinque artigli gli graffiarono dolorosamente il mento, mentre altri cinque affondavano nella pelle delle sue mani.
Guardò il piccolo musetto. A parte il colore, era quello di un normalissimo, anche se arrabbiatissimo, gatto. E si sentiva ancora l’odore della tintura.
— Ecco — disse calmo e porse l’animale a Greeley.
— Lucky? — gridò Greeley, mentre gli artigli graffiavano anche le sue mani. — È solo un gatto tinto, maledizione! L’avevano preparato prima, e l’hanno gettato fuori per trattenerci. Avanti! Prendilo tu, Simms, dobbiamo tenerlo, per maggior sicurezza.
Presumibilmente, fu Simms questa volta a provare le trafitture delle unghie del gatto. Gli uomini dell’FBL risalivano in macchina.
Ma Phil non li seguì. Non ne ebbe il cuore. Mentre i razzi rombavano ancora, restò lì nel vicolo, stanco e graffiato.