CAPITOLO SESTO

Una civiltà morente. Una terra invasa dalla paura. Un mondo crollato in un caos senza speranza davanti a un nemico che non può essere sconfitto…, pensò Rudy mentre girovagava tra le vie di Karst, su quell’acciottolato appena riscaldato dal freddo sole del pomeriggio. C’è troppa gente che viene dalle fogne, e la marea che entra ne porta sempre di più.

Se non fosse gremita fino alle soffitte, Karst sarebbe anche una bella città, rifletté Rudy. Cioè, se avessero un sistema di condutture ed uno di riscaldamento, oltre a strade fatte meglio, dove non si corra il rischio di slogarsi una caviglia…

La strada che il ragazzo stava percorrendo era relativamente affollata ed abbastanza silenziosa; dalla piazza della città conduceva fino ai boschi. Era pavimentata con ciottoli ruvidi che erano più alti e spessi ai bordi lungo i muri su entrambi i lati, e coperti da un luminoso muschio verde nel centro, attraverso il quale scorreva un sottile filo d’acqua argenteo che rifletteva il cielo.

Rudy aveva dormito male, in uno stanzino soffocante infestato da pulci, al terzo piano del Palazzo Comunale, ed aveva trascorso il resto della giornata e la maggior parte del pomeriggio a girovagare per Karst cercando di scroccare cibo ed acqua e di fare conoscenza con profughi, Guardie e qualche persona del seguito del Vescovo.

Camminando qua e là e chiacchierando con la gente, Rudy era giunto alla conclusione che, se Alwir non avesse promulgato al più presto un decreto per organizzare le cose, sarebbero morti tutti in breve tempo.

Il fatto era che c’era troppa gente: Gil e Ingold avevano ragione, qualsiasi cosa potesse obiettare il Cancelliere. Contrariamente alle affermazioni della maggior parte dei suoi insegnanti della scuola pubblica, Rudy non era affatto stupido: semplicemente non nutriva un grande affetto per il sistema scolastico.

La notte precedente aveva ascoltato attentamente quanto era avvenuto nel corso del Consiglio — d’altronde con così poco spazio a disposizione era difficile non origliare — ed aveva visto quello che stava accadendo in città. Aveva attraversato i boschi ed i campi, e si era reso conto della sporcizia, dell’immondizia accumulata e sopratutto della disorganizzazione. Fino a quel momento aveva assistito a sette litigi: tre per furti di cibo, due per furti d’acqua ed altri due che non avevano alcuna ragione. Aveva sentito predicatori da comizio ed oratori improvvisati che proponevano diverse soluzioni ai problemi di Karst, dal suicidio collettivo alla salvezza, ed aveva visto un vecchio lapidato da un gruppo di bambini perché qualcuno aveva lanciato contro di lui l’accusa di essere in combutta con il Buio… come se fosse possibile avvicinarsi ai Guerrieri del Buio per unirsi a loro!

Rudy avvertiva nettamente la tensione che regnava in città, come una sorta di corda tesa sul punto di spezzarsi, e si rendeva perfettamente conto di come quella terra stesse vivendo sull’incerto confine tra le legge e il disordine più completo. Le Guardie lasciate in città a cercare di mantenere un minimo di giustizia erano troppo poche e, sebbene non fosse mai stato molto portato ad avere simpatia per la polizia, questa volta non poteva non solidarizzare con quegli uomini: lui stesso non avrebbe mai voluto rimanere rinchiuso troppo a lungo in quel manicomio.

Il fumo dei fuochi accesi per cucinare aveva creato una densa nebbia, che in alcuni punti si alzava fino ai piani più alti delle case.

Rudy decise di fare ritorno in piazza, e le ombre sembrarono seguirlo muovendosi sulle pareti della piccola strada; il rumore delle voci nella piazza era ancora attutito dalle mura, e sembrava un mormorio insignificante, come il suono lontano delle campane delle chiese.

A dispetto della fame, della folla, della miseria, della minaccia di malattie, e della paura del Buio, Rudy si trovò stranamente in pace con la propria anima e con il mondo.

Oltre il muro alla sua destra sentì delle voci, quella di una donna e quella, più giovanile, di una ragazza. La donna si stava raccomandando.

«Non fargli mettere niente in bocca.»

La voce della ragazza, gentile e riservata, rispose:

«No, mamma.»

«E non farlo andare in giro a farsi male: tieni gli occhi aperti e sorveglialo, ragazza mia.»

Rudy riconobbe l’emblema sul cancello semiaperto di ferro arrugginito in una parte del muro: tre stelle nere che qualcuno gli aveva detto appartenere alla Casata di Bes, la stessa Casata del Cancelliere Alwir. Se questa era la villa di Alwir, allora le due donne stavano probabilmente parlando di Tir.

Al di là del passaggio nel muro, poté vedere un giardino semiavvizzito, bruno per il freddo e, aldilà ancora, la parete rocciosa di una terrazza che si trovava dietro l’imponente ombra grigia di una villa una volta splendida.

Aveva ragione: le due donne erano in piedi nella grande porta ad arco, e stavano stendendo a terra una stuoia di pelle d’orso sotto gli ultimi raggi del sole. La donna grassa, vestita di rosso, si stava muovendo con agitazione e gesti stizzosi, mentre l’esile ragazza vestita di bianco stava in piedi e teneva delicatamente in grembo un bambino.

La donna grassa continuò a brontolare.

«Vedi che non prenda freddo.»

«Si, Medda.»

«E non prendere freddo neppure tu!»

La voce della donna più anziana era fiera ed imponente. Si girò un attimo, poi entrò nell’ombra della porta e svanì.

Rudy oltrepassò il cancello e passò attraverso sentieri silenziosi ornati da brune siepi inaridite. Sopra il suo capo, gialli rami artritici tremavano nell’aria azzurrina.

Anche se moribondo per l’autunno incalzante, il giardino era ancora immacolato. Rudy si fermò al centro dei vialetti per orientarsi, e si chiese a chi fosse stato dato il compito di spuntare ogni giorno le siepi…

La ragazza che badava al bambino si era seduta su un angolo della pelle d’orso accanto al Principe. Alzò gli occhi e trasalì, non appena Rudy girò intorno alla balaustra avvicinandosi.

«Ciao», disse, timidamente.

Rudy le rivolse uno dei suoi sorrisi più affascinanti.

«Salve», disse. «Sono felice che lo abbiate portato qui. Temevo di dover chiedere il permesso ad ogni Guardia della casa per poter vedere come stava.»

La ragazza si rilassò e gli restituì il sorriso.

«Dovrei riportarlo dentro», si scusò, «ma probabilmente questo è uno degli ultimi giorni caldi che avremo.»

La sua voce era bassa e timida, e Rudy stimò che dovesse avere tra i diciotto e i venti anni.

«Caldo!?» Come la maggior parte dei Californiani, Rudy detestava il freddo. «Mi sono congelato a morte per tutto il pomeriggio. Cos’è che voi considerate freddo?»

Trasalendo, la ragazza scosse la lunga treccia nera che le scendeva sui fianchi, ed alzò verso di lui i suoi occhi di un profondo e luminoso blu scuro, simile al colore del Crater Lake in un pomeriggio estivo.

«Oh!», sorrise. «Tu sei il compagno di Ingold, quello che lo ha aiutato a salvare Tir.»

E in verità Tir si stava avvicinando intenzionalmente a Rudy, ma finì con l’ingarbugliarsi nella seta bianca e nera della sua veste. Rudy si sedette a gambe incrociate accanto alla ragazza e prese il bambino in braccio.

«Bene…», disse, un po’ imbarazzato da quello sguardo che esprimeva timore e gratitudine. «Mi ci sono trovato. Voglio dire: o venivo con lui o sarei morto. Suppongo di non aver avuto altra scelta…»

«Ma tu hai avuto la possibilità di stare con lui nella tua terra, non è vero?»

«Si», annuì. «Ma, credimi: se avessi saputo di cosa si trattava, starei ancora correndo.»

La ragazza rise.

«Un eroe tradito…», e lo canzonò gentilmente.

«Guarda che tu non sai…»

Rudy si liberò delle manine di Tir che cercava qualcosa nel suo colletto, e cercò in tasca le chiavi che immediatamente furono afferrate dal bambino il quale, tutto contento, cercò subito di mangiarle.

«Tu sai», continuò dopo alcuni minuti, «che quello che mi preoccupa di più è proprio la salute del bambino. È stato bene dal momento in cui Ingold lo portò via da Gae fino a quando lo abbiamo riportato qui… anche se temevamo che potesse subire uno scock. I bambini sono così fragili: sembra quasi che si possano rompere come un fiore o qualche animaletto…»

«Sono più resistenti di quanto si possa credere,» disse la ragazza sorridendo. «La razza umana si sarebbe estinta molto tempo fa se i bambini non fossero così resistenti. E spesso lo sono più dei loro genitori.»

Le sue dita giocherellavano con i riccioli neri e vellutati di Tir.

Rudy ricordò qualcosa di quanto era stato detto nella sala, e lo collegò con altre cose sentite durante la sua passeggiata.

«Come sta sua madre?», chiese. «Ho sentito che la Regina sta molto male. Guarirà?»

La ragazza esitò, ed il suo viso assunse un’espressione indefinita, forse di rabbia, forse di qualcos’altro, e strinse istintivamente i muscoli della mascella così che il suo profilo delicato si indurì.

«Dicono che la Regina si riprenderà,» rispose lentamente. «Ma io non so dirti se ciò sia vero. Dubito che possa mai ritornare quella di un tempo.»

La ragazza cambiò posizione sulla pellicca e spinse la sua lunga treccia dietro le spalle. Rudy si fermò prima di formulare un’altra domanda, chiedendosi invece in quali circostanze e come quella fanciulla fosse riuscita a fuggire da Gae.

«E la tua amica?» La ragazza con uno sforzo visibile cercò di cambiare argomento. «L’altra compagna di Ingold?»

«Gil?», rispose Rudy. «Credo che sia andata con le Guardie a Gae questa mattina. Questo è quanto ho saputo… Io non mi avvicinerei a quella città a meno di cento miglia!»

«Adesso sei a meno di dieci miglia…», disse la ragazza, osservando Rudy pacatamente.

Il giovane scosse le spalle.

«Certo! Ma posso dirti fin d’ora che, prima del tramonto, sarò abbastanza lontano. Cibo o no, bisogna essere pazzi per tornare là.»

«Non lo so,» disse la ragazza. «Dicono che le Guardie sono pazze, e si deve essere pazzi per essere Guardie. Io ci credo. Anch’io non tornerei là per tutto l’oro del mondo, ma le Guardie sono speciali. È il corpo militare più addestrato dell’Ovest del mondo. Tutta la loro vita è dedicata al combattimento. Per loro non esiste altro… Io non lo capisco, e forse nessun altro può capirlo… soltanto un’altra Guardia.»

Lo capirebbero i giocatori di calcio professionisti, pensò Rudy, e forse anche i più profondi conoscitori di arti marziali… Ricordò alcune cinture nere di karaté che conosceva. Poi, ad alta voce, disse:

«Dio aiuta tutti, ed anche tutto ciò che un simile gruppo di persone fa. Anche Ingold, che è con loro.»

«Oh…», mormorò la ragazza.

«Conosci Ingold?»

«Veramente no. Ma l’ho incontrato…», si accigliò un poco. «A dir la verità, ho un po’ paura di lui. Si dice che sia infido e pericoloso, e forse lo è, nonostante la sua aria così… così innocua. È naturale per un Mago… c’è anche chi dice che i Maghi siano gli agenti del Male.»

«Un agente del Male, Ingold?»

Rudy rimase di stucco a quelle parole. Non c’era una persona della quale avrebbe potuto fidarsi di più.

«Forse hai ragione.» La giovane esitò, continuando a giocherellare con la punta della sua treccia mentre Tir, dimenticando le chiavi, cercava di afferrarla. «La Chiesa però ci insegna che il Diavolo è il Signore delle Illusioni, il Principe degli Specchi. E le illusioni sono i ferri del mestiere per i Maghi: barattano la loro anima per il Potere, quando decidono di recarsi a Quo per imparare. Il Consiglio dei Maghi inoltre non deve lealtà a nessuno, e nessuno può controllare ciò che fanno o che possono fare.»

Questo è quello che crede il Vescovo, pensò Rudy, e adesso riesco a comprendere il perché di quello sguardo cupo e spaventoso che rivolse a Ingold durante quel frettoloso Consiglio della notte scorsa. È sicuramente una cacciatrice di streghe…

La ragazza continuò.

«Naturalmente Ingold era anche amico e consigliere del… del Re…»

C’era un tono strano nella sua voce, e Rudy alzò velocemente il capo verso di lei mentre pensava che cosa legasse Re Eldor alla bambinaia di suo figlio.

«Ingold aveva i suoi scopi,» continuò ancora la ragazza con quel suo tono di voce sottile. «Se ha salvato Tir è stato per la sua memoria ereditaria, per i ricordi dei Re di Darwath, il bagaglio di conoscenze che potremo un giorno usare contro il Buio… Non l’ha fatto soltanto perché Tir era un bambino indifeso e in pericolo…»

I suoi occhi erano ora puntati sul bambino che in quel momento stava strofinando il viso contro la morbida pelle d’orso e, mentre pronunciava quell’ultima frase, la sua voce tremò.

È veramente affezionata al bambino e si preoccupa per lui, pensò Rudy improvvisamente. Forse è perché le Regine non si occupano direttamente dei propri figli ed è stata lei probabilmente ad allevare il piccolo Principe. Lei non lo vede come erede al Trono, come il futuro Re di Darwath, ma soltanto come un bambino che ama, così come io voglio bene al mio fratellino più piccolo…

Quest’idea fece immediatamente cambiare l’opinione che Rudy si stava facendo della ragazza.

«Credi veramente a tutte queste storie?», chiese con calma.

La ragazza non rispose né lo guardò.

«Se ci pensi bene, non ha fatto altro che il suo lavoro. Se Ingold era un Mago consigliere, era suo compito fare simili cose… Penso che tu abbia torto nel giudicarlo male.»

Per un po’ lei rimase in silenzio e, tutt’intorno, il giardino sembrò improvvisamente cadere in balia di una strana pace. Il sole era stato nascosto da un bianco velo di nuvole sopra le vette occidentali e l’ombra blu della villa metteva in risalto le crepe del pavimento della terrazza, avanzando come quella di una meridiana.

Osservando l’austero mosaico grigio e marrone del manto erboso del giardino che si andava coprendo di brina, Rudy avvertì quel senso di pace che si andava impadronendo del suo spirito, e si sentì imprigionare da quella bellezza semplice eppure mozzafiato. Era un silenzio fatto di pietre antiche e di lenta luce solare, qualcosa visto tanto tempo prima, come il ricordo perso di qualcosa che non fosse mai esistito… qualcosa come i riflessi di un tramonto sull’acqua cheta di qualche lago, un’acqua limpida che rimandava le immagini come fosse di cristallo. Ogni pallida pietra della terrazza, ogni filo d’erba, sembravano trasformarsi in quella atmosfera dorata quasi volessero preservare quella luminosità magica come fosse l’eco morente di una musica arcana.

Era un mondo che appena ieri era sconosciuto e che domani non avrebbe più visto… ma, in quel momento, sembrava non avesse fatto altro che aspettarlo per riservargli quelle splendide, fatate immagini…

«Alde!»

Una voce acuta spezzò quella pace argentea, e la ragazza si girò rapidamente, spaventata quasi fosse stata un bambino colto con le mani nel vaso della marmellata.

La donna grassa, vestita di rosso, era in piedi sulla soglia, i pugni stretti sulle ampie anche e la faccia imporporata dalla rabbia e dall’indignazione.

Rudy si alzò in piedi di scatto non appena la donna si mise a urlare.

«Seduta sul pavimento freddo! Vi prenderete un malanno! E per giunta con la Piccola Maestà!» Quindi cominciò ad agitarsi e brontolare come fosse una chioccia con il suo pulcino. «Porta subito dentro il bambino e rientra anche tu! L’aria si sta facendo gelida!»

Per quanto si agitasse come una forsennata e sprecasse tutta quella preoccupazione, Rudy si rese conto che il vero problema era costituito dalla sua presenza: Alde stava perdendo tempo a parlare con uno straniero invece di badare al bambino come avrebbe dovuto fare. La ragazza ammiccò verso di lui e Rudy, galantemente, si inchinò per piegare la pelle d’orso, consegnandogliela anche se sembrava pesare una tonnellata.

«Cosa pensa che voglia fare? Rapirlo?», chiese in un sussurro, appena la vecchia nurse rientrò ancheggiando in casa, con il bambino tra le braccia.

Alde sorrise.

«È soltanto preoccupata», spiegò, mentre raccoglieva le chiavi della motocicletta che erano cadute a terra, e le asciugava con un lembo della gonna mettendosele in tasca.

«Fa sempre così?», chiese Rudy. «Per un istante ho pensato che sarebbe venuta a sculacciarti.»

Il sorriso di Alde si fece più caldo e la ragazza abbassò timidamente il capo.

«Medda pensa a Tir come ad un suo figlio. Nessuno si preoccupa più di lei del Principe, forse neanche sua madre.»

Anche Rudy sorrise.

«Capisco. Mia zia Felicia fa lo stesso: a sentirla parlare con mia madre, non potresti credere che ha allevato sette figli da sola… ma glielo lasciamo fare.»

«Certamente non puoi cambiare delle dorme così», convenne Alda. «Dalla a me la stuoia. Posso portarla io. Medda sverrebbe se tu entrassi. Sa bene quali sono gli ordini della Casa di Bes… lascia pure, l’ho presa…»

Rimasero in silenzio, l’uno davanti all’altra, le braccia che si toccavano sotto la vecchia pelliccia rossa rosicchiata dalle tarme.

«Ti chiami Alde?», chiese Rudy.

La giovane annuì.

«È il diminutivo di Minalde…», spiegò. «Qualcuno mi ha detto il tuo. Se…»

«Alde!»

L’urlo di Medda giunse potente dall’interno della villa.

«Abbi cura di te,» sussurrò Rudy. «E del bambino…»

Alde sorrise e abbassò il capo come a nascondere un sorriso.

«… Anche tu…»

Poi si girò, e corse verso le grandi porte con gli artigli della pelle d’orso che tintinnavano strisciando sul pavimento levigato.

Il cielo sulla testa di Rudy aveva da tempo perso il pallore del giorno. Il sole era già sceso dietro le montagne, e il crepuscolo era apparso. Nonostante la bellezza dei colori e la pace di quel pomeriggio, Rudy non aveva intenzione di trascorrere un’altra notte su quel mondo. Oltretutto aveva una fame terribile, e la cosa più difficile da trovare in quella città era proprio il cibo.

Attraversò il giardino e si avviò verso il cancello arrugginito. La strada era quasi del tutto buia, anche se il cielo conservava ancora qualche chiarore del giorno, quasi fosse all’interno di un canyon. Rudy continuò a camminare preparandosi a cercare Ingold dovunque fosse, e pregustando già l’idea di tornare a casa sua.

«Rudy!»

Si girò, e si trovò davanti Gil che gli si era quasi materializzata accanto sbucando dall’oscurità, in compagnia, tra l’altro, di un giovane alto con una bianca treccia da vichingo, che indossava l’ormai familiare uniforme delle Guardie della Città.

Si accorse che Gil aveva rubacchiato un mantello da qualche parte e che portava una spada legata con uno spago ai suoi Levi’s. Quella strana bardatura lo fece ridere: la ragazza che aveva davanti era molto diversa dalla studentessa spocchiosa dell’altro pomeriggio…

«Dov’è Ingold?», chiese, non appena i due gli furono vicini.

Gil rispose seccamente.

«L’hanno preso.»

«Preso?» Per un attimo Rudy la fissò, perplesso. «Vuoi dire arrestato?»

«L’ho visto con i miei occhi», replicò Gil.

Ora che erano più vicini, Rudy si accorse che la ragazza era esausta, tesa, con gli occhi grigio-blu cerchiati di rosso che spiccavano sulla pelle cerea del volto.

Non si addice alla sua bellezza…, pensò. C’era però anche un accenno di durezza in quegli occhi che in quel momento non si sentiva di condividere.

Gil continuò.

«Un gruppo di soldati è comparso e lo ha circondato portandolo sulle scale del Palazzo Comunale mentre le Guardie erano occupate a scaricare i rifornimenti.»

«E lui non ha protestato? È andato con loro così, senza fare niente?», rispose Rudy esterefatto e incredulo.

L’uomo che accompagnava Gil annuì.

«Sapeva che doveva andare o combattere. Se avesse scelto quest’ultima strada, ci sarebbe stata certamente una rivolta.»

Lo scenario prese lentamente forma nella mente di Rudy: le Guardie avrebbero certamente appoggiato Ingold e sarebbero corse ad aiutarlo. La gente nella piazza si sarebbe lanciata sul cibo. Tutta la violenza accumulata in quei giorni si sarebbe scatenata, e l’intera città sarebbe esplosa come una polveriera! Lui era abbastanza abituato alle risse nello Shamrock Bar di Fontana per sapere come andassero quelle faccende. Quello che andava bene per una città mineraria il venerdì notte, qui si sarebbe trasformato in una tragedia con morti e feriti, disperazione, furia; una tempesta che avrebbe travolto l’intera città risucchiandola in sé!

Strinse i pugni e si rivolse ai due davanti a lui. La sua voce era venata da una profonda amarezza.

«Certamente sapevano con chi avevano a che fare. Chi è stato ad imprigionarlo? Lo sai?»

«Le truppe della Chiesa sembrerebbe. Almeno da come le ha descritte Gil…», rispose il Falcone di Ghiaccio. «I Monaci Rossi, uomini del Vescovo… ma avrebbero potuto agire per ordine di chiunque…»

«Chi altro?» Lo sguardo di Rudy scivolò da Gil al Falcone di Ghiaccio, mentre le ombre della strada sembrarono addensarsi intorno a loro. «… Alwir! Certo! L’altra notte non era riuscito a buttarlo fuori dal Consiglio…»

«Alwir è sempre stato invidioso del potere di Ingold sul Re», commentò pensosamente la Guardia.

«… Ed anche i suoi uomini sono vestiti di rosso,» aggiunse Gil.

Il Falcone di Ghiaccio scosse le spalle.

«Il Vescovo del resto non ha mai gradito la presenza di un “agente” di Satana così vicino al Trono.»

«Un che?», chiese Gil con voce alterata dalla rabbia, e Rudy provvide a spiegarle ciò che la Chiesa locale pensava della Magia. Il commento della ragazza non fu certamente né da studentessa né da figliola di buona famiglia.

«Il Vescovo è radicato nelle sue idee,» rispose il Falcone di Ghiaccio con la sua voce dolce e tranquilla e con un tono incolore quanto i suoi occhi. «Oh… certamente anche la Regina avrebbe potuto ordinare il suo arresto. A detta di tutti, non ha mai avuto fiducia in Ingold.»

«Sarebbe stato possibile, se non fosse per il fatto che la Regina è chiusa nella Sezione Otto — il manicomio per intenderci — in questi giorni,» intervenne Rudy duramente. «E comunque, chiunque sia ad averlo catturato, dobbiamo assolutamente trovare dove lo tengono, se non vogliamo trascorrere un’altra notte qui.»

«Per non dire i prossimi cinquant’anni… se decidono di murarlo in qualche cella dimenticata…», aggiunse Gil con la voce che le tremava per la preoccupazione.

«Proprio così!», assentì Rudy. «Anche se, personalmente, non vorrei essere l’uomo che si dovrà prendere la briga di liberarsi di Ingold per sempre.»

«Aspettate!», si intromise il Falcone di Ghiaccio. «Karst non è una grande città. Lo avranno certamente portato nella prigione del Palazzo Comunale o nelle cantine della villa di Alwir… o da qualche altra parte nella residenza estiva del Vescovo! Se ci dividiamo, non passerà un’ora che l’avremo trovato: poi voi potrete fare ciò che credete meglio.»

La voce dell’uomo mutò impercettibilmente di tono, ed anche quell’insignificante cambiamento fece tendere i nervi già scossi di Rudy; il ragazzo presentì una minaccia, ma gli imperscrutabili occhi del Falcone di Ghiaccio, chiari come nebbia, lo sfidarono a rivelare quel pericolo sconosciuto.

Alde gli aveva detto che le Guardie erano pazze, ma Rudy non riusciva a credere che lo fossero al punto da far evadere un Mago sotto il naso di tutte le forze schierate in quella sorta di gioco politico. Esse erano certamente alleate di Ingold e, se la sua impressione non era sbagliata, ora lo erano anche di Gil. Rudy si chiese se valesse la pena di immischiarsi anche in quest’ultima storia, ma capì pure di non avere molte scelte a disposizione: doveva cercare di realizzare un’evasione quella stessa notte, oppure rassegnarsi a passare chissà quante altre notti sotto quel cielo straniero!

«Va bene,» disse con tutta l’allegria che poteva racimolare in quella circostanza. «Incontratevi al Palazzo Comunale tra un’ora.»

I due si allontanarono senza attendere altro, mentre Rudy cominciava a tornare sui suoi passi dirigendosi verso la casa di Alwir e ripetendosi di continuo il modo col quale avrebbe potuto conquistarsi la fiducia di Alde e — cosa più importante — quella di Medda, per cercare di penetrare all’interno della casa.

Gil e il Falcone di Ghiaccio scelsero un’altra direzione, tenendosi istintivamente accostati alle mura delle case e facendosi guidare dal riflesso rosso dei fuochi nella piazza della città. La notte era particolarmente buia e Gil provò una sorta di gelida paura sentendosi in trappola in quella strada stretta e circondata dalle alte mura dei palazzi. Il mantello e la spada le si infilavano tra le gambe facendola incespicare di continuo, mentre avanzava tentando di mantenere il passo veloce del giovane davanti a lei.

Giunti a poca distanza dalla folla raggruppata intorno ai falò della piazza, il Falcone di Ghiaccio si fermò, ed alzò la testa per ascoltare qualcosa, neanche fosse veramente simile all’animale del quale portava il nome.

«Lo senti?»

La sua voce fu appena un bisbiglio nell’oscurità, ed il suo viso ed i capelli bianchi spiccarono come una macchia orlata dal riflesso ondeggiante delle fiamme lontane.

Anche Gil si fermò ad ascoltare la fredda calma della notte. Il vento che portava con sé il profumo dei pini dei boschi, spingeva i rumori oltre la città. Erano lontani, trasformati dalla distanza, ma inequivocabili. Da quell’oscurità che circondava le mura di Karst, il vento accompagnava il suono delle urla.

I Guerrieri del Buio erano arrivati a Karst!

Non si trattò di una vera e propria battaglia, quanto di infinite azioni di retroguardia condotte nei boschi infestati da compagnie di Guardie, truppe della Chiesa e da qualche mercenario al soldo delle famiglie nobili e di quelle dei proprietari terrieri. Qualche pattuglia uscì dalla luminosa fortezza centrale della piazza e riuscì a riportare al riparo gruppi di profughi terrorizzati, i dispersi che erano sopravvissuti a quel primo, violento assalto.

Gil, che si era trovata — spada in mano — a lottare insieme al Falcone di Ghiaccio, ricordò il primo incubo che l’aveva condotta a Gae, e continuò a chiedersi in un angolo della mente se lo avesse ritenuto veramente spaventoso. Allora sapeva esattamente dove fosse il pericolo; a Gae c’erano la luce delle torce, le pareti delle case, la gente. Qui invece l’incubo si insinuava silenziosamente attraverso i boschi, apparendo e scomparendo in una sorta di gioco perverso.

Non c’era mai un preavviso, soltanto una vasta oscurità fluttuante che si abbatteva improvvisa sulle torce tra un battito e l’altro delle palpebre. Allora si spalancavano soffici bocche, come grandi veli setosi orlati di acido, mentre comparivano artigli pronti a lacerare e ad uccidere. Le vittime erano soltanto una pila di ossa spolpate e rosse di sangue tra i frammenti di un falò ancora mezzo acceso. Una madre giaceva distesa sul corpo del figlio mentre, a pochi passi di distanza, un’altra donna, forse ancora una madre, rimaneva in ginocchio, le labbra spalancate in un grido silenzioso, gli occhi sbarrati a fissare un orrore che non lasciava speranze.

Gil si sentì insensibile a quelle scene; non provava nessun senso di paura e neppure si sentiva travolgere dalla nausea alla vista dei cadaveri straziati. Piuttosto si sentiva pervadere da una rabbia gelida, quasi fosse diventata un felino pronto ad uccidere senza alcun timore o rimorso.

In quei primi minuti di caos, la ragazza ed il Falcone di Ghiaccio tornarono velocemente sui loro passi verso la Corte delle Guardie.

Vi trovarono una gran confusione di uomini che si armavano, compagnie che si andavano formando, e la voce squillante di Janus che riusciva a raggiungere tutti anche attraverso quella barriera di suoni, chiedendo volontari.

Poiché Gil era in possesso di una spada, fu afferrata da qualcuno e sbattuta senza tanti complimenti in una delle compagnie e, in poco tempo, si trovò, ancor prima di aver potuto dire una parola, fuori delle mura insieme a pochi compagni, armati di qualche spada e delle loro torce, a combattere contro l’Oscurità.

Si trovò, senza neanche sapere come, in testa alla pattuglia e, solo allora, riuscì a voltarsi ed a gridare all’indirizzo del Falcone di Ghiaccio:

«Io non so affatto come usare una spada!»

L’uomo le gettò un’occhiata gelida.

«Allora non dovresti portarne una,» rispose.

Qualcun altro le poggiò una mano sulla spalla e la tirò indietro. Era Seya, la donna che aveva incontrato quella mattina accanto ai carri.

«Mira al centro del corpo», spiegò velocemente a Gil. «Colpisci diritto o, se non ci riesci, usa il taglio della spada. C’è un fermo accanto all’impugnatura, vedi? Comunque tieni l’elsa con entrambi le mani… No, non così: ti romperesti subito i pollici. Cerca sempre di avvicinarti per uccidere, soprattutto a chi è più grande di te, e quelle creature lo saranno di sicuro! Hai capito? Il resto verrà da sé più tardi: per adesso cerca di rimanere nel centro del gruppo, e non andarti a cacciare in situazioni che non sei sicura di poter affrontare!»

Parola d’ordine per questa notte… pensò Gil contrariata.

Fu però ugualmente sorprendente — quando la massa scura e ribollente si riversò fuori dell’oscurità nebbiosa tra gli alberi — quanto riuscì a ricordare di quella frettolosa ed improvvisata lezione. Imparò immediatamente il primo principio di ogni disciplina marziale: sopravvivere o non sopravvivere ad uno scontro, era l’unico risultato che contasse in qualsiasi sistema o tecnica!

In un certo senso le sembrò tutto facile, perché quei corpi nebulosi offrivano scarsa resistenza al metallo affilato. Era un gioco nel quale la velocità e la precisione contavano più della forza: i Guerrieri del Buio si muovevano veloci, e bisognava batterli proprio sul loro terreno.

Quello che Seya aveva dimenticato di dirle era che quelle creature emanavano un terribile fetore di sangue marcio. Né le aveva descritto il modo con il quale ogni pezzo tagliato cominciava a spargere intorno sangue umano ed un liquido nerastro, prima di disintegrarsi.

Gil si trovò quasi a suo agio in quel pandemonio di alberi scuri, fuoco, morte e fuga.

Capì anche che provava meno paura nell’attaccare che nel difendersi e che, per quanto sonno avesse potuto avere nelle ultime quarantotto ore, riusciva a superare ogni stanchezza quando lottava per la pura e semplice sopravvivenza.

Gil lottò fianco a fianco con le Guardie di Gae e con i cenciosi volontari che li accompagnavano coperti di tuniche grezze.

Corse attraverso la notte, seguendo sempre la scia dei soldati che la precedevano, e con loro camminò nei boschi come in compagnia di un branco di lupi, radunando i fuggitivi che incontravano qua e là perduti e terrorizzati, per riportarli indietro verso Karst.

Si sentì pervadere dalla gelida elettricità della lotta, che le fece perdere la cognizione di quanto stesse accadendo, allontanando da lei stanchezza e paura.

Intanto, la dozzina di guerrieri della compagnia del Falcone di Ghiaccio, aveva già riunito quasi cinquanta profughi. Questi se ne stavano stretti in un cordone irregolare, e qualcuno di loro — quelli che potevano farlo — impugnavano delle torce. Molti degli altri non volevano rinunciare ai loro averi e continuavano a tenere stretti il denaro e il cibo; una trentina di donne aveva anche dei bambini in braccio.

Per la terza volta in quella notte, fecero ritorno in città. I boschi ed il cielo erano completamente scuri, ed i rami degli alberi sbattevano al vento come ali di corvo. Tutt’intorno continuavano ad echeggiare grida e lamenti: sembrava quasi una scena dantesca illuminata com’era dalla luce sobbalzante e incerta delle torce!

Qualcuno alle spalle di Gil gridò.

Alzando gli occhi, la ragazza scorse il Buio che si materializzava nell’aria nera come inchiostro… ali gocciolanti una bava nerastra e mortifera e code uncinate che frustavano tutt’intorno…

Si fermò.

La sua spada sibilò non appena la impugnò, e fu appena conscia della presenza di Seya alla sua destra e di qualcun altro dall’altra parte.

Poi non ci fu altro che oscurità, vento, fuoco, colpi ciechi. I fuggitivi dietro di lei cercarono di riunirsi come pecore al macello mentre i bambini gridavano e gli uomini piangevano senza ritegno.

Un velo lacerato di qualche misteriosa materia scivolò sul terreno, e Gil scorse la sagoma alla sua sinistra piegarsi goffamente sulle ginocchia, disseccata, bianca come un panno lavato, intrisa di sangue che già si andava raggrumando, mentre un Guerriero del Buio si scagliava su di lei come una gigantesca bolla volante floscia e viscida.

Altre onde di oscurità furono generate dai boschi.

Il Falcone di Ghiaccio trasformò la sua voce bassa in un grido penetrante.

«Questo sarà il nostro ultimo viaggio, fratelli e sorelle! Ce ne sono sempre di più e, se vogliamo salvarci, dobbiamo raggiungere la città!»

In quell’attimo di tregua, intanto che i Guerrieri del Buio si riunivano in uno stormo terribile sopra il loro capo, si udì la voce di una Guardia osservare aspramente:

«Raggiungere quella città? Quella stia per polli, senza muri?»

«È l’unico rifugio che abbiamo. Ora correte!»

Corsero tutti. Corsero inseguiti da quell’incubo nero. Corsero con il vento che soffiava su di loro come il respiro di un mostruoso essere sepolto in qualche indicibile abisso. Corsero insieme ad un sogno orrendo fatto di boschi, di oscurità, di forme sinuose appena intraviste, di fiamme, di un terrore che non lasciava tregua.

Corsero verso il rifugio di Karst, ed i Guerrieri del Buio li inseguirono…

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