CAPITOLO DECIMO

Era passato molto tempo da quando aveva visto un film intitolato «I Dieci Comandamenti» che, tra le altre cose, conteneva una scena memorabile nella quale i Figli di Israele fuggivano dalla terra d’Egitto. Ma Rudy ne conservava ancora un buon ricordo: ad un certo punto del film, Charlton Heston aveva alzato il suo bastone, e la sua gente si era trovata pronta a partire. L’intera fuga era durata meno di tre minuti di pellicola. Capre, vecchi, bambini e tutto il resto: sulle strade di Tebe non era rimasto nulla, né una carta straccia né un escremento di cane.

Karst invece era in agitazione da molte ore prima dell’alba. Rudy, stando accanto al carro con il contrassegno delle Guardie destinato a trasportare le vettovaglie della milizia, aveva una buona visuale della piazza, ed ebbe l’impressione che non si sarebbe riusciti a partire prima di mezzogiorno, se non dopo.

Iniziò di nuovo a piovere, come se ce ne fosse bisogno, e il terreno diventò simile ad una farinata. Le ruote dei carri si impantanavano, e la gente correva dappertutto senza uno scopo preciso, agitando la melma ad ogni passo. Il fango e la pioggia coprivano tutto, Rudy si ritrovò con il mantello infangato e zuppo così come erano impiastricciati gli sparuti gruppetti di profughi dallo sguardo depresso che il giovane vedeva passare instancabilmente. Anche Alwir, splendido ed elegante all’inizio, cominciò lentamente a diventare una figura simile a tutte le altre, logora e sporca.

A metà della mattina, la piazza era invasa da una totale confusione di persone, merci e mezzi di trasporto. I bambini si allontanavano dai loro genitori e si perdevano; i maiali che riuscivano a fuggire dovevano ugualmente essere inseguiti nel dedalo di carri, bestie ed averi personali, creando ulteriore scompiglio ed agitazione. Le famiglie ed i gruppi più numerosi, così come le famiglie dei Nobili minori, erano impegnate in riunioni dell’ultim’ora per risolvere qualche problema. Allora si creava un vero marasma di bestemmie, braccia agitate, discussioni sul miglior partito da prendere: se andare a nord nel Torrione di Lord Harl Kinghead, a sud verso le montagne seguendo Alwir ed il Consiglio dei Reggenti, oppure oltrepassare il Sarda Pass verso Gettlesand rischiando la minaccia dei Razziatori Bianchi nei Torrioni di Lord Tomec Tirkenson.

Rudy riuscì anche a scorgere quest’ultimo, che svettava sulla folla, sfregiato, brutto, e che era impegnato a maledire i suoi uomini con un vocabolario di imprecazioni che avrebbe fatto rizzare i capelli ad uno scaricatore di porto.

Rudy si era preparato ad abbandonare la città al primo ordine di sgombero. Dai resti delle vettovaglie degli scomparsi aveva raccolto una serie di vestiti asciutti — una tunica marrone, una camicia, dei calzoni, stivali, un mantello con cappuccio più grande di almeno una misura, ed un paio di guanti a maglie metalliche con applicazioni in oro e smeraldi. I suoi abiti californiani erano però stati ordinatamente riposti nel suo fagotto e facevano compagnia all’attrezzatura da barba che aveva rubacchiato, come tutte le altre cose, a quelli che non erano sopravvissuti all’attacco del Buio a Karst, al suo coltello da caccia fabbricato in America, ad un cucchiaio di osso e ad un grande pettine di plastica blu. A bilanciare il fagotto, c’era il peso, insolito per Rudy, di una spada che portava appesa al fianco.

Il ragazzo, con le spalle appoggiate all’alta ruota del carro, tremando di freddo per il vento che portava nuova pioggia e piegava le cime più alte degli alberi scuri che si scorgevano oltre i neri tetti della città, osservava l’enorme confusione davanti a lui. La gente, impiastricciata di fango, si dava da fare per conquistare anche un solo centimetro di spazio in più su un carro, legava piccoli fardelli sulla schiena dei muli o cercava di sistemarli su rozze carriole, e continuava intanto a discutere di ciò che doveva portare con sé o lasciare per sempre.

Guardando quell’umanità confusa, Rudy, con la pelle del volto screpolata dal soffiare incessante del vento, ricordò improvvisamente la California con un distacco simile a qualcuno che ascolti una storia narrata da qualcun altro.

«Là!»

La voce fredda e rauca del Falcone di Ghiaccio lo strappò da quella contemplazione. Si voltò, e scorse il Capitano che stava indicando a Gil la piccola fila di carri che stavano uscendo dal palazzo del Vescovo accanto alla chiesa sull’altro lato della piazza. Alcuni monaci vestiti di rosso stavano terminando di caricarne due con ceste che erano certamente piene di materiale molto pesante sotto i comandi imperiosi ed arroganti dello stesso Vescovo.

«Lo trovo tipico», disse la Guardia. «Affermano di lavorare per la salvezza delle anime, ma il loro unico compito è quello di raccogliere decime, e di tenere la registrazione dei loro crediti, di chi nasce e di chi muore, di chi è stato battezzato, di chi è venuto a confessarsi… quasi stessero facendo una semplice conta di denaro! Anche adesso che stanno fuggendo per salvarsi la vita, si caricano di carte piuttosto che di viveri che potrebbero essere utili a tutti.»

«Loro?…», fece eco Gil lanciando un’occhiata incuriosita all’alto giovane con le lunghe trecce bianche che gli cadevano sulle spalle, lucide di pioggia. «Non sei credente?»

L’uomo rispose con uno sbuffo sdegnoso.

Oltre i carri della Chiesa, la famiglia di Alwir ed i resti dei governanti del Regno si stavano ordinatamente preparando e stavano scendendo dalle scale del palazzo del Municipio. Rudy scorse Alde seduta di fronte ad uno dei carri. La Regina, avvolta in una folta pelliccia scura, guardava attraverso le ombre del pesante cappuccio; in grembo cullava un gran fagotto di coperte anch’esse scure, nel quale qualcosa si agitava. Pur non scorgendo il faccino roseo e sorridente del Principe, Rudy capì che si trattava di Tir.

Medda, con il viso gonfio dal pianto, si arrampicò per prendere posto accanto alla sua Signora. In quel momento, Alde girò il capo scrutando la folla: nell’immensa confusione, riuscì ugualmente ad incontrare lo sguardo di Rudy, e tornò immediatamente a girarsi quasi avesse vergogna di essere stata scoperta a cercarlo.

Alle sue spalle, Bektis stava salendo su un altro carro; il suo viso aguzzo era incorniciato da un grande e prezioso collo di pelliccia di martora, mentre osservava altezzosamente la folla riunita nella piazza al di sotto del suo nobile naso…

Qualcuno urlò degli ordini: era la voce dura e decisa del Comandante Janus che si elevò sopra il picchiettio costante della pioggia ed il chiasso delle discussioni e dei preparativi.

Alwir comparve da dietro l’angolo del Palazzo Municipale. Montava una giumenta saura dalle zampe esili. Il suo mantello sventolò come una bandiera non appena si chinò per impartire le ultime istruzioni a qualcuno vicino ai carri.

Le Guardie si muovevano in file ordinate: una doppia fila di uomini cenciosi e coperti da divise rattoppate circondavano entrambi i lati dei carri del Cancelliere.

Come una pentola d’acqua giunge alla fine della bollitura, così la folla nella piazza — gruppi isolati, famiglie, uomini soli — afferrò le proprie cose e cercò, sgomitando, un posto vicino a quella fila di uomini armati per ottenere subito, in caso di bisogno, un po’ di protezione. Coloro che si erano attardati, si affrettarono a radunare le loro cenciose suppellettili per cercare di raggiungere quel gruppo: qualunque fosse la loro destinazione, il Nord, Gettlesand o Renweth, lo stare accanto ad un convoglio armato era preferibile al percorrere quel cammino isolati e senza nessuna speranza di una difesa contro i più che probabili pericoli che li attendevano.

Rudy fu sorpreso dal numero dei profughi una volta raggiunta la strada. Era una sorta di organismo vivente che si muoveva autonomamente, quasi senza ordini, una vasta accozzaglia di carri per i viveri, per trasportare la mobilia del Cancelliere o per i documenti del Governo, capi di bestiame e, qua e là, cavalli bradi che i più fortunati sarebbero riusciti ad accaparrarsi per poterli cavalcare fino a Renweth. Insieme a tutto questo c’era anche una folla di servi umani e i pochi doic rimasti a qualche famiglia benestante che era riuscita a trascinarli via.

Le famiglie si erano perlopiù accodate ai carri Reali; portavano con loro stie piene di polli ed un branco confuso di cani vocianti che badavano in qualche modo a piccoli greggi di pecore ed a qualche maiale isolato. Era sorprendente quanti di questi gruppi fossero riusciti a rimanere uniti nella confusione pazzesca delle ultime settimane, anche se molti di essi erano stati decimati da malattie e dall’attacco dei Guerrieri del Buio.

I padri e le madri si erano caricati degli involti più pesanti, ed i ragazzi più grandi invece si incaricavano di badare ai bambini piccoli, mentre qualcuno di loro guidava il poco bestiame sopravvissuto o comprato. Non mancavano neanche i vecchi — qualcuno, con grande stupore di Rudy, aveva raggiunto una venerabile età —, ma forse questi sarebbero stati i primi a cadere, incapaci di correre abbastanza per sfuggire al Buio. Essi erano comunque là, appoggiati ai loro bastoni o affidandosi alle spalle robuste dei loro nipoti e pronipoti, chiacchierando tra di loro con una calma simile a quella di chi ha cessato di sorprendersi degli scherzi del destino.

Appena uscita da Karst, quella folla vociante e male in arnese passò accanto a numerose famiglie che stavano ancora caricando i loro averi sulle schiene di somari o di carretti trascinati da cani. Queste cercavano di sistemare le ultime cose essenziali, discutendo ed osservando con occhi apprensivi il convoglio che sfilava loro accanto oltre la cortina grigiastra della pioggia.

Con ogni probabilità, secondo quanto sembrò a Rudy, la gente avrebbe impiegato l’intera giornata per lasciare Karst.

Un vecchio inzaccherato con un fagotto malandato ed un robusto bastone, cadde davanti a Rudy mentre stavano raggiungendo gli ultimi sobborghi della città. Il sentiero in quel punto scendeva ripido ed era coperto da un manto di fanghiglia e di sterco scivoloso. Lo stesso Rudy riuscì a malapena a mantenere l’equilibrio, e sarebbe certamente caduto, se una mano robusta non lo avesse sorretto per il gomito.

«Tagliati un bastone da quelle macchie di arbusti,» lo avvertì una voce familiare e graffiante. «Il cammino diventerà sempre più difficile una volta raggiunte le montagne intorno a Renweth.»

«Ma noi le montagne le stiamo lasciando», disse Rudy, seguendo attentamente il percorso di Ingold. «Questa non è la catena che dobbiamo raggiungere?»

«No, non è la stessa,» rispose Ingold. «Prenderemo la Grande Strada del Sud appena fuori di Gae e la seguiremo fino alla Valle del Fiume Marrone che scorre attraverso il cuore del Regno. La strada che conduce a Sarda Pass l’attraversa e, da lì, saliremo fino alle Grandi Nevi. È quella la grande parete di montagne che divide in due la nostra terra, il Regno di Wath, separando le valli del Fiume dalle pianure e dal deserto di Gettlesand. Renweth si trova appena sopra Sarda Pass… attento a dove metti i piedi!»

Rudy scivolò su un praticello coperto di foghe marce che era circondato da una chiazza nera di sabbie mobili. La strada da Gae a Karst era stata spianata e scavata così da essere facilmente percorribile col tempo buono, ma il costante andirivieni dei profughi, insieme alle piogge della cattiva stagione ed alle continue partenze dalla città, l’avevano ridotta ad un infido fiume di fango sdrucciolevole. I profughi che ancora non erano riusciti ad evacuare la città avrebbero di certo faticato ancor di più per percorrere la strada fino alla pianura. Rudy gettò uno sguardo verso l’oscurità dei boschi grigi e nebbiosi che fiancheggiavano il cammino, ed immaginò quale avrebbe potuto essere il destino di quelli che si impantanavano al calar delle tenebre. Tremò visibilmente.

«Quanta strada dovremo percorrere?», chiese improvvisamente. «E quante notti dovremo trascorrere all’addiaccio?»

«Sono circa centosettanta miglia,» rispose Ingold, sostando tra i cespugli bagnati su un terreno più solido al margine della strada. «Otto o dieci notti se il tempo rimane buono, e se l’Arrow non sarà troppo gonfio per poterlo guadare quando lo raggiungeremo.»

«E tu questo lo chiamo tempo buono?», brontolò Rudy. «Sono zuppo dalla testa ai piedi da quando sono venuto qui. Credo che non riuscirò mai ad asciugarmi…»

Ingold alzò la mano e la pioggia creò un laghetto nel suo palmo calloso.

«Potrebbe anche andar peggio», commentò con calma. «Abbiamo avuto degli inverni rigidi in questi ultimi anni con nevicate abbondanti sulle pianure al di là delle montagne che hanno portato fino alle nostre terre i Razziatori Bianchi, i barbari delle pianure; inoltre ci sono stati molti attacchi agli insediamenti a causa delle carestie… Questo inverno promette di essere anche peggiore…»

«Fantastico!»

«… però voglio ricordarti che i Guerrieri del Buio sembrano meno attivi con il cattivo tempo. Il vento forte, le piogge abbondanti e la neve, sembrano costringerli a rimanere sotto terra…»

«Bene!», esclamò Rudy senza troppo entusiasmo. «Così abbiamo anche un’alternativa ai Guerrieri del Buio, la polmonite!»

Lo Stregone alzò le sopracciglia divertito.

«Tu, cosa preferisci?»

In quel momento girarono un angolo del sentiero, ed il bosco sembrò aprirsi dinanzi a loro rivelando il panorama oscuro e grigio della pianura e, in distanza, la sagoma indistinta, nascosta dal velo d’acqua che continuava a cadere, delle mura di Gae.

Abituato alla grandezza di Los Angeles, Rudy non si stupì, anzi la trovò molto piccola. Gae però aveva avuto il suo momento di splendore, e le sue alte mura rivelavano la sua antica e perduta magnificenza, una gloria che le città sovrappopolate e cresciute senza ordine, conosciute in precedenza dal ragazzo, non avevano mai raggiunto.

Con calma, Rudy cercò di costruirsi nella mente un’immagine di Gae: rimise i tetti sulle pareti bruciate degli agglomerati delle case in legno e foglie sui rami ischeletriti degli alberi. Ricordò subito la voce gentile e bassa di Minalde che diceva con tristezza:

«… ora la ricorderò per sempre nel suo splendore…»

Quel pensiero ne portò altri, e lui rimase fermo lì per qualche istante, ad osservare il panorama colorato di un tenue grigio argenteo con sfumature ocra, fino a quando un rumore attutito dietro le sue spalle non lo avvertì del passaggio del convoglio. Così tornò sulla strada e corse per raggiungerlo, procedendo a fatica nelle grandi pozze di fango viscido, sulle quali le piume bianche del pollame portato via dai profughi spiccavano come fiocchi di neve.

Altri sopravvissuti si unirono a loro nella pianura nei pressi delle mura cittadine; la strada da Karst a Gae infatti attraversava la Grande Strada del Sud proprio a poche miglia dalle porte turrite della città, in un grande cerchio ancora riconoscibile tra l’erba inaridita.

A nord del crocevia si profilava la Collina di Trad, il cui nome derivava da quello di un qualche eroe di antiche battaglie. Era la sola altura su quella piatta distesa e, sulla sua sommità, spiccava una grande croce di pietra ricoperta da licheni, quasi a segnalare l’incontro delle grandi vie di comunicazione.

In quel preciso punto, incontrarono una colonna di profughi provenienti da Gae, più coraggiosi o pazzi o, più semplicemente, talmente attaccati alle loro cose da non riuscire ad abbandonare le rovine della Capitale neanche sotto quella terribile minaccia, sorretti dall’unica speranza che il pericolo potesse, in qualche modo, essere miracolosamente allontanato. Questi ultimi avevano più provviste e portavano carichi più pesanti degli uomini fuggiti a Karst qualche giorno prima. Erano anche meglio vestiti ed attrezzati: portavano con loro carri, muli e cavalli, mucche, pollame e trasportavano grandi borse di libri, denaro, biancheria, ed argenti di famiglia.

«Dove tenevano le mucche?», chiese Rudy a Gil che, per caso, si trovava al suo fianco in quel momento. «Non avranno certo tenuto quegli animali con loro in città!»

«La gente a New York, Boston e Chicago», rispose Gil, «ha avuto cura delle mucche e dei maiali fino al 1890. Come pensi che ti arrivi il latte altrimenti?»

Appena i due gruppi si incontrarono, un vociare incessante si diffuse per tutta la lunghezza della carovana:

«È veramente Sua Maestà…»

«Sua Maestà è veramente salva?…»

«È la Piccola Maestà?…»

La gente ringraziava facendosi il segno della croce ed allungava il collo per cercare di scorgere qualcosa. Da buon americano e senza una conoscenza specifica dei costumi di quel popolo, Rudy pensava che i sudditi di una monarchia avessero timore o addirittura nutrissero del rancore verso coloro che detenevano il potere assoluto su di loro. Fu quindi sorpreso nel notare la riverenza dimostrata nei confronti di Minalde e del piccolo Tir.

Ricordò quello che la Regina gli aveva detto la scorsa notte sull’amore e l’onore. Quella gente aveva bisogno di un Re da amare ed ossequiare così come di una legge da seguire. Così su due piedi, non riuscì a pensare a nessun membro del Congresso che meritasse lo stesso rispetto, tranne uno solo per la cui sopravvivenza avrebbe anche pregato.

Quei pensieri gli mostrarono un diverso aspetto di quel carro alto e coperto di pelli con i suoi laceri vessilli rossi e neri, ed inoltre pensò alla ragazza dai capelli scuri che si vedeva sopra.

Il giorno scorreva lento, e la lunga fila di uomini e animali continuò a seguire la Grande Strada del Sud attraverso verdi fattorie lungo il fiume. A differenza del sentiero fangoso che scendeva giù dalle montagne, quella strada era ampia e asciutta con profondi fossi erbosi su entrambi i lati, ed un manto stradale di blocchi esagonali, logori e consumati, di una pallida pietra grigia.

Quella pavimentazione era stata predisposta in modo da catturare l’acqua piovana, trasformando così la strada in una splendente fascia d’argento simile alle squame lucide di un enorme pesce.

La carovana si lasciò alle spalle l’ampia distesa della pianura di Gae ed attraversò un ponte circondato da torri altissime e misteriose che la condusse in terre fertili nelle quali il cammino si snodava pigramente tra campi, fattorie e boschi.

Non vi era neppure un contadino, ma Rudy fu egualmente impressionato dall’apparenza di prosperità che quella terra suggeriva.

Le fattorie erano ben tenute, e la maggior parte di esse ostentava più di una stanza con la stalla per gli animali separata dall’edificio principale. Era una consuetudine non sempre presente nelle società non industrializzate, e Gil lo fece notare al suo compagno con una punta di cinismo.

Quella terra vuota però si stava lentamente corrompendo: c’era pochissima gente, e faceva loro compagnia soltanto lo sguardo cieco delle case abbandonate, il bestiame fuggito dagli stazzi, e miglia e miglia di grano semiraccolto che marciva sotto la pioggia.

I pochi che avevano incontrato erano certamente contadini in compagnia di ciò che rimaneva delle loro famiglie, che arrivavano sulla strada con tutti i beni loro rimasti — qualche aratro, sacchi di semenza, animali da cortile — e il bambino più piccolo sistemato su un carro trainato da buoi. Venivano anche loro ad ingrossare le fila dei profughi con i loro familiari, bambini, servi, e con i cani che guidavano diligentemente dei gruppi di persone eternamente spaventate.

Non appena furono giunti in vista di quelle fattorie, le Guardie, i Monaci Rossi, ed alcuni gruppi di mercenari, si allontanarono dalla carovana in cerca di cibo nei campi ormai allagati e nelle stalle ora vuote. Rudy notò che raramente quegli esploratori entravano nelle case che incontravano nel loro passare. Qualche volta la caccia dava frutti, ed allora tornavano indietro con carri colmi di sacchi di grano, bestiame, maiali, pecore belanti, piccoli e robusti cavalli da fattoria… tutte bestie i cui padroni non avrebbero mai più protestato vedendole portar via…

Continuava a piovere, ed il convoglio era ormai diventato un vero e proprio esercito che avanzava lungo la strada sotto una pioggia torrenziale. Rudy pensò al numero di miglia che restavano da percorrere — Diavolo, è come camminare da Los Angeles a Bakersfield! — e si chiese cosa stesse facendo tra quella folla. Sopra di lui, intanto, il cielo grigio di nuvole stava diventando sempre più scuro, annunciando il sopraggiungere della notte.

Il ragazzo socchiuse gli occhi e si guardò intorno cercando di imprimersi in mente tutto quello che il suo sguardo riusciva a cogliere. Appena al di là della carovana, scorse una sagoma aggirarsi solitaria: non era la prima volta quel giorno che vedeva quelle figure — non avrebbe saputo dire se fossero uomini o donne — girovagare in lontananza, senza un meta, guidate solamente dal vento tagliente. Si chiese chi fossero: nessuno di loro aveva mai fatto un cenno verso la fiumana di gente, e nessuno di quelli in sua compagnia aveva rivolto loro la parola o li aveva salutati incoraggiandoli ad avvicinarsi. Spesso erano soli, ma a volte si muovevano a coppie, lentamente, come zombi, fissando o ascoltando il nulla, oppure restavano distesi nei campi, lo sguardo piantato fissamente nel cielo vuoto.

Rudy era sempre più incuriosito da quegli strani personaggi. Verso sera scorse un uomo e due giovani donne in piedi sul fondo del canale di drenaggio della strada, che guardavano con occhi vuoti lo spazio dinanzi a loro; scivolando tra l’erba e il fango, si avvicinò al terzetto.

L’uomo indossava un’ampia camicia di cotone bianco che aderiva alla sua pelle umida di pioggia. Le sue mani e le labbra erano praticamente blu per il freddo, ma sembrava non far caso all’acqua ghiacciata che gli arrivava all’altezza delle caviglie. Le ragazze invece indossavano gocciolanti stracci di seta, ed i loro capelli bagnati ed arruffati erano ornati con nastri e fiori appassiti. I loro occhi completamente assenti seguirono i movimenti di Rudy, ma nessuno dei tre sembrò dedicargli una particolare attenzione.

Rudy passò pian piano la mano davanti agli occhi dell’uomo. Lo sguardo seguì il suo gesto, ma quasi non registrò ciò che aveva visto. Le ragazze erano molto belle, graziose e dolci come gigli di valle; Rudy avrebbe volentieri cercato di portarsele a letto, anche tutte e due, se non fosse stato per l’agghiacciante sensazione che gli dava quel loro sguardo fisso.

«I Guerrieri del Buio non sanno soltanto uccidere…», disse Ingold, che gli si era avvicinato silenziosamente.

Rudy sobbalzò, spaventato: non aveva sentito il Mago che si avvicinava, anche se il fondo del canale era coperto da dieci centimetri d’acqua. Il volto del vecchio era teso e stanco, appena visibile sotto il riparo del grande cappuccio.

«Non ne abbiamo visti molti a Karst. Probabilmente perché le vittime come loro venivano travolte da quelli che cercavano scampo, oppure si smarrivano nei boschi intorno alla città. Ma io conosco questo fenomeno fin da Gae… e, come me, molti altri lo sanno!»

«Cosa gli è successo?»

Rudy spostò lo sguardo dal Mago verso i tre, e sentì un brivido gelido scendergli lungo la schiena, un brivido che aveva poco a che fare con il freddo.

«Penso di averti già detto qualcosa», rispose Ingold. «I Guerrieri del Buio divorano la mente come fosse carne. È per questo motivo, credo, che preferiscono gli uomini alle bestie. Allo stesso modo del sangue e della carne degli umani, i Guerrieri del Buio si nutrono dell’energia psichica, dell’intelligenza… o della mente, se preferisci. Forse per loro è ancora più importante della semplice materia.»

Avvicinandosi, Ingold abbassò le palpebre dell’uomo con il pollice e l’indice e, chiudendogli gli occhi, meditò per un attimo in silenzio. Le ginocchia dell’uomo si piegarono di colpo e Ingold si ritrasse mentre quello cadeva rumorosamente nell’acqua come un pezzo di marmo. Rudy stava ancora fissando inorridito il cadavere mentre Ingold toccava le due ragazze. Anch’esse caddero e giacquero con i capelli inghirlandati che fluttuavano intorno a loro nell’acqua sporca del fossato. Il Mago quindi si girò e, appoggiandosi al suo bastone, si arrampicò sulla sponda del canale; Rudy lo seguì con l’acqua che gli gocciolava dall’orlo del mantello, infreddolito e tremante, scioccato per ciò che aveva appena visto.

I due non parlarono per un po’, ma camminarono insieme lungo la strada in silenzio. Poi Rudy chiese:

«Non era possibile guarirli, vero?»

«No.»

La voce del Mago giunse chiara e decisa dalle ombre del cappuccio.

Un vecchio innocuo, pensò Rudy. Un affascinante vecchio lunatico… Non mi meraviglia che molti lo temano.

«No,» continuò Ingold. «Se si chiudono in casa, generalmente muoiono di fame. Se escono, muoiono per assideramento…»

«E non c’è nessuno che si prenda cura di loro? Almeno per vedere se è possibile farli rinsavire?»

Ingold alzò le spalle.

«Non è facile pensare agli altri quando stai cercando di salvare la tua stessa vita fuggendo dal Buio. A Twegged, nel Nord, qualcuno ci provò. La vittima visse per due mesi.»

«Cosa successe dopo quei due mesi?»

«I suoi tutori l’ammazzarono,» aggiunse il Mago continuando a spiegare. «Erano il marito e la figlia della vittima.»

Rudy si guardò alle spalle. La nebbia serale stava lentamente scendendo mentre l’ombra e l’oscurità coprivano la terra. In lontananza, però, era ancora possibile distinguere la curva della strada, il fosso, ed alcune sagome biancastre contro il terreno scuro.

Infine cadde la notte e, per miglia, lungo la Grande Strada del Sud, i profughi cercarono di accamparsi alla meglio in cerca di un improbabile riposo. I grandi falò striavano l’oscurità come perle lucenti di una collana su entrambi i lati della strada, e tutti coloro che sapevano maneggiare un’arma, li sorvegliavano a turno. Sul terreno, le pozzanghere create dalla pioggia iniziarono a gelare.

Alde si avvicinò a Rudy che stava accanto ad uno dei fuochi, con Medda che la seguiva come un’ombra, decisa, e con la consueta espressione di disapprovazione dipinta sul volto. La ragazza si mostrò timida nei confronti di Rudy, e la loro conversazione non toccò affatto quello che era accaduto tra loro la notte precedente. Rudy comunque provò egualmente una grande gioia per la presenza della donna, una gioia che non aveva mai conosciuto fino a quel momento.

Non appena si furono seduti insieme con le schiene rivolte alla fiamma, senza toccarsi, parlando di Tir o dei piccoli fatti del percorso, l’intimità tra di loro divenne profonda e intensa quasi stessero dividendo un mantello.

Il mattino giunse rapidamente, chiaro e freddo. Il vento aveva sgombrato il cielo dalle nuvole spingendole a sud verso i lontani pendii delle montagne, innevate contro il blu intenso del cielo mattutino. Qualcuno portò la notizia che un branco di lupi avevano attaccato la mandria dei cavalli della Chiesa e che i Monaci Rossi li avevano allontanati a fatica; da un’altra parte, quattro Guardie erano state trovate morte accanto ai fuochi, vittime senza dubbio di qualche Guerriero del Buio. Nonostante queste notizie luttuose, il Vescovo Govannin celebrò ugualmente un servizio di ringraziamento sul retro di un carro e, quelli che avevano superato la notte, ringraziarono Dio per lo scampato pericolo.

La carovana si rimise in marcia e, ben presto, giunse in una grande pianura ondulata attraverso la quale la strada si snodava fiancheggiata da piccole colline grigioverdi. Alla loro destra, le vette distanti delle montagne occidentali facevano trasparire i loro colori, viola, blu e grigio, da dietro un fitto cumulo di nuvole tempestose.

Era una terra di ruscelli coperti dalla brina mattutina che scorrevano verso le terre verdi e lussureggianti dell’Est. A volte i ruscelli erano attraversati da stretti ponti di pietra, ma più spesso la strada portava a bassi guadi che costringevano tutti a bagnarsi.

Rudy, irrigidito e dolorante in ogni giuntura del proprio corpo, seguì il consiglio di Ingold e tagliò un alberello da un boschetto che aveva attraversato, così da ricavarne un bastone. Non era mai stato molto bravo in botanica, ma il Falcone di Ghiaccio gli disse che il bosco era composto per lo più da frassini.

Verso mezzogiorno, si trovarono di fronte ad un ampio valico montano tra due alte colline e da quel punto si aprì dinanzi a loro un vasto panorama che abbracciava tutta la campagna fino al fiume, con l’erba alta che fremeva lievemente alla luce di un pallido sole.

Il cavalleggero cui erano stati affidati i muli del carro di Minalde, si fermò per farli riposare, e Rudy ne approfittò per avvicinarla.

Molte persone erano lì in piedi, ferme anch’esse per riposare nella gola di quel minuscolo passo e per ammirare le campagne che si stendevano sotto di loro.

Alde si girò verso Rudy e gli sorrise.

«Come stai?», chiese piano con un po’ di timidezza nel rivolgerglisi alla luce del giorno.

«Mi fanno male tutte le ossa.» Rudy si appoggiò al bastone non curandosi del fatto che quel gesto lo rendeva simile ad un vecchio. «Come fate a sopportarlo, in nome di Dio? Mi sento come se stessi per morire!»

«Anche gli altri», rispose Alde. «E probabilmente mi sentirei così anch’io se non avessi un carro che mi trasporta. Ma questo è solo perché sono la Regina. Abbiamo incontrato tante donne con bambini grandi come Tir. Li portavano in braccio e li porteranno così fino a Renweth, a meno che non muoiano lungo la strada.»

Avvolse quindi con un gesto amorevole le coperte intorno a Tir che stringeva al suo fianco. Il Principe però emise un piccolo gemito di protesta e fece uno sforzo per sbarazzarsi delle coperte. Rudy immaginò che volesse rotolarsi. Il bambino sarebbe diventato una vera peste quando avrebbe cominciato a camminare.

«Morire?», disse Rudy in tono soffocato. Ricordò di colpo le cose che aveva udito su quelli che si allontanavano dalla carovana.

«Di freddo», aggiunse Alde. «O di fame. Abbiamo abbastanza cibo ora ma, quando ci saremo allontanati dalle fattorie, comincerà a scarseggiare. Non per i bambini, per i vecchi o per chi sta male…»

La giovane Regina tacque di colpo, spaventata. Alzò la testa per fissare le colline e Rudy, seguendo il suo sguardo lungo le curve dolci della terra, scorse in lontananza delle enormi forme marroni avanzare sui lontani pascoli, volteggiando come mostruosi pagliai animati.

«Cosa sono?», mormorò Rudy socchiudendo gli occhi, poi si voltò verso Alde e scorse il suo volto preoccupato. «Sono…»

«Mammut», rispose Alde sempre intenta a fissare quelle forme distanti. «Mammut su questo lato delle montagne…»

«Mammut?»

Lei distolse lo sguardo e prestò attenzione a Rudy, interpretando come spavento il tono incuriosito della sua voce.

«Sono degli elefanti pelosi…», spiegò Alde. «Finora sono stati comuni nelle pianure del Nord, ma da centinaia di anni non si facevano vedere nelle valli del fiume. E mai così lontani a Sud. Devono essere scesi dai passi delle montagne spinti da qualche pericolo…»

I mammut non furono però i soli a scendere da quei passi. Quella notte, non appena lui e Alde si sedettero a parlare accanto al fuoco — sempre alla presenza distaccata di Medda — Rudy pensò di aver sentito un lontano scalpitìo di zoccoli. Era un suono strano perché, nel convoglio, i cavalli non erano molti, e prestò quindi maggiore attenzione a quel suono attutito dalla lontananza. Dopo un po’, il vento portò con sé banchi leggeri di nebbia ed un suono che a Rudy ricordò il latrato dei lupi, anche se con qualche differenza.

Il mattino seguente uscì con Ingold e con un piccolo drappello di Guardie, tante quante era possibile distaccarne, per cercare l’origine di quel suono.

Lo scoprirono molto prima che il sole diradasse la spessa cortina di nebbia del fiume. I resti bruciacchiati di una fattoria si profilarono nel velo opalino della nebbia, circondati dalle forme spettrali dei corvi e di altri uccelli di rapina oltre che dall’odore di carne bruciata.

Poco più in là trovarono uno dei componenti della famiglia del contadino ma, all’inizio, Rudy non riuscì a capire che si trattava di un essere umano. Quando lo capì, provò un improvviso empito di nausea che quasi lo fece svenire. Accanto a lui, che stava piegato in due sul cavallo con il guanto che gli copriva la bocca, sentì i passi di Janus che avanzava tra l’erba alta, ed il tintinnio leggero ed incessante delle briglie dei cavalli che si agitavano spaventati.

Sentì Janus dire:

«Non è stato il Buio?»

«No!», rispose Ingold.

Dietro di loro una Guardia azzardò:

«Doic? Forse sono diventati feroci o, peggio ancora, sono impazziti?»

Ingold si chinò e raccolse da terra una striscia di pelle ornata di frammenti di vetro colorato dalla quale pendeva una lunga piuma la cui punta era stata intinta nel sangue.

«No!», ripeté con la stessa voce calma che contrastava stranamente con l’orrore che era possibile scorgere sul prato. «Temo piuttosto che si tratti dei Razziatori Bianchi.»

«Su questo lato delle montagne?», chiese nervosamente Janus, guardandosi intorno con circospezione.

Ingold annuì, e gli porse la striscia di pelle la cui piuma sfiorò il polso del Comandante macchiandogli l’avambraccio di sangue.

«È la gente delle Colline di Lava…» Janus riconobbe subito l’oggetto ed indicò agli altri il triste spettacolo dei resti umani sparsi davanti a loro sull’erba. «È un sacrificio, un rito propiziatorio, un’offerta a qualcosa che essi temono.»

«Il Buio?», chiese qualcuno.

«Senza dubbio!», rispose Ingold, e guardò gli alberi bruciati intorno a lui ed i resti della casa distrutta intorno ai quali si andava radunando un folto gruppo di cornacchie. «Senza dubbio! Ma se il Buio fosse la loro paura principale, perché hanno attraversato le montagne? Il pericolo è certamente maggiore nelle Valli del Fiume.»

«Forse non lo sapevano…»

«Forse.» Il tono del Mago era però dubbioso, e lui continuava a muoversi sull’erba calpestata scrutando il biancore lattiginoso che ricopriva quella campagna trasformandola in un ambiente spettrale colmo di nebbia. Alzò il capo quasi stesse fiutando il vento alla ricerca dell’odore di un pericolo incombente. «In ogni caso, ci hanno messo in una brutta situazione: gli zoccoli dei loro cavalli sono ferrati, il che significa che sono a corto di cavalcature e rubano quelle che riescono a trovare nelle fattorie della valle. Suppongo che siano troppo pochi per difendere le loro mandrie da quel branco di lupi… si riverseranno sul convoglio. Al più presto!»

«Lo faranno?», chiese Janus in tono dubbioso.

«Se pensano di potersela cavare fuggendo con un buon bottino, si.» Ingold gli si avvicinò scuotendosi via la rugiada dalle maniche della tunica. Rudy si accorse di quanto fosse leggero il suo passo che lasciava nell’erba una traccia quasi impercettibile. «Le forze riunite delle Guardie, delle truppe di Alwir, delle truppe della Chiesa ed i resti dell’esercito, oltre agli uomini di Tirkenson, sono superiori ai Razziatori almeno di venti a uno. Ma il convoglio è quasi a sette miglia, e ne mancano ancora quattro ad un luogo adatto per piazzare il campo. Potrebbero colpirci in qualsiasi punto.»

Le Guardie erano già montate in sella, pronte ad andar via. Soltanto Janus ed Ingold erano rimasti a terra e parlottavano animatamente. La sagoma del Comandante dai capelli rossi sovrastava abbondantemente quella del Mago. Dalla sua instabile posizione in groppa al suo irrequieto pony, Rudy li guardò meravigliandosi dell’amicizia che legava quei due uomini, evidente anche a dispetto della posizione della Chiesa contro i Maghi. Gli sembrò che, a parte se stesso e Gil, Janus dovesse essere l’unico amico su cui Ingold potesse contare nel convoglio.

La gente comune, seguendo la strada verso il mitico rifugio a Sud, trattava il vecchio Stregone con un misto di soggezione, sfiducia e timore, quasi rappresentasse qualcosa di soprannaturale. Persino Minalde, la cui vita insieme a quella del bambino era stata salvata da morte sicura, era timida e taciturna alla sua presenza. Rudy si chiese quale legame stringesse in maniera così forte Ingold alle Guardie.

«Quando siamo in pericolo?»

Nella luce diffusa, il viso di Ingold era pensieroso, ed il suo sguardo lasciò il Comandante per scrutare il paesaggio che si stava lentamente rivelando allo sguardo mentre la nebbia si dissolveva nella luce pallida ed incolore del giorno. Lontano, alla base delle colline rotonde, si scorgeva la lunga fila scura dei profughi. I corvi si ingobbirono sui rami spogli degli alberi e fissarono le Guardie con i loro piccoli occhi scuri. Tutt’intorno, verso tutti i punti cardinali, c’era una distesa desolata di erba rinsecchita, e Rudy si accorse di non aver mai visto in vita sua una terra così triste.

«Più di quanto immaginiamo!», disse all’improvviso il Mago rispondendo alla precedente domanda. «Abbiamo avuto una buona luna la notte scorsa, ma riuscivo a sentirli lontani. Ai piedi delle montagne c’era un loro vecchio Nido che una volta era ostruito dalle rocce. La strada lo costeggerà…» Janus gli fece un cenno con gli occhi, ma Ingold non lo capì. Continuò invece a dire: «La velocità e la tempestività sono i nostri unici alleati. Dobbiamo raggiungere il Torrione al più presto: ogni giorno che restiamo sulla strada fa aumentare i pericoli! È probabile che, quando ci arriveremo, dovremo difendere il Torrione non soltanto dagli attacchi del Buio…»

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