«Dove sei diretto?»
Gil fece fare prudentemente una piccola curva alla Volkswagen per evitare le pietre più grandi e le irregolarità del sentiero, e riportarla così di nuovo sulla strada. Le colline e gli alberi del bosco erano diventati grigi-blu nella luce incolore del crepuscolo. Nello specchietto retrovisore, Gil vide luccicare la spada di Ingold, sguainata in segno di saluto. Poteva scorgerlo sulla veranda dritto ed immobile, avvolto dall’ondeggiante mantello nero, ed il suo cuore si strinse di paura a quella vista.
Rudy stava seduto sul sedile, con un filo d’erba in bocca ed il braccio abbronzato che penzolava fuori del finestrino, e la sua presenza era consolante quanto vedere un film dell’orrore in seconda visione in un cinema all’aperto, durante una notte buia e tempestosa.
«San Bernardino,» rispose Rudy, voltandosi a guardare la sagoma dello Stregone scomparire tra le ombre della catapecchia.
«Posso portartici,» disse Gil infilandosi nel sentiero ghiaioso e cercando di evitare le buche più profonde scavate dalle ultime piogge invernali. «Sto andando a Los Angeles, e non dovrò fare nessuna deviazione.»
«Ti ringrazio. È dannatamente difficile ottenere un passaggio di notte.»
Gil sorrise di malavoglia.
«Forse è per colpa della tua giacca…»
Rudy sorrise a sua volta.
«Sei di Los Angeles?»
«No. Vado all’UCLA: frequento la Facoltà di Filosofia, e seguo un seminario di Storia Medievale.» Con la coda dell’occhio scorse lo sguardo sorpreso del suo compagno. Una tipica reazione maschile, pensò. «Originariamente sono di San Marino…»
«Ah!», disse Rudy pacatamente, riconoscendo il nome di un sobborgo signorile. «Una ragazza ricca!»
«Non proprio», obiettò Gil, pensando che l’abito continuava ancora a fare il monaco. «Ma forse hai ragione. Mio padre è medico.»
«Specialista?», chiese Rudy in tono leggermente derisorio.
«Psichiatra per bambini», puntualizzò Gil con un leggero sorriso, riconoscendo la perspicacia di Rudy.
«Wow…»
«Mi hanno cacciata però!», si affrettò a spiegare Gil stringendosi nelle spalle. «Ma non ha importanza.»
La sua voce era disinvolta. Accese i fari, e la polvere si alzò davanti al muso della macchina oscurando quella debole luce. Rudy, in quel riflesso, scorse un’espressione dura sul volto della ragazza. Forse si trattava di una forma di difesa contro tutti coloro dei quali non si fidava completamente.
«Perché ti hanno cacciato?» La voce di Rudy salì di tono: il ragazzo provò per un attimo una sensazione di affetto per la sua compagna, e di indignazione. «Cristo! Mia madre perdonerebbe anche un assassinio, a qualsiasi delle mie sorelle, se riuscisse ad andare alle Scuole Superiori!»
Gil rise amara.
«Il mio problema è proprio la Laurea in Filosofia,» disse. «Quale giovane, promettente dottore, o peggio dentista, sposerebbe una esperta di Storia Medievale? Nessuno oserebbe mai dichiararlo apertamente, ma questo è quello che pensano i miei genitori.»
Gil continuò a guidare per un bel po’ in silenzio.
Le sagome scure delle colline circondavano la piccola macchina mentre le prime stelle si accendevano sullo sfondo di velluto blu del cielo serale: erano tante piccole luci brillanti in lontananza. Osservando quella morbida oscurità, Rudy riuscì ancora a distinguere i punti di riferimento di molti dei suoi viaggi tra quelle colline: pietre, alberi, particolari ondulazioni del terreno… Gli occhi verdi di qualche piccolo animale brillarono per un attimo e poi svanirono insieme all’ombra della bestiola che si allontanò rapidamente al di là della superficie scura della strada.
«Così ti hanno cacciata soltanto perché volevi prendere una Laurea in Filosofia?»
Gil alzò le spalle.
«Veramente non mi hanno cacciata. Sono stata io a non voler più tornare in quella casa e, se devo essere sincera, non ne sento affatto la mancanza!»
«Ne sei sicura? Per me è esattamente l’opposto.» Rudy si appoggiò contro lo sportello con il gomito fuori del finestrino dal quale entrava il vento freddo della corsa che gli sferzava i lunghi capelli. «Voglio dire… si: la casa di mia madre è come una fermata di autobus. Bambini piccoli, gatti, sorelle, piatti sporchi… e poi i fidanzati delle mie sorelle: li stavo dimenticando. Vivono nel vicolo accanto al nostro… Però, in tutta questa confusione, è sempre un bel posto dove tornare. Un posto dove sarò sempre bene accetto, anche se per farmi sentire devo sempre gridare. Impazzirei se dovessi viverci, ma al tempo stesso non posso fare a meno di tornarci qualche volta!»
Gil sorrise dinanzi a quel quadro che Rudy le aveva descritto così coloritamente, anche se le passò per la mente una punta di critica, abituata com’era all’ordine asettico che regnava a casa di sua madre.
«E tu invece hai lasciato i tuoi solamente per studiare?», chiese ancora Rudy, stupito per il fatto che qualcuno avesse potuto fare una cosa simile.
«Non c’era nulla che mi trattenesse là», rispose Gil. «Ed amo ciò che studio. Loro non sono mai riusciti a capire che non ho mai voluto fare o essere qualcosa di diverso…»
Un altro lungo silenzio. Davanti a loro, la gialla luce dei fari ondeggiava nel buio. Il ponte del lungo cavalcavia stradale si stagliava contro lo sfondo più pallido delle colline, ed il Maggiolino lo superò con il motore che ruggiva ed ansimava.
Rudy si raddrizzò sul sedile e prese ad osservare il viso di Gil, magro e delicato. La linea della sua bocca celava una generosità repressa, così come gli occhi nascondevano a malapena la natura romantica e sognatrice delle ragazza.
«È divertente», disse dopo aver terminato quell’esame.
«Il fatto che a nessuno piace andare a scuola?»
La voce di Gil era fredda, sarcastica, ma Rudy riuscì a sorprenderla.
«No. È divertente il fatto che tu avresti voluto avere tutto», rispose con calma. «Io per esempio, non ho mai voluto essere, fare, od avere qualcosa di particolare. Perlomeno qualcosa che mi costringesse a buttar via tutto il resto… Mi suona strano quello che hai detto.»
«Lo è!», convenne Gil, e la sua attenzione ritornò alla strada.
«È all’Università che hai incontrato Ingold?»
Gil scosse il capo. Sebbene lo Stregone non avesse mostrato fastidio nell’essere considerato dal ragazzo un candidato per la stanza da letto, Gil non voleva discuterne in questo momento. E con lui, poi.
Rudy però insistette.
«Puoi dirmi come diavolo fa? È veramente uno che riesce a camminare sul fuoco come dice?»
«No», disse Gil in tono evasivo.
Cercò di mettere insieme una spiegazione ragionevole, almeno tanto da ingannare Rudy ed impedirgli di fare altre domande. La cosa però le riusciva estremamente difficile, e non si sentiva nello stato d’animo di rispondere ancora. A dispetto delle luci che di quando in quando incrociavano sull’autostrada semi deserta, Gil si sentì consapevole come non mai del peso e della profondità della notte che l’avvolgeva, e dell’oscurità che premeva su di loro mentre correvano nel buio. Si scoprì a desiderare ardentemente che Rudy chiudesse il finestrino invece di appoggiarvisi contro lasciando che il vento profumato della notte estiva entrasse liberamente.
I cartelli stradali si susseguivano rapidi, ed i loro colori vistosi brillavano alla luce dei fari; occasionalmente, qualche altra macchina li incrociava con gli abbaglianti che sembravano occhi gialli piantati selvaggiamente nel buio. Gil ripensò alla lunga strada verso casa, la stessa strada che aveva visto in un sogno allucinante la scorsa notte e che le aveva mostrato la via da seguire. Aveva completato a fatica un capitolo della tesi, costretta a farlo dal fatto che quelle pagine erano essenziali per tenere il suo seminario. La sua mente però sembrava fuggire senza controllo da un pensiero all’altro, impedendole di concentrarsi, tornando sempre a quella silenziosa baracca isolata, al saluto con la spada sguainata…
«Tu credi veramente in lui!»
La ragazza si girò ed incontrò lo sguardo di Rudy.
«Tu credi ciecamente in lui!», ripeté il giovane a bassa voce, ma non per accusarla: era una semplice constatazione.
«Si!», disse Gil. «Si!»
Rudy distolse lo sguardo da lei e guardò fuori dal finestrino.
«Fantastico!»
«Lo so, è pazzesco…», iniziò a dire Gil.
«Non quando lui parla…» Rudy si girò di nuovo verso di lei contraddicendola, e puntandole contro un dito quasi volesse accusarla di negare l’evidenza. «È l’uomo più maledettamente credibile che abbia mai incontrato!»
«Tu non lo hai mai visto traversare il Vuoto,» rispose Gil semplicemente, «io si.»
Quella risposta bloccò Rudy. Fu tentato di replicare, anch’io, ma sapeva che si trattava di un’allucinazione, nata da un lampo di luce solare e figlia di un mal di testa da sbornia. Quell’immagine però continuava a tornargli alla mente, seppure in maniera confusa: il luccicante bagliore che riempiva l’aria tutt’intorno…
Ma io non ho potuto vedere queste cose, protestò con se stesso: è avvenuto tutto nella mia testa…
Come un’eco, gli sembrò di ascoltare la voce di Ingold dire:
Sai che lo hai visto. Ebbene, so di averlo visto, di aver visto Ingold ed il Vuoto… ma se era una allucinazione da sbornia, come faceva lui a saperlo?
Rudy sospirò: si sentiva esausto e non capiva, né avrebbe saputo confidare a qualcuno quella stanchezza.
«Non so più a cosa diavolo credere!»
«Scegli una strada e credi in essa», disse Gil. «Anche se è importante solamente per te. Lui ritornerà nel suo mondo questa notte insieme a Tir, e se ne andranno… forse per sempre.»
«È veramente una bella storia», replicò Rudy. «Perché uno Stregone porterebbe un Principe rapito in questo mondo, e poi di nuovo indietro, in chissà quale altro luogo?»
Gil scosse le spalle continuando a tenere gli occhi fissi sulla strada.
Rudy continuò.
«E ancora, se ritornerà in un luogo dove riavrà i suoi poteri magici, perché mi ha chiesto dei fiammiferi? Non ne avrebbe certo avuto bisogno!»
«No, non dovrebbe averne bisogno,» convenne Gil con dolcezza. Poi, fu improvvisamente colpita da quanto Rudy le aveva appena detto. «Pensi forse che possa averne bisogno?»
«Non lo so. So soltanto che, poco prima che partissimo, mi ha chiesto dei fiammiferi.» La voce di Rudy esprimeva la soddisfazione di aver reso la pariglia a quella ragazza con qualcosa che anche lei non capiva. «Ma perché ne avrebbe dovuto aver bisogno?»
Gil sentì il sangue gelarsi nelle sue vene.
«Oh, mio Dio…», sussurrò.
Sono abituato a rischiare la mia vita, ma non metto mai a repentaglio quella degli altri…
Fu come se si fosse spalancata una porta nella sua mente: sapeva che Ingold aveva mentito, e credeva di conoscere anche il perché.
Inchiodò i freni, e la Volkswagen sobbalzò sulle pietre consumate della banchina non asfaltata: il suo sospetto andava tramutandosi in certezza. C’era una sola ragione che poteva aver spinto lo Stregone a chiedere dei fiammiferi… proprio lui, che nel suo mondo poteva ottenere del fuoco ad un semplice comando. C’era soltanto una ragione, in questo mondo, che lo spingeva ad avere bisogno di fuoco quella notte!
Ingold, fino al momento in cui Gil non si era offerta di rimanere con lui, non aveva mai parlato di andar via. Non lo aveva fatto fino al momento in cui la ragazza non aveva accennato alla possibilità che il Popolo del Buio rischiasse un inseguimento attraverso il Vuoto. Finché tutti coloro che potevano aver bisogno del suo aiuto non fossero stati al sicuro, Ingold aveva accantonato l’idea di ritornare a Gae… Così aveva fatto affidamento sulle sue sole forze, chiuso nella baracca isolata, senza rischiare di coinvolgere qualcun altro.
«Salta fuori!», ordinò a Rudy. «Io torno indietro.»
«Cosa ti passa per la testa?»
Rudy la guardò come se fosse diventata di colpo pazza.
«Ha mentito!», rispose Gil con la voce che quasi le tremava per la fretta e l’ansia. «Ha mentito quando ci ha detto che avrebbe attraversato il Vuoto stanotte. Voleva soltanto liberarsi di noi mandandoci via prima che arrivasse qualcosa…»
«Cosa?»
«Non m’interessa ciò che pensi», continuò rapida. «Io torno alla capanna. Ingold ha avuto paura fin dall’inizio che il Popolo del Buio potesse seguirlo attraverso il Vuoto…»
«Aspetta un minuto…», iniziò a dire Rudy, allarmato quanto la ragazza.
«No, non c’è tempo da perdere. Puoi chiedere un passaggio a qualcun altro verso casa. Io non posso lasciarlo da solo ad affrontarli.»
Il suo viso era bianco alla luce dei fari; i suoi occhi pallidi bruciavano con un’intensità quasi spaventosa.
Pazzi!, pensò Rudy. Sono tutti e due irrimediabilmente pazzi. Perché devono capitare tutte a me?
«Verrò con te!», disse. Fu un’affermazione, non un’offerta di aiuto, e Gil lo fissò con sospetto. «Non che non ti creda,» continuò Rudy agitandosi contro la tappezzeria sbrindellata della macchina, «ma voi due avete bisogno di qualcuno in gamba che possa badare al bambino! Ora gira questo trabiccolo!»
Gil non se lo fece ripetere due volte: pigiò sull’acceleratore senza neanche guardare la strada alle sue spalle. La macchina si inarcò in un spruzzo di ghiaia e poi riguadagnò velocemente l’asfalto.
«Là!», disse Rudy, mezz’ora più tardi, quando il Maggiolino slittò verso l’incrocio da dove si dipartiva il sentiero vicino ai boschi. Davanti a loro, sulla piccola altura, era chiaramente visibile la sagoma della capanna, e la luce che proveniva dalle finestre spiccava contro lo sfondo scuro del cielo.
Gil corse fuori dalla macchina ancora prima che la polvere della frenata si fosse posata, e Rudy la vide scattare sul terreno irregolare verso la scala della veranda. La seguì più lentamente, avanzando cauto tra le erbacce e chiedendosi come avrebbe fatto ad uscire da quella situazione pazzesca, e quale scusa sarebbe riuscito ad inventare con il suo capo quando avrebbe fatto ritorno al negozio.
Dave, non ce l’ho fatta a venire al lavoro lunedì, perché stavo aiutando un Mago che a sua volta stava proteggendo un Principe bambino in qualche posto sperduto tra Barlow e San Bernardino…
E poi, come avrebbe spiegato il fatto di non essere tornato alla festa di Tarot con le casse di birra?
Si guardò intorno: il paesaggio era immerso in un’oscurità profonda, ed un brivido di gelo gli corse giù per la schiena osservando il pallido lucore delle stelle. Un soffio di vento altrettanto gelido ed inquietante gli scompigliò i capelli portando con sé un odore che non era certo di erba polverosa o di terra riscaldata dal sole. Era un odore sconosciuto, alieno… Corse per avvicinarsi a Gil, e i tacchi dei suoi stivali risuonarono sul legno marcio dei gradini della veranda.
Gil intanto era già arrivata alla porta e stava bussando freneticamente.
«Ingold», gridò. «Ingold, facci entrare!»
Rudy la superò e si gettò contro la finestra che aveva rotto la sera prima per aprire la porta dall’interno. Entrarono nella cucina nello stesso istante nel quale compariva Ingold, la spada sguainata in mano, il volto contratto da un attacco di rabbia.
«Fuori di qui!», ordinò imperiosamente.
«Neanche per sogno!», rispose Gil fronteggiandolo.
«Non puoi essermi di alcun aiuto…»
«Non posso lasciarti solo!»
Rudy guardò prima l’uno, poi l’altra: la ragazza con la sua giacca di tela ed i jeans scoloriti, gli occhi pallidi animati da una luce selvaggia; il vecchio con il suo mantello ondeggiante, la spada stretta nella mano segnata di cicatrici.
Pazzi!, pensò. Perché diavolo sono entrato?
Poi, senza dire nulla, si diresse verso la sala.
Tir se ne stava sul letto, avvolto nelle coperte di velluto scuro, gli occhi blu pieni di paura. Nella stanza spoglia c’era un mucchio di ramoscelli accatastato in un angolo, e sembrava che tutte le suppellettili fossero state spezzate ed ammucchiate. Accanto vi era una lattina di kerosene. Udì dei passi provenire dalla sala alle sue spalle unitamente alla voce di Ingold tesa come una corda di violino.
«Non capisci?», disse.
«Capisco», giunse calma la risposta della ragazza. «È per questo che sono tornata.»
«Rudy,» chiamò Ingold con un tono di voce che rivelava un’antica abitudine al comando. «Voglio che tu prenda Gil e la porti via in macchina, lontano da qui. All’istante!»
Rudy si girò.
«Oh, stavo proprio per andar via.» La voce del ragazzo era tesa quanto quella dello Stregone. «Ma porterò il bambino con me. Non so cosa pensiate di fare voi due, ma non lascerò una creatura così piccola immischiata in questa strana storia!»
«Non essere sciocco!», replicò Ingold.
«Già! Perché voi invece…»
Rudy si chinò per afferrare il bambino che giaceva sul letto ma, non appena si avvicinò al piccolo, le luci ebbero un sussulto e poi si spensero.
Con un movimento veloce, Ingold corse alla porta e la chiuse, mentre la spada che ancora stringeva in mano sembrava luccicare quasi fosse cosparsa di fosforo. L’esigua luce delle stelle che entrava dall’unica finestra della stanza, rivelò il sudore che stava scorrendo sul suo volto.
Rudy rimise giù il bambino che piagnucolava e si avviò verso la porta.
«Maledetti fusibili!», mormorò.
Gil, col fiato mozzo, gli si gettò contro.
«No, Rudy… No!»
Ingold l’afferrò per un braccio mentre la ragazza stava per toccarlo. La voce dello Stregone nell’oscurità era gonfia di un’ingannevole dolcezza.
«Pensi proprio che sia il fusibile?»
«Oppure un corto circuito nel contatore…», rispose Rudy, continuando ad avanzare verso la porta.
Si voltò soltanto un attimo verso i suoi due compagni mentre varcava la porta, e scorse i loro profili indistinti nella totale oscurità. La debole luce che filtrava dall’esterno copriva di un alone argenteo i capelli di Ingold mettendo in risalto gli zigomi alti di Gil. L’unico bagliore che non era scomparso era quello della spada del Mago che sembrava emanare una sua propria luminosità.
Il salone era completamente al buio, e Rudy vi si fece strada come fosse cieco. Per tutto il tragitto non fece altro che ripetersi che il suo nervosismo nasceva dal sapersi intrappolato in una bicocca con una studentessa nevrotica ed un affascinante, ma completamente pazzo, vecchio Mago, che inoltre girava armato di una spada affilata, di una scatola di cerini e di una lattina di kerosene.
Dopo quell’interminabile oscurità, la cucina sembrava quasi illuminata: riuscì a distinguere la forma del tavolo, il banco, il luccichio d’argento del rubinetto dell’acqua, il pallido riflesso delle finestre accanto alla porta, sopratutto di quella sulla sinistra con il vetro rotto… Poi si accorse di cosa stava entrando proprio da quel vetro rotto!
Non riuscì mai a spiegarsi come fece a tornare nella camera da letto, anche se più tardi si trovò il corpo coperto di contusioni e tagli per aver quasi aperto le pareti pur di fuggire. Gli sembrò che fosse trascorso solamente un attimo da quando aveva scorto quella cosa oscura che mugolava attraverso la finestra, fino a quando si era trovato a sbattere contro la porta della camera da letto singhiozzando.
«È là fuori… È là fuori!»
Ingold, alle sue spalle, il volto pieno di cicatrici che si rifletteva sulla lama della spada, disse a bassa voce:
«Cosa ti aspettavi, Rudy? Degli esseri umani?»
Il fuoco stava già bruciando. Gil aveva fatto un falò con i ramoscelli in mezzo al pavimento di cemento e stava tossendo, avvolta in una nuvola di fumo. Sul vecchio materasso, Tir fissava l’oscurità con gli occhi sgranati dal terrore, e guaiva come un cucciolo che avesse paura di abbaiare. Un altro bambino, forse, avrebbe gridato, ma le memorie ataviche che si agitavano nella mente inconsapevole del fanciullo, lo avvisavano che gridare o piangere ad alta voce voleva significare soltanto la morte!
Rudy si alzò cercando di scuotersi da quello spavento.
«Cosa faremo?», sussurrò. «Potremmo uscire dalla porta posteriore e raggiungere la macchina…»
«Pensi di riuscire a metterla in moto?» Nella luce del fuoco, gli occhi di Ingold non si staccavano mai dalla porta. Mentre parlava, Rudy si accorse che le sue mani non abbandonavano neppure per un istante la lunga elsa della spada e tremavano, pronte a colpire. «Dubito che riusciremmo a raggiungere la macchina, in ogni caso. Quella “cosa” può mutare forma e rimpicciolirsi quanto vuole…»
Rudy deglutì, gelato dal terrore al vedere ancora quell’essere minuscolo, nascosto, ma capace di generare un’inspiegabile paura.
«Vuoi dire che può mutare di dimensioni?»
«Oh, Sì!» Con la spada stretta in pugno, Ingold si diresse a passi felpati verso la porta. «Il Popolo del Buio non è fatto di materia così come la intendiamo noi. Non è neppure del tutto visibile, e non sempre la sostanza di cui sono composti è formata da elementi conosciuti. Uno l’ho visto diventare grande come una casa — e non era più largo di due mani unite — in pochi secondi…»
Rudy si asciugò le palme sudate sul tessuto dei jeans, tremando di paura e totalmente disorientato.
«Ma se non sono materiali…», balbettò, «cosa possiamo fare? Come possiamo combatterli?»
«Ci sono dei modi.» Le fiamme del falò creavano lunghe ombre rossastre sul mantello di Ingold che se ne stava in piedi, una mano fissa sulla maniglia della porta, l’altra stretta con forza intorno all’elsa della spada, la testa china per raccogliere il minimo fruscio. Dopo un istante, parlò di nuovo, e la sua voce era flebile, appena un sussurro. «Gil,» disse, «voglio che prendi Tir e lo metti tra il letto ed il muro. Rudy, quanto fuoco ci rimane?»
«Non molto. Quella era legna secca. Brucia troppo velocemente.»
Lo Stregone si allontanò dalla porta senza però distogliere la sua attenzione. La piccola stanza era piena di fumo, mentre il fuoco diminuiva sempre più, lottando debolmente contro l’anello di ombre intrecciate che danzava sul soffitto e sulle pareti. Senza guardarsi indietro, Ingold tese una mano.
«Dammi il kerosene, Rudy.»
Senza battere ciglio, il ragazzo ubbidì.
Muovendosi più velocemente, il vecchio ringuainò la lama con un unico gesto fluido, afferrò la lattina svitandone il tappo, e gettò un abbondante quantità di liquido sul legno secco della porta. Questa brillò di un giallo chiaro, il suo odore penetrante si sparse per la stanza unendosi al fumo, e quasi soffocò Gil che si era accoccolata contro la fredda parete di cemento stringendo a sé il corpicino imbaccuccato di Tir che se ne stava immobile fra le sue braccia.
Nel frattempo, la luce della fiamma, da gialla che era, aveva assunto una sfumatura arancione scuro, mentre le ombre distorte provocate dagli spostamenti veloci e sicuri dello Stregone, ondeggiavano sulle pareti che rinchiudevano il gruppetto.
Ingold si avvicinò al letto e versò il resto della lattina di kerosene sul materasso; l’odore violento e dolciastro del carburante quasi soffocò Gil che si trovava a poca distanza. Il vecchio poggiò in un angolo la lattina vuota poi, con un movimento leggero, si girò ed estrasse di nuovo la sua spada, che era rimasta nel fodero per tutta la durata di quella operazione, ossia meno di quaranta secondi.
Ritornò nel centro della stanza, a pochi passi dal falò morente che si era ripiegato su se stesso in un mucchietto di cenere e tizzoni ancora rosseggianti. Non appena l’oscurità cominciò a diffondersi più rapidamente, la pallida luce che sembrava originata dalla lama della spada sembrò aumentare, tanto da far risaltare il viso dello Stregone e le cicatrici che lo riempivano. Disse a bassa voce:
«Non abbiate paura.»
Se si trattasse di un incantesimo o della forza della sua personalità, Gil non avrebbe saputo dirlo, ma sentì diminuire improvvisamente la sua apprensione, e la paura che l’agghiacciava cedette il posto ad una sorta di torpore freddo ed al tempo stesso limpido.
Rudy si riscosse invece dall’immobilità nella quale si era congelato, afferrò l’ultimo dei ramoscelli che ancora giaceva sul pavimento e lo accese sui resti del falò.
L’oscurità scese nella stanza riempiendola; più pesante del buio era però il silenzio che regnava intorno. In quell’assenza di suoni, Gil percepì dei movimenti quasi impercettibili nella sala attigua: sembrava una sorta di graffiare chitinoso quasi che qualcosa di assolutamente misterioso tentasse di avanzare attraverso il buio.
Sentiva il cuore di Tir battere con forza contro il suo petto poi, di colpo, un vento gelido penetrò attraverso le fessure della porta trasformando il sudore sul suo viso in un velo ghiacciato. In quel preciso istante riconobbe l’odore aspro, acidulo, e sanguigno, del Buio!
La voce di Ingold echeggiò acuta dalle ombre.
«Rudy!», disse. «Prendi quella torcia e mettiti accanto alla porta. Non aver paura, e quando entra la creatura, voglio che tu chiuda la porta dietro di lei e dia fuoco al kerosene. Pensi di riuscire a farlo?»
Svuotato di energie, ma freddo e cosciente di quanto lo attendeva, Rudy sussurrò:
«Si, certo!»
Col pezzo di legno acceso, passò cautamente dietro lo Stregone. Appena raggiunta la sua posizione, avvertì la presenza di quella cosa: una creatura che viveva negli incubi più inconfessabili, capace di generare paura in chiunque.
La sentì bussare alla porta, dolcemente. Graffiò il legno scheggiato appena al di sopra dei suoi occhi e Rudy comprese che entrando sarebbe passata davanti a lui — se non si fosse invece girata verso la persona più vicina — a brevissima distanza dal suo viso. D’altro canto, e il pensiero gli attraversò fugacemente la mente, se fosse passata davanti a lui, nulla avrebbe potuto impedirgli di fuggire attraverso la porta aperta e correre verso la macchina.
C’erano troppe incognite però: la macchina avrebbe potuto non partire; la creatura, dopo essersi soddisfatta con Ingold e Gil, avrebbe anche potuto inseguirlo… No! Bisognava finirla qui ed ora con il Popolo del Buio, con quell’osceno intruso che strisciava nel mondo dolce e caldo di quella notte californiana!
Tormentato dai suoi pensieri, Rudy rimase lì, nell’oscurità accanto alla porta, una torcia fumante in mano, in attesa…
L’ultimo bagliore delle fiamme stava ormai svanendo, e l’unica luce nella stanza era rimasta quella della torcia di Rudy e della spada lucente di Ingold che lo Stregone teneva dritta davanti a sé, mentre i suoi occhi brillavano di una magica luminosità come quelli di un vecchio lupo. Intorno non si udiva altro che il frusciare degli abiti ed il singhiozzare delle fiamme che si andavano spegnendo e sparpagliandosi. Il vento che spirava gelido attraverso le fessure della porta sembrò arrestarsi e svanire.
Nel medesimo istante nel quale la porta si apriva, Ingold avanzò con la spada che luccicava in un arco di fuoco per affrontare l’ondata dell’Oscurità. Rudy colse appena l’aspetto della forma ondeggiante dell’Ombra: l’enorme bocca famelica contornata di tentacoli squamosi che avanzava coprendo il pavimento con una melma fumante.
Quasi si fosse liberato da un incantesimo, Tir iniziò a piangere, ed il suono della sua voce disperata penetrò nella mente di Rudy come la punta di un ago.
La spada intanto volteggiava spargendo fuoco: la creatura si ritrasse con un movimento stranamente agile per quella massa frusciante, e la sua coda di serpente sfiorò le spalle di Rudy mentre si snodava in una sferzata di oscurità. La Cosa riempì la stanza come una nuvola, ed il suo buio coprì tutto, mentre il suo corpo osceno e gonfio sembrava crescere e pulsare quasi fosse un unico, livido, organo limaccioso. La coda schioccò e riuscì a raggiungere la gola di Ingold producendovi un taglio profondo. Lo Stregone riuscì ad attutire il colpo e si ritrasse mutando le sue sembianze in quelle di un uomo molto più giovane. Nei suoi vestiti scuri poteva a malapena essere scorto, e Rudy continuava a sporgersi tentando di vedere qualcosa, affascinato com’era dal movimento vorticoso della lama e da quelli sinuosi della Cosa che cercava di afferrare lo Stregone.
Gil gridò: «Il fuoco! Il fuoco!»
Quel suono però non significava nulla per Rudy… fu il calore della torcia che continuava a bruciargli tra le mani a riportare il giovane alla realtà.
Come svegliatosi da un sogno, si mosse, chiuse la porta, ed accese l’untuosa massa intrisa di kerosene con la sua torcia, ormai ridotta ad un piccolo tizzone ardente. La porta esplose in una palla di fuoco, bruciacchiando anche le sopracciglia del giovane, che si ritrasse istintivamente.
La Creatura dell’Oscurità, ora più visibile come attraverso una lente cremisi, si contorse e serpeggiò quasi fosse stata attraversata da una scarica dolorosa, mutando dimensione e levandosi alta verso il soffitto. Le fiamme intanto si erano già sparse sulle pareti e stavano per raggiungere le grandi travi, secche come stoppie.
Le scintille punzecchiarono le mani ed il viso esposti di Rudy quando questi si gettò attraverso un varco sul letto per raggiungere la parete dov’era appoggiata Gil.
Piovvero altre scintille che sfrigolarono sulla sostanza umida e viscida della creatura del Buio.
La stanza era diventata una fornace, accecante e soffocante; la luce sanguigna illuminava il corpo della creatura che volava qua e là cercando disperatamente una via d’uscita.
Intrappolata dal fuoco, si voltò come un animale rabbioso e si scagliò contro Ingold, mentre la sua coda si allungava in un filo spinoso e tagliente per poi scattare in avanti e sferzare le mani ed il volto dello Stregone; contemporaneamente lo afferrò con gli artigli, ma la lama non cessò per un attimo di staccare pezzi fumanti di materia da quel corpo, anche se il nemico era troppo grande e si muoveva troppo velocemente — pur in uno spazio così ristretto — per permettere a Ingold di mettere a segno un colpo mortale.
Schiacciati contro la parete, soffocati dal calore, e bruciacchiati dalla pioggia di scintille, Gil e Rudy si accorsero che Ingold veniva spinto costantemente verso l’angolo dove loro due si trovavano. Questi non poteva del resto fare nient’altro nel tentativo di mettersi tra la creatura ed il Principe.
Lo Stregone indietreggiò, un passo alla volta, fino a che Gil non riuscì a toccare la sua spalla allungando semplicemente le braccia. Ora alle fiamme si aggiunse anche l’acido che, sparso come sudore sul corpo della Bestia dell’Oscurità, si spandeva intorno ad ogni suo movimento.
Poi il Guerriero del Buio fintò con gli artigli e con la coda evitando un colpo di spada per pochi centimetri, e si lanciò con furia sullo Stregone. Nello stesso istante però, Ingold si rifugiò tra il materasso e la parete, in mezzo ai due ragazzi.
Per caso, o per una fortunata coincidenza, la stoffa imbevuta di kerosene si incendiò, e creò un vero e proprio muro di fuoco che bruciacchiò l’orlo della sua tunica, ma investì il Guerriero del Buio con un’ondata di calore ruggente.
Per un istante Gil fu consapevole solamente del pianto desolato ed irrefrenabile del bambino tra le sue braccia e di quell’inferno fumante, un vero olocausto di fiamme che ruggiva a pochi passi da lei.
Poi il muro di fuoco si gonfiò, e la sagoma della Creatura apparve, distorta e fumante, ancora protesa nel tentativo di innalzarsi, per poi cadere morente dinanzi ai loro piedi.
Gil gridò non appena il vento caldo e l’oscurità coprirono tutto; poi ogni cosa svanì, e rimase soltanto un grigiore torpido dove non c’era posto per la luce e i colori, ma soltanto per il freddo…