CAPITOLO UNDICESIMO

Una profonda sensazione di inquietudine si diffuse per tutto il convoglio. La presenza invisibile dei Razziatori Bianchi si faceva sentire durante il giorno così come la minaccia dei Guerrieri del Buio era presente durante la notte. Rudy visse in quell’ansia per tutta la notte ed il giorno successivo, continuando a marciare con gli altri: era possibile coglierla in ogni frammento di conversazione, e vederla nei movimenti prudenti dei profughi che ancora si aggrappavano, come un’orda vasta e cenciosa, a ciò che rimaneva del Governo del più grande Regno d’Occidente.

Piccoli gruppi, famiglie ed uomini soli, tutti aumentavano la loro andatura; davanti a lui, un uomo stava spingendo una carriola incredibilmente colma di oggetti, ed imprecava contro una donna esausta con un bambino in braccio e contro una capra legata ad una corda sfilacciata, urlando di correre, correre, correre, di andare avanti prima che qualcosa — il Buio, i Razziatori, o i lupi — potessero raggiungerli.

Rudy li incontrò di nuovo, più tardi. Erano seduti, stanchi e accaldati, su una pietra miliare: il bambino piangeva per la fame, mentre l’uomo e la donna fissavano in silenzio le lontane terre desolate ed il cammino che restava ancora da percorrere. La loro collera era finita.

Al guado del fiume Mabigee, il ponte era stato danneggiato da qualche tempesta fuori stagione, e lì Alwir ed il Vescovo Govannin quasi vennero alle mani per il carico di documenti che la donna aveva portato con sé da Gae. Le registrazioni potevano benissimo essere abbandonate: i carri sarebbero serviti per i malati, i feriti, gli anziani, ed i bambini, la cui forza veniva via via scemando a causa della cattiva nutrizione e della stanchezza.

Il Vescovo inveì violentemente:

«Si! E allora tutte le registrazioni dei secoli passati che sanciscono il dominio di Dio al di sopra dell’autorità umana devono andare perdute per quando raggiungeremo il Torrione?»

«Non essere sciocca donna!», ringhiò Alwir. «Dio preferisce di certo le anime a tutta quella tua maledetta carta ammuffita!»

«Egli ha già le loro anime!», rispose il Vescovo. «E ne avrà ancora di più. Se sono le anime che ti interessano, mioSignor Cancelliere, elimina il tuo insulso specchio di Satana,il tuo prediletto Mago, e lascia venire al suo posto i tuoi preziosi malati. Un uomo che segue il consiglio di un Mago dovrebbe essere l’ultimo a poter parlare di anime!»

Dopo aver attraversato il fiume, i profughi si ritrovarono bagnati fradici ed esausti, e nessuno riuscì a proseguire la marcia se non per poche miglia. Il grosso del convoglio si fermò presso un villaggio abbandonato al riparo delle cave di pietra semidiroccate o bruciate dai fuochi che i loro proprietari avevano acceso per difendersi dall’attacco del Buio.

Il resto dell’enorme carovana si sparse invece nella pianura creando una vera e propria città, un agglomerato disciplinato di tende e ripari improvvisati, racchiuso nel perimetri dei falò accesi al sopraggiungere della notte.

Rudy accese il suo fuoco su una piccola pendenza del terreno, ad una cinquantina di metri da un edificio lontano dalla strada. Aveva trovato una capannuccia nascosta sul fianco della collina che, in giorni migliori, doveva essere stata adibita a deposito di legname, e dove trovò ancora dei grossi ciocchi, buoni per il fuoco.

La collina stessa, fronteggiando la strada ed il campo, creava un buon riparo contro i venti freddi e taglienti che venivano da Occidente.

Le montagne erano rimaste visibili per l’intera giornata, ed ora si levavano maestose lungo tutto l’orizzonte, da ovest a sud. Nell’ultima luce del tramonto si stagliavano come una parete scura contro il cielo serale di nuvole, con le vette avvolte dai lampi di temporali lontani e coperte da uno spesso strato di neve che veniva rivelato dal vento che, di quando in quando, spazzava via le nubi. Rudy osservò a lungo quello spettacolo con preoccupazione: qualcuno gli aveva detto che il Passo di Sarda si trovava proprio sulle montagne. Pensò alla neve e tremò.

Aveva sempre avuto una fame da lupo, ma sorprendentemente ora il suo fisico si era adattato a quelle lunghe giornate di cammino ed alla stanchezza che veniva dal poco riposo concesso dalle veglie notturne. Soltanto, da quando era giunto nel Regno di Darwath, era sempre stato cosciente di soffrire terribilmente per il freddo, e si chiese quando sarebbe riuscito a riscaldarsi a dovere.

Quando la notte scese del tutto, Alde e Medda si fecero vive portandogli un po’ di vino caldo. Rudy lo bevve riconoscente, ma tra sé pensò che avrebbe preferito qualche tazza di caffé caldo. Quel gesto di Alde però gli confermò, mentre fissava gli occhi della ragazza al di sopra dell’orlo dorato della tazza, che lei si interessava a lui e che, forse, provava anche qualcosa.

Alde, Minalde, pensò con disperazione, tu sei la Regina di Darwath, ed io soltanto un vagabondo capitato qui per caso! Ma perché doveva succedere proprio a me?

Il suo desiderio per lei era palpabile, pressante, ma non potevano far altro che stare lì a toccarsi di nascosto le mani. Medda vegliava, con la solita smorfia di disapprovazione dipìnta sul viso, seduta dall’altro lato del falò, lontana abbastanza da non riuscire ad origliare la loro conversazione, ma solo se avessero parlato a bassa voce. La sua presenza però conferiva ai loro incontri quel crisma di rispettabilità senza il quale Alde non avrebbe neanche potuto avvicinarsi a lui.

«Alwir si arrabbierebbe se sapesse che sei uscita?», chiese Rudy senza alzare gli occhi. Era un trucco tipico dei soldati che gli aveva suggerito il Falcone di Ghiaccio, quello di non tenere gli occhi fissi sul falò.

«Oh…», la voce di Alde si incrinò per la contrarietà. «Probabilmente. Sai, si preoccupa molto per me…»

«Se fossi mia sorella ti sorveglierei di certo!»

«Non in quel modo, sciocco!», esclamò divertita la Regina. «Si interessa del mio… ‘stato’. E così fa anche Medda.»

Rudy guardò attraverso il fuoco ed incontrò lo sguardo corrucciato della donna grassa. Gli aveva rivolto delle bruttissime occhiate ogni volta che si erano incrociati negli ultimi cinque giorni, e quella notte si rese conto che il silenzio tra le due donne era più che eloquente. Immaginò che la governante dovesse aver detto qualcosa alla giovane Regina circa le responsabilità che aveva e sulla disdicevolezza di quelle uscite notturne per incontrare un uomo che altro non era se non una Guardia e, per giunta, di un altro mondo. Riusciva tranquillamente e vedere come si era svolta quella conversazione: senza dubbio Medda aveva ricordato con toni concitati ad Alde la sua posizione sociale e, forse, era stata richiamata all’ordine.

«Se questo ti crea dei problemi…», cominciò Rudy.

Lei scosse la testa, e la grande massa dei suoi capelli scuri scivolò lenta sul collo di pelliccia del mantello.

«Vorrei soltanto non dover dormire di notte…», mormorò, ed i loro sguardi si incontrarono esprimendo la totale consapevolezza dei loro reciproci sentimenti.

Continuarono a stare in silenzio per un po’, seduti accanto al fuoco non troppo vicini, senza toccarsi, confortati solamente dalla loro presenza.

Rudy fissò l’oscurità oltre il cerchio dei falò ed ascoltò i rumori della notte. Vide in lontananza una figura scura che ritornava al campo lungo la fila di fuochi sparsi tutt’intorno, e riconobbe la sagoma di Ingold che raramente dormiva, dividendosi tra massacranti turni di guardia e lunghe ore di osservazione, gli occhi fissi sul suo cristallo magico nelle ore che precedono l’alba.

Il vento allontanò le nuvole provenienti da occidente che oscuravano la luminosità della luna. Il campo era abbastanza lontano dietro il riparo della collina per dar loro l’illusione di un po’ di intimità che non aveva mai avuto prima, e Rudy ringraziò il bagliore lunare per quel chiarore che dava loro la sicurezza che nulla si potesse insinuare. In quel momento provava più timore per i Razziatori Bianchi ed i lupi che per i Guerrieri del Buio ma, in quel mondo notturno, non c’era nulla che si muovesse né alcun rumore che turbasse la quiete, se non quello del fiume in lontananza.

Così bevvero il vino aromatizzato che Alde aveva portato, e parlarono di tutto e di niente, della loro fanciullezza e della vita passata, scambiandosi i ricordi come una coppia di bambini si scambiano le biglie. Pian piano però, le nuvole si addensarono di nuovo, e si ritrovarono ben presto circondati dall’oscurità, mentre la luce del fuoco riscaldava ed illuminava i loro visi.

La pioggia li colse del tutto di sorpresa. Mano nella mano corsero verso la capanna di Medda, che arrancava dietro di loro raccogliendo le tazze di vino vuote ed un tizzone dal fuoco.

Entrarono sorridendo. Dall’interno si poteva ancora scorgere, anche se a fatica, la figura di Medda, china sulla sua torcia per proteggerla dalla pioggia, che camminava a grandi passi, irritata, tra l’erba alta.

In quel momento quindi erano soli nell’oscurità pervasa dall’odore di terra umida della piccola casa.

Entrambi si resero conto nello stesso momento, che questo era il primo istante che li vedeva lontani dallo sguardo di tutti gli altri e, d’improvviso, smisero di ridere. Rudy, in quella fitta penombra, sentì il respiro di Alde, ed intuì che la ragazza aveva paura di qualcosa che non aveva mai conosciuto prima, qualcosa alla quale non era ancora pronta a concedersi…

La giovane non si mosse quando Rudy allungò la mano per allontanare i suoi lunghi capelli sciolti. La sua guancia era fredda al tatto, e Rudy la sentì tremare e respirare affannosamente ed irregolarmente contro il suo viso. Alde appoggiò le mani sul petto del ragazzo resistendo appena quando lui l’attirò a se. Il mantello le scivolò dalle spalle e cadde ai suoi piedi con un sordo fruscio. Rudy le prese il viso e la baciò a lungo, con forza, e Alde, anche se cercò debolmente di svincolarsi, non si allontanò da lui.

La donna si mosse lentamente sentendo le mani di Rudy che scivolavano sul suo corpo sotto il soffice tessuto della veste; le braccia di Alde strinsero le spalle di Rudy, dapprima incerte, poi con maggior impeto, quasi non volessero lasciarlo mai più.

Rudy riuscì a malapena a conservare il proprio autocontrollo: l’urgenza accecante del suo desiderio non riuscì a sopraffare il pensiero del ritorno di Medda — sarebbe certamente stata lì entro poco tempo — e la vecchia nutrice li avrebbe potuti facilmente cogliere sul fatto urlando a tutto il campo la sua scandalizzata disapprovazione.

Si allontanò dalla bocca di Alde ed alzò il capo guardando fuori: la pioggia stava diminuendo, ed un pezzetto di luna cominciò a fare capolino attraverso un buco tra le nuvole.

A meno di quattro passi da loro c’era Medda.

Non li stava guardando, anche se i suoi occhi erano spalancati e fissi. Non stava guardando nulla: la tazza del vino le ciondolava dalla mano inerte finché cadde al suolo; la torcia si era già spenta in una profonda pozzanghera:

Rudy la scorse in una frazione di secondo al di sopra della spalla di Alde e, nello stesso istante, un vento freddo e tagliente cominciò a soffiare dal nulla sferzando il suo viso.

Con un gesto violento, dettato solamente da un puro riflesso, spinse indietro la Regina e chiuse la porta provocando un rumore simile a quello di uno sparo.

La giovane finì contro il muro e vi si aggrappò per non perdere l’equilibrio: i suoi occhi si dilatarono per il terrore, e Rudy si accorse che la ragazza aveva frainteso il suo gesto.

«Dammi uno di quei bastoni!», le ordinò con durezza.

Lei capì subito che il tono della voce di Rudy non ammetteva repliche e che qualche pericolo incombeva su loro due. Ubbidì immediatamente.

Il ragazzo afferrò il pesante pezzo di legno e lo usò per sbarrare la porta. Poi ne trovò un altro e lo utilizzò come chiavistello con le mani che gli tremavano per lo spavento.

«C’è un Guerriero del Buio là fuori», disse a voce bassissima.

Alde non rispose nulla, ma nella fioca luce della luna che penetrava nella capanna i suoi occhi apparivano spalancati per la paura.

«Ha preso Medda!», continuò Rudy.

«Oh…», sussurrò Alde.

«Hai qualcosa con cui accendere un fuoco?»

La giovane Regina scosse la testa. Un piccolo gesto, poi immediatamente si girò guardando l’interno scuro della stanza.

«C’è della legna qui nel retro…», disse anche lei a voce bassa e tesa. «Forse il tuo falò…»

«Quel fuoco è troppo lontano,» replicò Rudy, «e probabilmente la pioggia l’ha spento. Comunque non ti lascerei qui da sola!»

Il soffitto della casupola era talmente basso che si stava in piedi a fatica. Rudy rimase fermo, in attesa con la spada sguainata davanti alla porta, cercando disperatamente di pensare con lucidità a cosa fare.

Alle sue spalle Alde stava radunando e sistemando nel modo migliore pezzi di legno e ramoscelli, tenendoli pronti per poterli accendere rapidamente. Lavorava velocemente, senza alcuna manifestazione di paura, anche se era in preda al terrore più profondo.

Pronto a scattare al minimo accenno di pericolo, Rudy si inginocchiò accanto al falò toccando la legna. Era morbida e piena di schegge. C’era forse bisogno di qualche genere speciale di legno per accendere un fuoco strofinando insieme due bastoncini? Quella robaccia certamente non sarebbe stata così infiammabile… Esaminò l’elsa della sua spada. Acciaio. Pietra focaia ed acciaio… Valeva la pena tentare di ottenere una scintilla dalla lama, a rischio di rovinarla e di non poterla usare in un successivo combattimento? Le pareti della casupola erano di graticcio ricoperto di argilla, e quindi l’unica soluzione era quella della pietra focaia.

La pioggia aveva ricominciato a picchiare leggera e continua sulla parete frontale. La luna doveva certamente essere stata coperta di nuovo dalle nuvole, considerando che dalla finestrella non si scorgeva più nulla dell’esterno.

Rudy si accorse, agghiacciato, che il vento freddo ora cominciava ad insinuarsi tra le fessure della porta agitando le foglie secche e i ramoscelli con un mormorio sottile e secco; il giovane sentì il respiro che gli si bloccava nella gola, stretta da una morsa soffocante di paura.

È necessaria una pietra focaia, pensò disperatamente. In qualche modo dobbiamo creare una scintilla!

«Hai dei gioielli con te? Qualche pietra dura?»

Alde scosse il capo e i suoi occhi si spalancarono.

Che Diavolo! Probabilmente non saprei cosa farmene della pietra focaia, se quell’essere mi saltasse addosso e mi aggredisse…

«Non fa nulla… ma adesso dovrai farti fare un anello d’oro con incastonata una pietra focaia grande come una noce, e lo porterai sempre con te. Capito?»

«Va bene», sussurrò in risposta Alde.

Di che diavolo sto parlando? Non ci sarà più niente tra poco…

Alde si rannicchiò da una parte tenendosi lontana da lui per non ostacolarlo nell’uso della spada, anche se il terrore la spingeva a cercare conforto tra le braccia del ragazzo.

In piedi accanto alla parte alta della porta, Rudy avvertì un picchiettare leggero, come il suono di un dito che stesse bussando. Poi ci fu un debole graffiare sul pesante vetro della finestra.

Con il cuore che rimbalzava violento contro le costole, Rudy pensò:

Tutto ciò che posso fare è colpire qualsiasi cosa attraversi quella porta. Che cos’è una pietra focaia? Con cosa potrei creare una scintilla? Cristo! Vorrei che Ingold fosse qui con noi: potrebbe accendere un fuoco soltanto fissando la legna… Che meraviglia se sapessi farlo anch’io…

Le parole di Ingold gli risuonarono improvvisamente in mente. Il Mago, nell’oscurità del cancello, fissava la fiamma che cresceva nel palmo della sua mano.

Tu sai cos’è e lo chiami con il suo vero nome…

Rudy fissò intensamente il piccolo mucchio di legna, le foglie secche ed i ramoscelli sparsi. Come avrebbe potuto accenderlo? Il suo vero nome… Forse era necessario conoscere il nome magico del fuoco. Ma, in qualsiasi modo lo avesse chiamato, il fuoco era sempre fuoco. Il suo odore, la sua luminosità, era sempre la stessa…

Pensò a quale genere di odore si sarebbe potuto sviluppare da quei ramoscelli. Forse una sorta di aroma agrodolce… ed avrebbe emesso piccole scintille d’oro luminose e crepitanti, dal suono leggero e scoppiettante… Richiamò alla mente la forma, l’odore, e la luce, sforzando gli occhi ed il pensiero per scorgere fino all’ultimo il minuscolo mucchietto di legna nella grande oscurità.

Lentamente la stanza cominciò a scomparire insieme alla consapevolezza della presenza di Alde accanto a lui, ed alla fredda presenza della morte che li aspettava fuori dalla porta. Ogni cosa sfumò diventando meno importante del fuoco: il fuoco ora era tutto quello che importava, e doveva scaturire per amore della Regina… Ora riusciva a vederlo, a sentirlo, a percepirne l’odore: sapeva come sarebbe esploso da quei ramoscelli!

Le foglie secche si agitarono ancora al vento. Da lontano riusciva a scorgere l’immagine di Alde che stringeva in bocca le nocche sbiancate delle dita senza emettere neanche un grido. Distaccato, scorse in un angolo della sua mente il fuoco, e percepì l’attimo nel quale le fiamme avrebbero cominciato a scoppiettare. Poteva vederlo, ma ancora non riusciva a toccarlo…

Si sentiva a suo agio, rilassato nella mente e nel corpo; seguì la sua mente, e l’intera prospettiva del suo mondo si modificò. Ora il suo orizzonte si era ristretto alle foglie, alle loro forme secche, ai ramoscelli ed alla legna che poteva scorgere chiaramente nella totale oscurità della capanna. Apparvero minuscole scintille dorate simili a polvere di stelle… Senza muoversi, Rudy creò un ponte immaginario tra sé ed il fuoco, e quel gesto fu semplice come quello di cogliere un fiore che cresca dall’altro lato di una staccionata.

Si udì un’improvviso crepitìo e l’aria si riempì di piccole scintille d’oro mischiate al sentore agrodolce delle foglie secche che si incendiavano. Rudy si chinò, ancora estraniato, calmo, chiedendosi se si trattasse di un’allucinazione. Era certo però, nel chiederselo, che non si trattava di uno scherzo dell’immaginazione, e provvide a nutrire con ramoscelli il fuoco, un fuoco vero che un istante prima non esisteva.

La luce si diffuse rapida nella stanza gettando ombre allegre sul suo volto. Un tremolìo danzante di trionfo si diffuse negli occhi di Alde nel momento in cui il giovane cominciò a gettare sul fuoco rami sempre più grossi.

Stava fissando le fiamme quando un pensiero improvviso lo colpì: Ci sono riuscito! Certo, ci sono riuscito! Il calore riscaldò le sue dita tremanti e raggiunse la fredda pelle delle mani e del viso. Il vento che fino a quel momento non aveva cessato di soffiare con intensità malvagia contro la porta, cessò e, di colpo, intorno al loro rifugio si diffuse una calma innaturale interrotta soltanto dalla pioggia che continuava a cadere.

La mente di Rudy si rallegrò per quel trionfo. Sembrava che una parte del suo cervello stesse gridando: L’ho fatto io! L’ho fatto io! Ho chiamato il fuoco, e il fuoco è venuto!, mentre un’altra parte esclamava sorpresa: Non sarei mai stato capace di farlo…

Più realisticamente, nel suo cuore cominciò ad affermarsi la tranquilla consapevolezza, chiara e minuta come quella stessa fiamma, del ricordo del primo istante nel quale il fuoco aveva iniziato a crepitare tra le foglie secche confermandogli la sua capacità di chiamarlo.

Il giovane alzò lo sguardo e incontrò gli occhi spaventati di Alde: erano spalancati per la paura, una paura mista a isteria, sollievo e terrore superstizioso, paura del Buio, del fuoco, di lui. Rudy scorse in quello sguardo il riflesso di quel suo nuovo potere, e capì come gli altri riuscivano a vederlo: alieno, terribile e misterioso. Alde non riuscì ad esprimere a parole ciò che i suoi occhi rivelavano, e Rudy non avrebbe saputo cosa risponderle. Per un momento rimasero a guardarsi alla luce delle fiamme, poi, con un sospiro violento, la ragazza si gettò tra le braccia di Rudy singhiozzando e stringendolo come se fosse l’ultima speranza della sua vita.

Magia, terrore e morte erano scomparsi, e la tensione si ruppe con quello shock fisico. Il giovane abbracciò la Regina con tanta forza da farla gemere, e nascose il volto tra i suoi folti capelli scuri. Alla fine si sedettero ancora ansimanti, e si avvolsero nei loro mantelli mentre il fuoco continuava la sua danza di ombre tra le basse travature del tetto.

Dopo poco Alde si addormentò, mentre Rudy rimase sveglio con la spada a portata di mano, fissando il fuoco e pensando al passato e al futuro, finché la pioggia cessò e giunse l’alba.


«Secondo te è questo il modo di combattere?» La voce di Gnift echeggiò come uno squillo di tromba e con la stessa forza dell’acciaio della sua spada dall’impugnatura consumata. «Colpiscilo! Colpiscilo!»

Il Falcone di Ghiaccio, armato di un sottile bastone di legno, studiò il suo avversario, una robusta Guardia che stringeva tra le mani una pesante canna di bambù, un’arma capace di ferire — se usata con perizia — quanto una vera lama.

Il giovane Capitano era stato colpito alle mani ed al volto. Rudy, seduto al bordo del campo, stava tremando, e notò che Gil, vicino a lui, stava invece osservando il combattimento con vivo interesse. Sembrava che avesse già preso parte ad una seduta di esercitazioni e ne fosse uscita malconcia.

Ragazza testarda, pensò. Dovranno ammazzarla prima di riuscire a farla rinunciare!

«Attaccalo, stupido vigliacco!», gridò ancora Gnift. «Non devi farci l’amore!»

Il contendente più alto vacillò, e il Falcone di Ghiaccio si girò per abbandonare lo spiazzo. Gnift, esasperato, avanzò verso di lui, lo afferrò per la tunica e lo spinse di nuovo verso il suo avversario. Il risultato fu un combattimento sanguinoso, doloroso, e che regalò soltanto fatica alle due Guardie.

«Uno di questi giorni, qualcuno darà una lezione a quel piccolo bastardo!», mormorò Rudy tra sé.

«A Gnift!» Gil alzò le sopracciglia con stupore divertito. «Stai fresco!»

Rudy ricordò Gnift che si esercitava con Tomec Tirkenson, il Capo di Gettlesand, la sera precedente verso il tramonto, e ripensò alle sue parole. Forse Gil aveva ragione…

Stettero ancora un po’ a guardare, seduti vicini sul quadrato di terra ai bordi del campo d’addestramento improvvisato. Intorno era stato piantato il campo per trascorrere la notte.

Presto sarebbe giunta l’ora del rancio, e sarebbero state distribuite le solite, misere razioni. Poi sarebbero stati accesi i fuochi.

Gil sembrò a Rudy stanca ed esausta, ridotta ad un’ombra esile, quasi asessuata, con la lunga capigliatura nera ora tutta arruffata. Sapeva che, oltre a marciare e ad espletare i doveri di Guardia, si addestrava ogni notte nonostante il poco cibo e la ferita al braccio non ancora cicatrizzata, quasi avesse deliberatamente deciso di sfinirsi.

Il vento soffiava dalle montagne e spazzava il campo come la marea montante. Le cime sopra di loro cominciarono ad oscurarsi: erano un vero e proprio muro roccioso che si ergeva enorme ad occidente. Proprio quel mattino erano transitati per un incrocio dove si ergeva una grande croce di pietra, e lì avevano preso il sentiero che conduceva direttamente al Passo di Sarda. All’ombra delle colline il freddo era diventato più intenso, e la sensazione di gelo era accresciuta dall’assenza di abitazioni e di uomini.

Nella pallida luce del crepuscolo, il Falcone di Ghiaccio continuava a resistere, schivando i colpi di spada del suo avversario. Il sudore gli bagnava il viso pallido, e gli occhi offuscati rivelavano i primi segni di stanchezza. Sputando maledizioni ed ingiurie, Gnift girò intorno ai guerrieri fino a che venne a trovarsi alle spalle del Capitano. Lo sgambettò con un movimento rapido. Il Falcone di Ghiaccio cadde, ed il suo avversario gli si lanciò addosso senza mollarlo un secondo. Ci fu una visione confusa di gambe e braccia che si aggrovigliavano. Il più giovane schivò un colpo di spada rispondendo con un pugno secco al ventre della grossa Guardia. Il colpo la catapultò a terra dove giacque nel fango. Il giovane Capitano si rialzò stringendo in pugno entrambe le spade. Gnift non perse l’occasione per ricominciare ad urlare.

«Quando metti giù il tuo uomo, fà qualcosa. Non prendergli la spada per poi rimanere in piedi come uno sciocco. Se lo facessi…»

Rudy era rimasto impressionato da quest’ultima mossa.

«Tutti i guerrieri devono farlo?», sussurrò. «Anche le Guardie di Alwir e le truppe della Chiesa?»

«Il metodo è lo stesso,» rispose Ingold. «Gnift però è il più severo, e le Guardie hanno la reputazione di possedere il miglior istruttore dell’Occidente. Naturalmente esistono metodi di preparazione diversi a seconda dei modi di combattere. Ad Alketch, per esempio, addestrano la loro famosa cavalleria legando uno schiavo per un polso ad un anello di ferro situato nel centro del campo di addestramento. Poi gli mettono una spada nella mano libera, e i cavalieri si addestrano caricandolo con le loro sciabole.»

«Qual’è il bilancio delle sostituzioni?», si informò compuntamente Rudy. «Ricordo di non aver visto nessuno di Aiketch…»

«Veramente?» Gli occhi di Ingold luccicarono per una risatina trattenuta. «Bene. Come sai, sono stato in molti posti ed ho fatto molte cose stupide nella mia vita. Ora, se mi concedi un minuto, Rudy, vorrei parlarti in privato.»

Il Mago si alzò e si avviò attraverso la confusione del campo sul quale si andava spandendo la luce arancione del tramonto, con Rudy alle calcagna. Quando passarono davanti ai carri di Alwir, Rudy riconobbe gli stemmi neri della Casa di Dare. Minalde era lì, con il suo bambino.

Aveva parlato pochissimo con la giovane Regina durante il giorno. Lei si era allontanata da lui più silenziosa e timida di prima, quasi volesse sfuggirlo dopo i momenti di intimità della notte. Rudy ne era rimasto confuso, ma non sorpreso. Erano stati avvinti dalla passione, e ad essa si era mescolato il terrore e la paura. Il mattino seguente, quelle impressioni potevano benissimo essere state cancellate. Poteva anche essere conseguenza del dolore per la morte di Medda, che era seguita all’allontanamento della fedele nutrice condotta dalle Guardie fuori del campo come uno zombie balbettante. Poteva anche essere la vergogna per l’atto d’amore da loro compiuto e per l’implicito tradimento verso il Re morto.

Rudy continuava a chiedersi quale fosse la ragione del comportamento di Alde. Lei parlava molto raramente di Eldor, e mostrava una strana vergogna al solo sentirne il nome. Forse si trattava di vergogna per aver ceduto ad un comune cittadino — anche se, come Rudy era riuscito a sapere, la cosa sembrava non importare molto alle rappresentanti femminili della Casa Regnante — o più probabilmente era paura e reazione alla scoperta dell’inconsueto potere di Rudy. Alde era una buona figlia della Chiesa, ed il giovane ricordò lo sguardo di paura che aveva letto nei suoi occhi attraverso la chiara luminosità delle fiamme.

Qualunque fosse la ragione che aveva tenuto lontano Alde, Rudy sentiva che non c’era rabbia nei suoi confronti, solo una terribile confusione emotiva. E, allo stesso modo, il ragazzo sapeva, fissando la parte superiore del carro che si stagliava contro lo sfondo rosa pallido del cielo, che doveva aspettare il suo momento.

Rudy sapeva abbastanza del mondo per aver capito che si poteva andare a letto con una ragazza e che questo poteva benissimo non contare nulla. Era la seconda volta, ed erano quelle successive, che avevano importanza. La sua impazienza di stare di nuovo con lei poteva riuscirgli fatale: ormai conosceva Alde, ed aveva compreso che dietro i suoi modi gentili e arrendevoli si nascondeva un cuore di acciaio. Non poteva pensare a lei solamente come una ragazza con la quale era piacevole fare l’amore…

E sarebbe bello, pensò, mentre il respiro gli diventava difficoltoso, che fosse lei la sola a rimanere coinvolta in questa storia…

Obbligò se stesso a guardare altrove, e riprese a seguire Ingold.

Il Mago si fermò sul campo aperto ed erboso tra il margine del campo e la linea di guardia, dove erano stati sistemati i grandi falò notturni. Erano soli: il campo era deserto, e le ombre della sera tracciavano righe spettrali sul terreno. Il vento portava con sé l’odore freddo della pioggia e spingeva l’erba tra le nude macchie di pietra sotto i loro piedi.

«Mi hai detto che la notte scorsa sei riuscito a chiamare il fuoco. Mostrami come hai fatto,» disse.

Rudy raccolse alcuni ramoscelli, rimasugli della legna accatastata per i falò, e cercò un pezzo di terra asciutta. Con l’unghia del pollice scalfì la corteccia secca per farne stoppa, si sedette incrociando le gambe accanto a quel piccolo mucchio, e si avvolse nel mantello. Rilassò il corpo e la mente allontanando gli stimoli esterni, gli odori del campo, il fumo, l’odore dell’erba bagnata ed il muggito dei bovini. Con la mente si concentrò soltanto sui ramoscelli e sulla corteccia pensando a come quel materiale si sarebbe acceso.

Più fumoso delle foglie della notte scorsa, pensò. Una piccola macchia luminosa, come quella di una lente d’ingrandimento con il sole… un odore diverso delle foglie…

Il fuoco divampò più velocemente di quanto aveva fatto prima, e ci fu un senso di trionfo misto ad inquietudine nell’occhiata che Rudy rivolse ad Ingold. Il Mago guardò impassibile le fiamme, poi, senza muoversi, le spense. Da una tasca del suo mantello estrasse un mozzicone di candela e lo sollevò a pochi centimetri dagli occhi di Rudy.

«Accendi la candela.»

Rudy lo fece.

Ingold la spense e continuò a fissare il suo compagno in silenzio, mentre dalla candela saliva un filo bianco di fumo. Dalla solita tasca estrasse un cordoncino al quale era legato un pezzetto di piombo simile ai piombi da lenza. Alzò il cordoncino davanti a sé e fermò il peso con l’altra mano.

«Muovilo.»

Era come accendere il fuoco, soltanto un po’ diverso.

«Hmmm…»

Ingold raccolse di nuovo il piccolo pendolo e lo mise via senza parlare.

Vi fu un fremito nell’erba ai loro piedi. Rudy si innervosì, vergognandosi un poco per quella esibizione.

«Cos’è?», chiese. «Voglio dire, come posso farlo?»

Il Mago si tirò giù le maniche.

«Tu lo sai», rispose, «meglio di me.»

Si guardarono fissi negli occhi. Tra i due uomini si stabilì un contatto con la consapevolezza di qualcosa che era noto solo a coloro che sapevano cosa fossero quei poteri. Non c’era alcun bisogno di parlare.

«La domanda, è la risposta Rudy. La domanda è sempre la risposta. Per quanto riguarda il tuo potere, direi che è nato con te, così come avviene per la maggior parte di noi.»

Noi… pensò Rudy. Noi…

Balbettò qualcosa comprendendo che Ingold aveva ragione anche se il suo pensiero si rifiutava di accettare in pieno quella realtà.

«Ma… non ci sono mai riuscito prima…»

«Nel tuo mondo, probabilmente non ci saresti riuscito», rispose Ingold. «O forse si. Hai mai tentato?»

Rudy scosse il capo. Non gli era mai capitato nella sua fanciullezza, ma delle immagini spontanee invasero la sua mente. Erano ricordi di sogni fatti da bambino prima che iniziasse ad andare a scuola. Non era del tutto sicuro di aver fatto quelle cose, o soltanto di aver sognato di farle, ma il ricordo di quel bisogno lo colpì con la stessa forza di una freccia. Era un bisogno più forte e più profondo del suo amore per Alde, un muto desiderio così profondamente radicato in lui da non far sentire la sua presenza. Ma qualcosa gli era stato precluso quando era piccolo, e sentì le lacrime trattenute fin dall’infanzia rigargli il volto.

«Mai?», sussurrò Ingold. I suoi occhi erano simili a quelli di un drago, uno specchio enorme che ingoiava e tratteneva l’anima. Rudy vide in essi il ricordo della scintilla che scaturiva dalle foglie secche e dei profondi occhi blu che lo fissavano terrorizzati. Vide anche le forme confuse dei suoi sogni di bambino, e provò l’identica rabbia che aveva scatenato in lui il sapere che non avrebbe mai potuto raggiungere quella realtà. La voce di Ingold era ammaliante.

«Hai il Potere, un vero talento innato. Ma si tratta di una forza pericolosa… lo capisci?»

Rudy annuì con il fiato mozzo.

«Devo… posso…» Esitò cercando il modo migliore di formulare la domanda. «Il mio Potere aumenterà se imparerò il modo di utilizzarlo meglio?»

Il vecchio fece un leggero segno di assenso. I suoi occhi blu erano freddi e distanti come schegge di ghiaccio.

«Mi insegnerai?»

La sua voce era più dolce ora.

«Perché vuoi imparare, Rudy?»

In quel momento il ragazzo avvertì l’estensione terrificante dei poteri del suo vecchio compagno. Lo sguardo azzurro colpì il suo cervello con la forza di una lancia, spalancando completamente la porta della sua mente. Vide i propri pensieri diventare visibili davanti a quella forza, e non riuscì a nascondere il groviglio di emozioni, di desideri formati a metà e, soprattutto, l’indulgenza egoistica e stupida delle sue emozioni passeggere, della meschinità, dell’indolenza, della sensualità. Vide tutti gli errori compiuti nel passato e nel presente, ombre scure alle quali non aveva dato importanza, viste com’erano attraverso i blocchi della sua coscienza.

«Non lo so…», sussurrò.

«Non è una risposta.»

Rudy cercò disperatamente di pensare con ordine, di’ esprimere con le parole più acconce quel desiderio impellente che lo stava travolgendo e bruciava al centro dei suoi pensieri più segreti. Capì improvvisamente cosa fosse quello che Gnift faceva per infondere coraggio e spirito di corpo nelle Guardie. Allo stesso modo capì il perché della dedizione di Gil all’addestramento, e comprese il profondo legame che esisteva tra Ingold ed il loro Comandante. Seppe quindi che doveva rispondere bene a quella domanda, altrimenti Ingold non avrebbe mai acconsentito a fargli da insegnante.

Ma non c’è una risposta giusta!, gridò l’altra parte della sua mente. Devo soltanto trovare un po’ di calma e convincermi che è giusto e che devo farlo… Non devo più sorprendermi se riesco a chiamare il fuoco… È una cosa diversa, diversa per ciascun essere vivente…

In quell’istante Rudy sentì di essersi avvicinato al centro della sua stessa anima, alla sua verità.

Dì la verità, disse a se stesso. Anche se ti sembra stupida. Dì la verità. Se non ci riuscirai, niente avrà più importanza. Se non imparerò, non avrò alcun centro, e il Potere è il centro di tutto… Solo che io non lo conosco ancora…

Quelle parole fecero effetto, e Rudy si sentì rinfrancato anche se non aveva ancora parlato con Ingold. Si sentiva come se qualcun altro stesse parlando in sua vece, quasi avesse la mente ipnotizzata da quello sguardo gelido e lontano.

«Cos’è il Centro?», lo spinse a rispondere Ingold con la sua voce calma e riflessiva.

«Sapere… cioè non sapere una cosa qualsiasi, ma conoscerla nella sua interezza… Conoscere il Centro è il Centro; avere una chiave per comprendere il senso delle cose è il senso. Ogni cosa ha una sua chiave, e conoscerla è la mia chiave.»

Rudy uscì lentamente dallo stato di rilassamento interiore nel quale era piombato per esercitare i suoi poteri, e si ritrovò sudato e stanco come dopo aver sostenuto un estenuante esercizio fisico, o come se avesse subito uno shock. Si chiese come avesse fatto a considerare Ingold un inoffensivo vecchietto quando, pur conoscendolo e stimandolo, avrebbe dovuto aver paura o almeno un reverenziale timore di lui.

Un’espressione tenera e dolce illuminò i lineamenti del Mago, e Rudy comprese infine la grandezza della Magia di Ingold vedendola riflessa, almeno in potenza, nella propria, ancora immatura.

«Adesso capisci quello che ho sempre cercato di dirti», disse il Mago. «Capisci cosa significa avere il Potere?»

Rudy scosse la testa.

«So soltanto che farò ciò che devo fare. Assolutamente!»

Ingold sorrise, quasi stesse ricordando le parole di un altro Mago, più giovane e zelante.

«Questo vuol dire che dovrai ubbidirmi ciecamente,» replicò. «Senza fare domande, né discutere, e al meglio delle tue capacità. E saprai soltanto quello che è opportuno sapere. Dovrai memorizzare migliaia di cose che al momento ti sembreranno senza senso: cose stupide, nomi, indovinelli, poesie.»

«Non ho mai avuto una buona memoria,» disse Rudy, quasi vergognandosene.

«Quello che posso dirti è che dovrai imparare a ricordare. Tutto e velocemente. Ma soprattutto bene

Gli occhi del Mago erano diventati di nuovo freddi e scostanti e, nel tono deciso ed incisivo della sua voce, Rudy riconobbe le tracce accecanti di quel potere terribile.

«Non sono un insegnante di asilo infantile. Ho il mio lavoro da fare. Se desideri imparare, Rudy, dovrai farlo se, come e quando, deciderò io. È chiaro?»

Per un attimo Rudy si chiese cosa sarebbe successo se avesse esclamato: E se non ci riesco? La risposta sarebbe certamente stata: Allora non ci riuscirai mai! Dipendeva tutto da lui. E, anche se sarebbe rimasto suo amico come sempre, Ingold non sarebbe certamente ritornato sull’argomento.

Rudy vedeva il suo futuro profilarsi dinanzi ai suoi occhi, chiaro e nitido: avrebbe dovuto impegnarsi e sarebbe stato un cambiamento enorme, esclusivo, irrevocabile, e in qualche modo terrificante. Sarebbe cambiato tutto: ciò che era, ed ogni cosa che avrebbe fatto o voluto diventare. La scelta gli era stata proposta senza nessuna possibilità di remissione, ed ora doveva affrontarla sentendosi impreparato ed impaurito. Però era una decisione che non poteva rimandare, dalla quale non poteva tirarsi indietro, e che non gli sarebbe stata offerta una seconda volta.

Perché cose simili succedono sempre a me?

La risposta era:

Perché lo vuoi!

Deglutì, e sentì che la sua gola era riarsa e dolorante per la tensione.

«Va bene», disse debolmente. «Lo farò. Farò del mio meglio, cioè.»

Era calata la notte. Ingold incrociò le braccia: era un’ombra scura avvolta dal mantello, profilata contro le luci del campo. Intorno a loro era comparsa una nebbia leggera e traslucida mentre i rumori e gli odori dell’accampamento diventavano via via più indistinti. Rudy ebbe la netta sensazione di essere isolato in un freddo universo di nulla, quasi fosse stato per ore in ginocchio sull’erba bagnata lottando fino allo stremo contro un Demone od un emissario del Male…

Però aveva vinto. La sua anima era leggera e tranquilla, senza ansie o smanie di trionfi; avrebbe quasi potuto volare via con il vento della sera.

Ingold tornò a sorridere, e di colpo tornò a essere l’uomo di sempre, trasandato, con il consueto abito marrone logoro e macchiato.

«Questo», disse allegramente, «è ciò che mi aspetterò sempre da te. Anche quando sarai nervoso, stanco od affamato; quando avrai paura di fare ciò che ti dirò di fare; quando penserai che sia pericoloso o impossibile, oppure entrambe le cose; quando ti arrabbierai con me per aver curiosato in quella che tu consideri la tua importantissima vita personale. Farai sempre del tuo meglio: soltanto così riuscirai a capire quello che significa. Dio ti aiuti!» Si alzò scuotendo l’erba bagnata e dei piccoli rametti dalla sua tunica grezza. «Ora torniamo al campo», concluse rudemente. «Dovrai fare il tuo turno di guardia.»

Il vento ululava scendendo dalle colline, e piangeva nei canyons che circondavano il campo dei profughi disposto lungo la strada. Piegava perfino le fiamme del falò di Rudy allungandole sul terreno, e penetrava attraverso il mantello, la tunica e la carne, fino a raggiungere le ossa. Iniziarono a cadere i primi fiocchi di neve, pesante, farinosa.

Alde non era venuta.

Rudy sapeva il perché e ne era preoccupato. Ciò che era successo la notte prima aveva cambiato le cose tra di loro, e le aveva rese tremendamente complicate: se non poteva essere la sua amante, non avrebbe nemmeno potuto essere sua amica. E, da buona figlia della Chiesa qual era, non sarebbe mai diventata la donna di un Mago.

Avrebbe sentito la mancanza di Minalde. Il suo corpo ne soffriva e il desiderio era più intenso, quasi un senso di intensa solitudine, un bisogno estremo della sua presenza, del suono della sua voce. Quel pensiero gli faceva ricordare con estremo dolore che lui era uno straniero e che lo sarebbe stato per il resto dei suoi giorni. In questo mondo, così come nel suo, aveva perso ogni possibilità di comunicare. Sarebbe stato peggio al momento di tornare a casa. Ma ormai aveva visto e conosciuto il centro, il fuoco, la chiave della sua vita, e sapeva che per nulla al mondo avrebbe rinunciato ad inseguirla. Anche quando avrebbe abbandonato il mondo irto di pericoli del Buio e sarebbe tornato nella giungla della California del Sud, anche allora avrebbe avuto la spinta a cercare: allo stesso tempo sapeva che un giorno, continuando, avrebbe certamente trovato il nodo infuocato della sua anima.

Il vento gli tormentava il viso portando con sé il sapore della neve, ormai vicina, e l’eco distante dell’ululato dei lupi. Alle sue spalle il campo era immerso nel sonno; guardando più in là, il suo sguardo si perse lungo il cammino percorso fino a quel momento: la strada verso le colline e le praterie era segnata da una catena ininterrotta di falò.

Gli ritornò in mente la discussione con Ingold e cercò di ricordare la visione riflessa che aveva appena intravisto della sua anima. Il ricordo era vago e gli generò un dolore profondo. Poteva rivederlo, ma in un’immagine nebulosa che gli impediva di ricordare chiaramente cosa fosse stata… gli rimaneva soltanto l’impressione acuta e vivida del dominio e della forza del pensiero di Ingold sul suo, e la certezza chiara, per la prima volta in vita sua, di sapere cosa fosse!

Quello che non poteva sapere era che quella conoscenza gli sarebbe costata Minalde. Così ora non sapeva esattamente quanto avrebbe dovuto pagare per raggiungere il suo scopo… Ma, se la domanda è la risposta, non ha nessuna importanza saperlo o meno… La sua coscienza gli suggeriva di non abbandonare quella nuova strada: sarebbe stato tormentato per sempre dall’idea di aver avuto in pugno la sua vita e di essersela fatta sfuggire dalle dita. Non avrebbe gettato via tutto un’altra volta!

Il fuoco scoppiettò; la legna sospirò appena, e si ruppe cadendo in una pioggia di scintille. Rudy afferrò un grosso ramo e lo depose sul mucchio di braci provocando un’altra cascata di fiammelle che brillò sullo sfondo di un mucchio di neve. Si avvolse ancora più nel suo mantello, poi guardò in direzione del campo. Aldilà della luce del fuoco, riuscì a scorgere una figura scura che si avvicinava, avvolta dalla testa ai piedi in una pelliccia. L’ombra dei suoi capelli si agitò al vento e la luce del fuoco, quando si avvicinò, rifletté le ombre dorate dei suoi profondi occhi viola…

Загрузка...