«Dov’è?», chiese Rudy.
«Con le Guardie.»
Gil si aggiustò il cinturone della spada senza guardarlo negli occhi. Il ragazzo si accorse che la sua compagna di avventure aveva pianto. In quel momento, una violenta fitta di dolore gli strinse i muscoli e lo fece cadere costringendolo ad usare il muro come appoggio per alzarsi.
Il suo corpo era una vera marea di dolori, e i suoi muscoli sembravano corde annodate e poi bagnate. La stanchezza non si era impadronita soltanto delle sue ossa, ma anche del suo spirito: niente riusciva a scuoterlo, né il ricordo della corsa della notte precedente, né la presenza di Gil.
Sono troppo stanco, pensò. Quando riuscirò a tornare in California, me ne starò completamente in ozio. Ormai ho capito che, per quanto male possa andare, può sempre succedere qualcosa di peggio… Sempre che mi riesca di tornare il California…, si corresse, e seguì Gil fuori dalla stanza.
La cella era composta da molti cubicoli divisi che si stendevano, senza un ordine apparente, al di là di una porta sulla destra del cancello. Per uscire furono costretti a farsi largo attraverso mucchi disordinati di gente che stava ancora dormendo, stesi dov’erano arrivati, con i loro miseri fagotti di pentole e coperte gettati dappertutto.
Accanto ad un piccolo focolare, una bambola con la testa di porcellana era stata abbandonata, come un bambino morto, accanto ad un paio di stivali rotti.
Il luogo puzzava di vestiti sporchi e di sudore. Rudy, strizzando gli occhi nella luce fioca, uscì nella sala centrale del Torrione.
Guardandosi intorno poté soltanto meravigliarsi della forza di recupero della sua razza e della strana abitudine degli esseri umani di trasformare qualsiasi luogo in una casa. In quella fortezza di pietra e acciaio, dopo una lotta spaventosa contro il freddo e la morte, la gente si stava già sistemando, preparandosi ad affrontare i rigori dell’inverno.
I bambini — aveva ragione Minalde a farmi notare le loro capacità eccezionali di recupero — correvano su e giù per la sala che adesso echeggiava delle loro grida giocose che andavano a smorzarsi tra le volte invisibili del soffitto. Le voci delle donne invece risuonavano dolci e acute, e a loro si mescolavano le risate più profonde degli uomini.
In un angolo di quel salone tenebroso un rettangolo di luce accecante segnalava le porte attraverso le quali entrava un sottile fiume di pulviscolo solare che veniva riflesso dalla neve.
Dall’altro capo della sala, un paio di monaci con le loro rosse tonache sbrindellate, stavano piantando un crocifisso di bronzo sull’ingresso di una cella per distinguerlo da centinaia di altre, tutti uguali. Lì si sarebbero svolte le cose della Chiesa; lì ci sarebbe stata la Cattedrale di Renweth e gli uffici amministrativi del Vescovo Govannin. Quella donna non stava certamente perdendo tempo.
Su una stretta passerella, Alwir, avvolto come Lucifero in un mantello di un rosso violento, contemplava dall’alto i suoi domìni.
Alle Guardie erano state destinate alcune celle sulla destra, vicinissime alle grandi porte del Torrione. Gil condusse Rudy attraverso uno stretto pertugio; alla luce di alcune lampade a olio, il giovane scorse Janus che discuteva con alcuni cittadini indignati. Questi ultimi erano certamente stati dei possidenti prima che il Buio distruggesse la loro ricchezza, le loro terre e, insieme, il loro prestigio ed il loro potere.
«L’assegnazione delle celle non è compito delle Guardie…», stava dicendo pazientemente il Comandante. «È una delle responsabilità del Lord del Torrione. Per cui vi suggerisco…»
Sembrava però che nessuno dei presenti lo stesse ascoltando.
La stanza era piena di provviste, cotte di maglia, armi e legna. Le Guardie stavano dormendo, anche se intorno regnava la più completa confusione. I loro volti erano tesi, doloranti, e mostravano chiaramente dipinti i segni della tremenda fatica della notte precedente.
In un’altra stanza la confusione era, se possibile, anche maggiore. Molte Guardie erano sedute a semicerchio attorno ad un tavolo, e mangiavano un frettoloso rancio di pane e formaggio mentre affilavano le spade o rammendavano le uniformi.
Il Falcone di Ghiaccio, con i capelli bianchi sciolti sulle spalle come una fluente cascata di platino, osservava impaziente una ciotola d’acqua bollente.
La gente intorno esultava e salutava tutti, felice e rumorosa, e Rudy ricambiò quei saluti con tutto lo scarso entusiasmo che riuscì a recuperare.
Quel posto puzzava di sudiciume, grasso rancido e fumo.
Come diavolo sarà tra un anno?, si chiese il giovane. O due? O venti?
Quel pensiero lo nauseò.
Una tenda sudicia nascondeva una sorta di ripostiglio dove le Guardie avevano ammassato le loro provviste in un caotico disordine. Attraversando il divisorio sudicio, Rudy ammiccò. L’illuminazione della lampada a olio riusciva a malapena a penetrare nell’oscurità della stanza: gli sembrò di scorgere sacchi ammucchiati, barilotti logori, ed un pavimento cosparso di fango e fieno secco. Dappertutto regnava un afrore opprimente di formaggio ammuffito e cipolle.
Nell’angolo più lontano di quella stretta cella, qualcuno aveva ricavato un giaciglio improvvisato con un mucchio di sacchi vuoti. Su quel letto, simile ad un cadavere, giaceva Ingold.
«Sei pazzo, lo sai?», gli sussurrò Rudy.
Gli occhi blu si aprirono e lo fissarono opachi e gonfi per la fatica. Poi, il familiare sorriso gli illuminò i lineamenti, allontanando i segni dell’età e facendolo sembrare uno scolaro birichino.
«Avresti potuto lasciarci la pelle!»
«Sei bravissimo a dire cose ovvie», esordì lentamente il vecchio Mago. Il suo tono però era scherzoso, ed era ovviamente felice di rivedere Gil e Rudy vivi ed in buona salute. Le sue mani erano bendate ed il volto sfregiato e bruciato dal ghiaccio ma, come pensò Rudy, non se l’era certo cavata male.
«Comunque, grazie per il vostro interessamento,» continuò Ingold. «Il pericolo però non era così terribile come sembrava. Ero certo di riuscire a tenere a bada i Guerrieri del Buio fino a che non fossi riuscito a richiamare indietro la tempesta. Avrei potuto facilmente fuggire nel momento in cui la tormenta li avesse colpiti.»
«Sì?», chiese Rudy seduto ai piedi del letto. «E come contavi di sfuggire alla tempesta?»
«Sei diventato cavilloso.» Ingold evitò di rispondere. «Sta ancora nevicando?»
«Un po’ meno,» rispose Gil tirandosi sulle ginocchia come una cavalletta e sistemandosi a capo del letto. «Ma il vento non si è fermato. Tomec Tirkenson dice che questo è il più freddo che abbia dovuto affrontare da quarant’anni a questa parte. Anche il Falcone di Ghiaccio ha detto di non aver mai visto la neve così alta nelle gole, d’inverno. Ti toccherà un viaggio lungo, freddo e faticoso, se deciderai di affrontare il Passo.»
Appena visibile nell’oscurità, il volto della ragazza appariva scarno e spaurito, ma lei era tranquilla.
«Aspetterò fino a che avrà smesso di nevicare,» rispose Ingold, sistemandosi comodamente e stringendo le mani fasciate intorno al copriletto di lana rosicchiato dalle tarme. Sembrava pallido e malato, e a Rudy non piacque la debolezza della sua voce, né il modo in cui giaceva immobile, appoggiato sui sacchi di grano. Sembrava attratto da qualche lontano e intimo richiamo…
«Non posso rimandare più a lungo,» continuò il Mago. «Sono accadute delle cose che mi impongono di partire al più presto per parlare con Lohiro. A parte il fatto che Alwir, da quanto ho capito, intende ancora riunire qui il suo esercito per attaccare i Nidi del Buio.»
Prima che avesse finito di parlare però, le voci in sordina divennero un borbottìo veloce che si trasformò in una violenta baruffa tra molte persone che cercavano contemporaneamente di alzarsi in uno spazio ristretto. La tenda cenciosa fu spostata bruscamente, ed un’ombra massiccia si profilò sull’entrata.
Alwir, ultimo Lord del Torrione di Dare, si fece avanti.
Accanto a lui, scura ed esile come un giovane melo, c’era Lady Minalde.
Il Cancelliere rimase in piedi in silenzio mentre guardava con solennità il vecchio che giaceva su quel letto improvvisato. Quando parlò, la sua voce era calma.
«Mi avevano detto che eri morto.»
«C’è chi tende sempre ad esagerare,» rispose Ingold tranquillo. «E spesso sbagliano, come vedi.»
«Avresti potuto esserlo», replicò Alwir. «Senza di te però, anche tutti noi avremmo potuto morire là vicino al fiume… Sono venuto…» Le parole sembrarono bloccarglisi in gola come pane secco.
«Sono venuto a dirti che ho sbagliato a pensare male di te, e ti offro la mano in segno di amicizia.»
Stese il braccio, e i gioielli dei suoi anelli brillarono nell’ombra.
Ingold stese la sua mano bendata per ricambiare quella stretta. Era il gesto di un Re al cospetto di un altro.
«L’ho fatto soltanto perché promisi a Eldor di farlo,» disse. «Ho preso suo figlio e l’ho portato in salvo. La mia promessa è stata rispettata. Appena il tempo me lo permetterà, partirò alla ricerca della Città Nascosta di Quo.»
«Pensi di riuscire a trovarla?»
Il cipiglio di Alwir era quello di una persona preoccupata, ma i suoi occhi erano freddi e calcolatori.
«Non posso saperlo finché non sarò partito ed avrò cominciato la ricerca. Ma l’aiuto del Consiglio dei Maghi è indispensabile: per la tua carica, per il Torrione, per tutto il genere umano! Il silenzio di Lohiro mi preoccupa. È da più di un mese che non ho notizie sue e degli altri membri del Consiglio. Inoltre, è impossibile che non sappiano quanto è successo…»
«Pensi che Lohiro sia ancora vivo?»
Ingold scosse la testa decisamente.
«Lo avrei saputo se fosse morto,» rispose. «Lo sentirei. Anche con tutti gli Incantesimi che circondano la città come un anello di fuoco, lo saprei!»
Minalde parlò per la prima volta, lo sguardo cupo per la preoccupazione.
«Allora cosa pensi che sia successo?»
Ingold scosse la testa.
«Non lo so,» disse semplicemente.
Lei lo fissò per un attimo ascoltando, come nessun altro riusciva a fare in quella stanza, l’incrinatura della sua voce, che denotava un’ombra di impotenza e paura. Si capiva che non era paura per la Magia nel mondo, quanto piuttosto per i suoi amici di Quo, la sola gente alla quale Ingold potesse veramente dire di appartenere.
Lei lo aveva sempre visto esprimere forza e autorità, ma quella sua debolezza la commosse.
«Avresti potuto cercarli da molto tempo,» disse, «se non fosse stato per la tua promessa. Mi dispiace.»
Ingold le sorrise.
«La promessa non aveva niente a che fare con quanto ho fatto, bambina mia.»
Alde si avvicinò velocemente e si chinò per baciarlo sui capelli bianchi ed arruffati.
«Dio sia con te…», gli mormorò, e se andò via dalla stanza, lasciando Rudy e suo fratello a fissarla istupiditi.
«Sembra che abbia fatto una conquista,» disse il Mago.
Alwir ridacchiò, ma Rudy non ne fu affatto compiaciuto.
«Lei è giustificata!», esclamò Alwir. «I servizi che hai reso al Regno vanno oltre qualunque prezzo noi possiamo pagare.» Guardò intorno la stanza sudicia con le sue pareti sporche e gli odori che provenivano dagli alloggiamenti delle Guardie. La voce stonata e roca di Gnift si alzò in una canzone che parlava d’amore e di campi di grano. «Meriti certamente più di una stanza in questa stamberga. Il posto riservato alla Regina è certamente più dignitoso. Possiamo offrirti un posto più consono al tuo stato, mio Lord.»
Ingold sorrise e scosse la testa.
«Ci sono persone che potrebbero usare meglio di me ciò che mi offri», si schermì. «E, in ogni caso, partirò presto. Fin quando c’è un giaciglio nel quartiere delle Guardie, avrò una casa.»
Il Cancelliere lo studiò per un momento che sembrò molto lungo.
«Sei un uomo strano», disse infine, «fai come vuoi. Se ti stancherai della tua esistenza da vagabondo, l’offerta sarà sempre valida. I nostri litigi non mi hanno permesso di comprendere a fondo le tue qualità. Permettimi almeno di fare ammenda.»
«Non hai bisogno di alcun permesso,» rispose dolcemente Ingold, «né esiste più alcun litigio o incomprensione. È tutto dimenticato.»
Il Cancelliere Alwir, Reggente del Regno e Lord del Torrione di Dare, si inchinò e si allontanò.
Un attimo dopo, nella stanza entrò precipitosamente il Falcone di Ghiaccio, per portare a Ingold la tazza di tè che aveva, con tanta cura, preparato. Il vapore aveva un odore curioso, ma si credeva che quell’infuso di erbe prevenisse le malattie invernali.
Forse ne avrei bisogno anch’io, pensò Rudy. Ma, per guanto mi sia bagnato, abbia sofferto la fame, oppure sia stato esposto al freddo glaciale di queste montagne, non mi sono mai sentito male… Probabilmente non ne ho avuto il tempo. O forse, quello che ho passato spaventerebbe qualsiasi microbo…
«Ingold,» disse Gil sussurrando, quando la Guardia se ne andò via portandosi dietro le tazze vuote. «Per quanto riguarda la tua partenza per Quo…»
«Sì,» la interruppe il Mago. «Dovremmo parlarne.»
Rudy si sistemò ai piedi del letto.
«Pensavi di andarci da solo?»
«No?»
«Dici che è pericoloso. E posso anche essere d’accordo con te. Ma non pensi che sarebbe meglio se ti facessi accompagnare da Gil o da qualcuna delle Guardie?»
Il vecchio Mago strinse le mani e chiese in tono distaccato:
«Non pensi che io sia capace di badare a me stesso?»
«Dopo l’impresa che ti sei sobbarcato la notte scorsa?»
«Ti stai forse offrendo volontario?»
Rudy si interruppe con un singulto.
«Vuoi dire che… mi porteresti?» Non poté trattenere la bramosia nella sua voce e, a giudicare dall’espressione di Ingold, la stessa voglia di partire gli si era dipinta sul volto. La prospettiva di andare con il vecchio, senza tener in alcun conto i pericoli, di imparare finalmente i rudimenti della Magia, fecero scomparire davanti a lui tutti gli ostacoli, compresi anche i Razziatori Bianchi, le tempeste di ghiaccio, i pericoli delle pianure d’inverno. «Voglio dire… posso venire con te?»
«Stavo già pensando di chiedertelo…», disse Ingold. «In parte perché sei il mio Apprendista, e in parte per… altre considerazioni. Gil è una Guardia,» allungò una mano per sfiorarle i capelli in un silenzioso gesto d’affetto, «e il Torrione può aver bisogno di ogni uomo d’arme a disposizione nei giorni a venire. Vedi Rudy, sei l’unico Mago su cui posso fare affidamento. E soltanto un Mago può trovare la strada per Quo. Se per qualche ragione non dovessi riuscirci, potrai farlo tu.»
Rudy esitò, impaurito.
«Vuoi dire che… toccherebbe a me alla fine parlare con l’Arcimago?»
«È probabile», ammise Ingold. «Specialmente dopo quello che hai appreso la notte scorsa.»
«Ma…», balbettò Rudy intimorito da quella responsabilità, che era però parte del privilegio di possedere il Potere, «No, credimi, voglio venirci. È una delle cose che desidero di più al mondo…», balbettò ancora. «Però Gil è più brava di me. Io sono un vigliacco e un debole e, se anche non ti creassi problemi, potrei ostacolarti… Se poi dovessi mettermi a cercare il Consiglio da solo, potrei certamente fallire…»
Ingold sorrise.
«Allo stesso modo in cui avrei fallito io facendomi ammazzare. Non preoccuparti Rudy: tutti noi facciamo ciò che possiamo.» Bevve un sorso di tè. «È tutto stabilito. Partiremo appena il tempo lo permette, probabilmente tra tre giorni.»
Tre giorni…, pensò Rudy, preso nella morsa della paura e dell’eccitazione. Poi si rese conto che, messo di fronte alla possibilità di continuare il suo addestramento da Mago, aveva completamente dimenticato Minalde.
Non posso lasciarla, pensò atterrito. Non per cinque o sei settimane, o per quanto durerà il viaggio!
Non c’era però possibilità di scelta: andare con Ingold e studiare la Magia sotto la sua guida era esattamente ciò che desiderava: in un certo senso l’unica cosa che desiderasse veramente. Aveva capito, senza accorgersene, che, quando il vecchio Mago gli aveva insegnato come ottenere il fuoco ad un comando, gli aveva contemporaneamente fatto perdere la donna che amava. Poi, oggi, aveva anche capito che non c’erano alternative.
Come farò a spiegarglielo?
Molto tempo prima, in un’altra vita, ricordò di aver guidato una Volkswagen rossa in compagnia di una studentessa con la quale aveva parlato delle grandi scelte della vita: così si può diventare o fare, o essere… La guardò attentamente e si trovò di fronte lo stesso viso, scarno ed arrossato, con i segni delle ferite ricevute in combattimento, gli occhi pallidi ed i capelli legati frettolosamente. Era stato duro per lei abbandonare la sua vita di prima con tutte le sue insoddisfazioni per quest’altro mondo, più duro, difficile, selvaggio, ma che Gil amava intensamente.
Ma per me è ancora più duro lasciare qualcosa che amo per qualcosa che amo di più…
La voce di Gil lo riportò alla realtà distogliendolo da quei pensieri dolorosi.
«Dormirai qui fino ad allora?»
«Non ho bisogno di molto spazio», le rispose Ingold, «e non mi mancherà la compagnia. Inoltre,» e riprese la tazza, «non ho ancora trovato chi ordinò il mio arresto a Karst. Non credo che Alwir giungerebbe a mettermi da parte fino a quando potrò servirgli, però esistono delle celle profonde in questo Torrione. E la Magia che le custodisce è più profonda, più forte e più vecchia della mia. Da quelle celle non potrei certo scappare… I Segni Runici dell’Incatenamento sono ancora sepolti da qualche parte dei locali più antichi e su di loro non posso agire. Fin quando rimango nel Torrione di Dare, preferisco dormire tra amici.»
Le dita di Rudy sfiorarono distrattamente la lana ammuffita della coperta.
«Pensi di correre questo rischio?»
«Non lo so», ammise calmo Ingold. «Ma mi dispiacerebbe scoprirlo. Il saggio si difende per non essere mai attaccato.»
«Quello che hai fatto la notte scorsa la chiami difesa?»
Ingold sorrise dolcemente.
«Quella è stata un’eccezione», si scusò. «E, tra l’altro, inevitabile. Sapevo che potevo tenere il Buio lontano da Tir e trattenerlo fin quando voi non aveste raggiunto i cancelli. Non erano rimasti molti guerrieri, anche se avevano ancora forza sufficiente per lanciare dei controincantesimi su di me.»
«Non capisco», disse Gil gettandosi la treccia dietro le spalle. «So che non ce n’erano molti, ma perché ci hanno lasciato andare? Hanno seguito Tir fino da Karst, e sanno certamente com’è il Torrione, per cui erano senza dubbio consci che quella della notte scorsa era l’ultima possibilità rimasta loro di riuscire a prenderlo. Eppure si sono voltati e si sono scagliati su di te. Perché?»
Ingold non rispose subito. Era rimasto a guardare la spirale del vapore che saliva dalla sua tazza con il viso calmo e improvvisamente vecchio e stanco. Poi i suoi occhi cerchiati si spostarono per guardarla in viso.
«Ricordi quando mi ero quasi perso nelle Volte a Gae? Quando mi tirasti su dalle Scale del Buio?»
Gil annuì senza dire una parola. Era stata la prima volta che aveva tenuto una spada in mano. Ritornò con la memoria a quel momento: il vecchio in piedi sulle scale, lontano da lei, che stava ascoltando un rumore che la ragazza non era riuscita a sentire… e la luce bianca del suo bastone che si spandeva tutt’intorno. Era stato l’ultimo giorno della Gil studentessa ed ora, ripensandoci, le sembrò effettivamente di essere stata un’altra persona, un’estranea. Il ricordo di se stessa, sola, armata di uno spadone preso in prestito e di una torcia fumosa, che si spingeva contro gli eserciti del Buio, le fece tremare la gola e si sentì leggermente soffocare per la commozione.
Ingold continuò:
«Allora immaginai — e ora lo so per certo — che non è soltanto Tir il loro obiettivo. Oh, lo prenderanno se ci riusciranno. Ma, dovendo scegliere come hanno fatto la notte scorsa, ho compreso che vogliono me!»
«Te?», esclamò Rudy.
«Sì.»
Il Mago sorseggiò ancora un po’ della bevanda calda, poi mise via la tazza. Da dietro la tenda si udì la voce stentorea di Gnift che stava informando qualche povero allievo di aver tenuto una posizione appena peggiore di quella di un pattinatore sul ghiaccio con le gambe irrigidite.
«Evidentemente posso causare loro fastidi maggiori di quelli che potrebbe procurare Tir. Lo sospettavo già da prima ma, dopo quanto è successo, non possono esserci altre spiegazioni.»
«Ma… come è possibile? Se hai sempre detto che la tua Magia non può toccarli!», disse Rudy ansioso. «Per loro non sei altro che uno spadaccino qualsiasi. Tu non sai nulla sul Tempo del Buio che non sappia qualcun altro. È o non è Tir, Colui Che Può Ricordare?»
«Me lo sono chiesto anch’io», replicò Ingold pensieroso. «È evidente che conosco qualcosa di cui non sono ancora pienamente conscio. Qualche indizio che non ho ancora afferrato. Loro sanno cos’è, e temono che io possa arrivarci.»
Rudy rabbrividì.
«E allora, cosa pensi di fare?»
Il Mago alzò le spalle.
«Cos’altro posso fare? Prendere alcune precauzioni elementari. Ma potresti anche riconsiderare la tua offerta di accompagnarmi a Quo.»
«Chi altro può andare?», disse Ingold. «Se avessi avuto paura di essere ucciso, non mi sarei ficcato in questa storia, in primo luogo! Sarei rimasto a Gettlesand a coltivare rose e a formulare oroscopi. No… tutto quello che posso fare adesso, è stare il più vicino possibile ai Guerrieri del Buio e sperare di capire qual’è questa cosa che può farci vincere la guerra, prima che loro mi acchiappino.»
«Sei pazzo!», affermò categoricamente Rudy.
Ingold tornò a sorridere.
«Veramente, Rudy, penso che abbiamo definito già da un bel po’ di tempo il problema del mio equilibrio mentale.»
«Sei ancora più pazzo», esclamò Rudy gesticolando. «Tu, Gil, le Guardie… Ma com’è che finisco sempre con il circondarmi di pazzi?»
Il vecchio si mise comodo sotto le coperte e riprese il suo tè. Il vapore si alzò a spirale sul suo viso come il fumo da un altare.
«La domanda è la risposta, Rudy… sempre ammesso che tu voglia una risposta accondiscendente…»
Considerando le cose, Rudy non si sentì del tutto sicuro che lui non lo facesse. E si allontanò con quel dubbio.
Alde lo stava aspettando nella stanza accanto. La maggior parte delle Guardie se ne era andata. Oltre l’arco scuro e stretto della porta si poteva ancora udire la voce di Janus che continuava a discutere con i mercanti. In un angolo, il Falcone di Ghiaccio si era addormentato rilassato e rannicchiato come un gatto. Erano finalmente soli.
«Alde…», iniziò a dire Rudy, e lei si alzò dal lettino dov’era seduta mettendogli un dito sulle labbra.
«Ho sentito», disse dolcemente.
«Ascolta…», cercò di spiegarle.
Ancora una volta lei lo zittì.
«Naturalmente tu andrai con lui.» Le sue dita si strinsero fredde e morbide, tra le sue. «C’è qualche problema che ti impedisce di andare?»
Rudy sorrise, ricordando le sue apprensioni.
«No, per quanto mi riguarda. Ma ho avuto paura che tu non mi avresti capito.»
Stettero insieme come lo erano stati sulla strada quando si erano abituati a dividersi un mantello durante i lunghi turni di guardia. Pian piano il luccichio giallo del fuoco scemò, lasciandoli al buio, e Rudy continuò a respirare l’odore di erbe intrecciate che veniva dai suoi capelli.
«Non pensavo che qualcuno potesse capire. Forse perché sono io il primo a non capire cosa mi spinga a quest’impresa.»
Alde ridacchiò.
«È il tuo Maestro, Rudy. E tu hai bisogno di imparare. Anche se volessi, non riuscirei ad impedirtelo.»
Eppure la sua stretta nell’ombra rivelava un’apprensione che smentiva in qualche modo le sue parole.
Noi tutti facciamo delle scelte, pensò Rudy, e scostò la cortina dei suoi capelli per baciarla. Se tu dovessi scegliere tra me e Tir, so benissimo a chi toccherebbe rimanere al freddo… Anche lei aveva le sue priorità negli affetti…
I tizzoni del focolare scricchiolarono un poco e poi si spensero del tutto cancellando con l’oscurità anche quel po’ di penombra che era rimasta.
Dall’esterno della stanza giunse alle loro orecchie un mormorio costante di voci simile a quello dell’acqua in un ruscello. Rudy si era già quasi abituato al Torrione, ai muri, alle ombre, agli odori. Poteva sentire il peso di quella montagna di pietra che premeva intorno a loro col peso di migliaia di anni di storia.
Non appena la baciò di nuovo però, si ritrovò a pensare che quell’immobilità e quel silenzio avevano anche un aspetto benefico, tranquillizzante.
Il respiro di Alde era un sussurro contro le labbra del giovane.
«Capisco Rudy, ma questo non mi impedirà di sentire la tua mancanza.»
Lui la strinse forte tra le braccia. Gli ritornarono alla mente frammenti di conversazioni, cose dette secoli prima, a Karst o nei campi notturni durante quella marcia estenuante. Lei aveva perso il mondo che conosceva e tutti quelli che aveva amato, eccetto suo figlio… Ora anche lui si allontanava, la stava lasciando. Eppure non aveva detto: Non andare…
Che genere di amore poteva comprendere quel bisogno e cercare di rendere la separazione meno dura? Certo nessuno di quelli che lui aveva conosciuto…
Alde, sei una donna che non si trova da nessuna altra parte, una su un milione… Avrei voluto che tu non fossi stata la Regina… Così, forse ti avrei convinto a seguirmi portando con te Tir…
Nessuna di queste eventualità era però realizzabile…
Non appena si fu allontanata da Rudy, Alde, mentre si aggiustava sulle spalle il mantello, pensò che non gli aveva fatto una domanda importante:
Sentirai anche tu la mia mancanza?
Poi il buio la inghiottì e non ci fu più tempo per altri interrogativi…
Gil vide le ombre di un uomo e di una donna che si abbracciavano, si fondevano e si separavano, profilate contro lo sfondo illuminato della tenda che copriva la porta. Nella stanza dove nulla si muoveva, sentì Ingold sospirare:
«Povera ragazza…»
Lo guardò senza muoversi. Nella penombra si poteva scorgere soltanto il luccichio dei suoi occhi e le mani bendate che riposavano sul copriletto.
«Ingold?»
«Sì, mia cara?»
«Credi veramente che qualcosa possa accadere per pura coincidenza?»
La domanda non sembrò coglierlo di sorpresa.
Gil aveva conosciuto delle persone — come sua madre per esempio — che avrebbero risposto: «Che domanda da fare in un momento simile!» Ma quella domanda richiedeva proprio un momento speciale, quando ogni altra banalità era stata messa da parte e rimaneva soltanto qualcuno con cui si aveva un’intesa perfetta, qualcuno che si conosceva molto bene.
Ingold ci pensò su un attimo.
«Sì, credo che niente avvenga casualmente», rispose. «Come potrebbe essere altrimenti?» Dai sacchi sui quali il vecchio Mago si stava appoggiando, provenì uno scricchiolio stridulo. «Perché me lo chiedi?»
«Sono convinta», disse Gil con voce incerta, «che Rudy sia capitato qui proprio per poter diventare un Mago. Per se stesso… perché è stato per esserlo. Ma io no. E se gli elementi casuali non incidono sulla vita degli uomini, perché io sono qui? Perché io e non qualcun altro? Perché sono stata portata via ed ho perso tutto ciò che possedevo, scuola, amici e… la vita che avevo? Non capisco.»
La voce di Ingold risuonò solenne nell’oscurità, e lei scorse un sottile barbaglio di luce che si rifletteva sui suoi zigomi mentre parlava.
«Una volta mi hai accusato di trattare tutto come un Mago. Usi un linguaggio che si presta ad ogni interpretazione, dicesti. Ma questa volta devo dirti che non so rispondere. Veramente, Gil, non lo so, e non lo capisco più di quanto lo possa tu. Ma, credimi, c’è sicuramente uno scopo nella tua presenza su questo mondo. Devi credermi.»
Lei alzò le spalle imbarazzata, come sempre quando si preoccupava per qualcuno.
«Non ha importanza, in fondo…», mentì, pur sapendo che Ingold le poteva leggere nel cuore. «Sai, mi risentii a morte quando mi annunciasti che Rudy poteva diventare un Mago. Non perché volessi diventarlo io, ma perché lui ha avuto tutto da guadagnare e niente da perdere nello scambio, mentre io ho perso tutto…» Quindi tacque, e il silenzio si stese come un oceano tra loro due.
«Sei sicura di non aver guadagnato niente?» Gil non seppe che rispondere. «Forse non tutti i sogni di Rudy sono stati esauditi quando è arrivato qui. È vero: Rudy è un Mago, e il Regno, il mondo, hanno bisogno di Maghi adesso. Ma forse, nei mesi a venire, il Torrione dovrà ricorrere all’aiuto di una donna con un coraggio di leone e addestrata ad usare la spada… chi può dirlo?»
«Forse…» Gil appoggiò il mento sulle ginocchia e si accoccolò a fissare attraverso l’oscurità i riflessi delle fiamme sulle pareti simili ad un falso avviso di alba nella notte perenne del Torrione. «Ma io non sono un guerriero, Ingold. Sono una studentessa. È tutto quello che sono stata, e che ho sempre voluto essere.»
«Chi stabilisce cosa siamo, bambina mia?», chiese Ingold a voce bassa. «O cosa diventeremo? Vieni,» aggiunse poi, quando alcune voci si avvicinarono. «Le Guardie stanno tornando: usciamo.»
Gli uomini, appena rientrati, salutarono vivacemente il Mago non appena questi uscì da dietro la tenda in compagnia di Gil. Janus lo fece girare su se stesso e lo portò fino ad un focolare dove brillavano le fiamme. Il bagliore rosa del fuoco mise in risalto la trasandatezza di Ingold e i segni della tensione sul suo viso.
Quella luce guizzava con una calda luminosità ambrata sui volti feriti, sulle divise nere e logore dove spiccava lo stemma bianco col quadrifoglio, e sulle vecchie coperte consumate con le quali gli uomini si coprivano.
Il miglior esercito del mondo, pensò Gil, ammucchiato intorno ad un piccolo fuoco come un gruppo di vagabondi in un carro merci. Sono loro i miei fratelli d’arme. Gente che un mese fa non avrei neppure immaginato di poter conoscere.
Le loro facce però erano ormai così familiari… Aveva visto il viso squadrato e semplice di Janus per la prima volta alla fredda luce di un quarto di luna durante uno dei suoi sogni spaventosi. Stranamente, quel ricordo era molto più vivido nella sua memoria di quelli delle molte feste di College a cui aveva partecipato. E quelle trecce bianche di un uomo addormentato le facevano venire in mente speranze meravigliose se il loro proprietario fosse stato l’uomo che diceva di essere…
Quella gente non era stata niente per lei, soltanto personaggi di un dramma di cui non era ancora riuscita ad afferrare la vera portata. Eppure la conosceva meglio dei suoi ragazzi nell’altra vita… con una sola eccezione.
Ingold se ne stava seduto accanto al focolare vicino alla cuccetta dove giaceva, ancora addormentato, il Falcone di Ghiaccio. Le Guardie lo circondavano e lui, con gesti espressivi, stava raccontando qualche storia che fece sorridere Janus.
Una voce giunse alle spalle di Gil.
«Diavolo. Allora è vivo!», esclamò Rudy.
Gil si girò e lo vide appoggiato contro lo stipite della porta. I suoi capelli lunghi erano legati dietro la nuca, e questo, insieme al suo profilo affilato, rese la sua sagoma simile a quella di un falco nella luce soffusa.
È cambiato, pensò, dalla notte in cui ha chiamato per la prima volta il fuoco… È diventato più maturo. Anche se non è molto diverso da com’era prima…
«Sono preoccupata per lui, Rudy.»
«È forte», disse il ragazzo anche se il suo tono era dubbioso. «Starà bene e, forse, vivrà più di me e di te…»
Poi tacque, anche perché sapeva che non era questo ciò che Gil voleva dire.
«Cosa succederà se l’uccidono?», chiese la giovane a voce bassa. «Che ne sarà di noi allora?»
Non avevano più pensato ad una simile eventualità da quella notte a Karst, quando Ingold era scomparso, imprigionato per ordine del Consiglio.
«Cristo! Non lo so…», sussurrò Rudy.
«È proprio questo che mi preoccupa!», continuò Gil infilando le mani, graffiate e con le unghie spezzate, nel cuoio morbido del suo cinturone. «Questo è ciò che mi ha preoccupato per tutta la durata del viaggio. Forse non riusciremo mai più a tornare…»
La domanda è la risposta, pensò Rudy. La domanda è sempre la risposta…
«Non c’è ritorno da nessuna delle cose che facciamo» disse. «Neppure da ciò che siamo. Cambiamo, nel bene o nel male. E, se resteremo bloccati qui, ci resteremo. Sarebbe tanto terribile? In questo mondo ho trovato il mio Potere, Gil. Quello che ho sempre cercato. E una ragazza unica… E tu…»
«Una casa», disse Gil quasi senza rendersene conto, «quello che ho sempre cercato.»
Inaspettatamente, la ragazza scoppiò a ridere. Non una risata nervosa od isterica, quanto piuttosto una risatina divertita, sincera. Rudy non ricordava di averla mai vista sorridere così. I suoi occhi si addolcirono in un blu chiaro che cancellò il consueto grigio fumo, ed anche i suoi lineamenti si distesero.
«Al mio relatore sarebbe piaciuta da morire», esclamò Gil. «Che tesi di Filosofia! ‘Gli effetti delle incursioni subterrene in una cultura preindustriale’…»
«Non sto scherzando», ripeté Rudy, meravigliato dall’improvviso cambiamento della sua compagna.
«Neppure io», replicò lei. E rise ancora.
«E allora dimmi la verità!», disse Rudy scuotendo la testa davanti a quella nuova Gil. «Andresti via da tutto questo? Se tu dovessi scegliere tra il nostro mondo e ciò che hai adesso, qui: se non fosse mai successo nulla, torneresti indietro?»
Gil lo guardò riflettendo. Poi girò gli occhi verso il focolare dove Ingold con la sua voce acuta e calda stava incantando i suoi ascoltatori, verso il fuoco riflesso sui volti arrossati delle Guardie, ripensando all’oscurità, all’imponenza del Torrione, alla notte trascorsa tra quelle mura, ed alla pianura spazzata dal vento che li aspettava fuori.
«No», disse infine. «Penso di essere pazza a dirlo, ma no, non tornerei!»
«Signora», sorrise Rudy, sfiorando lo stemma delle Guardie che lei portava dietro le spalle. «Se tu non fossi pazza, non lo indosseresti.»
Gil lo fissò, squadrandolo dall’alto in basso.
«Sai: nonostante tu sia un giovinastro, hai della classe!»
«E tu, per essere uno spettro», rispose solennemente il giovane, «sei molto perspicace ad accorgertene!»
I due si presero sottobraccio ed andarono a raggiungere Ingold accanto al fuoco.