«E in quattro avevano un sembiante, come di una ruota in mezzo ad una ruota.»
Haroun Al Raschid faceva il difficile e fingeva di non capire cosa voleva comprare da lui Suggs.
«Questo mi mette in una situazione imbarazzante,» disse, esalando il fumo del kif dietro la mano ingioiellata. «Vede, M’sieur Suggs, ufficialmente non so nulla della missione francese in questa città. Come posso darle l’informazione che cerca? Se lei se ne servisse, la mia reputazione presso i francesi potrebbe risultarne… come dire?… offuscata. Potrei perdere amici e influenza… e per che cosa?»
«Lei ci deve aiutare,» fece torvo Suggs. «Ci deve dare almeno il nome del loro uomo. So che lo conosce. Haroun sa tutto quello che succede a Marrakech.»
Al Raschid si rilassò leggermente, arrotondando la bocca carnosa in una smorfia di modestia. «Lei mi lusinga, M’sieur.» La stoffa aderente dell’abito gli impediva di stravaccarsi sul basso divano, come sembrava avesse intenzione di fare; era con il massimo sforzo che si muoveva in qualunque direzione, persino per prendere il suo tè alla menta. «Le assicuro che vorrei aiutarla, M’sieur Suggs, come un amico aiuta l’amico. Ma… non so. Il rischio è grande.»
«Lei deve sapere qualcosa di utile.» L’uomo della CIA cercava di trattenere il respiro ogni volta che uno sbuffo di fumo di kif gli arrivava vicino, ma stavolta si sporse sopra il basso tavolo d’ottone e parlò con un sussurro concitato. «Basta che mi dica il nome di quell’uomo, ecco tutto. È per il bene del Marocco e per quello degli Sta… delle Nazioni Unite! Tutto il mondo ne trarrà beneficio.»
«Ah, ma è la stessa cosa che dice quel gentiluomo russo. Chi di voi due dice la verità?» Con uno scintillio d’astuzia negli occhi, Haroun aggiunse: «Che cosa deve credere un uomo semplice come me? Io non sono istruito. Io sono solo un povero mercante, come vede.»
L’ampio gesto della mano ingemmata indicò il pavimento a parquet, gli splendidi tappeti, le pareti a mosaico, le finestre a sesto acuto dai vetri istoriati, e i delicati candelieri simili a gioielli. La stanza era un caos di stoffe e d’altro ancora: ottone, legno, cuoio, seta, lana, argento, velluto. Oltre un’arcata marmorea, Suggs poteva scorgere il fresco giardino dove un pavone bianco passeggiava avanti e indietro tra le piante di limoni.
«Come vede, non ho l’aria condizionata. Non ho la televisione. Non ho nessuno dei lussi così comuni nel suo paese, no, neppure lo spazzolino da denti elettrico.»
Suggs si rimboccò la gellaba ed estrasse un portafoglio smilzo. «Naturalmente siamo disposti a pagare,» disse. «Qualunque cifra ragionevole.»
«Ah!» Le narici esili di Haroun esalarono due sbuffi gemelli di fumo aromatico. «Allora devo vincere i miei scrupoli di coscienza. Ecco la metà destra di una foto dell’uomo che lei cerca. Si chiama Brioche. Marcel Brioche. È pilota delle Forze Aeree francesi… e chissà che altro, eh?»
«Nessuno è esattamente quello che sembra,» disse giovialmente Suggs. Mentre la sua mano sinistra si protendeva per prendere la mezza fotografia, la sua destra, ancora nascosta dalla gellaba, sparò con la pistola a silenziatore. Haroun Al Raschid non si mosse, si limitò a grugnire leggermente mentre sul petto della sua camicia di seta si allargava una chiazza purpurea di sangue.
Suggs non restò a vedere l’inevitabile espressione di sorpresa sulla faccia della sua vittima (dopo nove anni nella CIA, ci si stufava di quelle espressioni), ma ripose la foto nel portafoglio e uscì sulla strada assolata. Alzò il cappuccio, mentre correva. Quei movimenti scatenarono nelle sue budella fitte brucianti di dissenteria.
Una folla di ragazzini laceri l’assediò quasi immediatamente e lo seguì fino all’albergo, cantilenando:
«M’su, M’su! Vuoi gazza, bella gazza? Vuoi bel ragazzo? Kif, fumare! Mister! Ehi! Vuoi foto? Vuoi vedere gazza che balla? Piace frusta di cammello? Me molto forte, M’su! Vuoi che lucida scarpe? Me guida, M’su! Me guida. Vuoi bella gazza?»
Il travestimento non era poi efficace come lui aveva sperato. Nell’atrio dell’albergo, Suggs comprò una cartolina con gli incantatori di serpenti al mercato di Dar El Fna, e un francobollo. «Cara Madge,» scrisse. «Mi diverto sempre molto, anche se tu e Susie mi mancate tanto. Con affetto, Bubby.» La consegnò al concierge per farla spedire.
Scotty, il suo collega, era seduto sull’unica poltrona comoda della loro stanza e leggeva un giornale arabo. «L’hai avuta?» chiese, senza alzare la testa. Suggs annuì, mentre chiudeva la porta a chiave. «Bene. Haroun ti ha dato dei fastidi?»
«Un po’. Ho dovuto ucciderlo.»
«Peccato. Avremmo potuto servirci di lui. Cos’è successo?»
«Te lo dirò non appena avrò finito il rapporto, Scotty.» Si tolse la gellaba, si allentò la cravatta, sedette alla macchina da scrivere portatile e infilò sul rullo un modulo in triplice copia.
«Oggetto: un proiettile, calibro .375,» batté. «Data dell’uso: 1° giugno 19…» Continuò, battendo lentamente, orgoglioso delle spaziature perfette. Quando ebbe finito, tirò fuori la mezza fotografia e la mostrò a Scotty.
«Aveva intenzione di vendere a loro l’altra metà,» spiegò.
L’altro lo guardò sorpreso. «Loro? Credevo che Vovov lavorasse da solo in questa faccenda.»
«Adesso non più. È troppo grossa per Vovov da solo. Loro sanno benissimo quello che sappiamo anche noi… che questo Brioche è un astronauta, che la Francia ha intenzione di mandarlo sulla Luna. Hanno spedito qui il loro migliore agente, Vetch. Forse per controllare il suo subordinato, o forse per pescare Brioche.»
«Come fai a sapere che Vetch è in città?»
Suggs agitò un dito, scherzosamente. «Oh, ho le mie spie, ho le mie spie,» disse. «Ma quello che mi preoccupa è: loro hanno già l’altra metà della foto? Sanno che faccia ha Marcel Brioche?»
«Sei sicuro che sia lui?»
Suggs annuì. «Dobbiamo metterci in contatto con lui prima che loro gli offrano… la Luna.»
Nessuno dei due sorrise. Piombarono in un silenzio meditabondo, intenti a cercare di sbrogliare il mistero della mezza fotografia.
…Perché Haroun gli aveva offerto solo mezza foto? si chiese Suggs. Non aveva senso, se aveva avuto l’intenzione di vendere l’altra mezza ai russi. O forse aveva semplicemente avuto intenzione di tenersela per ricavarne altro danaro. Haroun era troppo furbo per cercare di venderla a tutte e due le parti in causa.
Ma c’erano altre cose che non quadravano. La folla dei ragazzini… l’avevano riconosciuto per un americano, nonostante il travestimento! Forse avevano rubato loro l’altra mezza fotografia? Che genere di foto avevano cercato di vendergli? Ricordò le manine sudice e scarne che lo afferravano… potevano averlo derubato? Forse, d’altra parte, avevano invece cercato di comunicargli qualcosa… per esempio, l’ubicazione del razzo. Cosa avevano detto a proposito delle gazze? «Vuoi gazze?» Ma Marrakech era in mezzo al deserto, a centinaia di miglia dalle gazze! Era un codice, quindi: ma non riusciva a immaginare che cosa indicasse. Stava per chiederlo a Scotty, quando qualcosa lo bloccò: uno sguardo scintillante, scrutatore. A cosa stava pensando Scotty?
…Scott scrutò il suo collega che scrutava lui. Sì, c’era un’aria colpevole stampata sulla faccia di Suggs: un’aria colpevole e preoccupata. Quel giorno aveva ucciso, quasi senza ragione. E poi era reticente circa le sue fonti d’informazione. Come aveva fatto a scoprire cosa avevano intenzione di fare i russi? Che cosa gli passava per la testa in quel momento? Scott si rallegrò di aver preso la precauzione di infilare la pistola a fianco del cuscino della poltrona.
…Se i ragazzini l’avevano riconosciuto nonostante il travestimento, c’era una sola persona che poteva averli messi sull’avviso… la sola persona che sapeva della sua visita di quel pomeriggio… Scotty! Suo collega nella CIA da nove, fantastici anni!
All’improvviso, Suggs provò un senso di paura. Scotty stava nascondendo una pistola dietro quel giornale arabo? Beh, c’era sempre la macchina da scrivere. Il suo carrello poteva sparare un proiettile da fucile… Scotty probabilmente l’aveva dimenticato.
Sembrava impossibile che il collega di Suggs si fosse venduto, ma doveva essere proprio così. A chi? si chiese Suggs. Non ai russi, o avrebbe saputo di Vetch. Allora lavorava per il Marocco? Per la Francia? Oppure giocava un gioco ancora più complicato?
…A che razza di gioco stava giocando Suggs? si chiese Scott. Aveva ucciso Haroun perché il mercante sapeva troppo? Haroun lo aveva accusato apertamente di fare il doppio gioco? Non c’era dubbio che Suggs agisse per conto di qualcun altro, come una rotella dentro alla ruota più grande: ma per conto di chi lo faceva? Si chiese come mai aveva lasciato che Suggs lo ingannasse per tanto tempo. Tutto il suo comportamento lo tradiva… la mezza fotografia, l’aria troppo distratta con cui sembrava guardare un portacenere, mentre l’altra mano era nascosta, alla ricerca d’una pistola.
…Non c’era neanche un po’ di cenere, osservò Suggs, ma ieri però ce n’era. Qualcuno aveva pulito il portacenere. Perché? Notò l’aria troppo distratta con cui Scotty stava sbadigliando. Si stava preparando a giocare la sua carta?
…Suggs si stava preparando a giocare la sua carta?
…Sì, ora!
…Ora! Spara attraverso il giornale!
…Ora! Suggs pestò il tasto del punto interrogativo sulla macchina da scrivere.
Fuoco e acciaio esplosero. Scotty scivolò in avanti, morto.
«Mi dispiace davvero, Scotty,» mormorò Suggs, fermandosi accanto al cadavere. «Vorrei che potessi avere un funerale da eroe, almeno. Ma devo proteggermi, vecchio mio. Il rumore dello sparo richiamerà la polizia. Devo assicurarmi che l’albergo paghi i poliziotti e faccia insabbiare la tua morte.»
Aprì una cassetta d’emergenza e ne tirò fuori un reggiseno di pizzo nero e un rossetto. Affibbiò il reggiseno attorno al torace squarciato del cadavere e gli truccò di rosso le labbra esangui. Poi fissò intensamente la mezza fotografia, mandò a memoria l’indirizzo scritto a tergo, la fece a pezzettini e la ingoiò.
Dei passi pesanti risuonarono per le scale mentre lui se ne andava dal balcone. Suggs lanciò un’ultima occhiata al cadavere.
«Non preoccuparti, Scotty,» disse di slancio. «Quei bastardi la pagheranno, per avermi costretto a far questo. Te lo prometto.»