Capitolo Sesto Le scatole che divorano Altoona

«Ho insegnato a parlare ai miei ingranaggi Nicky-nicky Poop, tic-toc.»

LOUIS SACCHETTI (attrib.)



«Altoona, Nevada, che sorge presso Parsnip Peak (2.847 m) e non lontano da Railroad Valley, dove non passa nessuna ferrovia, io canto,» scrisse Mary Junes Beele sulla macchina da scrivere L.C. Smith di suo marito. Sotto alla frase, batté una fila di asterischi: tanti fiorellini. La pancia gonfia del suo pollice premette il tasto della spaziatura.

Dalla stanza accanto giungeva lo sferragliare d’una stampatrice a mano. Il direttore Barthemo Beele stava sfornando la seconda edizione dell’Altoona Weekly Truth. La sua mano, pensò Mary, che fa dondolare la culla… Mary maledisse il giornale e maledisse il direttore del giornale, suo marito da una settimana.

I tasti della macchina da scrivere sembravano pastiglie nere per la tosse. Quelle pastiglie nere per la tosse che ad Altoona non si trovavano. Uno dei tasti aveva spezzato un’unghia a Mary. Lei cominciò a rosicchiarla, maledicendo tutto quello che le veniva in mente… maledicendo soprattutto Altoona. Se quel marinaio non l’avesse portata via molto presto, sarebbe morta a stare in quel paesino. Mentre si rosicchiava sprezzante un’altra unghia, Mary maledisse la sua sporca sfortuna.

Anche Altoona aveva una triste storia. Nel 1903, era stata l’unica fornitrice di reuttite dell’intero Emisfero Occidentale. La reuttite era, ovviamente, il metallo con cui si facevano le migliori reticelle per lampade a gas, le più luminose e durature. Non si conoscevano altri possibili usi per la reuttite.

Sulla Park Avenue di Altoona, i magnati di quattro diverse compagnie ferroviarie avevano costruito le loro case accanto a quelle d’una dozzina di proprietari di miniere e di speculatori. Avevano costruito grandi castelli bianchi, sogni gotici tutti cartigli e trafori, con bovindi, bifore e trifore, archi a forma di cuore, torri orgogliose ed edera dappertutto. Il sottosuolo era crivellato dalle gallerie di vecchie miniere, tanto che adesso molte di quelle case pesantissime c’erano sprofondate. Park Avenue era soprattutto una fila di cancellate arrugginite e di terreni invasi dalle erbacce. Di tanto in tanto, tra i grovigli delle altee, si poteva intravvedere una torre, con il cappello conico di sghimbescio.

Soltanto due di quelle stranezze erano ancora salde. Erano entrambe grige, e trascinavano il sudicio merletto dei loro portici; erano aggobbite, panciute, senescenti. Una di esse, dopo che il proprietario, ridotto in rovina, si era buttato sotto uno dei suoi treni, era stata trasformata in magazzino di ferramenta. Adesso conteneva tutte le reticelle di reuttite prodotte tra il 1904 e il 1929… quasi tutta la reuttite esistente. Rappresentava venticinque anni di tentativi di trovare qualche altra utilizzazione che non fosse fabbricare reticelle per lampade a gas.

L’altra casa era ancora, come era sempre stata, casa Smilax. Phineas Smilax, primo ed unico presidente della Gardnerville, Fernley e New York Railway («la linea ferroviaria della reuttite») aveva investito parecchio nel minerale. Aveva sperato che, quando lui e Altoona fossero diventati più ricchi, la linea sarebbe veramente arrivata ad est fino a New York.

Phineas cominciò a costruire la sua ferrovia nel 1885. I lavori procedettero lentamente, in parte a causa di certe stranezze del suo metodo di assunzioni. C’era l’ordine di licenziare chiunque venisse sorpreso a picchiare un cavallo, ad annegare un gattino o a legare un barattolo alla coda di un cane. Inoltre Phineas rifiutava di assumere i coolie, come facevano i suoi concorrenti, e preferiva invece gli studiosi della Bibbia, che a sua richiesta cantavano inni mentre lavoravano. Il suo inno preferito era La ferrovia del cielo. Sebbene pagasse il salario di un dollaro l’ora, per quei tempi principesco, gli studiosi erano così poco adatti a quel lavoro che i progressi si misurarono dapprima in pochi metri al mese, poi in centimetri. Nel 1913, il suo impero si estendeva da Altoona a Warm Springs, novantasette chilometri di panorama coperto di piante d’artemisia selvatica, che Phineas Smilax ispezionava ogni giorno con il suo vagone privato.

Quel vagone era l’unico lusso che Phineas si concedeva, perché amava la moderazione in tutte le cose. Il superfluo del suo patrimonio veniva sempre distribuito in beneficienza, e in particolare non stringeva mai i cordoni della borsa con la Società Protettrice degli Animali. Tutti conoscevano Phineas come un uomo temperato e buono… con i suoi figli come con gli estranei. Non castigava mai suo figlio e sua figlia se non con uno sguardo di rimprovero, e quello era già più che sufficiente.

Forse l’unica pecca che i vicini gli trovavano consisteva nella scelta dei suoi servitori. Phineas dava lavoro, nella sua grande casa di Altoona, a individui usciti dal Manicomio Criminale del Nevada.

«Criminali, puah!» esclamava. «Sono solo poveri sventurati, che languiscono perché nessuno rivolge loro una parola buona.» Per più di vent’anni non aveva avuto altri servitori, e sarebbe stato impossibile trovare dei dipendenti più premurosi e fidati di loro.

Un giorno, nel 1913, Phines era seduto nella sua carrozza privata, e guardava dal finestrino la distesa di artemisie selvatiche, i fiori che rappresentavano l’emblema dello stato del Nevada. «Oggi mi sento vecchio,» disse al segretario, il quale in seguito affermò che quella era la prima volta che aveva sentito lamentarsi il suo principale. «Sento che mi sto avvicinando alla fine.»

Il segretario gli consegnò un telegramma che gli aveva spedito da Altoona il suo maggiordomo. Phineas Smilax lo lesse e cadde dalla poltrona, morto.

Il telegramma diceva: «SUA FIGLIA INCINTA RIPETO GRAVIDA STOP L’HO PICCHIATA CON FRUSTA DA CAVALLI E CACCIATA DAL PAESE ANCHE SE IO SONO IL PADRE DEL BAMBINO STOP PREGO DARE DISPOSIZIONI PER ELIMINARE SUO VESTIARIO RITRATTO ECCETERA STOP FIRMATO CRAGELL.»

La figlia non fu mai ritrovata. Cragell, dopo aver ammesso di avere violentato Lotte Smilax e di averla terrorizzata per costringerla a tacere, era stato rispedito in manicomio. Phineas jr. si era addossato i debiti paterni e si era fatto una famiglia con una serva scema. Dalla propria figlia ebbe un numero indeterminato di figli, e si impiccò nel 1930, dopo aver venduto quel che ancora restava della ferrovia per pagare i suoi fornitori clandestini di liquori. Nella casa grigia vivevano ancora tre generazioni di Smilax analfabeti, che campavano coltivando l’orto. Nessuno di loro parlava mai della parente reproba, Lotte.

Adesso le rotaie arrugginite si estendevano da Altoona in tre direzioni. Sola la Nevada Southern continuava a far viaggiare un treno alla settimana, tra Altoona e Las Vegas. Mary Junes aveva segnato in rosso sul calendario il giorno in cui quel treno sarebbe partito. Quel giorno era domani.

I Beele erano lì da due settimane, e si erano fatti una certa reputazione. Mary non andava a genio a nessuno. Alle donne non piaceva l’aria con cui guardava gli uomini. Agli uomini non piaceva il modo insolente con cui li respingeva. A nessuno piaceva il modo in cui trattava suo marito.

Barthemo, invece, era corteggiato almeno quanto Mary veniva snobbata. In fin dei conti, era il pettegolo più formidabile che si fosse mai visto in paese, dato che nella sua prima settimana di attività aveva già sbandierato uno scandalo nuovo e ne aveva riesumata una dozzina di vecchi. In seguito all’uscita del primo numero dell’Altoona Truth, due famiglie non si parlavano più, c’era in aria un divorzio e un duello. Lui riferiva tutto, con obiettività scrupolosa e con una deliziosa ricchezza di particolari. La gente diceva che un giorno Beele sarebbe stato capace di descrivere imparzialmente anche il tradimento di sua moglie.

Satura di soave odio per il marito, Mary entrò nella stamperia, dove lui stava correggendo una bozza.

«La vostra collaborazione è gradita,» lesse Beele, poi si fermò per aggiungere una «o» che mancava. Non salutò la moglie, non diede segno di essersi accorto della sua presenza, «…per quanto tempo continuerà tutto questo?» lesse, e poi corresse in: «…per quanto tempo continuerà questo abominio?»

«…continuerà questo blablabla?» fece ironicamente Mary.

Beele non smise di leggere.

«Non ci viene mai nessuno in questo maledetto paese,» disse lei.

«Non succede mai niente in questo maledetto paese,» aggiunse.

«L’unica volta che vediamo una faccia nuova in questo maledetto paese,» concluse, «è quando qualcuno si perde sulla strada per Las Vegas.»

«E l’autostoppista? Lui non è diretto a Las Vegas, ma al Deposito Munizioni della Marina.»

«Oh, il marinaio. Quello non conta. Mi sono già stufata di lui,» disse Mary arricciando il naso. «A proposito, stasera posso prendere la macchina?»

Suo marito annuì, senza alzare gli occhi della bozza. «Vedi se ti riesce di scoprire,» le disse, «perché ha tatuati sulle braccia Dumbo e Bambi. Potrebbero essere il tema per un pezzo di colore… l’interesse umano, sai bene, qualcosa per la pagina dei cruciverba.»

Quella sera, mentre Barthemo Beele inseriva sull’Altoona Truth una notizia dell’ultima ora sull’adulterio della moglie di un direttore di giornale, Mary e il marinaio, sul sedile posteriore della Ford, scoprirono di essere molto sbronzi. La Ford era parcheggiata alla periferia del paese, nei pressi dell’entrata della Miniera dell’Albanese Perduto.

«Ho sentito qualcosa,» borbottò il marinaio. «Sarà mica tuo marito, eh?»

«Lui? Non preoccuparti,» disse Mary, posando una mano su Bambi. «Senti, adesso lui è occupato a mettere a nanna il giornale. Lui è un po’… non matto, neurotico, direi. A lui interessa solo mettere a nanna quel maledetto giornale, l’Altoona Truth. Vuole buttare fuori un’edizione della domenica, l’Altoona Altruist. Puah!» Mary buttò giù rabbiosamente un sorso di liquore, poi un altro.

«Ssst! C’è qualcuno qui in giro, pupa. Ehi, forse è l’Albanese Perduto, eh? Ah ah.» Si riempì di gin un bicchiere di carta e lo inghiottì. Finché erano così sbronzi, sembrava che non fosse il caso di smetterla.

«Non dirlo neanche per scherzo!» ansimò Mary. «La gente dice che se vedi l’Albanese Perduto, viene la fine del mondo. Gesù, verrebbe fuori un bell’articolo per Barty, no? Cambiamo argomento. Hai intenzione di portarmi via domani con il treno, sì e no?»

«Sicuro che ti porto via.»

Apparve una sagoma bassa, massiccia, di un grigio spettrale, proprio sull’ingresso buio della miniera. Attraversò correndo il tratto di terreno illuminato dalla luna, dirigendosi verso di loro.

«Cribbio!» urlò il marinaio. «Sono ubriaco fradicio!»

«Puoi bere quanto vuoi,» mormorò insonnolita Mary. Lei non aveva visto la sagoma. «Purché mi porti via dall’Altoona Truth… Voglio dire da…» Si appisolò, appoggiando la crocchia di capelli sudici su Dumbo. Il marinaio non se ne accorse. Guardava fuori nel buio, spaventato, temendo di scorgere qualche altra allucinazione. Dunque era quello il delirium tremens! Aveva terminato solo pochi giorni prima il suo turno di servizio al Laboratorio di Ricerche Wompler, dove si era scatenato l’inferno… quelle piccole scatole grige. Dovevano essere rimaste incastrate nel suo subconscio, e il delirium tremens le aveva animate, teorizzò il marinaio. Qualcosa sferragliò sotto la macchina, ma lui rifiutò di ascoltarlo. Chiuse gli occhi e sorseggiò il gin fino quando si addormentò, con una certa percentuale di alcol nel sangue.

«Ehi, dov’è la macchina?» gemette il marinaio.

«Siamo stati derubati!» esclamò Mary.

Barthemo si affrettò a scattare foto dei due, da vari angoli, mentre lo sceriffo li interrogava sulla rapina. I quattro compilarono l’elenco degli oggetti rubati:


1 braccialetto per caviglia, da donna;

1 fibbia metallica da borsetta;

1 cerniera lampo metallica, da vestito;

1 rossetto;

1 portacipria;

2 dollari d’argento e monete di taglio più piccolo in numero imprecisato;

2 accendini;

1 pettine d’alluminio;

Parecchie forcine per capelli;

Varie chiavi;

2 otturazioni d’argento, di Mary;

1 otturazione d’oro, del marinaio;

1 automobile Ford.


«Andrò a telefonare alla polizia stradale, non appena la linea tornerà a funzionare,» disse lo sceriffo. «È strano, sapete. Quasi tutte le auto, in paese, sono state rubate. Persino le biciclette, e non so che altro. E magari non lo crederete, ma è sparita anche la radio della mia auto.» E si avviò in direzione del Town Talk Bar.

«Molto interessante,» fece meditabondo il direttore del giornale. Anche lui aveva sentito strane dicerie e strane lamentele per tutta la mattina. E adesso, mentre sedeva sull’erba accanto a Mary e al marinaio, la sua mente cominciò a sfornare i titoli per un’edizione straordinaria:


NIENTE RUOTE? ANTI-CLIMAX


«Le linee telefoniche non funzionano,» mormorò. «E neanche la corrente elettrica. Strano.»

«Ti lascio, Barty,» disse Mary.

«E almeno una dozzina di auto rubate. E vecchie, per giunta.»

«Parto con il treno di mezzogiorno insieme a Lovey,» disse Mary, con fermezza. Il marinaio aveva l’aria abbacchiata.

«Si direbbe che qualcuno abbia voluto isolare Altoona dal resto del mondo,» disse Beele.

«Vado a Las Vegas. Non tornerò più.»

«Posso pensare che loro non vogliono farci sapere quel che succede fuori di qui, oppure, molto più probabilmente, loro vogliono impedire che fuori si sappia quello che succede qui. Molto strano.»

«Mostro! Mostro!» urlò Mary, a pochi centimetri dagli occhi vacui del marito.

«Ecco, è un’idea,» disse lui, distratto. «Ci hanno rapiti i mostri venuti dallo spazio, e noi non lo sappiamo ancora.»

Si chiese se alla vicina stazione radar dell’Aeronautica erano al corrente del bizzarro fenomeno… o se ne avevano risentito in qualche modo. Nuovi panorami di titoli si schiusero alla sua vista interiore, chilometri e chilometri di articoli in esclusiva.


NIENTE RADAR?

L’AERONAUTICA ISOLATA


Questa mattina non tosteremo il nostro pane e non potremo fare un brindisi alla nostra azienda elettrica. Le linee sono cadute. Sono cadute tutte le linee che ci forniscono energia, riscaldamento, luce, comunicazioni, i cordoni ombelicali che ci collegano al resto del mondo. Inoltre, non abbiamo più mezzi di trasporto. In città non è rimasto un solo veicolo: né un’automobile, né una bicicletta, neppure un pattino a rotelle. Eppure, ancora più preoccupante è la prospettiva dei danni alla nostra rete difensiva nazionale. Speriamo che la nostra autorità si sbrighino ad accorrere sul posto e a rendersi conto…


Mary e il marinaio non rimasero a disturbare oltre le sue fantasticherie. Si alzarono, si scrollarono la polvere di dosso e si avviarono verso la stazione. Barthemo si chiese se non sarebbe stalo più appropriato un sarcastico comunicato:


A causa di circostanze che, a quanto pare, sfuggono al controllo delle autorità cittadine, ci sarà una breve interruzione di alcuni servizi pubblici…


Poi si accorse che Mary se ne era andata. Alla stazione. Ma se coloro che stavano isolando Altoona dal resto del mondo erano meticolosi come sembrava, era certo che loro non si sarebbero lasciati sfuggire il treno. Avrebbe portato la cinepresa. Li avrebbe filmati proprio nell’atto di rubare un treno: uno spezzone di 60 secondi, con la sua cinepresa nuova.

A mezzogiorno meno un minuto era nascosto sotto il marciapiedi della stazione, con la cinepresa accanto. Quando si era fermato in ufficio a prenderla, una dozzina di persone aveva cercato di attaccare bottone con lui. C’erano storie contrastanti a proposito dell’interruzione dell’erogazione dell’acqua e del gas, di cassette che camminavano… e una diceria particolarmente curiosa a proposito di un Poltergeist nella vecchia casa dei Ruytek, il magazzino delle reticelle per lampade a gas.


CHI INFESTA IL MAGAZZINO?

Il vicinato sconvolto da rumori spettrali


Barthemo Beele non riusciva a vincere l’impressione di non essere solo nell’oscurità.

Il treno da Las Vegas arrivò sbuffando tranquillamente con dieci minuti di ritardo, caricò i sacchi della posta, si rifornì d’acqua, prese a bordo due passeggeri, una donna e un marinaio, e ritornò sbuffando nella direzione da cui era venuto. A parte il fatto che il macchinista dai grossi occhialoni s’era sbracciato a salutare la passeggera mentre saliva in carrozza, sembrava che non fosse successo niente di strano.

All’improvviso, vicino a Beele ci fu uno scricchiolio. Il direttore dell’Altoona Truth si voltò e vide una grossa sagoma massiccia che stava inghiottendo la cinepresa. Sembrava che lo facesse con una certa difficoltà, come se fosse già sazia; eppure restava lì, mentre con le chele da granchio raccoglieva anche le briciole. Dunque era quello!

«Eureka!» gridò e, com’era sua abitudine, tradusse senza che ce ne fosse bisogno: «Ho trovato!» Balzò gioiosamente in piedi e batté con violenza la testa contro il tavolato del marciapiedi sotto il quale si era nascosto. Che altro mangiano le cassette metalliche? si chiese, mentre la coscienza lo abbandonava. Cosa mangerei, se fossi una cassetta metallica? Di certo, non il direttore di un giornale…

Si svegliò in un momento imprecisato del pomeriggio e si accorse che la cosa non era più vicina a lui. Tastò con la lingua e scoprì che le otturazioni erano sparite. E la sua cintura non funzionava più. Non c’era più la fibbia. Questo confermava che non aveva sognato. Cribbio! Era sparita persino la spirale metallica del suo block-notes; persino il piombo della sua matita. Adesso vedeva il titolo a caratteri di scatola:


LO GNOMO METALLICO DIVORA DENTI E FIBBIE

Furba come una volpe, la scatola ha un appetito da capra.


Magari con un disegno della cosa che masticava un barattolo di latta. Barthemo era certo che sarebbe stato sensazionale.

Le voci che raccolse nel passare per Park Avenue erano più che semplici voci. Dischi volanti, migliaia di mostri dall’alito di fuoco, secondo le testimonianze di cittadini rispettabili. Magnifico, pensò lui. Poi diventerà un telepate grande come una casa. Mostrò i denti non più otturati ai propalatori di quelle dicerie. Barthemo Beele si considerava un fedele servitore della verità, nemico dell’immaginazione.

Oh, è come se mi avesse letto nella mente! pensò, fissando casa Ruytek. Il Poltergeist non infestava più l’edificio… era diventato l’edificio. Il grigio castello decaduto aveva preso vita: si inclinava e oscillava in una specie di goffa danza. La mente di Beele rifiutò di funzionare… se non per maledire la perdita della cinepresa. Sarebbe stato un filmato da un milione di dollari, e poteva capitare solo lì nel West, dove i mostri erano mostri.

L’edificio malandato fremeva e si squassava oscenamente… Beele pensò al cadavere putrefatto d’una vedova che ballasse il twist… E poi si protese verso l’alto, come se si alzasse in punta di piedi. Le torri smisero di afflosciarsi e torreggiarono davvero, mentre i chiodi si svellevano stridendo dalle assi, le travi erose dalla muffa si sgretolavano, e da ogni crepa saliva ribollendo la polvere di un secolo.

La vecchia casa fu scossa da un ultimo brivido, scrollandosi di dosso ornamenti e pezzi di finestre come se fossero gocce d’acqua, ondeggiò, si inclinò assurdamente su un angolo e…

Scomparve. Andò a pezzi così bruscamente e completamente che sembrò il trucco di un illusionista. In un istante, l’edificio solido si trasformò in un mucchio appiattito di legname. Un branco saltellante di lucide cassette metalliche irruppe dalle macerie e si aggirò intorno, senza meta, come per orientarsi. Poi le cassette si separarono e schizzarono via in direzioni diverse, ma con fare molto deciso. Il direttore dell’Altoona Truth notò un particolare comune a quella schiera di mostri: sembravano rivestiti di reticelle per lampade a gas, appicciccate chissà come.


I MOSTRI MARZIANI

Saccheggiano un magazzino e indossano reticelle per lampade a gas


Beele seguì una delle cassette su per Park Avenue, fino all’angolo di Broadway, dove si soffermò davanti all’idrante antincendio.


I CANI PROTESTERANNO


Ma la cassetta stava circondando l’idrante. Si aprì e si richiuse racchiudendolo. Un attimo dopo, dal gruppo uscì un piccolo geyser. Beele vide una specie di rozza ruota da mulino, foggiata come una girandola per bambini, girare al centro del getto. Dal gruppo si staccò una piccola scatola che subito schizzò via. Parte della sua superficie, notò Beele, era di ghisa verniciata di rosso.


L’INVASORE SPOSA L’IDRANTE

Può durare questo matrimonio?


In lontananza la torre dell’acquedotto, una gigantesca palla da golf in bilico sul suo tee, cominciò a inclinarsi. La guardò deformarsi e crollare sotto un brulicare di sagome grige.


ADDIO, ACQUEDOTTO MIO


Beele pensò di riempire semplicemente il titolo di punti interrogativi, ma nella cassa dei caratteri non ce n’erano abbastanza. Non ce n’erano abbastanza neppure per tutte le domande che intendeva rivolgere ai suoi lettori.

Tornò sui suoi passi e si avviò verso l’ufficio. Fu per puro caso che sbirciò dall’uscio del negozio di ferramenta degli Smilax (dopotutto, anche quello aveva le finestre fracassate, come tutti gli altri edifici dell’isolato) ma ciò che vide lo indusse ad arrestarsi.

O meno, ciò che non vide. Il negozio era completamente vuoto, saccheggiato, ripulito. Trovò il proprietario, Milo Smilax, che piangeva sdraiato sul pavimento del retro. Naturalmente, la montatura metallica dei suoi occhiali era scomparsa. Balbettò qualcosa a proposito di certe lavatrici. Milo, che non era mai stato troppo coerente anche nelle sue giornate migliori, piagnucolava:

«Sono spacciato, mi hanno rovinato! Quelle stramaledette lavatrici mi hanno rovinato, hanno mangiato tutto, hanno mangiato i fucili. Aiuto mamma quelle mascalzone. Hanno mangiato il carbone e correvano dappertutto come granchi hanno mangiato le seghe e le viti e i coltelli e le canne da pesca e…»

Il dottor Trivian avrebbe detto, se fosse stato lì, che gli scaffali erano «esausti». In pratica, restavano soltanto i cataloghi delle sementi, i cartellini dei prezzi, e un cartello pubblicitario molto malridotto. Milo lo fissò, mentre continuava a blaterare a vanvera. «VI SERVONO OTTIMI UTENSILI?» Le pupille delle due O di SERVONO fissavano l’occhio guercio di OTTIMI. «MIRATE I NOSTRI MIRINI!»

«È la fine! Rovinato! Chiodi, seghe, catene, tutto sparito…»

«La fine? Su su! Non è questo il modo di parlare, Milo! Ammetto che sul momento la situazione sembra molto brutta, ma non abbiamo ancora il quadro generale, vero? Voglio dire, dobbiamo combattere questi cosi, non starcene qui a piangere. Dobbiamo…»

Ma Milo non lo ascoltava: ricadde lungo disteso e riprese a piagnucolare. «Chiodi, viti, bulloni, seghe, chiavi, martelli, tenaglie, asce, lime, fucili, coltelli, ami, doppiette, pistole, accette, coltelli, bombe, pugnali, morte…»

«Su, su,» disse Beele, sgusciando fuori dalla porta. «Si faccia coraggio. Sono sicuro che stanno per arrivare i rinforzi.»

Il problema, rifletté, era interessante. Nessuno sapeva con che nome chiamare gli invasori. Lui avrebbe potuto inventarne uno, aggiungere un neologismo al dizionario. Per esempio, UNCROB (Unidentified Creeping o Crawling Objects: Oggetti Striscianti Non Identificati).

Archiviò mentalmente quel nome insieme al pezzo su Milo.


ATTACCO SFERRATO ALLA FERRAMENTA

Le avide macchine divorano chiodi e scalpelli


Davanti a lui, una bambinetta piangeva seduta sul marciapiedi. Un cagnaccio cattivo, gli disse, l’aveva morsicata al popò. E poi aveva perso la sua bimba, cioè la sua bambola radiocomandata a sette transistor: gliel’aveva portata via un gigante grande e grosso. Beele le disse di non piangere, perché era sicuro che stavano per arrivare i rinforzi.

Allungò il passo per tornare in ufficio. Sarebbe stata la più grande notizia mai pubblicata da un giornale:


LE SCATOLE CHE DIVORARONO ALTOONA

Persino le borchie dei blue jeans d’una bambina!


Incontrò una specie di macchina da scrivere. Era rotta e sformata, ma Beele poté ancora leggere il nome, L.C. Smith sulla piastra posteriore. Beele bestemmiò e si mise a correre. Una cassa di caratteri, che adesso era diventata qualcosa d’altro, uscì ondeggiando dal suo ufficio, lo costrinse a spostarsi sulla porta, e si avviò maestosamente lungo la strada.

Quando entrò, Beele ebbe l’impressione di sentire la stampatrice a mano che invocava aiuto. Spalancò la porta della tipografia e si precipitò dentro, ma troppo tardi! La macchina stava già assumendo la solita forma di scatola. Quando le si avvicinò, quella lanciò un ultimo clangore, si avventò verso la vetrata e piombò in strada. Cominciò a suonare l’allarme, ma venne subito soffocato.


LA STAMPATRICE RAPITA!


L’ufficio era stato ripulito completamente. Che ironia, pensò Beele. Senza rendersene conto, gli invasori meccanici avevano distrutto l’unico mezzo che poteva dar loro la fama meritata. O avevano fatto apposta? Barthemo Beele si precipitò di nuovo fuori.

Era già buio quando arrivò a una cabina telefonica che funzionava ancora, sull’autostrada. L’aprì, infilò una monetina nell’apposita fenditura, e chercò di chiamare i servizi stampa. Ma ogni volta che riusciva a ottenere la comunicazione e diceva «Chiamo da Altoo…» la comunicazione s’interrompeva, e la sua monetina cascava fuori. Beele cominciava a chiedersi se per caso era stato lui a rovinare l’apparecchio quando lì accanto si fermò una macchina della polizia, servizio stradale. Gli uomini che c’erano a bordo, però, non erano poliziotti.

Aprirono a forza la porta della cabina e lo trascinarono fuori.

«Ci dispiace di essere così bruschi con lei, signore,» disse uno, toccandosi la tesa del cappello. «Ma è in gioco la sicurezza della nazione. Lei è Beele, di Altoona? Il direttore del giornale?»

«Sì, ma…»

«Abbiamo ordini precisi di insabbiare questa faccenda, Beele. Purtroppo dovremo portarla via oppure…»

«E sta bene, uccidetemi!» disse lui. Barthemo Beele, l’intraprendente giovane direttore, piangeva. «Ormai, non ho più nulla per cui vivere. Ho perduto la mia macchina tipografica, i miei caratteri, mia moglie, la mia macchina da scrivere, tutto! Avanti, sicari prezzolati al soldo d’una burocrazia fannullona! Uccidetemi! Avete già ucciso l’unica cosa che mi stava a cuore… la mia grande notizia!»

«Volevo dire, dovremo portarla via oppure arruolarla come nostro agente. Lo facciamo spesso con i giornalisti, e poi assegnamo loro incarichi all’estero. Naturalmente, dovremo indagare meticolosamente sui suoi precedenti… ci vorrà un’ora o giù di lì. Cosa ne dice? Le piacerebbe andare in Marocco?»

Agente della CIA! Beele lo vedeva con l’occhio della mente: le palme, gli intrighi, la possibilità di spazzar via la corruzione alla fonte!

«Accetto,» disse, sorridendo tra le lacrime.

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