«Tuttavia, esaminiamo più attentamente i fatti.»
Poco prima di presentarsi ai Capi di Stato Maggiore, il dottor Smilax entrò nella toelette maschile adiacente alla sala delle conferenze del NORAD e cominciò a pettinarsi energicamente i capelli. In quelle occasioni, la tensione pareva contrargli il cuoio capelluto, che gli prudeva furiosamente se lui non si affrettava a impartirgli una sollecita e vigorosa rastrellata.
I capelli erano neri, striati di grigio argento, della stessa sfumatura della sua cravatta di foulard. La cravatta era ricamata a neri bacilli d’antrace, meticolosamente annodata e fermata da un minuscolo bisturi d’argento. L’abito era di un grigio sobrio, la camicia di un azzurro televisione, sebbene Smilax non avesse intenzione di comparire davanti alle telecamere. L’unica vera macchia di colore, in lui, era il distintivo della Banca del Sangue che portava all’occhiello, una gocciolina di plastica rossa.
I lineamenti arroganti del volto di Smilax erano addolciti dai baffi ben curati, mentre gli occhiali non cerchiati diluivano la particolare intensità del suo sguardo. La sua, comunque, era l’implacabile espressione di un uomo abituato al comando, non all’acquiescenza. Non era capace di adulare, come facevano quasi tutti gli «esperti» borghesi consultati dai Capi di Stato Maggiore. Smilax dava ordini, non implorava di riceverne, e il suo aspetto da burocrate non bastava a nascondere questa realtà. L’educazione, pensò, concedendosi un sorrisetto ironico, veniva fuori sempre.
Toto Smilax, dottore in medicina, dottore in veterinaria, libero docente di chimica, era il rampollo d’una buona famiglia, sia pure per caso. Una delle prime cose che ricordava era sua madre che scrollava il capo e diceva: «Figlio mio, non voglio che tu vada a finir male come me.»
A cinque anni, lui scoprì cosa significava «andare a finir male»: voleva dire avere un figlio senza essere sposati. Subito Toto cominciò a temere di mettere al mondo anche lui un figlio al di fuori del matrimonio. Ogni mattina guardava spaventato nel suo letto, per vedere se era arrivato un bambino.
Lotte Smilax, la madre, non si era mai sposata. Spesso raccontava al piccolo Toto di essere figlia di un uomo importante del West, e di aver causato il disonore della famiglia perché aveva lasciato che il maggiordomo pazzo la violentasse sotto la minaccia d’una pistola.
«È stato tutto perché mio Papà non mi picchiava mai,» diceva. «Oh, se mi avesse picchiata! Ma con te mi comporterò molto meglio, figlio mio. Non commetterò gli stessi errori di mio padre. Voglio che tu abbia tutte le possibilità che io non ho mai avuto.»
E così dicendo, cominciava a picchiarlo con tutto quello che le capitava: lo stivale, una frusta, un mestolo o una cintura.
La scuola, per Toto, era stata egualmente uno strazio, perché gli altri bambini lo torturavano senza pietà, al limite della loro immaginazione diabolica. Lo punzecchiavano con i compassi, gli rubavano o gli stracciavano i libri, dicevano che sua madre era una «bottana», e che lui non aveva un padre, gli tiravano i sassi, inventavano canzoncine per prenderlo in giro, e lo invitavano a mangiare (d’estate) sabbia e fango e (d’inverno) neve sporcata dai cani.
Facevano tutto questo, naturalmente, perché lui si chiamava Toto. Non era un nome cristiano, e non era neanche il nome di un famoso eroe, vero o fittizio. Era il nome di un cane.
Il povero Toto era stato chiamato così in onore del personaggio letterario più caro a sua madre, il cagnolino di Dorothy nel Mago di Oz. Lotte, bisogna precisare, amava gli animali, e la sua libreria era pieni di libri sui cani, comprese le opere complete di Albert Payson Terhune e Cani di Fiandra, che la facevano piangere ogni volta che li leggeva.
Sebbene fosse inflessibile in fatto di disciplina, la madre di Toto era anche una creatura ricca di calore umano e d’impulsi generosi, che non resisteva mai alla tentazione di portare a casa un cane affamato o un gattino zoppo. In genere, il focolare era allietato dalla presenza di uno o due Lad, un Rex, uno Spot, e magari da una mezza dozzina di Snowball e di Midnight. Spesso Lotte li incoraggiava a mangiare tutti insieme, cani e gatti, a tavola con lei, perché le piaceva avere compagnia a cena, e Toto, per il suo bene, era confinato davanti alla ciotola con il suo nome, sul pavimento della cucina.
Ogni notte, raggomitolato nel suo cestino, Toto sentiva sua madre che usciva per andare alle riunioni della Società Protettrice degli Animali. E lui restava lì a pregare, nominando ciascuna delle care bestiole di Lotte insieme a un tipo diverso di morte dolorosa. Per completare l’elenco, evocava una serie di lente agonie per Albert Payson Terhune, che immaginava fosse il padre di Lotte.
Un giorno, madre e figlio portarono uno dei vari Rex rognosi alla Clinica degli Animali. Toto se ne andò a zonzo per l’edificio, scoprendo i misteri della medicina veterinaria. Dietro una grande vetrata, vide una gatta che veniva sottoposta al taglio cesareo e dava alla luce sei micini. Toto premette il naso contro il vetro, affascinato. Era tutto così bello… il sangue rossovivo, il lenzuolo candido, il mistero della riproduzione, svelato da un coltello lucente. Dunque quello era il sesso!
Il piccolo spirito ardente di Toto respinse tutto ciò che gli era stato insegnato. Avere dei bambini non poteva essere poi così sbagliato. Una cosa tanto solenne e sanguinosa non poteva essere perversa. Giurò che sarebbe diventato veterinario.
Quando Toto ebbe otto anni, il tappeto magico di un’ordinanza del tribunale lo sottrasse alla custodia di sua madre e lo portò a vivere a Dubuque, con due vecchie zie zitelle, miti e simpatiche. Niente più botte, mangiare in abbondanza, un vero letto. E al posto della scuola, un istitutore privato.
Il bambino illetterato, che mangiava allappando come i cani, diventò un giovin signore perfetto, che per nobiltà e raffinatezza superava persino i sogni più rosei delle zie. Le due zitelle non badarono a spese per fargli insegnare tutte le lingue classiche e moderne; e dai migliori docenti imparò la matematica, l’arte oratoria, la scherma e la danza.
Toto si dimostrò un allievo tutt’altro che indegno, e a tredici anni si laureò in veterinaria, e due anni dopo in medicina e chirurgia. Per mantenere agili le dita studiò violino, raggiungendo uno straordinario virtuosismo tecnico. Tuttavia suonava di rado, perché le note alte gli ferivano le orecchie.
A Zurigo, Toto conobbe una giovane anestesista inglese che si chiamava Nan Richmons, e per la prima volta nei suoi vent’anni di vita conobbe una passione più sconvolgente della sua dedizione alla scienza. Non solo Nan era bella e intelligente, ma le sue radiografie mostravano una simmetria cristallina che lasciava Toto senza fiato. Quanto tempo doveva passare prima che egli potesse contemplare dal vero quella matassa del colon, quelle ovaie, le curve perfette dei reni di lei? Quanto tempo doveva attendere prima di poter cogliere il fiore fragile della sua appendice? Chiese a Nan di sposarlo e di diventare il soggetto dei suoi esperimenti chirurgici e — oh, indicibile beatitudine peritoneale! — lei gli disse di sì.
Si fecero le pubblicazioni su due continenti. Toto e Nan trascorrevano la serata progettando isterectomie, e nuove, pericolose tecniche d’anestesia. Poi, senza preavviso, i loro castelli d’etere crollarono.
Uno sconosciuto imbacuccato si recò a far visita a Toto nel suo laboratorio, dove lui stava sezionando un cadavere alla vigilia delle nozze.
«Lei non può sposare Nan Richmons.»
«E perché no?» chiese Toto, oscurandosi in volto. «L’avverto, signore, stia bene attento a come parla di lei.»
«Vuole sapere perché?» Lo sconosciuto rise follemente. «Per due ragioni. La prima è che è già sposata… con me.»
«Non m’importa. Siamo nel 1935, signore! Comportiamoci da persone civili. Il passato non mi…»
«Aspetti! La seconda ragione è… che io le ho già asportato l’appendice oltre due anni fa.»
Toto impallidì e arretrò vacillando d’un passo, posandosi una mano cadaverica sul cuore palpitante. «Buon Dio! Mi dica che ha mentito, mostro!» Lo sconosciuto scrollò mestamente il capo.
«È la verità.»
«E allora ecco!» Toto afferrò un bisturi e glielo porse. «Mi asporti il cuore, signore. A me non serve più.»
Il fidanzamento venne subito rotto. Nan, disperata, si tolse la vita con un miscuglio di cloroformio e di protossido d’azoto. Poi Toto fece lunghi viaggi in Oriente, in Africa e altrove, studiando le più strane tecniche chirurgiche.
Dopo la seconda guerra mondiale, comparve in California, annunciando la propria intenzione di aprire un laboratorio di ricerche. Il Dipartimento della Difesa gli mise subito a disposizione parecchi milioni di dollari. Toto si isolò per un altro decennio, eseguendo ricerche sul dolore, e nel contempo sfornò libri e monografie di altissimo interesse (Chirurgia estetica; La sofferenza, strada della salute; e un testo di pedagogia: Risparmiare il bastone? Mai!). Nello stesso tempo, studiò e conquistò nuovi rami dello scibile: fisica, biochimica, astronomia, biofisica e aracnologia, come altrettante spighe di grano, caddero sotto la falce affilata della sua mente. Nel 19… le sue ricerche culminarono nell’invenzione del computer DNA meglio conosciuto come QUIDNAC.
L’esistenza di questo tipo di computer non era di dominio pubblico; i princìpi del suo funzionamento erano segreto militare, e la sua fabbricazione era compresa soltanto dal dottor Toto Smilax in persona, che in quel momento entrava nella sala delle conferenze del NORAD.
I Capi di Stato Maggiore erano seduti dietro un gran tavolo grigio come il metallo dei cannoni, il più possibile lontani l’uno dall’altro. A una estremità si levava l’esile figura angolosa del generale Ickers dell’Aeronautica, un uomo svelto, simile a un uccello, dalla voce stridula. Un tempo era stato pilota collaudatore, e ne conservava ancora il tipico atteggiamento spensierato nei confronti di tutto, a eccezione della dignità del suo incarico.
All’estremità opposta sedeva una massa plumbea di carne, avvolta nell’uniforme da ammiraglio della Marina. Poiché un tempo aveva comandato un sommergibile (o meglio, una serie di sommergibili, ognuno dei quali riusciva a incappare in un incidente improbabile ma autentico non appena lui ne prendeva il comando) portava ancora un maglione biancosporco a collo alto, sotto la giacca. Ogni tanto riusciva a fare qualche smorfia sprezzante, ma per il resto l’espressione della sua faccia gonfia, da cadavere d’annegato, era di disperazione e di apatia.
Al centro sedeva il generale dell’Esercito R.M.S. («Happy») Meany, la cui faccia sembrava fare di tutto per imitare le espressioni dei suoi due colleghi. Non guardava mai dalla parte di Ickers senza un sogghigno fiducioso e una cameratesca strizzata d’occhio; né dalla parte di Nematode senza un mesto sospiro di commiserazione.
A un tavolo più piccolo, sei metri più in là, sedeva un’ausiliaria che fungeva da segretaria. Quando il dottor Smilax entrò, tutti stavano osservando su un grande schermo lo svolgersi di una battaglia. Metà dello schermo mostrava le linee verdi e le griglie azzurre di una mappa topologica; l’altra presentava sussultanti inquadrature televisive dei combattimenti veri e propri.
Un contingente di paracadutisti era stato lanciato su Altoona. Era una serata buia — non c’era la luna, ricordò Smilax — e le immagini erano traballanti e confuse. (Nematode sosteneva che il nemico interferiva per ragioni sue; Ickers affermava che per lui la ricezione era perfetta). Ogni tanto, una tozza sagoma ingombrante irrompeva dall’oscurità, abbrancava l’arma impugnata da qualcuno degli uomini, e tornava a sparire.
«Che fessi!» sbuffò l’ammiraglio.
Un paracadutista venne colpito basso da qualcosa che sembrava una macchina da scrivere deformata. Lasciò cadere il mitra e cadde, agitando le braccia.
«Sapevo che non sarebbe servito a niente,» disse adagio Nematode, assaporando le proprie parole. «Ma perché mai qualcuno doveva darmi retta? Io sono soltanto l’ammiraglio.» Intrecciò le grosse dita e si studiò le unghie sudice.
«Un uomo abbattuto non vuol dire una battaglia perduta,» insorse Ickers. Scrollò la testa piumata d’argento per sottolineare quanto diceva. «Ha preso una bella botta, ecco tutto. Adesso si finge morto per ingannare il nemico.»
In quel momento lo schermo si oscurò. «Lo sapevo!» gracchiò l’ammiraglio. «Adesso quel coso ha catturato la telecamera.»
«Col cavolo!»
«Sì, ha catturato tutta quella stramaledetta città, e anche i nostri ragazzi. Stasera Altoona… domani il mondo! Sarà la fine della civiltà… e buon viaggio, dico io!»
«Cosa?» strillò Ickers. «Come puoi indossare la divisa del tuo paese e dire una cosa simile! È una menzogna! I nostri Stati Uniti dureranno mille anni!»
«Be’, mi pare che entrambi i punti di vista abbiano qualche merito,» disse il generale Meany. «Perché non sentiamo quello che ha da dirci il nostro esperto in materia, eh? Dottore, perché non ci parla un po’ di questo suo congegno?»
«’Congegno’? Che parola banale per qualcosa cui sono certo che attribuite una grande importanza, signori! Oh…» Smilax si concesse un sarcastico sorriso professionale, mentre si alzava e si dirigeva verso la lavagna. «Mi rendo conto di abbandonarmi un po’ a una diatriba semantica, ma noi scienziati siamo piuttosto rigorosi nelle nostre definizioni.»
Estrasse un gessetto dalla tasca e scrisse «Nomenclatura: IL SISTEMA RIPRODUTTIVO» sulla parte alta della lavagna. I tre uomini attirarono a sé i blocchi per gli appunti e prepararono le penne. Meany scrisse «sist.» e lo sottolineò tre volte.
«Il Sistema Riproduttivo è composto da quelle che noi chiamiamo cellule.» Il dottore lo scrisse sulla lavagna. «Le prime cellule, come sapete, furono fabbricate nel Progetto 32. Erano di tipi diversi, e differivano le une dalle altre sotto due aspetti:
«1) Mezzi diversi di percezione e di comunicazione. Questi includevano rivelatori di metalli, rivelatori di radiazioni, radar, tubi catodici, microfoni, microtorce elettriche, input e schermi grafici, e macchine da scrivere. Soltanto i primi due erano in dotazione standard a tutte le cellule costruite.
«2) Mezzi diversi di propulsione. Questi includevano ruote a ingranaggi, zampe insettoidi snodate, razzi, eliche, e il sistema inerziale, a ‘gatto che cade’. Come un gatto è capace di raddrizzarsi a mezz’aria, così un oggetto può essere azionato in modo da spostare il proprio peso rapidamente. Si muove come un bambino che si aggira in uno scatolone di cartone. Abbiamo appena visto alla televisione un soldato che faceva inconsciamente la stessa cosa… agitava le braccia per recuperare l’equilibrio.»
«Sì,» ridacchiò l’ammiraglio, che non prendeva appunti. «Abbiamo visto quanto gli è servito, vero? È semplicemente morto, ecco tutto.»
Ickers balzò in piedi. «È bello e glorioso morire per il nostro paese!» urlò. «E io vorrei che tutti avessero la possibilità di farlo, in questo preciso momento!»
«Signori, signori,» disse Meany. «Cerchiamo di ricomporre i nostri dissidi. C’è molto di vero in ciò che entrambi avete detto. Forse il dottore vorrà avere la cortesia di esporci il suo punto di vista in proposito.»
«Sarebbe ora di muoverci!» gridò Ickers. Meany riempì di figure geometriche l’unica parola che aveva scritto sul suo blocco. Nematode cominciò a disegnare genitali femminili. «Finiamola di starcene tutto il giorno qui seduti! Io voglio andare là e prendere a calci in pancia quel coso! Uno dei miei ragazzi, Grawk, è qui fuori in corridoio, adesso, e aspetta ordini. Muoviamoci!»
Il dottor Smilax disegnò uno spaccato d’una cellula indivudale. «Le dimensioni variano,» spiegò, «per diverse ragioni ereditarie e ambientali. Le cellule originarie non erano della stessa grandezza, e in alcuni casi le differenze sono divenute assai marcate. L’esterno corazzato di ogni cellula è normalmente inattaccabile alle intemperie grazie a rivestimenti di vernice, di gomma o di plastica. Vi sono aperture dalle quali possono venire estroflessi i vari utensili: ganci, chele, cesoie, saldatori, ecc. In alcuni tipi il rivestimento è sacrificabile. In quasi tutti i tipi può aprirsi per fare entrare ì materiali… o per fare uscire una nuova cellula.
«All’interno della cellula vi è lo spazio in cui hanno luogo la riproduzione e la manutenzione. La manifattura ha portata molto limitata e consiste principalmente nell’adattare gli oggetti trovati a scopi succedanei.
«I supporti delle componenti meccaniche ed elettroniche, come a esempio i circuiti integrati, vengono costruiti su ordine dell’unità di controllo QUIDNAC. Tutti i cuscinetti a sfere e le altre parti che ammettono una certa tolleranza vengono fabbricati per sinterizzazione; i meccanismi più fini vengono lavorati con gli acidi.
«Sono utilizzabili tutte le fonti di energia, se possono venire modificate per adattarsi alla cellula, o se la cellula può modificare adeguatamente se stessa. Avevamo previsto, per esempio, che le cellule sarebbero state in grado di appiccicarsi alle locomotive e di trarre l’energia da queste, e mi risulta che la previsione era esatta.
«Passiamo ora al ‘tuorlo’ del nostro ‘uovo’,» disse Smilax con un altro asciutto sorriso professorale, e indicò il centro del diagramma disegnato con il gesso. «Questa è l’unità di controllo QUIDNAC, in tre sezioni: 1) la sezione DNA; 2) la sezione amplificazione e interpretazione; 3) il collegamento di controllo.
«La sezione DNA è un mezzo complesso e compatto per immagazzinare e recuperare informazioni. Vi sono immagazzinati circa 1010 o dieci miliardi di messaggi, molti dei quali composti di sole tre unità, mentre alcuni sono anche di un milione di unità. I quattordici messaggi più semplici corrispondono alle regole della logica, al calcolo aritmetico, o alla meccanica del trattamento degli altri dati.» E Smilax scrisse:
Messaggio | Significato | Simbolo convenzionale |
---|---|---|
AAA | «O… oppure…» | V |
CCC | «Se… allora…» | ∩ |
GGG | «… e…» | . |
TTT | «… è equivalente a…» | III |
GAGGAG | «zero» | 0 |
GCGGCG | «positivo» | + |
GTGGTG | «negativo» | – |
TGTTGT | «… è identico a…» | = |
AGAAGA | «Registrare…» | (Ricordare) |
ATAATA | «Cancellare…» | (Dimenticare) |
CGCCGC | «Duplicare…» | (Ripetere; Copiare) |
CTCCTC | «Trasferire…» | (Dirmi) |
«Questi messaggi sono impressi in codice in una doppia elica di DNA. Vengono attivati soltanto dall’input appropriato. In un certo senso, il QUIDNAC è completamente programmato, poiché è vero che ogni output di messaggi, o risposta, è impresso in codice nella molecola di DNA. Ma le diverse serie, le diverse combinazioni di reazioni non sono prevedibili, se non altro a causa della loro estrema varietà.» Di nuovo il sorriso, di nuovo nessuna reazione da parte degli ascoltatori. «Il numero totale delle possibili combinazioni dei messaggi è uguale alla somma dei quadrati di tutti i numeri da 1 a 1010.
«Tutti i dati dell’input, o stimoli, vengono registrati automaticamente, e comparati agli stimoli precedenti. Se corrispondono, verranno trattati come nei successi del passato; se non corrispondono, vengono escogitate varie analogie in base alle esperienze pregresse. Se non vi sono analogie che paiono avere una relazione sia pur minima al nuovo stimolo, vengono scelte e provate reazioni randomizzate. In pratica, il QUIDNAC apprende, e via via che apprende altera la struttura della molecola di DNA. In generale, le alterazioni consistono nello spezzare la molecola e nel ricostruirla secondo nuovi schemi, un po’ come nelle frasi anagrammate.»
A questo punto scrisse: «DINA MOLLITIS-VERDE».
E sotto: «IL MOL DNA SI DIVERTE».
«Vedete, un mol è un peso, un grammo molecolare, ossia il peso molecolare di una sostanza espresso in grammi. Il peso molecolare nel nostra DNA è all’incirca 287 x 1016, quindi il divertimento sta nel fatto che un mol peserebbe circa tre trilioni di tonnellate.»
Smilax rise cordialmente del sottile scherzo del DNA. Le tre facce davanti a lui, però, rimasero cristallizzate come mascheroni che esprimevano rispettivamente gaiezza, disperazione e indecisione. Il dottor Smilax si schiarì la gola e si accinse a continuare.
«Trilioni britannici o trilioni americani?» chiese l’ausiliaria che fungeva da segretaria. «Tonnellate corte da 907,18 chilogrammi, o tonnellate lunghe da 1016?»
«Me ne occuperò più tardi, se lei prende un appunto.» Un muscolo cominciò a prudere nel cuoio capelluto del dottore. «Ordunque:
«Il secondo stadio dell’unità di controllo QUIDNAC consiste in un sistema di circuiti integrati che traducono e amplificano l’output della sezione DNA. La terza sezione consiste di effettivi meccanismi di controllo, interruttori, relais, e così via, che azionano vari ‘arti’, ‘organi’ e funzioni della cellula. Vengono usati circuiti sintonizzati, in modo che un segnale piuttosto complesso può venire inviato come un ‘clang’ di eccitazione, dal quale ogni cellula ricevente seleziona il proprio segnale. Il nostro sistema nervoso funziona più o meno in base allo stesso principio.»
«Quello che noi vorremmo sapere, dottore,» disse il comandante dell’esercito, lanciando occhiate nervose alle due estremità del tavolo, «e credo di poter parlare anche a nome dei miei colleghi qui presenti… quello che noi vorremmo sapere è com’è il computer QUIDNAC, e come possiamo spegnerlo?»
«L’intera unità di controllo è molto simile a una radio a transistor,» spiegò il dottore. «L’intera massa del suo collegamento di controllo, voglio dire. La sezione amplificatrice è grande più o meno come un orologio per signora. Lo schedario-memoria DNA, naturalmente, è invisibile. Ma si può vedere il suo involucro… ha più o meno la forma e le dimensioni di un puntino tracciato a matita.»
«L’Aeronautica degli Stati Uniti non avrà molte difficoltà a massacrare un po’ di puntini,» disse Ickers, raggiante.
«Be’…» cominciò Smilax, poi sospirò.
L’ammiraglio lanciò uno sbuffo addolorato, che in lui equivaleva a una risata. «Credo che siamo spacciati,» disse. «Ho sempre saputo che la razza umana era destinata a venire annientata da qualcosa di simile a un branco di puntini. È logico.»
«Forse siamo spacciati,» fece accattivante il generale Meany, «e forse abbiamo ancora una possibilità. Credo che sia troppo presto per dirlo. Mi riservo di giudicare quando avremo sentito l’opinione del nostro esperto qui presente.»
«Vorrebbe farmi credere,» chiese Ickers, «che in pochi giorni quei microbi invisibili hanno ammucchiato abbastanza rottami da coprire ventimila miglia quadrate? E che noi non possiamo fermarli?»
«Temo che sia esatto,» disse Smilax, «anche se un po’ pessimistico. Hanno lavorato sottoterra per oltre due settimane, preparandosi alla conquista. Inoltre, hanno soltanto recintato l’area, non l’hanno ricoperta, e credo che si tratti solo di 17.213 miglia quadrate. È evidente che fino ad ora non siete riusciti a fermarli,» aggiunse, abbassando gli occhi. «È per questo che mi avete mandato a chiamare. Io prevedo un unico modo per fermare il Sistema Riproduttivo… anche se probabilmente vi ripugnerà.»
«Lo sapevo che non eravamo spacciati!» strillò il comandante dell’Aeronautica, prorompendo in una risata d’esultanza. «Qual è la sua idea, dottore?»
«Sicuro, parli pure. Tanto, ormai cosa abbiamo da perdere?» disse l’ammiraglio. «La razza umana è spacciata.»
Smilax illuminò una grande carta geografica. «Sembra che il Sistema abbia tre centri di sviluppo, per il momento, e stia recintando l’area che li include. I centri sono: il laboratorio di Millford, Utah; Altoona, Nevada; e Las Vegas. Facendo esplodere tre ordigni termonucleari nell’ordine di 150 megatoni ciascuno, ritengo che potremo neutralizzare il Sistema, a questo punto. Il resto sarà semplicemente un’operazione di ripulitura, mi pare che l’espressione sia questa, usando ordigni termonucleari più piccoli. So già quale domanda state per rivolgermi, perciò lasciatemi dire subito che stimo il totale delle perdite civili non superiore a un milione.»
«Ha detto un milione o un miliardo?» mormorò l’ausiliaria.
«Se questo è il prezzo del nostro impegno,» disse Ickers, sorridendo, «io ci sto!»
«È all’incirca la popolazione del Nevada e dell’Utah messa insieme,» osservò l’ammiraglio Nematode. «E questo è l’anno delle elezioni. Non riusciremo mai a convincere il Congresso a mandar giù l’idea di cancellare due stati dalla faccia della Terra. Tanto vale che gettiamo subito la spugna.»
«Entrambi gli argomenti dei miei colleghi sono validi,» disse prudentemente Meany. «Abbiamo qualche alternativa, dottore?»
«Soltanto il piano di una nuova linea di ricerca per alterare geneticamente il Sistema. Per fortuna o per sfortuna, il Sistema è in grado di trasmettere le caratteristiche acquisite. Entro due mesi circa, potremo…»
«Due mesi!» urlò Nematode. «Tra due mesi il Sistema coprirà l’intero globo terrestre.»
«No, secondo la mia stima, se continua a crescere con il ritmo attuale, in otto settimane raggiungerà una grandezza ottantotto volte superiore a quella attuale. Allora verrà a coprire circa 1.514.788 miglia quadrate, cioè più o meno l’area di quindici dei nostri stati occidentali, escludendo il Texas e l’Oklahoma, ma includendo l’area del Maine.»
«Oh, Cristo.»
Ickers aveva fatto entrare Grawk e sembrava in preda a un giubilo furibondo nell’udire quello che gli andava bisbigliando il suo subordinato. «Splendido! Splendido! Splendido! Glielo dica!»
«So che sembrerà un’idea pazzesca,» disse il piccolo, bruttissimo generale. «Ma forse è abbastanza pazza per avere buon esito. State a sentire. Ricordo di aver visto, una volta, un film di fantascienza, in cui si liberavano del mostro fulminandolo con l’elettricità. Ve lo ricordate? Bene… potremmo provare lo stesso sistema: attaccare l’alta tensione e fulminare il Sistema.»
«Roba da fantascienza,» sbuffò l’ammiraglio.
«Credo che l’idea non sia sbagliata,» disse Smilax. «Potrebbe funzionare… cortocircuitando i circuiti più fini… Ma, se fallisce, non ci guadagnamo niente.»
«Almeno non ci perdiamo niente!» strillò Ickers. Batté una mano sulla schiena di Grawk e abbaiò: «L’idea è sua, ragazzo mio. Se ne incarichi lei. Faccia collegare Altoona con l’alta tensione. Si metta subito all’opera. In bocca al lupo!»
«E quando avrà fatto fiasco,» disse l’ammiraglio, con biliosa buonagrazia, «sarà veramente in bocca al lupo. Sarà l’aviere di terza classe Grawk… se non la faremo fucilare.»
Meany riepilogò. «Corra, Grawk,» disse. «Le auguriamo di avere successo e le intimiamo di non fallire.»
«Non mi preoccupo.» Grawk trasferì fuori dalla porta il sogghigno a denti gialli e il sigaro nero.
Ad Altoona era stata piazzata un’altra telecamera e adesso, poiché Smilax era stato invitato a partecipare insieme ai Capi di Stato Maggiore alla loro partita settimanale al Gioco dell’Oca, i quattro assistettero alla nuova scena sul grande schermo. Un gruppo di giovani stava sfilando davanti alla barriera di filo spinato che i militari avevano eretto intorno alla città. Agitavano cartelli con le scritte: «COS’È’ SUCCESSO AD ALTOONA?, «ABBASSO LA FINE DEL MONDO» e «RENDETECI IL NOSTRO PIANETA».
«Se ne accorgeranno presto di quello che è successo ad Altoona,» disse il comandante dell’Esercito, lanciando i dadi. «Se il piano di Grawk va a buon fine, domani lasceremo ‘filtrare’ le notizie, tramite le nostre solite fonti attendibili.»
C’era una ragazza che sembrava avesse sbagliato corteo. Calzava un paio di stivaletti bianchi, e reggeva un cartello con la scritta «DAI, DAI MARMOTTE!»
Poi la ragazza si girò e Smilax poté vedere un altro messaggio, tracciato frettolosamente a tergo del cartello: «LA FINE DEL MONDO È UN’INGIUSTIZIA VERSO I GIOVANI!»
Arrivò un plotone di soldati che circondarono i contestatori e cominciarono a trascinarli via.
«Dove li portano?» chiese Smilax al generale Meany.
«Li terremo sottochiave fino a domani sera, o fino a quando finirà questa storia. Perché?»
«La ragazza con gli stivali. Mi sembra un soggetto ideale per i miei ultimi esperimenti sul dolore. Chissà…»
«Capisco,» disse Meany, dandogli una gomitata confidenziale. «Ahah, capisco. Naturalmente, la farò tenere per lei. Dove vuole che gliela portino? Qui?»
«Sì, ho organizzato l’infermeria. Grazie.»
«Ahah, vecchio birbante!»
«Lei non sa quanto,» disse Smilax fissando la ragazza… il ritratto vivente di Nan Richmons. Con l’immaginazione, lui vedeva già la perfetta simmetria dei suoi reni.