Capitolo Ventiduesimo I fratelli Frankenstein

«Sia che possiamo o non possiamo conservare un certo controllo sulle macchine, presumendo che lo vogliamo, la natura delle nostre attività ed aspirazioni verrebbe cambiata completamente dalla presenza sulla Terra di esseri intellettualmente superiori.»

M.L. MINSKY in Scientific American


«Sono divenuto sempre più e più certo,» esclamò Brian Gallopini, «che non soltanto questo Sistema Riproduttivo ha il diritto d’esistere, bensì anche quello di prosperare, in quanto esso è, in molti sensi, erede della Terra più legittimo di noi. Osservate: è più robusto, più grande, capace di riprodursi meglio e più rapidamente che non sia l’uomo. È intelligente come l’uomo, ma certamente più svelto di spirito. Enfin, non ho dubbi che sia di moralità incorruttibile e dotato, a giudicare da quanto è accaduto a Harry, anche di giustizia poetica.»

Carichi di sacchi di provviste, i tre viaggiatori erano appena scesi dal camion nei pressi di Millford, Utah, e stavano salendo una gran rampa metallica che portava nella cittadina.

«E là ove sia la giustizia poetica, deve esserci anche un poeta per cantarla:

«Chi con imparzial occhio vede, come Dio,

perir l’eroe o un passero cadere,

Atomi e sistemi scagliati in rovina

ed or scoppiare una bolla, ed ora un mondo.

«Io penso che questo Sistema Brobdingnagiano contenga più giustizia e saggezza di mille poeti… più di quante ve n’abbiano riversate i suoi creatori,» continuò, volgendo lo sguardo acquoso da Daisy a Cal. «Ed or mi chiedo se la nostra missione qui non sia un errore. Darsi non può che condanniamo a morte uno spirito più nobile del nostro? O più meritevole di vita?»

Cal si schiarì la gola. «Non sono affatto sicuro che noi possiamo far qualcosa, qui,» disse. «E preferisco pensare che ci limitiamo a spegnere una specie di elettrodomestico. È solo una misura temporanea, dopotutto, fino a quando impareremo a controllare il Sistema.»

«È appunto questo,» disse il Professore. «È giusto che noi lo controlliamo? Non può darsi che i nostri meschini fini umani disonorino e contaminino questa prodigiosissima macchina? Non può darsi che noi abbiamo a distoglierlo dal suo vero destino… dall’Armonia Suprema con l’Universo? Dopotutto, è una colonia di creature superiori in ogni aspetto.»

«Sembra superiore,» ammise Cal, indicando il Laboratorio Wompler, da cui usciva un flusso continuo di scatole grige. Non c’era traccia di cavi elettrici, di fumo, di polvere o di rumore. «Quella, per esempio, è la mia concezione di una fabbrica perfetta. Ma la superiorità non dovrebbe essere qualcosa di più della semplice efficienza? E se noi la fermiamo, non ci dimostriamo superiori, almeno nella capacità di sopravvivere?»

«Sofisma!» gridò Brian. «È peccaminoso, sì, peccaminoso manomettere la perfezione razionale. Il Sistema Riproduttivo è l’incarnazione di tutto ciò che è giusto e ragionevole. Non può, non deve esser sminuito dalle nostre teorie vessatorie. Se posto non v’è per l’uomo, ebbene sia! L’uom si faccia da parte, acciocché il suo successore più grande e più perfetto aver possa lo spazio per crescere!» Estraendo il fazzoletto macchiato di tabacco da fiuto, si soffiò il naso con un gesto vigoroso e collerico, poi precedette gli altri nel Laboratorio Wompler.

«Mani in alto!» gridò una voce debole e lontana. «Mettetevi contro al muro!» Dopo essersi guardati intorno, i tre scoprirono che la voce usciva dalla bocca di un giovanotto magro e dall’aria famelica in uniforme dei Marines, seduto sul pavimento ai loro piedi. Sembrava stesse cercando di districare qualcosa che portava al fianco, e alla fine riuscì a estrarre un’automatica calibro 45. Lentamente, reggendola con entrambe le mani, alzò la pistola per puntarla contro di loro. L’arma tremò per un secondo, poi cadde sul pavimento. Il giovanotto lanciò gemiti dolorosi e assunse un’espressione triste. «Non potete entrare senza un lasciapassare,» disse, con quella voce debole e lontana.

«Ecco.» Daisy prese la pistola offrendo in cambio un budino pronto alla cioccolata prelevato dal suo sacco di provviste. Brian prese la pistola e la infilò in una delle tasche della giacca, mentre Daisy scoperchiava il bicchiere del budino per il giovane Marine.

«Chi è lei?» chiese Daisy alla sentinella. «E cosa ci fa qui, poverino?»

«Non dirò altro che nome, grado e numero di matricola,» rispose quello, addentando imbronciato il secondo budino pronto.

«Ce la fa a camminare, se l’aiutiamo noi?» domandò Cal.

«Io resterò qui finché non verranno a darmi il cambio!»

Il Marine fu incrollabile. Dopo una consultazione, nel corso della quale Brian lo definì «cucciolo pertinace», i tre divisero le provviste in quattro parti, gliene lasciarono una, e si avviarono per i corridoi tortuosi, sempre più depressi.

L’edificio sembrava completamente deserto. Cal non riuscì a smuovere la porta della mensa, che lasciava filtrare un liquido freddo e untuoso.

Salirono al piano di sopra, dove il corridoio semibuio era rivestito di rozze lastre di ferro. Nel pavimento erano stati scavati due solchi paralleli, per ragioni inspiegabili.

«È spaventoso,» bisbigliò Daisy, guardando le pareti scagliose. «Non c’è anima viva da nessuna parte.»

«Arte,» sospirò l’eco in fondo al corridoio. C’era silenzio, a parte un lieve sgocciolio d’acqua, in lontananza.

«Andiamo da questa parte,» fece Cal. «Il laboratorio è l’ultima sala in fondo al corridoio, sulla destra.»

«Amo, arte, oratorio, ala, destra,» fremette la liquida eco, che ripeté il suono dei loro passi quando arrivarono in fondo al corridoio buio e aprirono una porta.

Un fulgido chiarore fluorescente filtrò sul pavimento butterato dalla ruggine e scintillò sui solchi gemelli.

«Ehi, c’è qualcuno?» gridò Cal.

Puntando un dito tremante verso l’angolo della sala, Daisy disse: «Sì e no.»

Quando si fermavano, erano totalmente immobili, e quando si muovevano lo facevano con tale guizzante velocità e precisione che era impossibile scambiare per esseri umani quelle due figure corazzate. Erano identici, con teste grandi e squadrate, e tubi catodici al posto delle facce. Si muovevano con agilità inumana nel silenzio assoluto, svolgendo mansioni di cui Cal poteva solo cercare di indovinare la natura. Portavano i rossi distintivi d’identificazione di Kurt e Karl Mackintosh.

Evitando i tre umani come i pipistrelli evitano gli ostacoli, virarono elegantemente, pattinando senza cambiare velocità. Ora uno portava una provetta fumante a una centrifuga, mentre l’altro manovrava un quadro di comandi per controllare gli apparecchi. Uno corse a una tastiera e batté, a velocità abbagliante:


11011 L’ALTA GRAVITÀ INCLINA IL BICCHIERE

11012 IL TOROIDE DI FERRO CONSERVA LE PROPORZIONI MENTRE SI ESPANDE

11013 L’AUTISTA DEL CAMION HA TORTO

11014 AE2 PIÙ BE2 EGUALE CE2

11015 DEFINIZIONE: (NON FORARE O INCENERIRE) SIGNIFICA (NON FORARE) E (NON BRUCIARE) E (NON FORARE E BRUCIARE)

11016 L’OLIO GALLEGGIA SULL’ACETO

11017 GIÙ È TALVOLTA NELLA DIREZIONE DELLA GRAVITÀ

11018 KWALITEIT, HOE WORDT DIE GEMETEN?

11019 CAPPELLO: TESTA = SCARPA: PIEDE

11020 MILL, JOHN STUART (1806-73): FILOSOFO ED ECONOMISTA.


Nello stesso tempo, l’altro cominciò a scrivere numeri ed equazioni su di una bizzarra tabella di rame, servendosi di uno stilo. Stilo e tabella erano collegati alla parete da cavi elettrici.

Ogni tanto una delle due figure si rivolgeva all’altra e mostrava sullo schermo facciale una serie di numeri. Altrimenti, pareva che i due non conversassero, e che non ce ne fosse bisogno, perché si aggiravano agilmente in quello che pareva quasi un balletto d’ordine e d’armonia. Quando avevano finito un passo o una procedura, le aperture rotanti sopra le loro teste si giravano verso il quadro di una console in fondo alla sala, ma non appena quello illuminandosi mostrava la scritta BRAVO, il balletto riprendeva.

«Sbalorditivo e bellissimo,» mormorò il Professor Gallopini. «Rinuncerei volentieri alla mia vita criminosa pur d’apprendere come funziona tal macchina prodigiosa.»

«E io darei parecchio pur di sapere come spegnerla,» fece Cal, guardandosi intorno sbigottito. «Non riconosco nessuna delle apparecchiature che avevo viste qui. Se il Sistema si può metamorfosare così in fretta…»

«Metamorfosare? Ah, sì,» disse Brian, guardandosi intorno con un sorriso. «Il metallo trascende se stesso. Questi automi squisiti ricercan l’equilibrio, così come la Terra ricerca di divenire una sfera perfetta, e l’universo diviene sempre vieppiù ordinato.»

«Che buffi, quei robot!» osservò Daisy. «Hanno le orecchie di ghisa! E non hanno la bocca!»

«Né le bocche occorron loro,» insistette Brian. «Questi sono gli uomini di domani! Questi sono gli eredi della Terra! Questi son gli Übermensch, gli equilibristi, i dinasti!» E protendendo le braccia verso i robot indaffarati, declamò: «Uomini del futuro, noi che stiamo per estinguerci vi salutiamo!»

Senza dar segno di aver sentito il suo discorsetto, le due macchine eseguirono il loro nuovo compito. Una aprì la porta del laboratorio, l’altra sollevò Brian Gallopini e lo depose, in piedi, nel corridoio. Prima che Cal e Daisy potessero fare commenti, subirono un trattamento analogo.

Adesso il corridoio era tutt’altro che buio e tutt’altro che silenzioso. Una fila di tubi fluorescenti lungo il centro del soffitto lo illuminava in tutta la sua lunghezza, mentre c’era un rombo profondo, terribile e assordante, che trasformava in cembali pavimento e pareti. Ben presto divenne così forte che i tre non ebbero neppure il tempo di chiedersi cosa significava. Poi la parete di fondo del corridoio si aprì come una tenda, e il muso di un’enorme locomotiva a vapore avanzò rombando verso di loro.

Avanzava a una velocità non superiore a un chilometro e mezzo all’ora, sputacchiando vapore sibilante, e procedeva ineluttabile verso il loro cul-de-sac. Stava frenando, e le ruote facevano guizzare fuoco dalle scanalature, slittando e girando a rovescio, ma la locomotiva non sembrava rallentare affatto.

Lanciandosi l’uno all’altro urla di avvertimento che in quel frastuono era impossibile sentire, i tre compagni spinsero la porta del laboratorio, loro unico possibile rifugio. Riuscirono a smuoverla solo di pochi centimetri, quanto bastò perché Cal potesse intravvedere i due robot che tornavano a chiuderla. Lo schermo d’uno di essi mostrava un’immagine della faccia divertita di Karl; l’altro, la faccia del suo gemello. I muscoli metallici si mossero, e la porta si chiuse nonostante tutti gli sforzi dei tre umani.

Daisy si girò di scatto verso Brian e gridò, senza che nessuno la sentisse: «Be’, preparati a un altro esempio di giustizia poetica.»

I tre arretrarono contro la parete di fondo del corridoio, e guardarono il Vecchio Numero 666 che continuava ad avanzare verso di loro.

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