«Sono costretto a compiere su me stesso, nella completa oscurità, operazioni di delicatezza estrema.»
«L’onore non è un abile chirurgo, dunque? No.»
La simmetria perfetta del corpo di Susie Suggs era in equilibrio sull’orlo del lettino di fintapelle nera, che era l’unico mobile della stanza. Susie non piangeva più, ma un cipiglio insolito turbava la sua fronte… tuttavia anche quel cipiglio era perfettamente simmetrico. A scatti ritmici, gli stivaletti bianchi battevano contro il lato del lettino. Quando si accorse di aver rosicchiato via lo smalto da un’unghia, cominciò a lavorare sull’altra.
Il dottor Smilax non soltanto aveva appreso tutto ciò che poteva apprendere sul conto di Susie Suggs, grazie al contenuto della sua borsetta e dal fascicolo personale del Servizio di Sicurezza intestato a suo padre, ma l’aveva anche studiata piuttosto a lungo attraverso uno spioncino. I suoi movimenti, aveva osservato, erano svelti ma aggraziati; era impulsiva, ma generosa e ansiosa di piacere. Dopo avere indossato un camice bianco ed essersi infilato in tasca uno stetoscopio, il dottor Smilax aprì la porta ed entrò nella stanza.
«Io sono il dottor Smilax, mia cara,» disse senza sorridere, sedendole accanto per auscultarle il polso. «E lei è Miss Susan Suggs di Santa Filomena, California. È esatto? I suoi amici la chiamano Susie?»
«Sì?» La voce di lei era rauca per la paura; cercò di tirar via la mano. Smilax le imprigionò il polso.
«Su, non ho intenzione di farle del male, mia cara. Voglio solo visitarla.» Il suo tono aveva raggiunto l’esatto equilibrio tra la premura e il brusco comando.
«Ma io non voglio farmi visitare. Non ho bisogno di farmi visitare. Non sto male. Sono solo svenuta quanto mi hanno arrestata.»
Smilax le lasciò la mano dopo un momento, e nello stesso tempo un sorriso gli circondò gli occhi di grinze. «Certo, se è così che preferisce. Si sente bene, vero?» Susie annuì. «Magnifico, allora. Avevo quasi sperato che ci fosse qualcosa che io potevo fare…» Abbassò la voce e assunse un’espressione vacua, fissando la parete color oliva.
«Vede,» proseguì dopo un attimo, «non c’è molta soddisfazione, ad essere un medico militare. Assisto alle morti, ecco tutto. Io… io certe volte non so come ce la faccio a tirare avanti, quando penso a quei poveri uomini che salvo… solo per mandarli fuori a farsi uccidere!»
«È spaventoso,» mormorò lei. Smilax si alzò e cominciò a camminare avanti e indietro.
«Sì: l’Esercito non si considera come un’organizzazione umana, bensì come una macchina. Gli uomini non sono umani, ma solo rotelline… cellule di un grande organismo.»
Senza sapere perché, Susie arrossì a quella parola.
«Darei qualunque cosa per non essere costretto a farlo… ma deve pur farlo qualcuno!» esclamò lui, appassionatamente. Tornò a sedersi di peso e nascose il volto tra le lunghe, sottili mani d’artista. «Deve farlo qualcuno!»
«Oh, come mi dispiace,» disse Susie, posandogli sul braccio una mano esitante. Lui finse di non accorgersene. «Non sapevo…»
«No, è naturale. Per lei, per tutti coloro che si trovano al di fuori di tutto questo, noi siamo mostri… macchine che possono continuare a lavorare all’infinito, compiendo miracoli a comando, senza neppure una parola di ringraziamento, senza un pensiero gentile, senza uno solo di quei piccoli tocchi d’umanità che rendono la vita degna d’essere vissuta. Ma noi non siamo mostri! Le sembro un mostro? Davvero?» Smilax sapeva benissimo che, in quel momento, lui aveva l’aria di un orfanello dai capelli grigi.
«Oh, no!» gli assicurò lei, prendendogli la mano. «Lei non mi fa per nulla paura, dottor Smilax.»
«Grazie, mia cara. Questo è il primo contatto ricco di calore umano che mi sia capitato in tanti anni. Anch’io sono umano… Dio, perché non lo capiscono? Posso sembrare sovrumano… posso sembrare un Dio in sala operatoria, perché debbo esserlo, e tuttavia ho…»
«Un cuore d’argilla?» chiese Susie seria seria, e per poco non svenne su quella metafora. Soffocando una risata diabolica che gli stava salendo alle labbra, il dottore annuì.
«Un buon modo per esprimerlo, mia cara. L’altro giorno ho eseguito un intervento chirurgico a cuore aperto su di una bambina. Quando ha ripreso i sensi, mi ha ringraziato, dicendomi: ‘Sono contenta che lei mi abbia guarito così bene il cuore, dottore. Ma perché non può guarire anche il suo?’ Sì, quella bambina ha visto dentro di me, come in una radiografia. Le dispiace, a proposito…» Mentre parlava, Smilax condusse Susie nella stanza accanto e la spinse sul tavolo delle radiografie. «Sì, infatti, quella bambina…» Infilò una lastra nel cassetto sotto la ragazza e mise in posizione la testa della macchina. «Quella bambina innocente mi ha detto… Respiri profondamente, adesso. Trattenga il fiato! Benissimo… Mi ha detto ‘Medico, cura te stesso!’ Ah, vorrei poter accogliere quell’ottimo consiglio. Ma le cicatrici sono troppo profonde nel mio… cuore d’argilla!» E di nuovo represse una sghignazzata che gli riempì gli occhi di lacrime.
«È stato per una donna, dottore?» chiese Susie, mentre lui la riconduceva nell’altra stanza. Senza rispondere, il dottore le palpò per un attimo i reni tondi e sodi.
«Non ‘una donna’,» corresse. «Diciamo la Donna! L’incarnazione della femminilità! La più dolce, la più perfetta, la più simmet… più simpatica creatura del mondo! Ed era mia! Ah, molto meglio se non l’avessi mai conosciuta, piuttosto di vedermela rapire dalle forze tenebrose della Morte!»
Gli occhi di Susie si riempirono di lacrime di commozione. «La Morte?» bisbigliò.
«Sì, ella morì. Per ironia, ad opera di un uomo conosciuto come ‘un grande chirurgo’. Oh, quanto fui folle a credere in lui! Sebbene a quel tempo io fossi soltanto uno studente di medicina, anch’io sarei stato capace di compiere l’operazione meglio di lui. ‘Grande chirurgo’… No! Grande macellaio!
«Ah, è tutto finito, finito!» aggiunse, tastandole freneticamente i reni. «Da allora, non sono stato altro che questo… un aggiustatore dei macchinari del governo.» Girò il capo e fissò lo sguardo sulla punta ben lucidata di una sua scarpa.
«Oh, come vorrei aiutarla,» disse lei, facendosi più vicina e prendendogli le mani.
Smilax strinse le mani di lei. «Lo so,» disse. «E gliene sono grato, ma per me è troppo tardi. Troppo tardi. Sono abbastanza vecchio per essere, che so, suo padre. Abbastanza vecchio… per essere un saggio, e tuttavia sono uno sciocco.» Il suo sorriso era carico di sofferenza.
«Oh, non è poi tanto vecchio. Ci sono tanti uomini più vecchi di lei,» fece Susie, accalorandosi. «Senta, lo so che non potrò mai prendere il posto della sua amata nel suo cuore… il cuore d’argilla… sarebbe impossibile, per amor del cielo… Ma vorrei aiutarla, come posso. La prego, mi dica se posso fare qualcosa… qualunque cosa.»
«Bene. Glielo dirò, ma so già che non vorrà accettare.»
«Provi,» disse Susie, coraggiosamente.
«Benissimo. La donna che amavo era… mi dica, ha mai subito un intervento chirurgico, prima d’ora?»
«Cielo, no! Ma se si tratta di passarle i ferri e di asciugarle la fronte e di darle un sostegno morale, posso imparare. Mi impegnerei, davvero.»
«Ecco, no, io stavo pensando… Susie, era di averla come… posso dirlo?… come paziente.»
«Vuol dire…?»
«Sì, lo so che le chiedo molto. Ma ardo dal desiderio di conoscere tutto di lei, i reni, il fiele, la milza, sì, ogni segreto del suo cuore. Cosa mi risponde, amore mio?»
Per tutta risposta, Susie cadde priva di sensi sul lettino, in perfetta simmetria.
Aurora si sentiva ipnotizzata. In quelle ultime quindici ore non aveva quasi visto altro che le strisce bianche tratteggiate della mezzeria sull’interminabile striscia d’asfalto nero. Un paio di volte s’era fermata a dormicchiare, ma poi qualcosa, un senso d’emergenza interiore, continuava a svegliarla, la spingeva a proseguire.
Ora, quando il riflesso del sole mattutino sul cofano gli batté in faccia, Grawk si svegliò. Gli occhi cisposi nella faccia rossa e porosa guardarono Aurora con una certa ostilità. Grattandosi la barba ispida, Grawk sbadigliò più ampiamente di un diagramma odontologico, mettendo in mostra tutti i tozzi denti gialli, poi li serrò su di un sigaro nuovo.
«Dovremmo quasi esserci, eh, pupa? Non può far correre un po’ di più questo vecchio macinino?»
«Avrebbe potuto darmi il cambio al volante,» ribatté Aurora. «Avremmo fatto prima.»
«Oh, ma lei se la cava benissimo,» disse Grawk allegramente, grattandosi le cispe gialle dagli occhi con il dorso d’una mano pelosa. «ma veda se le riesce di correre un po’ di più.»
Aurora si complimentò con se stessa perché non aveva perso la calma. Riuscì a non parlargli (poiché parlare con Grawk voleva inevitabilmente dire scambiarsi insulti) fino a quando arrivarono al cancello esterno del NORAD. Il posto di guardia sembrava deserto.
«Crede che sia prudente?» chiese allora, rallentando. «Se le sentinelle hanno abbandonato il loro posto, ci sarà pure una ragione.»
«Lei continui a guidare,» borbottò Grawk, calcandosi il berretto sulle orecchie. «A pensare provvedo io. Dobbiamo superare ancora due posti di blocco prima di arrivare agli ascensori.»
«Conosce così bene questo posto?»
«Come conosco le donne.» Lui la guardò maliziosamente attraverso la nuvola grigia di fumo del sigaro.
Anche il secondo cancello era abbandonato, e l’ansia di Aurora aumentò. Sembrava che una catastrofe impensabile avesse spazzato via tutto il personale. Grawk, comunque, era imperturbabile, e nonostante tutti i suoi difetti era uno stratega. Senza dubbio, era in grado di valutare meglio di lei quella situazione tipicamente militare. Ma era davvero così?
Il terzo posto di blocco era all’ingresso di un tunnel rivestito d’acciaio. Due porte di ferro si chiusero dietro la macchina non appena fu entrata, e un’altra si chiuse un poco più avanti. Occhi ed orecchi elettronici puntarono sull’automobile, e Grawk, con un gesto divertito, indicò le canne delle mitragliatrici di grosso calibro che spuntavano dalle pareti laterali. «Nel caso che abbiamo in mente di combinare pasticci.»
Un altoparlante crepitò, poi parlò la voce di una centralinista telefonica. «Spegnete il motore e scendete dal veicolo, prego,» disse. «Mettetevi sulla piattaforma rossa.»
Obbedirono. Grawk sembrava rallegrarsi di quell’attenzione, sia pure da parte di un meccanismo di sicurezza. Aurora mosse con cautela le membra irrigidite. La piattaforma rossa su cui erano saliti restò immobile, mentre la sezione gialla e nera su cui stava la macchina veniva abbassata da macchinari rombanti e spariva. Poco dopo la sezione risalì, vuota.
«Prego, nomi e cognomi e motivo della vostra presenza al NORAD,» invitò la voce della centralinista. Non era una voce normale, ma quella calda e accattivante che induce a comprare telefoni supplementari colorati.
«Sono il generale Grawk delle Forze Aeree degli Stati Uniti, Jupiter Grawk, e ho un affare importante da sbrigare con Washington, quindi voglio andare nel mio ufficio, subito.»
«Sono la dottoressa Aurora Candlewood, consulente psicologico del Progetto 32. Sono qui per motivi riservati.»
La macchina ronzò e crepitò per un minuto. «Dolente, signore, ma nei nostri schedari non c’è nessun generale delle Forze Aeree che si chiami Jupiter Grawk. Lei è un dipendente del NORAD?»
«Diavolo, sono io che comando la maledetta baracca!» esplose Grawk. «Sono il comandante, qui, e devo andare nel mio ufficio!»
«Nei nostri schedari non figura nessun generale Jupiter Grawk,» disse soave la voce. «Ho ricevuto esattamente la sua identificazione? In tal caso, prego, appoggi le dita sulla lastra di vetro alla sua sinistra, e le tenga ferme finché la luce si spegne. Grazie.»
«Credo proprio che ti si siano incrociati tutti i fili, pupa!» tempestò Grawk. «Sono io il capo di questa baracca, e tu non sei altro che una macchina!»
«Ho ricevuto esattamente la sua identificazione? In tal caso, prego, appoggi le dita sulla lastra di vetro alla sua sinistra e le tenga ferme finché la luce si spegne. Grazie.»
Grawk marciò a grandi passi fino alla lastra e vi appoggiò le dita. Un raggio di luce si mosse sul vetro.
L’altoparlante ronzava e crepitava. Poi ne uscì una voce nuova, la voce rauca e rabbiosa di un sergente. «Dunque, Grawk, che scherzo sta cercando di combinare?» ringhiò. «Sa maledettamente bene che è stato degradato ad aviere di terza classe. È stato automatico, quando ha fallito l’Operazione Sedia Elettrica. Perché si sta spacciando per un ufficiale, eh?»
Il sigaro, di colpo, s’inclinò verso il basso. «Be’, certo che lo sapevo, ma pensavo… di solito occorrono parecchie settimane per una retrocessione e…»
«E lei ha pensato di insinuarsi qui dentro, fregare un po’ di schedari Top Secret e filarsela al Messico, eh? Bene, Grawk, si sieda lì con la sua amichetta e aspetti, mentre i pezzi grossi decidono cosa fare di voi.»
«Io vorrei andarmene,» disse Aurora, con voce sommessa e spaventata.
«Stia lì buona, Miss!» ruggì il sergente invisibile. «Voleva entrare ed entrerà… forse! Ma stia certa che non passerà finché i pezzi grossi non daranno il benestare. Sedetevi!»
Un paio di sedili pieghevoli uscì dalla parete. Aurora e Grawk sedettero, impacciati. Non c’era da guardare che l’altoparlante silenzioso e le truci canne retrattili delle mitragliatrici.
Il dottor Toto Smilax era troppo nervoso per attendere che Susie riprendesse i sensi. Teso come uno sposino novello, si ritirò, lasciandole una camicia da notte da ospedale e un biglietto: «Mia cara, se decide come io spero, indossi questa camiciola e suoni il campanello per chiamarmi. Se no, è libera di andarsene. La porta non è chiusa a chiave.»
Poi la chiuse dentro a chiave e andò nel suo studio ad attendere. Lì, come in tutti i suoi uffici, Smilax aveva installato un’elegante poltrona da dentista, perfettamente equipaggiata. Il suo passatempo preferito consisteva nell’otturarsi e nell’estrarsi i denti.
Quel giorno, però, si trapanò un molare sbadatamente per qualche istante e poi, con uno scatto di petulanza, spezzò il trapano. Se lei avesse acconsentito! Avrebbe potuto averla in ogni caso: ma quanto è più dolce il premio che si concede liberamente! Sviluppò la radiografia e l’esaminò. A molti chirurghi non capitava di mettere i ferri su una cosa del genere in tutta la loro vita, pensò. E la sua impazienza crebbe.
Poi suonò il campanello.
Mentre la sistemava sul tavolo operatorio, il dottor Smilax si accorse che le guance della ragazza erano bagnate di lacrime.
«Che c’è, mia cara? Ha paura che sia una cosa… sbagliata, quella che fa?»
«Non… non so.» Susie sospirò, poi sorrise tra le lacrime. «Ho un po’ di paura. Vede…» Arrossì, graziosamente, e si sarebbe coperta la faccia con le mani, se le avesse avute libere. «Vede, non ho mai subito un intervento chirurgico. È la prima volta.»
«Capisco,» disse lui, allacciando le cinghie di cuoio.
«Mi prometta,» disse Susie, «mi prometta che sarà delicato.»
Smilax si chinò per baciarle la fronte liscia da bambina quando in distanza suonò un allarme. «Debbo lasciarla per un attimo,» bisbigliò, roco. «Ma tornerò subito.»
«Potete procedere,» cantilenò l’altoparlante con una terza voce, neutra e burocratica. «Prendete gli ascensori quattro e cinque, prego.»
La paratia davanti a loro si spalancò, e Grawk ed Aurora si avviarono verso la fila degli ascensori.
«Perché dobbiamo usare due ascensori?» chiese lei.
La spiegazione di Grawk fu autoritaria come al solito, ma i suoi modi erano un po’ più blandi. «Sono ascensori monoposto,» disse. «Possono portare centoventi chili al massimo. Serve a evitare che qualcuno porti dentro una bomba… o si porti a casa un computer. Lei prenda il quattro, io il cinque.»
Non senza qualche presentimento spiacevole, Aurora entrò nella minuscola cabina e chiuse la porta. La luce in alto si accese, e la gabbia piombò giù per un pozzo argenteo. Non c’era nient’altro, e dopo un po’ lei non ebbe più la sensazione del movimento; sembrava che fosse il muro dietro le sbarre a salire, mentre lei restava immobile.
Cominciò la decelerazione, e all’improvviso la luce si spense. La gabbia si fermò. Quando Aurora cercò di aprire la porta la trovò ancora bloccata, e scoprì anche qualcosa d’altro.
La sua mano passò tra le sbarre e non incontrò la parete d’acciaio, niente di niente. A quanto pareva, era sospesa nel vuoto.
«Ehi!» gridò la voce di Grawk, così vicina che la fece sussultare. «Ehi, tiratemi fuori di qui!»
«Butti giù la pistola, Grawk!» ordinò una voce che echeggiava da tutte le direzioni. Qualcosa tintinnò sulla pietra o sul cemento, più in basso.
Si illuminò una lunga vetrata color ambra, rivelando quella che sembrava la cabina di regia d’uno studio televisivo. Dentro non c’era nessuno. Nello stesso tempo, due potenti riflettori inquadrarono le due gabbie, illuminando ogni particolare all’interno.
«Lei non è il generale Grawk,» proseguì la voce con pesante sarcasmo. «Lei è l’aviere di terza classe Grawk, e si sta spacciando per un ufficiale. Butti giù tutti i segni distintivi del grado, e in fretta.»
Grawk obbedì: quel procedimento trasformò il brutto omiciattolo in un orrendo gnomo lacrimoso. «Non posso tenere il berretto come ricordo?» gemette. «Mi piace tanto portarlo. Lo porto sempre, anche quando vado a…»
«Lo butti giù! È un reato per un aviere anche pensare di portare un berretto con le fronde d’argento sulla visiera.»
Sospirando, Grawk lanciò il berretto nelle tenebre sottostanti. Era così basso che Aurora, nella sua gabbia parallela lontana sei metri, poteva vedere chiaramente la sua calvizie, rossa di vergogna. «C’è il Capo, qui?» chiese, stordito. «Credevo che adesso fosse a Washington.»
«Il generale Ickers è effettivamente a Washington, ma lei è sottoposto all’autorità del dottor Smilax.»
«Smilax!»
«Ho sentito fare il mio nome,» disse il dottore, entrando in quel momento nella cabina. «A parlare del diavolo, eh? In effetti, aviere Grawk, adesso lei fa parte del personale alle mie dipendenze… come soggetto sperimentale.»
«Ma come…»
«L’ho vinto, diciamo, al generale Ickers. Cioè, dopo che abbiamo finito una seduta di gioco dell’oca durata tutta notte, lui mi doveva trentacinque cents. Be’, per non cambiare un dollaro… Capisce?»
«E io, dottore?» chiese acida Aurora. «Ha comprato anche me?»
«Ah, no, dottoressa Candlewood. Mi dispiace veramente di doverla ricevere così, ma lei è arrivata in compagnia poco raccomandabile. Mi permetta di farla scendere.» Smilax premette un pulsante e la gabbia calò lentamente verso il cemento. Appena toccò il pavimento, la porta si aprì. Smilax, con un gesto, l’invitò ad entrare nella cabina di controllo e le aprì la porta.
La stanza era piena di apparecchi elettronici che Aurora non riconobbe. E lì c’era l’uomo di mezza età, dall’aria mite, che diceva di chiamarsi Smilax, e che sembrava quasi un alchimista tra i suoi strumenti magici.
«Posso chiederle cosa ci fa, qui?» chiese Aurora, impettita. «Mi aspettavo di trovarla a Millford, dottore. Il lavoro sul Progetto 32 viene svolto anche qui?»
«Sì, possiamo dire così. Ma mi permetta di rivolgerle la stessa domanda. Come mai è venuta al NORAD?»
«È stato un incontro casuale con lui,» disse Aurora, indicando, oltre la vetrata, la gabbia di Grawk. «Avevo perso la strada, e lui mi ha convinta che doveva assolutamente raggiungere il NORAD. È proprio necessario continuare a tenerlo ingabbiato lassù?»
«Per il momento. Be’, è una fortuna che lei sia comparsa, in ogni caso. Sì, una fortuna. C’è molto lavoro per una persona delle sue capacità… molto lavoro. Ha un’idea di quello che è successo finora? Cosa ne sa del progetto?»
«Ho un’idea dell’attività del Sistema Riproduttivo da un po’ di tempo, da quando ho ricevuto il rapporto. Il mio compito consiste nell’educare il Sistema e nello studiare i suoi processi di apprendimento.
«Questo è quello che so. Ma posso intuire molto del resto. Il Sistema è sfuggito di mano; è troppo astuto e si moltiplica troppo rapidamente perché i militari siano in grado di tenerlo a bada. Grawk ha detto che ha cercato di ‘fulminarlo’ o qualcosa di simile, ma evidentemente non è servito a nulla. Cos’è accaduto, con esattezza? Il Sistema è mutato più rapidamente del previsto? E tra l’altro, che ne è stato del personale del NORAD?»
«Caspita, è intelligente per essere così giovane… e così bella,» fece Smilax, raggiante. Aurora vide due minuscole immagini speculari di se stessa nelle lenti scontornate degli occhiali di lui.
«Sono abbastanza vecchia per irritarmi delle adulazioni senza senso, dottore,» disse freddamente. «Vuole rispondere alle mie domande o no?»
Lui continuò a guardarla raggiante, mentre diceva: «Tanto vale che glielo dica, tanto lo indovinerebbe lo stesso. Il Sistema Riproduttivo non solo non è stato danneggiato dall’attacco di Grawk, ma se ne è avvantaggiato. Ora ha incorporato immense riserve di energia, incluse fonti come la Diga Hoover.
«Inoltre, il Sistema Riproduttivo ha raggiunto il NORAD e se ne è impadronito: baracca, burattini, e sistema missilistico di rappresaglia.»
Ad Aurora sfuggì un gemito. «Allora le sorti della razza umana sono in balia del Sistema Riproduttivo! Immagino che lei sia qui per cercare di fermarlo.»
«Oh, no,» disse Smilax, con un sorriso ancora più ampio. «Vede, il Sistema Riproduttivo è, ed è sempre stato, sotto il mio controllo.»