Capitolo Ventesimo Undici metri al secondo ogni secondo

«cadere (vi.) … passare in qualche condizione o relazione: cadere addormentato, cadere in preda alla passione, cadere in rovina.

THE AMERICAN COLLEGE DICTIONARY


Barthemo Beele si appoggiò di nuovo alla ringhiera e guardò Parigi. Non conosceva i nomi dei monumenti che vedeva. Per gli altri, quello poteva essere anche un panorama meraviglioso, ma per Beele era solo un posto adatto per buttarsi.

Aveva preso in esame tutti gli argomenti a favore della vita. Il suicidio era una colpa. Presumibilmente, aveva davanti a sé tutta una vita, la situazione non era poi tanto terribile. Il suicidio non era una soluzione. Aveva fatto un lungo elenco mentale, e poi aveva cancellato i vari argomenti, uno ad uno, scrivendo loro accanto «n/v». Non valido. Lui non aveva nessuna ragione per restare al mondo.

D’altra parte, Beele aveva tutte le ragioni per morire. Il suo declino fisico e mentale, il suo incarico senza speranze e senza ricompense, la sua sfortuna incredibile. Meno di una settimana prima, lui era un giovane direttore di giornale, robusto, senza paura, pronto a tutto. Adesso si stava aggirando subdolamente nella speranza di poter corrompere un uomo onesto.

Il suo declino fisico era evidente. Beele si sentiva andare a pezzi come un impermeabile da poco prezzo. Le dita del piede destro erano tormentate dai calli, mentre sulla pianta gli era cresciuta una vescica enorme. Un prurito ardente tra le dita del piede sinistro annunciava l’arrivo di un fungo. La bolla sulla nuca, causata dall’elastico della visiera, adesso era in una certa misura equilibrata da un foruncolo sul mento, che lui aveva decapitato nel farsi la barba. Uno degli orecchi schioccava e ronzava, a causa del raffreddore che adesso, in pieno sviluppo, continuava a versargli fluidi scottanti giù per la gola. Suggs l’aveva avvertito di far bollire l’acqua e di mangiare solo cibi in scatola «Made in USA», per non cadere in preda alla dissenteria. Come risultato, si era fatto un taglio profondo nell’aprire un barattolo, e adesso aveva la mano sinistra gonfia e infiammata. E aveva la dissenteria.

Beele pensava che la febbre gli desse le allucinazioni. Ieri aveva visto Mary tra la folla; mentre percorreva il Boulevard St. Germain des Prés, aveva incontrato una piccola scatola grigia identica a quelle di Altoona. Qual era la causa? La mancanza di sonno? I sudori notturni? L’esaurimento nervoso? Sembrava che l’intero universo si schierasse contro Barthemo Beele, deciso a schiacciarlo nella polvere.

Ma lui non aveva ancora rinunciato a ogni speranza, si disse. Non era salito fin lassù per uccidersi: no, finché aveva una missione da condurre a termine. Aveva seguito Marcel Brioche lassù, sperando di avere una possibilità di parlargli da solo.

Fino a quel momento, aveva sperato invano. Brioche pranzava abitualmente insieme a quattro o cinquecento persone, alle quali teneva discorsi. Ogni giorno trascorreva molte ore in pubblico, tenendo conferenze e presenziando a cerimonie civiche e a funzioni caritatevoli. Ogni mattina era in riunione con il regista che stava preparando un film sulla sua vita. Un famoso sarto gli aveva preso le misure per una nuova tuta spaziale, che adesso Brioche portava sempre. Parlava alla TV davanti a tavole rotonde di giornalisti, oppure prendeva parte ad altre tavole rotonde di celebrità, impegnate a identificare famose annate di vini. Aveva trascorso un pomeriggio a fare autografi sui modellini di Le Bateau Ivre in un magasin, e un altro a fare pubblicità a un’enciclopedia scientifica per bambini. Quando non aveva altro da fare, l’astronauta si dedicava al suo passatempo preferito: giocava a bowling con gli amici. Quando andava da un appuntamento all’altro, i poliziotti motociclisti scortavano il suo tassi, oppure un’orda urlante di giornalisti lo circondava. Guardie armate di mitra proteggevano di notte il riposo di Brioche dagli ammiratori fanatici… e da Beele.

Era una missione disperata, eppure in qualche modo aveva aiutato Beele a tirare avanti. Lui aveva fatto il cameriere di Brioche, il valletto televisivo, il giornalista. Aveva perquisito giacche, controllato distintivi, aveva persino comprato un’enciclopedia scientifica per bambini. Adesso l’aveva seguito fino in cima alla Torre Eiffel. La guardia non si vedeva, e gli ultimi visitatori, delusi dal cielo coperto, se ne stavano andando.


Marcel Brioche si appoggiò di nuovo alla ringhiera e guardò Parigi. Per gli altri, quello poteva essere un panorama meraviglioso, ma per Brioche era solo un posto adatto per buttarsi. Aveva preso in esame tutti gli argomenti a favore della vita: nel suo caso, pareva che nessuno fosse valido. La vita senza di lei non valeva la pena di essere vissuta. Se il suo paese non avesse avuto tanto bisogno di lui, adesso, se non fosse stato un gesto troppo egoistico, lui avrebbe afferrato a due mani la ringhiera e…

«Mi scusi, forse non si ricorda di me,» disse una voce in inglese. Brioche si voltò e vide un uomo giovane, alto e magro, con la visiera verde e l’impermeabile. Un tesserino stampa era infilata nell’elastico della visiera.

«Mi dispiace,» disse l’astronauta. «Non mi sento di rilasciare dichiarazioni in questo momento… forse più tardi…»

«Non si ricorda di me? A Marrakech? Io sono Beele, della CIA,» ringhiò Beele, rauco.

I modi di Brioche divennero gelidi. «Temo di non avere niente da dirle, mai,» fece. «Immagino che sia stato lei a darmi quella botta in testa, in quel vicolo.»

«No, è stato lei a dare la botta in testa a me.»

«E adesso si vuole vendicare?»

«No, sono autorizzato dal mio governo a offrirle un emolumento sostanzioso, a una piccola condizione.»

«Vuole corrompermi, eh?» L’astronauta sogghignò. «Sapevo che si sarebbe arrivati a questo. Mi accorgo che il suo governo non ha ancora rinunciato a cercare di comprare l’onore… che evidentemente continua a mancargli. Tuttavia non sono così povero da dover vendere il mio paese.»

«Non le chiedo di vendere il suo paese. La smetta solo di fare discorsi pieni d’accuse contro gli Stati Uniti. Si tratta solo di attenuare le tensioni internazionali…»

Brioche accese una sigaretta. «Attenuare la pressione che invece andrebbe accresciuta, invece. Mi dica, se la sente di guardarmi negli occhi e di assicurarmi che non c’è un agente americano a bordo della nostra astronave, eh?»

Evitando lo sguardo di Brioche, Beele disse: «Sono pronto a offrirle un milione di franchi. Ci pensi. Un milione! Guardi questa città splendente, e pensi quante belle cose potrebbe fare con un milione.»

«Io vivo bene quanto i milionari, adesso, e ho la coscienza tranquilla,» disse il francese. «C’è una cosa cosa che vorrei… riportare in vita qualcuno che è morto… e questo non è possibile, neppure con un milione di mondi di danaro.»

«Vuol dire la ragazza di cui mi aveva parlato? Ascolti, mi dispiace molto. Ma le dirò io che cosa fare. Le piacerebbe conoscere una ragazza nuova… come questa, per esempio?» Barthemo Beele prese il portafoglio e ne estrasse un’istantanea muffita di Mary Junes Beele. «Niente male, eh?»

L’astronauta cercò di respingere la foto, ma i suoi occhi vi indugiarono per un secondo di troppo. «Sì,» ammise. «Mi piacerebbe conoscerla.»

«Niente di più facile. Uh, ultimamente non siamo stati molto in contatto, ma il mio governo potrà rintracciargliela in un paio di giorni. Dunque…»

«Intendevo dire che mi piacerebbe conoscerla in qualunque altra circostanza, ma non in questa. Quello è il primo viso da me veduto che potrebbe aiutarmi a dimenticare il viso dell’altra.

«Ma purtroppo lei sta cercando di vendermi questa donna. E non solo io non potrei mai accettare favori da lei e dal suo governo, ma mi rattrista e mi turba il pensiero di ciò che sta facendo a quella poverina. So che una ragazza con un volto simile non permetterebbe mai di venire usata in modo tanto insidioso. È solo a fatica che mi trattengo dal trattare la sua immonda proposta con il disprezzo meritato.»

«Senta, mi scusi. Non avevo capito… sono stato un po’ rozzo, vero? Spero che non mi serberà rancore. Non volevo offenderla…»

L’astronauta gli voltò le spalle e guardò il cielo coperto. «Non ha capito,» disse, «ciò che la mia amata significava per me. Se non fosse per un senso del dovere, mi ucciderei.»

«Perché no?» disse Beele, cambiando prontamente marcia. «Perché non si butta giù? Perché continua a vivere? Per una carriera politica? Per qualche onore, per un film sulla sua vita? Che importanza hanno?»

«No!» La voce dell’astronauta tremava.

«Ma che splendido gesto romantico! Al culmine della gloria, mentre ogni donna della Repubblica è pronta a gettarsi ai suoi piedi, lei si uccide per un dispiacere d’amore! Basta che si afferri con tutte e due le mani alla ringhiera e si butti…»

«No! Il mio paese ha bisogno di me! I miei compatrioti…»

«Davvero? Per loro non è un eroe, sia morto che vivo? Forse non sarebbe ancora più utile da morto?»

«No! Respingo tutte e tre le sue offerte ripugnanti! Sparisca! Addio!»

Beele cominciò a trovarsi in preda a un furore improvviso. Che diritto aveva, quello, di dargli degli ordini? Non sapeva che Beele era capace di uccidere? Era stato inutile rinviare per tanto tempo il trattamento speciale.

«Addio, eh? Come sarebbe a dire, addio? Sta facendo marameo all’offerta più che generosa del governo degli Stati Uniti? Rifiuta addirittura di andare a letto con mia moglie? Pensavo che lei fosse una persona per bene, e l’ho persino detto a Suggs, ma adesso capisco che aveva ragione lui! Addio, dunque, sporco f-f-f-…» Per la prima volta in vita sua, Beele si sorprese a balbettare. Ritentò, ma la parola rifiutò di uscirgli dalle labbra. L’astronauta attendeva paziente, senza ridere, e proprio quella pazienza infuriò ancora di più Beele e aggravò la sua balbuzie. Finalmente Beele rinunciò a continuare e si scagliò contro la sua vittima, senza l’insulto finale.

L’ottimo manuale delle tecniche di combattimento della CIA era succinto ma completo, e Beele ne aveva imparato a memoria ogni parola. Assumendo la posa della figura rozzamente stampata a pagina 42, afferrò il braccio dell’Avversario e lo torse dalla posizione A alla posizione B. Poi sferrò un calcio con il piede sinistro (quello che bruciava), mentre ruotava sulla vescica del piede destro. Infilando il calcagno del piede sinistro sotto l’ascella dell’Avversario, come a pagina 43, scagliò Brioche nel vuoto.


«Guarda, la Torre Eiffel!» gridò Ron. «Ehi, Mac, proprio come in Zazie. Andiamo lassù in cima, cosa ne dici?»

Kevin Mackintosh fece schioccare le dita. «Sicuro, e poi andremo ancora più in alto.»


«Ma non dovrebbe essere lassù in cima, a impedire alla gente di buttarsi?» chiese Mary al guardiano.

Lui rise. «Non si butta mai nessuno dalla Torre Eiffel. E lassù, adesso, ci sono soltanto Marcel Brioche e un giornalista. Non avrebbero motivo di buttarsi, specialmente L’Astronauta.»

Mary masticò pensierosa la pasticca per la tosse. «Forse sì,» disse. «Diciamo, se avesse il cuore infranto. Oppure qualcuno potrebbe dargli una spinta.»

«Dicono che la sua tuta spaziale abbia il paracadute incorporato. Ma adesso, piccola mia, parliamo di altre cose. Ha mai visto un appartamento parigino da scapolo?»

«Dozzine,» disse Mary, sospirando per la stanchezza e la noia. «E sono tutti eguali. Come i loro inquilini.» Pensò agli uomini tutti eguali del suo passato: Harry (buon vecchio Harry Stropp, quando correva sul tetto! Come lo ricordava lei, non faceva altro che saltare la corda e sogghignare), Cal, Barty (con quella sua prosa logora e volutamente troppo brillante, che ricordava il Time dei primi tempi), il marinaio con le braccia tatuate, lo scrittore di libri tecnici (autore del carrello elevatore a forcone, come continuava a ripere a tutti), l’industriale che l’aveva portata a Parigi…

Erano penosamente eguali: persino quel guardiano. No, lei sapeva che solo un uomo avrebbe potuto contare per lei di più delle pastiglie per la tosse… l’uomo che adesso era lassù in cima alla torre: Marcel Brioche. Ieri lei era rimasta in piedi per tre ore sotto la pioggia ad ascoltarlo parlare, anche se non sapeva la sua lingua. Oggi aveva sentito dire che sarebbe salito sulla Torre Eiffel, e aveva cominciato a salire le scale, con una mezza intenzione di attaccare bottone. Ma per la prima volta in vita sua, Mary era stata vinta da una strana timidezza. E adesso, a metà strada, indugiava, parlando con un guardiano con il quale non sarebbe stato possibile parlare ragionevolmente ancora per molto.

«La mia stanza è proprio girato l’angolo…» disse il guardiano.

«Mi dica, cosa sono quelle scatolette grigie che corrono su per le travature?»

«Quelle? Immagino che siano le nuove macchine addette alla manutenzione. Vedo che hanno sostituito molte vecchie travi con altre nuove. Ma perché non parliamo un po’ di bustini? So che voi donne americane portate tutte il bustino. Mi dica…»

«Ma che cos’è quel grande tamburo di ferro, laggiù al centro?» chiese Mary. «Sambra una reticella per lampada a gas, cento volte più grosso. E tutti quei macchinari al centro? Non sapevo che nella torre Eiffel ci fossero tanti marchingegni.»

«Non lo so. E chi ci bada a questi dettagli tecnici, piccola mia? Parliamo piuttosto di…»

Dall’alto giunse un fievole grido.

«È caduto qualcuno!»

«Merde. E durante il mio turno. Sarà meglio che corra giù a tenere indietro la folla.»

Mary alzò gli occhi verso il corpo che precipitava verso di lei, un corpo fasciato da un’argentea tuta spaziale. Dunque si era buttato! Lei comprese tutto, in un lampo: si era buttato per amore! Una donna l’aveva spinto alla disperazione. Mentre lui le passava accanto, il bel volto pallido e rigido, Mary prese una decisione improvvisa.

«Aspettami!» gridò. E si buttò anche lei.

Lui aprì una cerniera lampo, e si aprì un grande paracadute tricolore. Mary fu tra le sue braccia.

«Tu!» esclamò lui. «La donna della foto! Ma tu conosci quel Barthemo Beele?»

«Sono sua moglie,» disse lei. «Temporaneamente. Cribbio! E tu come mai lo conosci?»

«È stato lui a spingermi! Questo è davvero il mio giorno fortunato,» disse lui. «Sfuggire miracolosamente alla morte e nel contempo incontrare la donna dei miei sogni… la donna che ho atteso per tutta la vita… e debbo tutto a tuo marito!»

Gli occhi gli si riempirono di lacrime di felicità. Mary trangugiò la pastiglia per la tosse e lo baciò.


Barthemo Beele guardò il puntolino che rimpiccioliva, con una certa soddisfazione da buon artista. Dopotutto, aveva impartito con successo il suo primo trattamento speciale. Era un po’ come superare un’iniziazione. Suggs sarebbe stato fiero di lui.

Una seconda figura minuscola saltò dalla torre e raggiunse la prima, e quasi nello stesso istante fiorì un paracadute colorato. Era possibile? Brioche era sfuggito al suo trattamento speciale?

«No! Non è giusto! Mi hai imbrogliato! Torna qui, truffatore di un mangiaranocchi! Torna indietro!»

La torre cominciò a tremare sotto di lui. Ci mancava solo quello. Sarebbe stato perfetto, se quella maledetta cosa fosse crollata con lui sopra. Era un’ingiustizia poetica.

Solo dopo un minuto o due si accorse che la Torre Eiffel non stava precipitando… tutto al contrario.


«Guarda la Torre Eiffel!» gridò Ron! «Come in Sette contro Marte, o Vennero dallo Spazio.»

«No! Ancora?» mormorò Kevin.

«Effetto della droga, uomo. Non vedo l’ora di arrivare a New York, e di provare con l’Empire State Building.»

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