CAPITOLO QUINTO

Miles era già fuori dal letto e vestito a metà quando nella sua mente stordita penetrò la constatazione che quel clacson non era l'avvertimento del wha-wha. Si fermò, con uno stivale in mano. Neppure l'allarme antincendio o quello per attacco nemico, decise. Allora non erano fatti suoi, qualunque cosa fosse. Il ritmico strombazzare tacque. Ah, la saggezza dei vecchi proverbi: il silenzio era d'oro.

Controllò l'orologio digitale. Non erano neppure le nove di sera. Aveva dormito meno di due ore, dopo essere rientrato esausto da un lungo viaggio nell'interno dell'isola, sotto una bufera di neve, per riparare un guasto alla Stazione Undici. Sulla consolle accanto al letto nessuna luce rossa lampeggiava per informarlo di qualche lavoro fuori programma da eseguire con urgenza. Niente gli impediva di rimettersi a dormire.

Il silenzio era inquietante.

Infilò anche il secondo stivale e mise la testa fuori dalla porta. Un paio di altri ufficiali avevano fatto lo stesso e stavano speculando sottovoce sui possibili motivi dell'allarme. Il tenente Bonn uscì dalla sua stanza e s'incamminò in fretta lungo il corridoio, abbottonandosi il parka. Aveva un'espressione tesa, fra preoccupata e irritata.

Miles corse ad afferrare il suo parka e lo raggiunse sulle scale. — Ha bisogno di una mano, tenente?

Bonn abbassò lo sguardo su di lui e si mordicchiò un labbro. — Può darsi — concesse.

Miles lo affiancò, segretamente compiaciuto che Bonn lo ritenesse capace di rendersi utile. — Che sta succedendo?

— Un incidente di qualche genere in uno dei bunker dei gas tossici. Se è quello che penso, potremmo avere un brutto problema per le mani.

Fuori dalla doppia porta che manteneva il calore nell'atrio degli alloggi ufficiali la notte era fredda e chiara come il cristallo. La neve fresca crepitava sotto gli stivali di Miles; un secco vento dell'est aveva spazzato via le nuvole, e le stelle brillavano nitide sopra le luci della Base. I due salirono sulla motopulce di Bonn, annebbiando il parabrezza con il fiato finché il riscaldamento non entrò in funzione. Bonn prese la strada che usciva dalla Base verso ovest e aumentò la velocità.

Qualche chilometro dopo l'ultimo campo di addestramento, alcuni bassi edifici col tetto coperto di zolle sbucavano dalla neve. Davanti a uno dei bunker erano posteggiati alcuni veicoli: tre motopulci, inclusa quella del comandante dei vigili del fuoco, e un'ambulanza. Fra di essi si muovevano due o tre torce elettriche. Bonn si fermò sul ciglio della strada e scese subito. Miles gli tenne dietro, attento a non scivolare sulla neve che le ruote avevano compresso in uno strato di ghiaccio.

Il medico-chirurgo si stava occupando di un soldato in uniforme da campo che tossiva, seduto nel retro dell'ambulanza, mentre due infermieri manovravano per introdurre nel veicolo una barella su cui ne giaceva un secondo con una coperta addosso. Il medico li fece entrare e poi saltò giù dal veicolo.

— Voialtri, tutti e tre, appena arrivati spogliatevi e buttate nell'inceneritore ogni indumento che avete addosso — ordinò agli infermieri. — Anche le coperte, la barella e l'attrezzatura che è stata là dentro. Doccia di decontaminazione per tutti, ancora prima di dare un solo sguardo alla gamba rotta di quest'uomo. Gli ho iniettato un analgesico, ma anche se facesse poco effetto voi ignoratelo e finite di lavarlo. Anch'io verrò sotto la doccia, appena possibile. — Volse le spalle al veicolo e borbottò qualcosa fra sé, scuotendo la testa.

Bonn si diresse alla porta del bunker. — Non la apra! — gridarono subito il medico e il comandante dei vigili del fuoco. — Dentro non c'è più nessuno — aggiunse quest'ultimo. — Sono già stati evacuati tutti.

— Ma cos'è successo? — Bonn passò una mano guantata sul finestrino della porta incrostato di ghiaccio, cercando di vedere qualcosa nell'interno.

— Quei due stavano spostando delle casse. Dovevano fare spazio per altro materiale che arriverà domani — lo informò il comandante dei vigili del fuoco, un luogotenente di nome Yaski. — Hanno rovesciato il fork-lift. Uno di loro ci è rimasto sotto e si è fratturato una gamba.

— Cristo, bisogna proprio mettercela tutta per far ribaltare un fork-lift — mugolò Bonn con una smorfia, come se stentasse a immaginare la scena.

— Succede, quando si fanno lavorare gli uomini fino a quest'ora — disse l'ufficiale medico, con impazienza. — Ma il peggio non è questo. Hanno tirato giù anche diversi contenitori di fetaine allineati su uno scaffale, e sembra che almeno due si siano rotti. L'interno ne è saturo, adesso. Noi abbiamo sigillato il bunker il meglio possibile. — In quanto a ripulirlo… — Fece un grugnito. — È compito suo, questo. Io devo andare. — Aveva l'aria di volersi liberare al più presto anche della pelle, oltre che dei vestiti. Salutò con un gesto rapido e salì su una motopulce, affrettandosi a seguire i quattro già diretti all'impianto di decontaminazione dell'infermeria.

— Fetaine! — mormorò Miles, stupito. Bonn s'era subito scostato dalla porta. Il fetaine era un veleno mutagenico sviluppato come arma deterrente, benché non fosse mai stato usato in combattimento, almeno per quanto ne sapeva lui. — Credevo che fosse roba ormai obsoleta, cancellata dal menu. — Gli insegnanti dei corsi di armi chimiche e biologiche, all'Accademia, ne avevano appena parlato.

— Il fetaine è sorpassato, infatti — disse cupamente Bonn. — Non lo fabbricano più da vent'anni. Questo dev'essere l'ultimo deposito rimasto su Barrayar. Dannazione, quei contenitori non dovrebbero rompersi neanche se ci atterrasse sopra una navetta.

— Si trovano qui da vent'anni o più — precisò il comandante dei vigili del fuoco. — Corrosione, forse.

Bonn lo guardò. — Se è così, in che stato sono gli altri?

— Questa è la domanda numero uno — annuì Yaski.

— Il fetaine si può distruggere col calore, no? — osservò Miles, mentre si accertava nervosamente che stessero discutendo sopravvento rispetto al bunker. — Si scompone in sostanze chimiche innocue, ho sentito dire.

— Be', non esattamente innocue — disse Yaski, — però almeno non si mangiano il DNA che uno ha nelle palle.

— Ci sono anche degli esplosivi qui dentro, tenente? — domandò Miles.

— No — rispose Bonn. — Solo il fetaine.

— Se buttassimo un paio di mine al plasma attraverso la porta, pensate che tutto il fetaine potrebbe decomporsi prima che il calore fonda il soffitto?

— Io non ci tengo a far fondere il soffitto. E magari anche il pavimento. Se quella roba si disperdesse nel terreno… Però, usando un paio di mine a combustione lenta, e aggiungendoci qualche chilo di plastosigillante, il bunker potrebbe reggere per un certo tempo. — Bonn si grattò la mandibola, cercando di calcolare le conseguenze. — Sì… potrebbe funzionare. In effetti può essere l'unico modo sicuro di togliere questa castagna dal fuoco, specialmente se gli altri contenitori cominciano a essere difettosi tutti quanti.

— Dipende dalla direzione del vento, però — disse il tenente Yaski accennando verso la Base, e guardò Miles.

— Le previsioni dicono che la temperatura avrà ancora un calo, e che questo vento continuerà a tirare da est fino alle 0070 circa di domattina — disse Miles, in risposta al suo sguardo.

— Poi girerà da nord e aumenterà di forza. Domani sera intorno alle 1800 ci saranno le condizioni potenziali per un wha-wha.

— Se scegliamo questa soluzione è meglio darsi da fare stanotte, allora — disse Yaski.

— Va bene — decise Bonn. — Prepara i tuoi uomini. Io vado a tirare giù dal letto i miei. Poi studierò la struttura di questi bunker e calcolerò il calore che occorre. Ci vediamo fra un'ora con il capo della sussistenza, in amministrazione.

Il comandante dei vigili del fuoco lasciò il suo sergente a guardia del bunker, per tenere alla larga chi fosse passato sulla strada. Un incarico poco divertente ma non insopportabile, dato che se la temperatura si fosse abbassata l'uomo avrebbe potuto ripararsi nella motopulce. Miles tornò alla Base con Bonn e si fece scaricare davanti all'edificio dell'amministrazione, per controllare di nuovo la situazione meteorologica e le correnti d'aria in arrivo da nord-est.


Elaborò i dati appena giunti dalle stazioni e cominciò ad annotare i vettori del vento che il programma gli estrapolava per le 26,7 ore standard del giorno di Barrayar. Voleva poter fornire le più precise previsioni ottenibili. Ma prima di avere in mano lo stampato vide, dalla finestra, che Bonn e Yaski stavano uscendo dall'edificio dell'amministrazione. I due salirono su una motopulce, si allontanarono in fretta sulla neve e scomparvero nel buio. Che andassero a incontrarsi col capo della sussistenza da qualche altra parte? Miles considerò l'idea di seguirli, ma le previsioni aggiornate non erano diverse da quelle che aveva già comunicato loro. Gli conveniva andare ad assistere alla distruzione del bunker contaminato? Avrebbe potuto essere interessante. D'altra parte, la sua presenza sarebbe stata del tutto superflua. E come unico discendente della famiglia Vorkosigan — e quindi, probabilmente, futuro padre del prossimo Conte Vorkosigan — non aveva il diritto di esporsi a un rischio genetico per mera curiosità. Alla Base non avrebbe corso alcun pericolo, salvo che nella vaga ipotesi che il vento girasse prima del previsto. O la sua era la prudenza dei codardi mascherata da logica? In ogni caso, si disse, la prudenza era una virtù.

Visto che non aveva più sonno, comunque, decise di restare in ufficio per rimettersi in pari coi dati delle previsioni a lunga scadenza, che quel mattino aveva lasciato da parte per andare alla Stazione Undici. Un'ora al computer gli bastò per finire tutto quello che poteva anche remotamente passare per lavoro. Quando s'accorse che per tener occupate le mani stava spolverando uno scaffale, decise che era tempo di andarsene a letto, sonno o non sonno. In quel momento scorse una luce con la coda dell'occhio, e voltandosi verso la finestra vide arrivare una motopulce.

Ah, Bonn e Yaski. Già di ritorno? Erano stati svelti a sistemare il bunker… o non avevano ancora cominciato? Miles raccolse lo stampato con le previsioni del vento e scese all'ufficio ingegneria della Base, in fondo al corridoio del pianterreno.

L'ufficio del tenente Bonn era al buio; ma dalla porta esterna, socchiusa, di quello del comandante della Base usciva una striscia di luce verticale. Luce accesa, e più all'interno voci dal tono secco e nervoso. Miles si avvicinò, col foglio in mano.

Spinse la porta e sbirciò nell'altro ufficio. Metzov sedeva alla sua scrivania, girato a mezzo verso una consolle laterale, e con aria irritata stava battendo un dito sulle immagini colorate dello schermo. Bonn e Yaski erano in piedi davanti a lui. Miles spinse la porta e fece udire un passo sul pavimento di legno per annunciare la sua presenza.

Yaski girò la testa e lo vide. — Mandi Vorkosigan, allora. Lui è già un mutante e non ha problemi, no?

Miles si affrettò a farsi avanti, salutò rispettosamente e disse: — Mi scusi, signore, ma non è esatto. Non lo sono. L'incontro che ho avuto prima della nascita con una sostanza tossica di uso bellico ha causato danni teratogeni, non genetici. I miei figli saranno sani quanto si può esserlo, se ne avrò. Uh… mandarmi dove, comunque, signore?

Metzov lo stava scrutando, ma non raccolse il suggerimento di Yaski. Lui porse il foglio a Bonn, che lo lesse in fretta, ebbe un sogghigno duro e se lo ficcò quasi selvaggiamente in una tasca dei pantaloni.

— Ovviamente intendevo dire che indosserebbero scafandri protettivi — continuò Metzov, seccato, tornando a guardare Bonn. — Crede che io non tenga alla sicurezza del personale?

— Sì, avevo capito, signore. Ma i miei uomini rifiutano di entrare nel bunker, anche con l'equipaggiamento anticontaminazione — riferì Bonn con voce piatta. — E non posso biasimarli. L'equipaggiamento standard è inadeguato per il fetaine, secondo la mia stima. Quella roba ha un incredibile potere di penetrazione, dato il suo peso molecolare. Può intaccare le guarnizioni degli scafandri.

— Lei non può biasimarli? — ripeté Metzov, stupefatto. — Tenente, lei ha dato loro un ordine, o almeno così devo presumere. No?

— L'ho dato, signore. Ma…

— Ma… ma ha mostrato loro la sua indecisione. La sua debolezza. Per la miseria, tenente, quando un ufficiale deve dare un ordine deve darlo, non girarci attorno.

— Perché bisogna salvare quella roba, signore? — domandò Yaski.

— Mi sembra di averlo già spiegato. È materiale affidato alla nostra custodia — ringhiò Metzov.

Salvare il fetaine? - Signore, sono certo che i laboratori dov'è stato cucinato non hanno buttato via la ricetta — osò dire Miles. — Possono miscelarne dell'altro fresco, se ce n'è bisogno.

— Non si intrometta, Vorkosigan — mugolò Bonn a mezza bocca, mentre il generale esclamava: — Ancora un'altra delle sue spiritosaggini, alfiere, e la faccio mettere agli arresti!

Miles chiuse la bocca ed esibì un sorrisetto mite. Subordinazione. Il Principe Serg, ricordò a se stesso. Per quello che lo riguardava Metzov poteva tenersi in frigo tutto il suo fetaine e farselo portare in tavola a pranzo e a cena. Non erano fatti suoi.

— Tenente, non ha mai sentito parlare della vecchia usanza di sparare ai soldati che sul campo di battaglia rifiutano di ubbidire a un ordine? — chiese Metzov a Bonn.

— Io … non credo che potrei minacciare gli uomini di questo — rispose rigidamente lui.

E inoltre questo non è un campo di battaglia, pensò Miles. Almeno, per chi ha tutte le rotelle a posto.

— Tecnici! — sbottò Metzov, disgustato. — Io non ho detto minacciare, ho detto sparare. Dia un esempio, e gli altri si affretteranno a tornare in riga.

Miles rifletté su quella dichiarazione, perplesso. Possibile che il generale lo intendesse alla lettera?

— Signore, il fetaine ha terribili effetti mutageni — disse Bonn, a denti stretti. — Non sono sicuro che gli altri tornerebbero in riga, qualunque sia la minaccia. Si tratta di istinto, non di ragionamento. Un istinto che… che provo io stesso.

— Già, a quanto vedo — annuì freddamente Metzov. Il suo sguardo si spostò su Yaski, che raddrizzò la schiena e tossicchiò a bocca chiusa, accigliato. Miles cercò di diventare invisibile.

— Se intendete continuare a portare l'uniforme, voi tecnici avete urgente bisogno di una lezione pratica su come ottenere l'ubbidienza dei sottoposti — decise Metzov. — Prelevate i vostri uomini e fateli schierare di fronte a questo edificio, fra venti minuti esatti. Io fornirò loro un esempio di quella disciplina che i militari d'oggi sembrano aver dimenticato.

— Lei non… non dice sul serio quando parla di fucilare qualcuno, signore. È così? — chiese il tenente Yaski, allarmato.

Metzov sorrise acremente. — Dubito che sarà necessario. — Si volse a Miles. — Ufficiale meteorologico, qual è la temperatura esterna in questo momento?

— Cinque gradi sotto zero, signore — rispose lui. Aveva stabilito di parlare solo se interrogato.

— E il vento?

— Vento da est. Velocità nove chilometri all'ora, signore.

— Molto bene. — Negli occhi di Metzov brillò una luce di ferina eccitazione. — Potete andare, signori. Vediamo se riuscite a far eseguire l'ordine che avete ricevuto, stavolta.


In piedi accanto all'asta della bandiera di fronte all'edificio dell'amministrazione, col parka abbottonato fino al collo, il berretto calcato sulla fronte e le mani guantate dietro la schiena, il generale Metzov continuava a guardare la strada illuminata dalla fila di lampioni. In attesa di cosa? si domandò Miles. Mezzanotte era passata da un pezzo. Yaski e Bonn avevano già fatto mettere in fila sul bordo dello spiazzo i loro uomini, una quindicina, intabarrati in tute termiche e parka di panno verde.

Miles ebbe un brivido, e non solo per il freddo. Metzov aveva una faccia imperscrutabile, ma sembrava stanco e irritato. Un vecchio irrigidito dall'età, ostile a un mondo che probabilmente gli appariva ostile. A lui faceva tornare in mente suo nonno, nelle cupe serate d'inverno dei tempi più difficili, anche se Metzov era in realtà più giovane di suo padre. Miles era un figlio della mezz'età per il Conte Vorkosigan. E il padre di suo padre, l'anziano Conte generale Piotr, a volte gli era parso il relitto di un altro secolo. La sua disciplina militare vecchio stile aveva l'odore ammuffito, polveroso, delle vestaglie da camera e delle pantofole. In quale lontano passato della storia barrayarana era ancorata la mente di Metzov?

Cogliendo un movimento in fondo alla strada il generale si volse di scatto, con un sogghigno cupo, e in tono orribilmente cordiale confidò a Miles: — Sa, alfiere, quale segreto si celava dietro le accuratamente coltivate rivalità fra le diverse armi, sulla Vecchia Terra? In caso di ammutinamento era sempre possibile convincere la marina a sparare contro l'esercito, e viceversa. Un vantaggio che coi corpi intercollegati del Servizio oggi non abbiamo più.

— Ammutinamento! — si stupì lui, contravvenendo al proposito di tenere la bocca chiusa. — Pensavo che in discussione ci fosse il modo di rendere innocua una sostanza tossica.

— Così era. Sfortunatamente, a causa della debolezza di Bonn, ora è una questione di principio. — Un muscolo sulla mandibola di Metzov si contrasse. — Doveva accadere, prima o poi, col Servizio di oggi. Il Servizio dei rammolliti.

Tipiche chiacchiere da ufficiali in pensione, vecchi che lustravano le vecchie medaglie raccontandosi a vicenda quanto fossero stati duri ai loro tempi. — Principio, signore? Quale principio? La questione è, se mai, spreco di materiali, - balbettò Miles.

— Questo è un rifiuto in massa di ubbidire agli ordini, alfiere. Ammutinamento, secondo ogni avvocato da caserma. Per fortuna non è difficile schiacciare simili iniziative se si provvede per tempo, finché sono ristrette e disorganizzate.

Le figure comparse in fondo alla strada si rivelarono per un plotone di soldati in uniforme mimetica bianca, da neve, agli ordini di un sergente della Base. Miles riconobbe il graduato: apparteneva alla rete di potere di Metzov, un veterano di mezz'età che aveva servito sotto di lui durante la Rivolta di Komarr ed era rimasto alle sue dirette dipendenze.

I soldati, vide Miles, erano armati con distruttori neuronici di grosso calibro, un'arma puramente anti-uomo. Malgrado il tempo trascorso ad allenarsi in ogni condizione non avevano avuto molte opportunità di impugnare armi così evolute e mortali, e lui poteva sentire nell'aria la loro eccitazione nervosa.

Il sergente li fece schierare in fila di fronte agli altri quindici e abbaiò un ordine. I soldati imbracciarono i fucili e li puntarono, in uno scintillio di canne argentate sotto la fredda luce delle stelle. Un mormorio sbigottito corse fra gli uomini di Bonn e di Yaski. Pallidi e tesi, in disparte, i due ufficiali fissavano Metzov a bocca aperta.

— Spogliatevi — ringhiò il generale. — Nudi. Ubbidite!

Stupore, confusione; soltanto due o tre cominciarono a svestirsi. Gli altri si guardarono attorno con aria incerta, esitarono, ma infine capirono cosa si voleva da loro e dovettero fare buon viso a cattivo gioco.

— Quando avrete afferrato il concetto che gli ordini ricevuti vanno eseguiti senza discutere — li ammonì Metzov con voce stentorea, — potrete rivestirvi e tornare al vostro lavoro. Dipenderà solo da voi. — Fece un passo indietro, rivolse un cenno col capo al suo sergente e assunse la posizione di riposo. — Questo farà raffreddare le velleità delle teste calde — borbottò fra i denti, presentando a Miles il suo profilo granitico. Aveva l'aria di aspettarsi che la cosa non sarebbe durata più di cinque minuti, dopodiché lui e il sergente sarebbero andati a farsi un bicchierino al caldo, alla memoria dei bei vecchi tempi.

Fra gli uomini di Bonn c'erano anche Olney e Pattas, notò Miles, insieme ad altri cinque o sei militari dall'accento greco coi quali gli era capitato di scambiare qualche parola al reparto veicoli, non meno ostili e sarcastici nei confronti di chi non aveva un aspetto fisico normale. Da lì a poco quindici uomini nudi e scalzi erano in piedi nella neve sullo spiazzo davanti all'amministrazione, col vento che soffiava gelido sui loro corpi tremanti. Quindici facce, rivolte ai distruttori neuronici, su cui lo sbalordimento aveva lasciato il posto alla paura. Ma nessuno sembrava ancora prendere in considerazione la seconda parte dell'ordine. Non siate testardi, li supplicò in silenzio Miles. Non ne vale la pena. Ma alcuni stavano già stringendo i denti, con sguardi in cui si accendeva una scintilla di ferrea risoluzione.

Miles maledisse dentro di sé il bastardo che aveva deciso di usare il fetaine come arma deterrente, destinata a provocare il terrore non tanto per le sue proprietà chimiche quanto per l'effetto che aveva sulla psicologia dei barrayarani. Difficilmente il fetaine sarebbe mai stato usato contro il nemico: il solo pensiero d'essere giudicato dai posteri colpevole di aver causato mutazioni genetiche poteva fermare chiunque.

Yaski, in disparte, guardava i suoi uomini come paralizzato dall'orrore. Bonn invece, il volto indurito in una maschera rigida, andò a mettersi in fila con loro e cominciò a togliersi i guanti e il parka.

No, no, no! gridò Miles nella sua mente. Se ti unisci a loro non cederanno più. Sapranno di aver ragione. Era uno sbaglio… ma Bonn gettò sulla neve i suoi ultimi indumenti, li allontanò con un calcio e inchiodò lo sguardo in quello di Metzov. Il generale aveva stretto gli occhi, lampeggianti di furia. — Dunque è così? — sibilò. — Osa cercare di provocarmi, eh? Congeli, allora!

Come avevano fatto le cose a precipitare tanto, e tanto in fretta? Quello era piuttosto il momento di andarsene al caldo negli alloggi, dimenticare che fuori c'era la neve e fare una telefonata a casa o una partita a carte, si disse Miles. Se solo quei bastardi tremanti avessero ceduto lui avrebbe potuto tornare in ufficio, prendere nota degli ultimi dati e accertarsi che la Stazione Undici funzionasse bene. Lui non aveva niente da fare lì, quelli non erano fatti suoi…

Metzov si volse a guardarlo. — Vorkosigan, lei può prendere un'arma e rendersi utile, oppure rientrare nel suo alloggio.

Poteva andarsene. Ma era davvero questo che voleva, che doveva fare? Quando il sergente vide che non muoveva un passo venne verso di lui e gli mise un distruttore neuronico fra le mani. Miles lo prese, lottando contro l'immagine di un cervello umano che andava in poltiglia. Lentamente sollevò la canna più o meno in direzione degli uomini, senza ricordarsi neanche di controllare la sicura.

Questa non è la repressione di un ammutinamento. Questa può essere soltanto una strage.

Uno dei soldati del plotone ridacchiò nervosamente. Cosa avevano detto a quegli uomini? Cosa credevano di esser venuti a fare? Ragazzi di diciotto-diciannove anni… erano in grado di distinguere un ordine lecito da uno criminoso? Si rendevano conto di quel che stava succedendo lì?

E lui, Miles, se ne rendeva conto?

La situazione era anche ambigua, lì stava il vero problema. Non poteva sostenersi su una sua logica. Miles sapeva che i precedenti non mancavano; l'Accademia disponeva di un'abbondante casistica di ordini assurdi o criminosi. Suo padre stesso teneva un breve seminario sull'etica del comando agli studenti dell'ultimo anno, e al tempo in cui era Reggente dell'Impero aveva disposto che la buona moralità fosse un requisito sia per l'ammissione che per la promozione agli esami. Spesso aveva parlato di cos'era a rendere illecito un ordine, e del come e perché poteva essere disubbidito, illustrando le conseguenze con filmati di casi il primo dei quali era in genere il Massacro del Solstizio, accaduto quando lui era ammiraglio. Miles aveva visto cadetti così sconvolti da dover uscire dall'aula, durante le proiezioni.

Gli altri istruttori detestavano quell'occasione, il Giorno di Vorkosigan. Le loro classi restavano inquiete per parecchi giorni. E una delle ragioni per cui l'ammiraglio Vorkosigan non teneva quella conferenza alla chiusura dei corsi era che qualche settimana dopo tornava all'Accademia, per parlare a tu per tu con i cadetti che s'erano accorti di avere dei gravi problemi morali. Soltanto a loro suo padre, da quel che ne sapeva Miles, teneva discorsi di persona, benché avesse registrato numerosi video su argomenti generici come parte dell'addestramento per ogni ramo del Servizio. Quel suo breve seminario era stato una sorpresa anche per Miles.

Ma ora… se quei tecnici fossero stati civili, Metzov si sarebbe trovato chiaramente dalla parte del torto. Se fossero stati in guerra, al contrario, il suo comportamento avrebbe potuto essere ritenuto giustificabile, perfino doveroso. Quella era una via di mezzo. Un caso di disubbidienza, certo, ma disubbidienza passiva. Nessun nemico minaccioso nelle vicinanze. Nessuna situazione di pericolo per la vita di chi risiedeva alla Base (esclusa la loro) anche se un imprevisto vento da ovest avrebbe potuto costringerli a evacuare la zona. Io non sono pronto per cose di questo genere. Non ancora. Non so giudicarle. Cos'era giusto? Cos'avrebbe pensato qualcuno più anziano ed esperto di lui?

La mia carriera… Una sensazione di claustrofobia s'impadronì di lui, come se qualcosa lo stringesse da tutti i lati minacciando di soffocarlo. Fra le sue mani il distruttore neuronico tremò. Oltre il microriflettore in cima alla canna poteva vedere Bonn che vacillava storditamente, già troppo congelato per mantenersi eretto. I loro piedi erano bianchi come la neve su cui poggiavano. Uno degli uomini si chinò, rannicchiandosi a palla, ma non fece un gesto verso i suoi indumenti. Cominciava ad ammorbidirsi nel dubbio la rigida spina dorsale di Metzov?

Per un folle momento Miles immaginò di mettere da parte le considerazioni personali e di sparargli. E poi? Sparare anche al sergente e agli altri? Non avrebbe potuto colpirli tutti prima che lo ammazzassero.

Probabilmente io sono l'unico militare sotto ai trent'anni in tutta la base che abbia mai sparato a dei nemici in battaglia. I soldati del plotone avrebbero usato la loro arma senza conoscerne davvero l'effetto. Forse ne erano perfino curiosi. Quello che faremo nella prossima mezz'ora continueremo a rivederlo per tutta la vita.

Ma lui non era in grado di fare niente salvo che chinare il capo, eseguendo gli ordini. In quali guai uno poteva cacciarsi eseguendo gli ordini? Tuttavia, com'era possibile provare soddisfazione nel Servizio se non si accettavano i princìpi basilari della vita militare? Credi che sarai soddisfatto una volta imbarcato, allora, alfiere Vorkosigan, ripensando a questo branco di idioti congelati? O non è meglio che ti unisca a loro? Almeno non sarai solo…

Col distruttore neuronico imbracciato Miles indietreggiò, uscendo dalla fila dei soldati e dal campo visivo di Metzov. I suoi occhi erano annebbiati di lacrime. Per il freddo, senza dubbio.

Sedette al suolo. Si tolse i guanti e gli stivali. Lasciò cadere il parka, la giacca, la camicia; gettò sul mucchio anche i pantaloni e la biancheria intima, e vi poggiò sopra il fucile. Poi si mosse con andatura incerta. I gambali di sostegno erano gelidi contro i suoi polpacci.

Io odio la resistenza passiva. Sul serio, la odio.

— Che diavolo pensa di fare, alfiere? — sbottò Metzov quando lui gli passò davanti.

— Voglio aiutarla a prendere una decisione, signore — rispose Miles con voce ferma. Perfino in quel momento alcuni dei tecnici si ritrassero al suo avvicinarsi, come se le deformità fisiche fossero contagiose. Bonn non era fra questi, però. Neppure Pattas.

— Tenta lo stesso bluff di Bonn? Lo guardi, se n'è già pentito. Non funzionerà neanche per lei, Vorkosigan. — La voce di Metzov tremolò in una nota acuta nel pronunciare il suo nome.

Avresti dovuto dire «alfiere». Per quelli che non conoscevano il mio nome. Miles vide il disappunto sulle facce dei soldati del plotone, stavolta. Vero, l'iniziativa di Bonn non aveva funzionato. Lui era probabilmente il solo che con un atto di quel genere poteva ottenere qualcosa. Sempreché Metzov non giudicasse di essersi ormai spinto troppo lontano.

A voce alta, per farsi sentire anche dagli altri, disse: — Signore, è possibile… dico possibile, che a investigare sulla morte del tenente Bonn e di questi uomini sia soltanto la Sicurezza del Servizio, se lei riesce a falsificare il fatto abbastanza da farlo passare per un incidente di qualche genere. Ma le garantisco che a investigare sulla mia sarà la Sicurezza Imperiale.

Metzov sogghignò stranamente. — E se risultasse che non c'è stato nessun testimone?

Il sergente che comandava il plotone era altrettanto rigido e truce. Miles ripensò ad Ahn, il silenzioso Ahn, che aveva i suoi motivi per ubriacarsi. Quali cose «pazzesche» erano accadute su Komarr tanti anni addietro? E che genere di testimone era stato? Colpevole quanto altri, forse? — Mmi s-s-s-spiace, s-signore, ma vedo almeno dieci testimoni dietro quei distruttori neuronici. — Le parabole dei proiettori sembravano molto più grosse viste da lì. Il rovesciamento dell'angolazione visiva aveva avuto un preciso effetto chiarificatore. Non c'erano più ambiguità, adesso.

Miles continuò: — Oppure sta pensando di ammazzare gli uomini del plotone e poi di spararsi alla testa? La Sicurezza Imperiale userà la macchina della verità su ogni bipede di quest'isola. Lei non può mettermi a tacere. Vivo o morto, attraverso la bocca di questi uomini oppure la sua, signore, io testimonierò. — Lunghi brividi lo scuotevano da capo a piedi; stupefacente cosa poteva fare un alito di vento a quella temperatura. Doveva eliminarli almeno dalla sua voce, perché non fossero scambiati per paura.

— Magra consolazione, direi, dopo che… mmh, si sarà tolto lo sfizio di crepare congelato, alfiere. — Il sarcasmo di Metzov aveva qualcosa di grottesco. Quell'uomo era ancora convinto che avrebbe prevalso. Un atteggiamento maniacale.

Un bizzarro senso di calore saliva adesso dai piedi di Miles. Aveva le ciglia incrostate di ghiaccio. Stava già sorpassando gli altri sulla strada del congelamento, senza dubbio a causa della massa corporea inferiore. Sulla sua pelle cominciavano ad apparire chiazze violacee.

Coperta da quel candido manto invernale la Base era magicamente silenziosa. Miles sentiva che qualcuno accanto a lui stava battendo i denti. Sentiva il fruscio del vento sulla crosta superficiale della neve. Sentiva i lievi ansiti che accompagnavano le nuvolette di fiato condensato. Il tempo sembrava essersi fermato.

Avrebbe potuto minacciare Metzov, incrinare la sua sicurezza con oscuri accenni ai fatti di Komarr, la verità verrà fuori… avrebbe potuto ricordargli il rango e l'autorità di suo padre. Avrebbe potuto… dannazione, Metzov doveva aver capito che stava facendo il passo più lungo della gamba, per quanto pazzo fosse. La sua scena da giustizia sommaria sul campo di battaglia gli si era sgretolata fra le mani, eppure si intestardiva ad aggrapparvisi, deciso ad arrivare alle estreme conseguenze per salvare la faccia. Saprebbe essere pericoloso come una belva ferita, il bastardo, se lo minacciassi davvero… Era difficile vedere sotto quella dura maschera sadica l'ombra della paura. Ma doveva esserci… gelida e strisciante, al lavoro dentro di lui. Metzov le resisteva, come pietrificato. Forse, dandogli una spintarella…

— Consideri però, signore — disse Miles, cercando di assumere un tono persuasivo, — il vantaggio che lei avrebbe fermando le cose a questo punto. Ora ha le prove inoppugnabili di un ammutinamento, di una cospirazione. Potrebbe arrestarci tutti e farci chiudere in cella. E sarebbe una vendetta migliore, perché otterrebbe molto senza perdere nulla. Io ci rimetterei la carriera, con in più una menzione disonorevole e una condanna penale… ma sarebbe sempre preferibile alla morte. E la Sicurezza del Servizio punirebbe gli altri. Questo può riuscire ad averlo.

Le sue parole erano riuscite a far presa, Miles poté vederlo nel modo in cui Metzov inclinava la testa socchiudendo pensosamente gli occhi. Aveva assunto un'aria sospettosa, come se l'ipotesi di un comportamento più vantaggioso per lui gli fosse sgradita. Mandarlo all'inferno, a quel punto, era molto più dignitoso… Aspetta.

Scuro e massiccio nella mezzaluce dei lampioni, il generale venne a fermarsi davanti a lui e gli alitò il fiato caldo sulla faccia, dall'alto in basso. La sua voce fu un sussurro, solo per gli orecchi di Miles: — Una tipica soluzione moscia alla Vorkosigan, eh? Suo padre fu altrettanto moscio con la marmaglia di Komarr, e questo costò la vita ad alcuni di noi. Una corte marziale per il rampollo dell'ammiraglio… questo farebbe abbassare la cresta al grand'uomo, magari, con soddisfazione di molti. Eh?

Miles deglutì la saliva che avrebbe voluto sputargli in faccia. Di quelli che non conoscono la nostra storia, pensò, o che non la apprezzano affatto. Ma ahimè, c'erano anch'essi, a quanto sembrava. — Faccia bruciare quel dannato bunker prima che il fetaine esca da qualche fessura — disse con voce rauca. — E poi vedremo.

— Siete tutti in arresto! — latrò Metzov dopo una lunga pausa di silenzio, raddrizzando le spalle. — Vestitevi!

Gli uomini lo guardarono storditamente, ma con aperto sollievo. Dopo un'ultima occhiata ai fucili neuronici puntati si chinarono sui gelidi mucchietti dei loro abiti, con mani frenetiche e tremanti. Miles aveva visto arrivare quell'ordine parecchi secondi prima di sentirlo. E gli tornò a mente una definizione di suo padre: «Un'arma è uno strumento per far cambiare idea al nemico». La mente era il primo e l'ultimo campo di battaglia; tutto il resto era un caotico e inutile intermezzo.

Il luogotenente Yaski aveva approfittato della distrazione fornita dall'arrivo di Miles nudo di fronte a tutti per sparire non visto nell'edificio dell'amministrazione, facendo poi alcune frenetiche chiamate telefoniche. Come risultato, il comandante delle reclute in addestramento, l'ufficiale medico e il comandante in seconda della Base arrivarono di gran carriera, per placare i bollori di Metzov e impedire in qualche modo una conclusione drammatica. Ma per quel momento Miles, Bonn e i quindici tecnici erano già vestiti e stavano marciando a passi incerti verso il cancello ovest della Base, sotto la scorta armata del plotone e diretti al bunker contaminato.

— Dobbiamo r-ringraziare lei p-per questo? — chiese Bonn a Miles, battendo i denti. Avevano le mani e i piedi insensibili come sassi, e nel camminare al centro della strada si puntellavano l'uno contro l'altro, facendo finta di tenersi soltanto sottobraccio.

— Abbiamo avuto quello che volevamo, no? Possiamo bruciare tutto quel fetaine prima che giri il vento. Non è morto nessuno. Nessuno contaminerà il suo seme di futuro padre. Abbiamo vinto. Almeno credo. — Miles tossì seccamente, e gli parve come una pugnalata in gola.

— Non credevo che avrei visto in questa Base qualcuno più pazzo di Metzov — borbottò Bonn.

— Io non ho fatto niente di diverso da lei — protestò Miles. — Solo che, con me, la cosa ha funzionato. O quasi. Domattina tutto ci apparirà sotto un'altra luce, comunque.

— Sì, peggiore — predisse cupamente Bonn.


Miles si destò da uno scomodo pisolino sulla branda destra della cella quando sentì il sibilo della porta che scivolava di lato. Stavano riportando dentro Bonn.

Si passò una mano sulla faccia non rasata. — Che ore sono là fuori, tenente?

— L'alba. — Bonn era pallido, spettinato, e aveva l'aria di non poterne più. Si gettò a sedere sull'altra branda con un grugnito stanco, sofferente.

— Cosa sta succedendo?

— La Sicurezza del Servizio è dappertutto. Sono arrivati in volo poco fa dal continente, con un capitano che ha preso in mano la faccenda. Metzov gli sta riempiendo le orecchie di balle. Per adesso credo che si limiteranno a prendere le deposizioni.

— Il fetaine è bruciato tutto?

— Seeh. — Bonn ebbe un sogghigno aspro. — Ho dovuto stare laggiù finora, e firmare una dichiarazione di responsabilità al termine del lavoro. Il bunker ha resistito bene, però, come un forno.

— Alfiere Vorkosigan, ora vogliono lei — disse la guardia che aveva scortato Bonn. — Venga con me.

Miles si tirò in piedi e barcollò verso la porta. — Ci vediamo più tardi, tenente.

— D'accordo. Se vede qualcuno diretto verso la mensa, usi la sua influenza politica per convincerlo a portare un vassoio da queste parti.

Lui sorrise debolmente. — Ci proverò.

Miles seguì la guardia nel breve corridoio fra le celle. La prigione della Base Lazkowski non si poteva definire esattamente un carcere ad alta sicurezza; era una baracca come le altre, a parte l'assenza delle finestre, con porte interne che difficilmente venivano chiuse. Il maltempo era di solito il secondino più efficiente, per non parlare dei cinquecento chilometri di mare gelido che circondavano l'isola.

Quel mattino all'ufficio della Sicurezza della Base c'era molta attività. Ne sorvegliavano la porta due sconosciuti dall'aria dura, un tenente e un sergente con l'Occhio di Horus della Sicurezza Imperiale sul petto dell'uniforme verde. Sicurezza Imperiale, non Sicurezza del Servizio. Quella che Miles conosceva meglio, e che aveva sempre vegliato sulla sua famiglia e affiancato l'attività politica di suo padre. La loro presenza lo sollevò come quella di un vecchio amico.

L'impiegato dell'ufficio della Sicurezza della Base sembrava molto indaffarato; su tutti gli schermi della sua consolle lampeggiava qualcosa di urgente. — Alfiere Vorkosigan? Si avvicini, signore. Mi serve l'impronta del suo palmo su questo.

— Come vuole. Posso sapere cosa sto firmando?

— Solo il foglio di viaggio, signore.

— Dove, uh… — Miles gli mostrò le mani, lucide di gel. — Quale piastra?

— Quella a destra. Sì, penso che possa andar bene anche così, signore.

Con una certa difficoltà Miles appoggiò il palmo sinistro sulla piastra sensibile. La pomata trasparente in cui il medico gli aveva fatto inzuppare le mani era contro i geloni, e copriva la pelle arrossata e dolorante con uno strato ormai quasi solido. Gli dava un noioso prurito alle dita. Occorsero tre tentativi, premendo forte sulla piastra, perché il computer lo riconoscesse.

— Ora lei, signore — disse l'impiegato al tenente della Sicurezza Imperiale. L'ufficiale appoggiò di malavoglia una mano sulla piastra ed ottenne l'approvazione del computer. Osservò con una smorfia le sue dita sporche di pomata e si guardò attorno, in cerca di qualcosa per asciugarsele; poi si rassegnò a estrarre di tasca il fazzoletto e ad insozzare quello. L'impiegato ripulì nervosamente la piastra con una manica della sua uniforme, quindi premette un tasto dell'intercom.

— Sono contento di vedervi, ragazzi — disse Miles al tenente della Sicurezza Imperiale. — Avrei voluto che foste qui ieri sera.

L'ufficiale non rispose al suo sorriso. — Io ho soltanto funzioni di scorta, alfiere. Non posso discutere il suo caso.

Il generale Metzov apparve sulla porta dell'ufficio interno, con un foglio di plastica in mano e seguito da un capitano della Sicurezza del Servizio, il quale rivolse un cauto cenno del capo alla sua controparte imperiale.

Metzov sembrava di ottimo umore. — Buongiorno, alfiere Vorkosigan. — Il suo sguardo indugiò sul tenente senza il minimo disappunto, e Miles imprecò dentro di sé: dannazione, la presenza della Sicurezza Imperiale avrebbe dovuto far tremare quel quasi-assassino nella sua sportiva uniforme da combattimento. — Sembra che nel suo caso ci sia un risvolto di cui non m'ero reso conto. Quando un Lord Vor è coinvolto in un ammutinamento, la legge prevede che sia accusato di alto tradimento.

— Cosa? — Miles si sforzò di abbassare la voce. — Tenente, la Sicurezza Imperiale non mi considera in arresto, è così?

L'ufficiale estrasse un paio di manette e provvide a collegare il polso destro di Miles a quello sinistro del sergente. «Keller» era il nome inciso sulla piastrina del graduato, che lui ribattezzò mentalmente in «Killer». Era così robusto e massiccio che alzando il braccio avrebbe potuto sollevarlo di peso dal suolo.

— Lei è in stato di detenzione, in attesa di ulteriori indagini — disse il tenente in tono formale.

— Per quanto tempo?

— Indefinitamente.

L'ufficiale si avviò alla porta, seguito dal sergente con Miles a rimorchio. — Dove mi portate? — si allarmò lui.

— Al Quartier Generale della Sicurezza Imperiale.

Vorbarr Sultana! - Devo passare a prendere le mie cose…

— Il suo appartamento è già stato liberato.

— Ma potrò tornare qui?

— Io non lo so, alfiere.

La pallida aurora di Campo Cessofreddo stava ancora spargendo una luce giallognola nella foschia orientale quando la motopulce li scaricò in fondo alla pista. La navetta sub-orbitale della Sicurezza Imperiale poggiava sulla crosta di neve come un uccello da preda atterrato in un nido di piccioni. Nera e snella, irta di armi micidiali, sembrava infrangere la barriera del suono anche da ferma. Il pilota, in cabina, stava già accendendo i motori.

Miles salì goffamente la scaletta al seguito del sergente Killer, cercando di sopportare l'umiliante disagio delle manette. Il vento aveva girato da nord ovest, intensificandosi. La temperatura avrebbe continuato ad aumentare fino a mezzogiorno, quel mattino, e l'odore umido dell'aria gli disse che prima di sera la pioggia avrebbe trasformato lo strato di neve in una morchia disgustosa. Buon Dio, era proprio l'ora di andarsene da quell'isola.

Miles inalò un'ultima boccata dell'aria esterna, poi il portello si chiuse con un sibilo da rettile. Nell'interno stagnava un silenzio ovattato che il ronzio dei motori penetrava a stento.

Se non altro era caldo.

Загрузка...