CAPITOLO UNDICESIMO

Un rapido scalpiccio in fondo al corridoio attrasse l'attenzione di Miles. Un sospiro di sollievo, a lungo trattenuto, gli sfuggì di bocca, e si alzò in piedi. Elena.

La giovane donna indossava una divisa da ufficiale dei mercenari, blusa bianca e grigia piena di tasche, pantaloni aderenti, e stivali al ginocchio che rendevano ancora più eleganti i passi delle sue lunghe gambe. Era ancora snella e flessuosa come un tempo, alta, di pelle candida, con occhi scuri e un che di aristocratico nella delicatezza dei lineamenti. Si è tagliata i capelli, pensò Miles, dispiaciuto. La cascata dei suoi capelli nerissimi, lunghi fino ai fianchi, era scomparsa. Ora li portava alla paggio, con due riccioli che le sottolineavano gli zigomi e altri due sul collo, dietro gli orecchi. Severa, pratica, molto efficiente. Militaresca.

Venne avanti a passi lunghi, prendendo visione di Miles, di Gregor e dei quattro Oserani stesi sul ponte. — Ottimo lavoro, Chodak. — Si chinò accanto a uno dei mercenari e gli tastò un polso. — Sono morti?

— No, soltanto storditi — la informò Miles.

Lei gettò uno sguardo rammaricato al portello interno, aperto, del compartimento stagno. — Suppongo che non sia il caso di liberarcene affidandoli allo spazio.

— Stavano per buttar fuori noi, ma… no, penso che basti toglierli dalla circolazione finché non avremo levato il disturbo — disse Miles.

— Giusto. — Elena si alzò e fece un cenno a Chodak, che cominciò a trascinare i quattro nel compartimento stagno con l'aiuto di Gregor. Mentre il corpo inerte del tenente biondo le passava davanti ebbe una smorfia. — Certi individui non hanno una faccia onesta né quando dormono né dopo morti, del resto.

— Puoi farci uscire da qui?

— È per questo che siamo venuti. — Elena si volse ai tre mercenari che l'avevano seguita con più cautela. Un quarto era rimasto di guardia all'incrocio. — Sembra che finora ci sia andata bene — disse loro. — Andate avanti e controllate il percorso, possibilmente senza farvi notare. Poi sparite. Non siete mai stati in questa sezione della nave e non avete visto niente.

I mercenari annuirono e si allontanarono. Miles udì uno di loro che diceva: — Quello era lui? — E un altro: — Proprio così…

Miles, Gregor ed Elena si strinsero nel compartimento stagno con i quattro corpi privi di sensi e chiusero il portello, mentre Chodak restava di guardia all'esterno. Elena aiutò Gregor a togliere gli stivali a un Oserano che li aveva all'incirca della sua misura, intanto che Miles si toglieva la tuta grigio azzurra mettendo allo scoperto gli spiegazzati indumenti di Rotha, non più tanto eleganti dopo quattro giorni in cui ci aveva dormito e sudato dentro. Gli sarebbe piaciuto liberarsi di quei sandali betani, ma non c'erano stivali che andassero bene a lui.

Gregor ed Elena si slavano studiando, lei con un sopracciglio inarcato, l'imperatore con una certa sorpresa per l'aspetto della giovane donna, mentre si infilava in fretta l'uniforme bianca e grigia del mercenario.

— Così sei veramente qui. — Elena scosse il capo. — Non riesco a immaginare cosa tu sia venuto a fare.

— Sono qui per errore — disse Gregor.

— Non raccontarmi balle. Un errore di chi?

— Mio, temo — rispose Miles. E si accorse, irritato, che invece di giustificarlo sportivamente Gregor annuiva.

Un sorriso un po' misterioso, il primo, incurvò le labbra di Elena. Miles decise di non chiederle cosa significasse. Quell'affrettato scambio di osservazioni pratiche non somigliava affatto alle molte varianti delia conversazione che aveva immaginato di avere con lei, durante la scena pregnante e significativa del loro incontro.

— Fra qualche minuto, quando Oser non vedrà tornare nessuno a fargli rapporto, qui comincerà a far caldo — li incitò Miles. Raccolse due storditori, il proiettore del campo-raggio trattore, il coltello a vibrolama, e se li infilò nella cintura. Dopo un attimo di riflessione prelevò ai quattro Oserani anche le carte di credito, le chiavi-tessera, i documenti di identità, il denaro contante e divise il tutto fra sé e Gregor, accertandosi che lui si liberasse del tesserino da lavoratore a contratto, che era rintracciabile elettronicamente. Ebbe la soddisfazione di trovare anche una stecca di cioccolata, e cominciò a staccarne qualche morso mentre Elena li precedeva fuori dal compartimento. Ne offrì un pezzo a Gregor, che però scosse il capo; probabilmente aveva già cenato, in quel bar-ristorante.

Chodak sistemò meglio l'uniforme di Gregor e poi si avviarono in fretta, con Miles al centro che cercava di nascondersi fra loro. Ma i mercenari erano gente dallo sguardo acuto, e lui lo sapeva. Ad ogni incrocio si sentiva osservato. Prima che quel timore diventasse una sensazione paranoica entrarono in un tubo a caduta libera; ne uscirono alcuni piani più in basso e si trovarono in una larga stiva per il carico, occupata in quel momento da una navetta. Uno degli uomini di Elena, appoggiato con pigra sicurezza al portello di un compartimento stagno, alzò un pollice verso di loro. Chodak rivolse a Eiena un cenno di saluto, li lasciò lì e tornò indietro. La giovane donna precedette Miles e Gregor oltre il portello, in un tubolare flessibile che collegava la Triumph alla stiva di una navetta da carico ormeggiata nel vuoto, all'esterno della stazione. Appena fuori dal campo delle griglie gravitazionali della nave i tre si trovarono bruscamente in assenza di peso, circondati dalla nera e vertiginosa voragine dello spazio stellato. Fluttuarono avanti fino alla cabina di pilotaggio. Elena sigillò rapidamente i portelli e accennò a Gregor di sedersi sull'unica poltroncina libera, davanti alla consolle dell'addetto alle comunicazioni.

Gli altri due posti, quello del pilota e dell'aiuto pilota, erano già occupati. Arde Mayhew diresse a Miles un sogghigno da sopra una spalla. Lui aveva riconosciuto la testa calva come una biglia dell'altro uomo ancor prima che si fosse voltato.

— Salve, figliolo. — Il sorriso di Ky Tung era più ironico che divertito. Lo scrutò, a braccia conserte. — Bentornato, dovrei dire, anche se te la sei presa comoda prima di ricordarti degli amici.

— Salve, Ky. — Miles rivolse all'eurasiatico un cenno del capo. Tung non era cambiato affatto. Sempre di un'età indefinibile fra i quaranta e i sessanta. Sempre costruito come un carro armato. Sempre con quello sguardo che sembrava leggere, oltre le parole, tutti i peccati che uno aveva creduto di nascondere in fondo all'anima.

Mayhew, il pilota, accennò loro di tacere e accese la radio. — Controllo traffico? Ho rintracciato l'origine del guasto segnalato dal computer. Un semplice difetto di lettura nella pressione del serbatoio uno. Tutto a posto. Siamo pronti per lo sgancio.

— Era ora, C-2 — rispose una voce scorporizzata. — Avete via libera. Sgancio autorizzato ore 2107.

Le abili mani del pilota azionarono gli automatismi per il distacco delle flange e del tubolare, e accesero i jet di manovra. Ci furono alcuni clangori soffocati, un sibilo vibrante che pervase lo scafo, e la navetta girò su se stessa cominciando ad allontanarsi dalla Triumph. Mayhew diede conferma del decollo avvenuto, spense la radio e sospirò di sollievo. — Al sicuro. Per ora.

Elena si attaccò con un saltello a un corrimano del soffitto, nello scarso spazio libero dietro le poltroncine. Miles allungò una mano ad afferrare un bracciolo di quella di Mayhew, per non fluttuare verso il portello. La navetta stava accelerando. — Spero che tu abbia ragione — disse. — Ma perché ne sei tanto certo?

— Intende dire che siamo in un posto sicuro — rispose Elena. — Non al sicuro in senso cosmico. Questo è un volo di routine, solo con qualche passeggero non previsto a bordo. Finora nessuno ha sospetti, altrimenti il controllo traffico ci avrebbe richiamato. È probabile che Oser faccia frugare innanzitutto la Triumph e poi i corridoi della stazione militare. Potremmo perfino riportarvi a bordo della nave, quando avranno finito di perquisirla.

— Questo è il Piano B, — aggiunse Tung, voltandosi verso Miles. — O magari il Piano C. Il Piano A invece, basato sul presupposto che per salvarvi avremmo dovuto fare un gran fracasso, prevedeva di portarvi sulla Ariel, che è in servizio di sorveglianza, e dichiarare la rivoluzione. Ma sono felice che ci sia la possibilità di lasciar avvenire la cosa più… uh, spontaneamente.

Miles ridacchiò. — Dio! Così sarebbe peggio di quel che è successo l'altra volta. — Inchiodato a una catena di eventi a senso unico che lui non poteva controllare, costretto a fungere da bandiera di combattimento per dei mercenari in rivolta, sbattuto alla testa di una parata militare che avrebbe preso ampio spazio su tutti i notiziari… — No, grazie. Non spontaneamente. Di questo puoi starne certo, amico.

— Allora — annuì Tung, allargando le mani nerborute, — qual è il tuo piano?

— Il mio cosa?

— Piano — ripeté Tung, con un filo di sarcasmo. — In altre parole, perché sei venuto qui?

— Oser mi ha fatto la stessa domanda — sospirò Miles. — Ci credi se ti dico che sono qui per puro caso? Un incidente, nient'altro. Oser non ci ha creduto. Sarà anche cinico da parte mia, ma dire la verità alla gente come lui è sempre un grave errore. Cosa ti fa pensare che io abbia un piano?

Tung fece una smorfia. — Un incidente, eh? Forse. Ma… i tuoi «incidenti», come ho già notato, riescono a sconvolgere i progetti dei tuoi avversari in un modo così contorto e subdolo da far rabbia perfino ai tuoi amici. Lungi dall'attribuire ciò al caso ho deciso che, quando non sei tu ad avere un piano, ce l'ha il tuo subconscio. Se solo tu lavorassi con me, ragazzo, insieme potremmo… o forse sei semplicemente il Re degli Opportunisti. Nel qual caso ti chiedo di rivolgere la tua attenzione all'opportunità di riprenderti la flotta dei Mercenari Dendarii.

— Non hai risposto alla mia domanda — disse Miles.

— Tu non hai risposto alla mia — lo rimbeccò Tung.

— Io non voglio i Mercenari Dendarii.

— Io sì.

— Ah. — Miles si mordicchiò un labbro. — Perché non prendi con te quelli che ti sono fedeli e non ricominci da un'altra parte per conto tuo? Altri l'hanno fatto.

— Indossare gli scafandri e andarcene a nuoto nello spazio? — Tung fece l'atto di nuotare a rana, e sbuffò. — Oser ha tutte le navi sotto controllo. Compresa la mia, come hai visto. La Triumph è tutto quello che ho messo insieme in trent'anni di lavoro. E che ora non ho più, per causa delle tue macchinazioni. Qualcuno deve risarcirmi di questa perdita, e se non Oser… — Guardò Miles con espressione significativa.

— Io ho cercato di darti un'intera flotta — si difese lui. — Potrei chiedermi come sia riuscito un vecchio stratega navigato come te a farsela soffiare sotto il naso.

Tung alzò gli occhi al cielo e si batté un dito sul petto, ammettendo «toccato». — Le cose sono andate piuttosto bene per un anno, un anno e mezzo, dopo che lasciammo Tau Verde. Abbiamo firmato due buoni contratti sulla Rete-Est, piccole operazioni di commando, cosette facili… be', non troppo facili. Anche lì c'è stato da sudare. Ma le abbiamo condotte in porto.

Miles guardò Elena. — Ne ho sentito parlare, sì.

— Col terzo contratto abbiamo avuto dei guai. Baz Jesek si dedicava sempre più all'equipaggiamento e alla manutenzione… è un buon ingegnere, bisogna riconoscerlo. Io detenevo il comando strategico, mentre Oser aveva chiesto di occuparsi del lato amministrativo dicendo che non gli restava di meglio, e fummo abbastanza ingenui da crederci. La cosa avrebbe anche potuto funzionare, se Oser avesse lavorato con noi e non contro di noi. Ma devo riconoscere che al suo posto io non mi sarei rassegnato facilmente, e che quella docilità era strana per un militare abituato a usare le tattiche di guerriglia più sporche e spietate.

«Con la terza operazione ci procurammo dei guai. Baz era preso fino agli occhi con le riparazioni, e tempo addietro io ero rimasto ferito e avevano dovuto ricoverarmi in ospedale. Quando potei alzarmi dal letto trovai che Oser aveva firmato uno dei suoi contratti «speciali» per un'operazione non militare: sorveglianza di un corridoio di transito, appostamenti, blocchi, le solite vecchie cose. Un contratto a lungo termine. All'epoca sembrò una buona idea. Ma questo gli diede l'opportunità di manovrare, perché io… voglio dire, senza nessuna vera azione armata… — Tung si schiarì la gola, — cominciai ad annoiarmi, smisi di prestare attenzione a certe cose, e prima che mi accorgessi delle conseguenze di alcune sue attività mi aveva già raggirato. Riuscì a obbligare i capitani-proprietari a una ristrutturazione finanziaria…

— Te l'avevo detto di non fidarti, sei mesi prima che lo facesse — disse Elena, accigliata. — Dopo che aveva cercato di sedurmi.

Tung si strinse nelle spalle, a disagio. — Mi sembrava che fosse una tentazione comprensibile, per un uomo.

— Fare il cascamorto con la moglie del comandante? — Elena ebbe un lampo negli occhi. — La sua doppiezza era già chiara. Se pensava che per me un giuramento di fedeltà non significasse niente, cosa poteva valere il suo per lui?

— Tu dicesti solo che non si accontentava di un no — si giustificò Tung. — Se ti avesse disturbata, sarei intervenuto. Ebbi l'impressione che tu ne fossi lusingata, anzi, e che poi avresti ignorato le sue galanterie.

— Opinioni di questo genere implicano un giudizio sul mio carattere che non mi lusinga affatto — lo rimbeccò Elena.

Miles strinse i denti e cercò di non rivelare niente, ma non aveva dimenticato quali fossero state le sue tentazioni. — Forse quella era una mossa preliminare nel suo gioco di potere — buttò lì. — Saggiare i punti deboli degli avversari. Nel tuo caso non ne ha trovati.

— Mmh. — Elena non parve troppo confortata da quel punto di vista. — Comunque, Ky non mi fu d'aiuto. E io mi stancai di gridare «al lupo». Con Baz preferivo tacere, naturalmente. Ma non possiamo dire che il doppio gioco di Oser sia stato una sorpresa per tutti.

Tung si accigliò, frustrato. — Il fatto è che nelle precedenti operazioni belliche c'erano state delle perdite, mentre restando con le mani in mano il costo in termini di uomini e materiali era sicuramente inferiore. Tutto quel che Oser doveva fare era di assicurarsi il voto di almeno metà dei capitani-proprietari. Auson votò per lui. Avrei potuto strangolarlo, quel bastardo.

— Sei stato tu a perdere Auson, con i tuoi discorsi sulla Triumph - gli ricordò duramente Elena. — Lo hai convinto che volevi privarlo del comando della nave.

Tung sbuffò. — Finché il comando strategico l'avevo io, durante le operazioni di combattimento, sapevo come impedirgli di danneggiare la mia nave. Anzi, ero contento di lasciare che la Triumph facesse il suo dovere come se appartenesse al consiglio di amministrazione della flotta. Avrei potuto aspettare… finché tu fossi tornato. — I suoi occhi neri saettarono su Miles. — Sì, finché tu non ci avessi chiarito le idee sulla situazione politica di questa e altre zone. Ma tu non tornasti.

— Il piccolo Imperatore se n'era andato, eh? — mormorò Gregor, che era rimasto ad ascoltare come affascinato. E inarcò un sopracciglio verso Miles.

— Che questo ti sia di lezione — sussurrò lui fra i denti. Il sorrisetto di Gregor sfumò in una smorfia.

Miles si rivolse a Tung. — Suppongo che Elena ti abbia spiegato perché non potevi aspettarti una cosa simile da parte mia.

— Ci ho provato — borbottò Elena. — Anche se… non nascondo che non potevo fare a meno di avere la sua stessa speranza. Forse tu… avresti accantonato gli altri progetti per tornare da noi.

Ti aspettavi che rinunciassi all'Accademia, è così. - Non erano progetti che avrei potuto abbandonare, se non con la morte.

— Sì, ora me ne rendo conto.

— Entro cinque minuti al massimo — intervenne Arde Mayhew, — dovrò contattare il controllo traffico della Stazione Aslund per farmi assegnare un ormeggio, oppure fare rotta verso la Ariel. Cosa decidiamo, gente?

— Con una sola parola — disse Tung, — posso mettere ai tuoi ordini un centinaio di bravi ufficiali e di tecnici non combattenti. E quattro navi.

— Ai miei ordini. Perché non ai tuoi?

— Se potessi, l'avrei già fatto. Ma non voglio spaccare in due la flotta se non ho la certezza di riuscire a rimetterla insieme. Al completo. Con te al comando, invece, e con la tua reputazione… che a forza di chiacchiere si è gonfiata in modo disgustoso…

— Al comando? O come bandiera che tu possa sventolare? — Miles non aveva difficoltà a immaginarsi la cosa.

Tung allargò le mani in un gesto non impegnativo. — Questo potrai anche deciderlo tu. La maggior parte degli ufficiali che restano si schiererà col vincente. Il che significa, se faremo la nostra mossa, che dovremo convincerli maledettamente in fretta di essere noi i vincenti. Oser ha anche lui un centinaio di ufficiali e tecnici che stanno dalla sua, e se deciderà di opporsi dovremo sopraffarli fisicamente… cosa che mi induce a pensare quante vite potrebbero essere salvate da un bravo sicario mandato ad appostarsi nel punto giusto e al momento giusto.

— Ahimè, Ky, credo che tu abbia lavorato troppo tempo con Oser. Stai cominciando a pensare come lui. Ma ricordati: io non sono venuto qui per comandare una flotta mercenaria. Ho altre priorità. — E cercò di non guardare dalla parte di Gregor.

— Ah, sì? E quali saranno mai, queste grandi priorità?

— Impedire una guerra civile planetaria, per dirne una. E se non ti sembra abbastanza, forse anche una guerra interstellare.

— Impedire le guerre altrui non è nel mio interesse, devo ammetterlo. — E non era del tutto una battuta di spirito.

In effetti, cos'erano per Tung le vicissitudini politiche o la stessa sopravvivenza di Barrayar? — Potrebbe esserlo, se ti trovassi dalla parte del più debole. È per vincere che tu ricevi una paga, mercenario, ma puoi spenderla soltanto se vinci.

Gli occhi di Tung si strinsero ancor di più. — Cosa sai tu che io non sappia? Siamo dalla parte del perdente?

Lo sarò io, se non riporto Gregor in patria. Miles scosse il capo. — Mi spiace, non posso parlarne. Quello che mi sono già tirato addosso… — Pol, una strada chiusa. La Stazione Confederata lo aveva schedato come criminale. E lo spazio di Aslund gli si rivelava ancor più pericoloso. — Vervain. — Guardò Elena. — Devi farci arrivare su Vervain.

— Stai lavorando per i vervani? — domandò Tung.

— No.

— Per chi, allora? — Una mano di Tung ebbe un moto verso di lui, così fremente che sembrava volerlo afferrare per spremergli fuori le informazioni a viva forza.

Anche Elena notò quel gesto inconscio. — Ky, lascia perdere — disse bruscamente. — Se Miles vuole Vervain, che vada su Vervain.

Tung guardò Elena, poi Mayhew. — Voi lo spalleggiate? O lavorate con me?

Elena alzò la testa. — Noi siamo entrambi legati a Miles per giuramento. Anche Baz.

— E hai il coraggio di chiedermi perché ho bisogno di te? — sbottò Tung esasperato, indicando a Miles gli altri due. — Qual è questo grande gioco, di cui tu sembri sapere tutto e io niente?

— Guarda che neanche io ne so niente — precisò Mayhew. — Mi fido dell'istinto di Elena. Giuramento a parte, dico.

— Siete mercenari o gente che segue ciecamente il suo istinto?

— C'è una differenza? — sogghignò Miles.

— Venendo qui ci hai fatto uscire allo scoperto — replicò Tung. — Pensaci! Noi ti aiutiamo, tu tagli la corda e ci lasci esposti alla reazione di Oser. Come agisce quando ha paura l'hai appena visto. Abbiamo già agitato troppo le acque. Ormai l'unica sicurezza sta nella vittoria, non nelle mezze misure.

Miles guardò dolorosamente Elena. Dopo le sue ultime esperienze non aveva difficoltà ad immaginarla mentre un paio di scagnozzi la prelevavano dalla sua cabina per gettarla fuori da un portello. Tung notò con soddisfazione che il sottinteso aveva avuto su Miles l'effetto voluto. Elena gettò a Tung un'occhiata incerta.

Gregor si agitò nervosamente. — Io penso che… potreste essere accolti come rifugiati politici, su Nostra richiesta. — Miles vide che Elena aveva sentito (a differenza degli altri due, ovviamente) la N di quel plurale maiestatis. — Possiamo fare in modo che non abbiate a soffrirne. Finanziariamente, almeno.

Elena annuì, mostrandosi d'accordo. Tung la fissò a denti stretti, poi girò un pollice verso Gregor. — Senti un po', chi diavolo è questo tipo? — Lei scosse il capo e non rispose.

Tung gli rivolse una smorfia. — Figliolo, non per offenderti, ma così a vederti non so come potresti aver cura di noi. Tutt'al più dei nostri cadaveri, magari.

— Abbiamo rischiato di farci ammazzare per molto meno — disse Elena.

— Per molto meno di cosa? — scattò Tung.

Mayhew controllò la strumentazione di bordo e poi s'infilò un auricolare. — È tempo di decidere, gente.

— Questa navetta può attraversare il sistema? — chiese Miles.

— No. Non abbiamo abbastanza carburante — disse Mayhew, in tono di scusa.

— È troppo lenta, e male armata — aggiunse Tung.

— Allora dovrete farci salire su una nave da trasporto, aggirando in qualche modo la polizia doganale della Stazione Aslund — disse Miles, in tono infelice.

Tung guardò le facce di quel piccolo recalcitrante comitato e sospirò. — Le misure di sicurezza sono più strette per chi arriva che per chi parte. Forse sarà possibile. Portaci dentro, Arde.


Dopo che Mayhew ebbe attraccato con la navetta da carico in uno dei moli interni della Stazione Aslund, Miles e Gregor restarono in cabina di pilotaggio e si tennero bassi, in modo da non farsi scorgere dall'esterno. Gli altri due uscirono per «Vedere cosa si poteva fare» come aveva promesso Tung, secondo Miles vagamente e senza alcun entusiasmo. Lui sedette su una delle poltroncine, senza altra occupazione che mordicchiarsi cupamente le unghie e sobbalzare a ogni clangore, sibilo o ticchettio del robot che stava caricando i rifornimenti per i mercenari dall'altra parte dello scafo. Sul profilo di Elena, notò con invidia, non c'era alcun sintomo di nervosismo. Una volta l'amavo, Oggi chi è diventata?

Era possibile decidere di non amare più la ragazza di un tempo, o di non innamorarsi ancora di questa nuova persona? Forse sì. Elena sembrava più dura, anche più spontanea — il che era bene — ma nei suoi modi c'era qualcosa di aspro, di amaro. Anche verso di lui. E quell'asprezza lo feriva.

— Ti sei trovata bene? — le domandò, esitante. — A parte lo scherzo che vi ha giocato Oser, voglio dire. Tung è stato comprensivo con te? Doveva essere lui il tuo maestro… insegnarti sul lavoro quello che io imparavo in teoria all'Accademia.

— Oh, per questo è un buon maestro. Mi ha fatto studiare un po' di tutto, dalle tattiche di combattimento alla storia militare… sono in grado di cavarmela in molte situazioni, ora: cartografia, servizio di pattuglia, logistica, armi, tecniche di assalto o sganciamento. Anche atterraggi e decolli d'emergenza con una navetta, se non fai caso a qualche scossone. Posso quasi meritare il grado che mi è stato dato, almeno per quanto riguarda le necessità spicciole della flotta. A lui piace insegnare quello che sa.

— Mi sembra che ci sia un po' di tensione fra voi.

Lei scosse il capo. — Tutti sono un po' tesi, di questi tempi. Non è possibile trovarsi bene «a parte» quello che ha fatto Oser ai quadri di comando. Anche se… suppongo di non aver perdonato Tung per essersi lasciato giocare. Una volta credevo che non sbagliasse mai.

— Già. Be', sono in molti a sbagliare di brutto in questo periodo — disse Miles, a disagio. — Ah… come sta Baz? — E tuo marito ti tratta bene? avrebbe voluto chiederle, ma si trattenne.

— Baz sta bene — disse lei con aria infelice. — Ma è scoraggiato. Queste lotte per il potere non sono per lui, lo disgustano, credo. In fondo all'anima è un tecnico appassionato del suo lavoro, e non gli interessa altro… Tung ha insinuato che se non si fosse sepolto nella sezione ingegneria avrebbe potuto prevedere, anzi impedire, la presa di potere di Oser, e combattere. Ma io penso che non lo avrebbe fatto. Baz non si abbasserebbe alla zuffa, ad azzannarsi con Oser per il suo osso. Così si è ritirato dove può comportarsi secondo il suo concetto di onestà… finché ci riesce. Questo scisma sta avvelenando il morale di tutti, mercenari e ufficiali.

— Mi dispiace — disse Miles.

— Questo è il minimo, da parte tua. — La voce di lei s'era fatta ancor più secca e dura. — Baz sente di averli deluso, ma tu hai deluso noi per primo, quando te ne andasti. Non potevi aspettarti che mantenessimo le nostre illusioni in eterno.

— Illusioni? — disse Miles. — Io sapevo… che per voi non sarebbe stato facile. Ma pensavo che tu e Baz poteste… adattarvi. Fare dei mercenari qualcosa di vostro.

— I mercenari possono bastare a Tung, forse. Anch'io credevo che sarebbero andati bene per me, certo, finché non ci trovammo a dover ammazzare per vivere… io detesto Barrayar, ma meglio servire Barrayar che nessun altro, o il proprio ego.

— E Oser chi serve? — domandò Gregor, curioso, inarcando le sopracciglia a quella contrastante affermazione sul pianeta che era la loro patria.

— Oser serve Oser. La flotta, dice lui. Ma la flotta serve Oser, così è solo un circolo vizioso. — Elena ebbe un gesto irritato. — La flotta non è una patria. Non ci sono case, terra, bambini… è sterile. E non m'importa di aiutare o no Aslund, anche se ne ha bisogno. È un pianeta povero, minacciato, spaventato.

— Tu e Baz, e Arde, avreste potuto andarvene e trovare di che vivere bene da qualche altra parte — disse Miles.

— E come? — esclamò Elena. — Tu ci avevi affidato i Dendarii. Baz ha già disertato una volta in vita sua. Non lo farebbe mai più.

Tutta colpa mia, pensò Miles. Meraviglioso.

Elena si volse a Gregor, che nel sentir parlare di andarsene e di disertare aveva assunto un'espressione rigida, guardinga. — Tu non mi hai ancora detto cosa stai facendo qui, e non lo capisco. Si tratta forse di una qualche segreta missione diplomatica?

— Sarà meglio che tu glielo spieghi — lo consigliò Miles, cercando di non sogghignare. Sì, spiegale come sei sceso da quel balcone, di ramo in ramo.

Gregor fece spallucce, evitando lo sguardo che Elena gli teneva inchiodato fermamente sul volto. — Come Baz, ho disertato. E come Baz, ho scoperto che non c'erano i miglioramenti in cui avevo sperato.

— Ora capisci perché è così urgente riportare Gregor in patria — disse Miles. — Stanno pensando che sia stato rapito, o addirittura ucciso. — In poche parole le diede un resoconto del loro incontro casuale nel carcere della Stazione Aslund.

— Dio mio. — Elena s'era scurita in viso. — Capisco che per te è urgente, certo. Se gli succedesse qualcosa mentre è in tua compagnia, quindici partiti politici griderebbero al complotto. Come minimo saresti sospettato di alto tradimento.

— È un pensiero che ho già contemplato — grugnì Miles.

— La coalizione centrista che mantiene tuo padre al governo sarebbe la prima a sgretolarsi — continuò Elena. — La destra militarista si accoderebbe al Conte Vorinnis, e presumo che farebbe corpo unico coi Liberali. Quelli di lingua francese si schiererebbero con Vorville, quelli di lingua russa con Vortugalov… o ha finalmente reso l'anima, quel vecchiaccio?

— Gli isolazionisti dell'estrema destra che vogliono chiudere i corridoi di transito combatterebbero per Voltrifrani, contro la fazione Anti-Vor Pro-galassia che pretende una costituzione — annuì con un sospiro Miles. — E voglio dire che combatterebbero.

— Il Conte Voltrifrani mi fa paura — disse Elena. — L'ho sentito parlare.

— A impressionare non sono tanto le sue grida quanto la bava che gli cola dalle fauci — disse Miles. — La minoranza greca coglierebbe l'occasione per dichiarare l'autonomia…

— Oh, smettetela! — li implorò Gregor da dietro la maschera delle mani che s'era portato alla fronte.

— Scusa se ti secchiamo con le nostre preoccupazioni — lo pugnalò Elena. Ma quando lo vide abbassare le mani con aria stanca ammorbidì il tono. — Peccato che io non ti possa offrire un lavoro nella flotta. C'è sempre bisogno di ufficiali con alle spalle una buona accademia militare per addestrare le nuove leve.

— Un mercenario? — domandò Gregor. — Pensi che sarei utile?

— Oh, certo. Molti dei nostri vengono da forze armate regolari. C'è perfino chi non ne è stato buttato fuori.

Nelle fantasie che già riempivano agli occhi di Gregor si accese una luce divertita. Guardò le maniche grigie e bianche della sua giacca. — Ah, se solo qui al comando ci fossi tu, eh, Miles?

— No! E questo significa no! — esclamò lui con forza.

La luce si spense. — Stavo scherzando.

— Prego Dio che tu ne sia convinto — disse lui, pregando Dio che a Gregor non venisse in mente di ripeterglielo come un ordine. - Comunque, quello che ora faremo è cercare il console di Barrayar su Stazione Vervain. Sempre che il consolato sia ancora aperto… non ascolto un notiziario da non so quanti giorni. Cosa stanno facendo i vervani?

— Per quanto ne so, la temperatura politica è stazionaria — disse Elena. — Banchi di paranoia più densi sulle zone militari, piogge di accuse su quelle diplomatiche, e acque agitate nei cantieri navali. Vervain si sta dedicando alle navi da guerra, piuttosto che alle stazioni…

— È logico, dove c'è più di un corridoio di transito da sorvegliare — annuì Miles.

— Ma questo fa sì che Aslund guardi a Vervain come un potenziale aggressore. Nel parlamento aslundiano c'è una fazione che propende per colpire prima che la flotta da guerra di Vervain sia pronta. Fortunatamente finora hanno prevalso i moderati, che sanno come mungere dai fondi destinati alle spese difensive. Oser ha chiesto un prezzo altissimo per passare a una strategia d'attacco. Non è stupido: sa che Aslund non potrebbe pagarlo. Vervain ha assunto una flotta di mercenari da usare come tappabuchi in attesa di potenziare la sua… anzi è stato proprio questo a spingere gli aslundiani ad assoldare noi. Si chiamano Randall Rangers, anche se pare che questo Randall non esista più.

— Cercheremo di evitarli — promise fervidamente Miles.

— Ho sentito dire che il loro secondo ufficiale è un barrayarano. Potreste anche ottenere un aiuto, con un po' di abilità.

Gregor inarcò un sopracciglio, pensosamente. — Uno degli infiltrati di Illyan? Ne sarebbe capacissimo.

Era possibile che Ungari fosse andato a contattare costui? — Ci muoveremo con prudenza, in ogni caso — disse Miles.

— Sarebbe l'ora — borbottò Gregor.

— Il comandante dei Rangers, che si chiama Cavilo, ha un…

— Cosa? — gridò Miles.

Elena lo guardò stupita. — Cavilo, così si chiama. Nessuno sa se è un soprannome, un cognome o cos'altro. Perché?

— Cavilo è quello che ha cercato di farmi processare a pagamento, o meglio di far processare Victor Rotha, alla Stazione Confederata. Per ventimila dollari betani.

La ragazza sbatté le palpebre. — E perché?

— Il perché non lo so. — Miles ripensò alle tappe del loro viaggio: le stazioni di Pol, la Confederata, quella di Aslund… con Ungari diretto a Vervain. E l'attacco a Rotha era venuto da quella parte. — Dobbiamo evitare i vervani il più possibile. Scenderemo dalla nave, andremo dritti al consolato e poi resteremo chiusi in camera senza aprir bocca finché Illyan non manderà qualcuno per riportarci a casa. D'accordo?

— D'accordo — assentì passivamente Gregor.

Basta con quei giochetti da agente segreto. Con le sue astute manovre per poco non era riuscito a far ammazzare l'Imperatore. Miles decise che era tempo di mantenere con fermezza la più prudenziale linea di condotta.

— È strano… — disse Gregor a Elena. Alla nuova Elena, suppose Miles, da come la guardava. — Voglio dire, è strano pensare che tu hai ormai più esperienza bellica di me o di Miles.

— O di entrambi insieme — precisò seccamente lei. — Sì. Be'… in realtà il fatto di combattere è più… stupido di quel che avevo immaginato. Se due gruppi possono intendersi abbastanza da essere d'accordo sul fatto di affrontarsi con le armi in mano, perché non fare il piccolo sforzo di intendersi a un tavolo di trattative? Questo, lo ammetto, non è possibile in situazioni di guerriglia — continuò, in tono pensoso. — Nella guerriglia hai di fronte un nemico che non intende giocare il tuo stesso gioco. Questo è un motivo più comprensibile per combattere, almeno. Se il tuo nemico vuole battersi con mezzi da vigliacco, perché non dovrebbe essere completamente vigliacco? Ma per lui non è così semplice. Se lui è più debole, e se i mezzi con cui si batte sono i soli che ha, può darsi che il vero vigliacco non sia lui. Quel terzo contratto… se mai fossimo coinvolti in un'altra operazione anti-guerriglia, credo che mi metterei dalla parte dei guerriglieri.

— È difficile stabilire la pace fra due avversari ognuno dei quali sia vigliacco, e quindi spietato, a suo modo — rifletté Miles. — La guerra non è mai fine a se stessa, salvo che nelle rare circostanze in cui la disperazione annienta ogni via d'uscita fuorché quella per l'inferno. Entrambe le parti vogliono tornare alla pace. Una pace migliore di quella che c'era prima.

— Allora vince chi sa essere più spietato, e più a lungo? — ponderò Gregor.

— Non è… storicamente vero, credo. Se ciò che fai durante la guerra ti degrada al punto che la pace sarà peggiore di… — Rumori umani nella stiva fecero sussultare Miles a metà della frase, ma erano soìtanto Tung e Mayhew già di ritorno.

— Muoviamoci — li esortò Tung. — Se Arde non rispetta l'orario desterà dei sospetti.

Scesero nella stiva, dove Mayhew li attendeva accanto a un carrello da trasporto. Sul pianale c'era una cassa di legno larga poco più di un metro, vuota. — Il tuo amico può passare per un militare della nostra flotta — disse Tung a Miles. — Per te ho trovato una comoda cassa. Sarebbe più classico portarti a bordo arrotolato in un tappeto, ma visto che sei un uomo dubito che il capitano del mercantile apprezzerebbe il riferimento storico.

Miles esaminò la cassa senza entusiasmo. Sembrava che non ci fossero fori d'areazione. — Di che mercantile si tratta?

— Abbiamo certi arrangiamenti particolari per far entrare e uscire in segreto i nostri agenti. Tempo fa ci siamo accordati col capitano di una nave da carico, che ne è anche il proprietario… è di Vervain, ma ha già fatto tre volte questo servizio per noi. Vi porterà fino a Stazione Vervain e provvederà a farvi passare oltre la dogana. Poi dovrete cavarvela coi vostri mezzi.

— Fino a che punto funzionano bene questi vostri arrangiamenti particolari? — si preoccupò Miles.

— Non bene quanto vorrei, tutto considerato — ammise Tung. — Lui sa solo che siete Mercenari Oserani, e poiché viene pagato bene terrà la bocca chiusa. Sarà difficile che qualcuno gli faccia domande, al suo ritorno qui, comunque lui conosce soltanto me e potrà mettere nei guai soltanto me. Elena e Arde non si faranno vedere.

— Ti sono grato — disse a bassa voce Miles.

Tung annuì, poi ebbe un sospiro. — Se solo tu fossi rimasto con noi… che mercenario avrei potuto fare di te, in questi quattro anni!

— Se lei dovesse trovarsi senza lavoro per averci aiutato — disse Gregor, — Elena saprà come metterla in contatto.

Tung sogghignò. — In contatto con cosa?

— Meglio non parlarne, ora — disse Elena, aiutando Miles a entrare coi piedi nella cassa.

— D'accordo — borbottò Tung. — Ma… be', lasciamo perdere.

Miles si trovò faccia a faccia con Elena, per l'ultima volta da lì a… a quando? La giovane donna lo abbracciò, ma come una sorella, e salutò Gregor con lo stesso abbraccio. — Di' a tua madre che le voglio bene — raccomandò a Miles. — Penso spesso a lei.

— Certo. Uh… salutami Baz. Digli che ha agito nel modo migliore. Per me viene prima di tutto la tua sicurezza, la tua e la sua. I Dendariinon sono… non sono… — Ma gli fu impossibile dire che non erano importanti, che erano stati soltanto un sogno ingenuo per lui, o un'illusione, anche se questo non era lontano dalla verità. — Non sono tutto — finì, in fretta.

Lo sguardo che lei gli rivolse fu freddo, aspro, indecifrabile. No… fin troppo decifrabile, fu costretto a dirsi. «Idiota», o una parola ancor più forte con la stessa motivazione. Sedette nella cassa, abbassò la testa sulle ginocchia e attese che Mayhew chiudesse il coperchio, sentendosi come un animale di scarso valore in procinto d'essere trasportato allo zoo.


Il trasferimento avvenne senza problemi. Miles e Gregor si trovarono installati in una piccola ma decente cabina che in origine era stata un ripostiglio per gli attrezzi, a lato della stiva. La nave mercantile si staccò dal molo, lasciandosi alle spalle la Stazione Aslund e il pericolo che essa rappresentava, circa tre ore dopo il loro arrivo a bordo. Non ci furono interventi da parte dei mercenari di Oser né della polizia doganale, neppure via radio. Tung, riconobbe Miles, sapeva fare le cose a dovere.

Con suo immenso sollievo scoprì che poteva godersi tranquillamente una doccia, mangiare pasti decenti, far lavare e stirare i suoi indumenti, e dormire quanto voleva e in tutta sicurezza. Il ridotto equipaggio sembrava allergico a quella zona dello scafo, e lui e Gregor furono lasciati soli. In pace per tre giorni, mentre attraversavano di nuovo il Mozzo Hegen a media velocità, senza uscire mai dallo spazio normale. Prossima tappa, il consolato di Barrayar su Stazione Vervain.

Oh, Dio, appena arrivati là gli sarebbe toccato fare un rapporto scritto su ogni sua mossa. Confessioni e giustificazioni nello stile burocratico preteso dalla Sicurezza Imperiale (conciso, ma senza tralasciare un solo particolare, a giudicare dagli esempi che aveva letto). Ungari, reduce da quelle stesse esperienze, avrebbe prodotto colonne di numeri e di nomi già pronti per essere analizzati in sei diversi modi. Lui cos'aveva contato ed elencato? Niente. Mi hanno portato dentro in una cassa. Aveva poco da offrire, salvo le vaghe impressioni basate sugli sguardi che aveva gettato qua e là, con le budella contratte dalla tensione, in posti dove il suo unico interesse era quello di andarsene alla svelta. Forse avrebbe potuto centrare il suo rapporto sulla situazione politica generale… o no? L'opinione di un alfiere. Chissà come ne sarebbero rimasti impressionati gli alti comandi.

Comunque qual era la sua opinione, al momento? Be', Pol non sembrava essere all'origine dei guai del Mozzo Hegen; i polani non stavano agendo, ma reagendo. I confederati erano supremamente disinteressati alle avventure militari, dato che l'unico pianeta di cui avrebbero potuto impossessarsi senza rischiare di uscire dalle spese previste era Aslund, e non era facile trarre profitti da un pianeta a malapena terraformato e sostanzialmente agricolo. Aslund era abbastanza paranoico da rivelarsi pericoloso, ma militarmente tutt'altro che preparato, e difeso da una flotta mercenaria che aspettava solo una scintilla per esplodere in almeno due fazioni avverse. Non poteva rappresentare una minaccia grave o durevole per nessuno. L'attività, l'energia per destabilizzare la situazione politica, poteva dunque venire soltanto da Vervain… o da un'altra direzione ma attraverso Vervain. Come si poteva scoprire chi… no. Lui aveva giurato di farla finita con quei giochetti. Vervain era un problema di qualcun altro.

Miles si chiese se Gregor non potesse dargli l'Esenzione Imperiale dalla necessità di scrivere un rapporto, e se Illyan l'avrebbe accettata. Probabilmente no.

Gregor era molto tranquillo. Disteso sulla sua cuccetta con le mani dietro la nuca, Miles sorrise nel guardare il giovane Imperatore che — con un certo rammarico, gli parve — si levava l'uniforme da mercenario per sostituirla con gli abiti civili avuti in regalo da Arde Mayhew. I pantaloni spiegazzati, la camicia e la blusa erano un po' troppo corti e larghi per la struttura snella di Gregor. Così vestito aveva l'aria di un disoccupato appena uscito da un centro di assistenza per gli indigenti.

Gregor notò il suo sorrisetto, ma non se la prese. — Sai una cosa? — disse. — Nei panni dell'ammiraglio Naismith mi facevi uno strano effetto. Come una persona del tutto diversa.

Miles si girò su un gomito e scrollò le spalle. — Suppongo che Naismith sia me stesso senza i supporti ortopedici. Nessun impaccio, nessun legame. Lui non deve essere un bravo piccolo Vor, né un alfiere ubbidiente. Non ha problemi coi superiori, perché non è subordinato a nessuno.

— L'ho notato. — Gregor piegò l'uniforme bianca e grigia con cura, nel modo barrayarano. — Non hai mai rimpianto di aver lasciato i Dendarii?

— Sì… no… non lo so. — Profondamente. Essere al comando aveva avuto il suo fascino. Ed era stato come una catena fra lui e gli altri. Una volta spezzata non spariva del tutto; restava addosso in parte, penzoloni. — Tu non rimpiangi il tuo contratto di lavoro su quella stazione, no?

— Be'… non era il meglio che avrei potuto desiderare. Ma è stato strano dover lottare per non essere buttato nello spazio. Dei completi sconosciuti che volevano uccidermi senza neppure sapere chi ero. Voglio dire, se degli sconosciuti cercassero di uccidere l'Imperatore di Barrayar, potrei capirlo. Questo fatto, invece… credo che dovrò pensarci sopra.

Miles si concesse un breve sogghigno. — È come essere amato per te stesso, invece che per i tuoi soldi. Solo, al contrario.

Gregor gli diede un'occhiata penetrante. — È stato strano anche rivedere Elena. La nobile e rispettosa figlia di Bothari… è cambiata.

— Era quello che speravo per lei — disse Miles.

— Sembra piuttosto attaccata al suo marito-disertore.

— Già — rispose seccamente lui.

— Anche questo avevi sperato per lei?

— Non sono stato io a deciderlo. È accaduto… inevitabilmente, visto il suo carattere così rigido. Avrei dovuto prevederlo. Ma visto che il suo concetto di lealtà ha appena salvato le nostre vite, non ho il diritto di… lamentarmene, no?

Gregor inarcò un sopracciglio, con aperto sarcasmo. Miles sbuffò, irritato. — In ogni modo, io le auguro ogni bene. Oser sembra ormai capace di tutto. Credo che lei e Baz siano protetti soltanto dai fedeli di Tung, che probabilmente diminuiscono sempre più.

— Mi ha sorpreso che tu abbia rifiutato l'offerta di Tung — disse Gregor. — Ammiraglio all'istante. Avresti potuto evitare tutti i noiosi decenni di servizio che occorrono su Barrayar.

— L'offerta di Tung? — Miles scosse il capo. — Ma non l'hai sentito? Credevo che avessi detto di aver visto le conferenze di mio padre sul potere. Tung non mi ha offerto il comando: mi ha offerto una battaglia, e con molto meno di cinquanta possibilità su cento di uscirne bene. Lui cercava un alleato, una bandiera, un motore per il suo veicolo, non un capo.

— Ah. Mmh. — Gregor si sdraiò sulla sua cuccetta. — Forse. Ma mi chiedo se tu avresti scelto questa prudenziale ritirata, se io non fossi stato con te. — Lo fissò a occhi socchiusi, intensamente.

Miles si perse in alcune ipotesi. Un'interpretazione piuttosto liberale dell'ordine di Illyan «Usi l'alfiere Vorkosigan per togliere di scena i Mercenari Dendarii» avrebbe forse potuto perfino autorizzare un eventuale… no. No. — Escludilo pure. Se non mi fossi imbattuto nella tua persona, sarei in viaggio per Escobar con la scorta del sergente Keller. E tu, suppongo, saresti ad avvitare lampadine e pannelli, felice inquilino del Cubicolo 8, Modulo B. — A patto, ovviamente, che il misterioso Cavilo (comandante dei Randall Rangers?) non fosse riuscito a comprargli una condanna a vita per omicidio dal tribunale della Stazione Confederata.

E dove poteva esser finito il sergente Keller? Aveva fatto rapporto sull'accaduto al Quartier Generale? Era riuscito a contattare Ungari? Stava cercando di seguire le sue tracce? Oppure Cavilo aveva deciso di spendere un piccolo extra per pagargli un soggiorno nel carcere dei confederati? Ma speculare sugli interrogativi serviva a poco.

— Ormai ne siamo fuori — disse Miles a Gregor.

Lui si sfregò il segno violaceo che gli era rimasto sul volto pallido, ricordo del suo incontro con uno sfollagente-storditore. — Già, probabilmente. Ma stavo diventando piuttosto svelto ad avvitare lampadine, comunque.


Ci siamo, finalmente, sospirò fra sé Miles, mentre lui e Gregor seguivano il capitano del mercantile nel tubolare collegato al molo della Stazione Vervain. Be', non ancora, forse. Il capitano era un po' teso, garbato ma chiaramente nervoso. Tuttavia, se aveva già dato un passaggio ad altri tre agenti segreti prima di loro, ormai doveva sapere come procedere.

La lunga distesa dei moli con la sua luce cruda era la stessa echeggiante caverna di ogni stazione, coi pavimenti strutturati a griglia per i sensori dei robot, più che per i piedi umani. Ma in quel momento non si vedevano uomini in giro, e anche le macchine tacevano nell'immobilità. Qualcuno, suppose Miles, s'era preso il disturbo di sgombrare la strada per loro, anche se lui avrebbe scelto di attraversare la zona nel più indaffarato periodo di carico e scarico.

Gli occhi del capitano saettavano da un angolo all'altro. Miles non poteva fare a meno di seguire i suoi sguardi. Girarono a destra e si fermarono dietro un deposito della dogana merci.

— Aspetteremo qui — disse il capitano. — Sarete prelevati da alcuni uomini che vi scorteranno ai piani superiori della stazione. — Si appoggiò a un angolo del magazzino e per alcuni minuti non fece che battere ritmicamente un tacco contro la plastica scolorita della parete. D'un tratto si volse verso lo sbocco di un corridoio.

Rumore di passi. Cinque o sei uomini apparvero all'incrocio, e nel vederli Miles s'irrigidì. Uomini armati, preceduti da un ufficiale o un caposquadra, ma quelle che indossavano — tute militari color cachi, a mezze maniche, con una quantità di mostrine ed etichette azzurre e bassi stivaletti neri — non erano le uniformi della polizia di Vervain né delle forze armate. E impugnavano storditori di grosso calibro, accesi e pronti all'uso. Ma se marciano come una squadra di poliziotti, e si comportano come se qui fossero i padroni, e hanno tutta l'aria di…

— Miles — mormorò Gregor, colpito dagli stessi dubbi, — credi che sia la gente chiamata da quest'uomo? — Alcuni stavano sollevando le armi. E le puntavano nella loro direzione.

— È una cosa che ha già fatto tre volte — lo rassicurò lui, poco convinto. — Perché dovrebbe andar male proprio con noi?

Il capitano del mercantile ebbe un sorrisetto storto e si allontanò dal muro, scostandosi dalla linea di tiro. — Le prime due volte è andato tutto liscio — disse. — La terza volta mi hanno preso.

Le mani di Miles furono scosse da un tremito. Le tenne bene in vista, stringendo i denti per non imprecare selvaggiamente contro l'individuo. Gregor alzò le braccia senza una parola, pallido e del tutto inespressivo. Le rigide regole della sua vita, una vita che non gli era mai appartenuta completamente, avevano inculcato in lui un autocontrollo invidiabile.

Tung era stato certo di aver organizzato la cosa alla perfezione. Possibile che l'avesse saputo? Possibile che li avesse venduti? No, non riesco a crederci. - Tung ha detto che potevamo fidarci di lei — disse Miles al capitano.

— Chi è Tung per me? — sbottò lui. — Io ho famiglia, ragazzo.

Tenendoli sotto la minaccia degli storditori (Dio, ancora gli scagnozzi di qualcuno!) due uomini fecero voltare Miles e Gregor con le mani poggiate alla parete e li perquisirono, liberandoli dalle armi e dai diversi documenti presi agli Oserani. L'ufficiale esaminò le carte d'identità. — Sì, sono uomini di Oser. Benissimo. — Accese il comunicatore da polso. — Li abbiamo presi.

— Restate dove siete — rispose una voce sottile. — Cavilo sta scendendo con una squadra.

Randall Rangers, dunque. Ecco a chi appartenevano quelle uniformi sconosciute. Ma perché non c'erano vervani nei dintorni? — Mi scusi — disse Miles in tono pacato, — ma posso domandarle se per caso ci avete scambiato per agenti di Aslund? Credo che ci sia stato un malinteso.

L'ufficiale abbassò lo sguardo su di lui e sbuffò.

— Mi chiedo se non sia tempo di rivelare la nostra vera identità — sussurrò Gregor.

— Interessante dilemma — annuì Miles. — Ma meglio aspettare finché sapremo se costoro fucilano le spie.

Ci fu il tonfo della porta di un elevatore, e poi un rapido ticchettio di passi. L'ufficiale e i suoi uomini scattarono sull'attenti mentre i nuovi venuti giravano l'angolo del corridoio. Anche Gregor rizzò le spalle e fece sbattere i tacchi, assumendo una posa che i vecchi indumenti di Arde Mayhew resero incongrua. Ma l'atteggiamento di Miles fu molto meno militaresco, perché lo stupore improvviso l'aveva paralizzato. Sbatté le palpebre, incredulo.

Alta un metro e cinquanta, con una decina di centimetri in più grazie ai tacchi degli eleganti stivaletti neri. Un casco di capelli biondo-platino stretti intorno alla bella testa come i petali di una margherita chiusa. Un'uniforme nera e ocra che nel suo aderente fluire su ogni movimento parlava un linguaggio più espressivo di qualsiasi parola. Livia Nu.

— Signora. — L'ufficiale la salutò. — Questi sono i clandestini, comandante Cavilo.

— Molto bene, tenente. — I suoi occhi turchini, prendendo visione di Miles, si spalancarono un istante. Sorpresa che fu subito mascherata. — Oh, cielo! Il caro Victor. — La sua voce divenne una colata di melassa, ironica ed esageratamente deliziata, — Ma che piacere incontrarla qui, Victor. Ancora in giro alla ricerca di fortunati a cui proporre le sue tute miracolose?

Miles allargò le mani vuote. — Oggi il mio bagaglio è tutto qui, signora. Avrebbe dovuto comprare quando ne aveva l'occasione.

— Non sono stata la sola a rifiutare un'occasione. Ricorda? — Il suo sorrisetto era distaccato, speculativo. Miles notò il breve lampo dei suoi occhi a quella battuta e deglutì, a disagio. Gregor li osservava senza capire, ammutolito e stupefatto.

Così il tuo nome non è Livia Nu, e non sei un agente di commercio. Allora, perché diavolo il comandante dei mercenari assoldati da Vervain s'era incontrato in incognito, su una stazione di Pol, con il plenipotenziario della House Fell del Gruppo Jackson? Quello non era soltanto commercio d'armi, dolcezza.

Cavilo/Livia Nu accostò alle labbra di corallo il comunicatore da polso. — Mano di Kurin? Passami l'infermeria. Qui Cavilo. Sto per mandarvi un paio di prigionieri per il trattamento chimico. Forse assisterò all'interrogatorio di persona. Chiudo. — Riabbassò il braccio.

Il capitano del mercantile si fece avanti, con aria fra spaurita e combattiva. — Mia moglie e mio figlio. Ora dimostratemi che sono ancora vivi.

Lei lo considerò pensosamente. — Lei potrebbe servirci per un altro viaggio, si. D'accordo. — Fece un cenno a uno degli uomini. — Accompagnalo sulla Kurin, in sala controllo, e lasciagli dare uno sguardo al monitor. Poi riportalo da me. Lei è un traditore fortunato, capitano. Ho un altro lavoro, grazie a cui potrà avere qualcosa per i suoi familiari…

— La libertà? — domandò l'uomo.

Cavilo si accigliò, seccata. — Perché dovrei aumentarle il salario? Avranno un'altra settimana di vita.

Lui strinse i pugni e parve sul punto di dire qualcosa; poi tacque, prudentemente, e si allontanò insieme al mercenario.

Che diavolo stanno organizzando, qui? si chiese Miles. Non sapeva molto di Vervain, ma era certo che neppure sotto la legge marziale un governo poteva spingersi al punto di tenere in ostaggio degli innocenti per garantirsi i servizi di un traditore.

Quando il capitano fu scomparso, Cavilo accese di nuovo il comunicatore. — Mano di Kurin? Passami il capo della sicurezza. Ah, qui Cavilo. Ti sto mandando il mio recalcitrante doppiogiochista. Mandagli su un monitor la registrazione fatta la settimana scorsa nella Cella Sei. Non fargli capire che non è in diretta, d'accordo? Chiudo.

Allora i familiari dell'uomo erano liberi? Li avevano portati altrove? Erano già stati uccisi? Miles si chiese in che situazione fosse andato a cacciarsi.

Altri stivali percossero la pavimentazione del corridoio, pesanti e militareschi. Cavilo stava sorridendo aspramente, ma la sua espressione si raddolcì quando si volse a salutare il massiccio individuo appena apparso.

— Stanis, caro. Guarda chi è rimasto nella nostra rete, stavolta. È quel piccolo rinnegato betano che smerciava armi di contrabbando su Pol Sei. Sembra che non lavori soltanto per sé, dopotutto.

L'uniforme nera e ocra dei Rangers faceva un bell'effetto anche addosso al generale Metzov, dovette riconoscere Miles. Ora sarebbe stato il momento di roteare gli occhi e cadere svenuto, se non fosse già stato immunizzato contro le sorprese di Stazione Vervain.

Il generale Metzov non era rimasto meno sbalordito, ma quella che si accese nei suoi occhi grigio-acciaio fu una scintilla di gioia satanica. — Questo signore non è un betano, Cavy.

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