CAPITOLO SEDICESIMO

Sul monitor di una telecamera interna Miles assisté all'ingresso del primo Randall Ranger, in scafandro spaziale, nel compartimento stagno della Ariel collegato alla navetta. L'uomo fu seguito subito da altri quattro, che studiarono con circospezione il corridoio al di là di esso, completamente deserto e chiuso all'estremità opposta da un portello anti-esplosione. Nessun nemico, nessun pericolo, nessuna arma automatica puntata su di loro: soltanto un lungo locale vuoto e silenzioso. Perplessi, i Rangers si schierarono in formazione difensiva ai lati del portello.

Gregor uscì dal tubolare di collegamento. Miles non fu sorpreso nel vedere che Cavilo non aveva fatto indossare all'Imperatore lo scafandro da combattimento. Indossava una semplice uniforme dei Rangers, ben stirata e priva di gradi, e la sua unica protezione era un paio di stivali militari. Anche quelli gli sarebbero serviti a poco, se uno dei cinque mostri in armatura spaziale rinforzata gli avesse calpestato un piede. Gli scafandri da combattimento erano equipaggiamenti sofisticati e costosi, a prova di storditori e distruttori neuronici, isolati contro gli aggressivi chimici e batteriologici, resistenti (fino a un certo punto) ai raggi al plasma e alla radioattività, ben forniti di armi, servomeccanismi di movimento e computer telemetrici. Più che adatti per operazioni di abbordaggio. In realtà Miles, una volta, era riuscito a catturare la stessa Ariel con pochi compagni privi di protezioni fisiche e armati in modo assai meno formidabile. Ma per l'occasione aveva avuto dalla sua parte il fattore sorpresa.

Cavilo entrò subito dopo Gregor. La bionda indossava uno scafandro identico agli altri, anche se in quel momento portava il casco sottobraccio come una grossa testa mozzata dal corpo. Gettò un'occhiata al corridoio vuoto e si accigliò. — E va bene. Dov'è il trucco? — domandò ad alta voce.

Per rispondere alla tua domanda… Miles premette il pulsante di una scatola di controlli a distanza.

Un'esplosione soffocata mandò un lampo di luce nel corridoio. Il tubolare flessibile unito alla navetta si staccò con violenza. I portelli automatici, captando un calo nella pressione dell'aria, si chiusero all'istante. Soltanto pochi litri d'aria erano sfuggiti nello spazio. Apparecchiature efficienti. Miles le aveva fatte ricontrollare dai tecnici di bordo, quando avevano applicato le mine direzionali alle flange d'attracco fuori dallo scafo. Miles osservò i monitor. La navetta da guerra di Cavilo si stava allontanando dal fianco della Ariel, con tutti i sensori e gli apparati elettronici momentaneamente «accecati» dalla stessa esplosione che l'aveva respinta. Le armi di bordo sarebbero rimaste fuori uso finché il pilota, freneticamente impegnato con le sue inservibili consolle di manovra, ne avesse ripreso il controllo. Se ci fosse riuscito.

Miles accese l'intercom portatile e chiamò la plancia della Ariel. - Tienilo d'occhio, Bel. Non voglio che pensi di poterci dare dei problemi — disse a Thorne.

— Posso spazzarlo via con una bordata, se vuoi.

— No, aspettiamo. C'è ancora tempo prima di vedere come si metteranno le cose, quaggiù. — E che Dio ci aiuti.

Cavilo si stava infilando il casco, ora, circondata dagli uomini che brandivano le armi. Canne puntate, avide di vomitare la morte, e niente su cui sparare. Diamo loro un momento per calmarsi i nervi, il tempo necessario perché non comincino a sparare di riflesso, ma non abbastanza da poter pensare…

Miles si volse a guardare i sei uomini che aveva con sé, chiusi nei loro scafandri da combattimento, e infilò il casco anche lui. Non che il numero fosse determinante. Un selvaggio nudo e armato di clava poteva fermare un intero esercito, se fra le sue mani c'era un ostaggio inerme. Ridurre la situazione a termini quantitativi più modesti, rifletté Miles con rammarico, non faceva una differenza qualitativa. Avrebbe potuto visualizzarla in entrambi i modi. Ma un elemento a suo favore c'era: il cannone a plasma che aveva fatto piazzare nel corridoio. Fece un cenno col capo a Elena, che s'era messa alla manovra della grossa arma. Non era consigliabile usarla in luoghi chiusi e ristretti, anche se avrebbe potuto distruggere uno scafandro corazzato e aprire un foro largo un metro nella paratia d'acciaio dietro di esso… se avesse sparato. Ma non era questa l'eventualità prevista. Miles calcolava che gettandosi avanti avrebbero potuto uccidere almeno uno dei cinque uomini di Cavilo, prima di trovarsi a combattere faccia a faccia, o meglio guanto a guanto.

— Ora apro — avvertì, via radio. — Ognuno ricordi le sue istruzioni. — Premette un altro pulsante sulla scatola di comandi che aveva in mano. Il portello anti-esplosione fra il suo gruppo e quello di Cavilo cominciò ad aprirsi lentamente. Centimetro per centimetro, non all'improvviso, a un ritmo calcolato per ispirare timore senza far scattare il panico.

La sua radio era sintonizzata su tutte le lunghezze d'onda e con l'altoparlante esterno al massimo volume. Al piano di Miles era essenziale che fosse lui ad avere la prima parola.

— Cavilo! — gridò. — Spegnete le armi e non un gesto, o farò esplodere in atomi Gregor Vorbarra!

Il linguaggio corporale era una strana cosa; sorprendente quanto poteva esprimere anche attraverso la lucida superficie corazzata di uno scafandro spaziale. La più piccola delle figure in armatura restò con le mani sollevate a mezzo, sbalordita. Senza dir niente e, per alcuni preziosi secondi, senza reagire. Parlando sul loro canale lui le aveva rubato la parola. E adesso, bellezza, cosa rispondi a questo? Era un bluff giocato sul filo del rasoio. Miles aveva dato per certo che il problema dell'ostaggio fosse insolubile; di conseguenza l'unica speranza era di far credere a Cavilo che quello fosse un suo problema.

Be', con la parte «non un gesto» del suo ordine aveva ottenuto qualcosa, per intanto. Ma non osava permettere che quella situazione di stallo durasse troppo. — Giù le armi, Cavilo! Basta solo il fremito di un dito nervoso per trasformarti da fidanzata imperiale in fidanzata di una nuvola d'atomi, prima che io faccia sposare quegli atomi coi tuoi. E ora mi stai rendendo molto nervoso!

— Avevi detto che di lui c'era da fidarsi — sibilò Cavilo a Gregor.

— Forse ha smesso del tutto di prendere i suoi tranquillanti — rispose lui, respirando affannosamente. — No, ascoltami… non oserà. Sta bluffando. Ora te lo dimostro: chiamerò il suo bluff.

Con le mani allargate e bene in vista Gregor s'incamminò dritto verso il cannone a plasma. Dietro il cristallo del suo casco gli occhi di Miles si spalancarono sorpresi. Gregor. Gregor… oh, Gregor!

L'Imperatore tenne lo sguardo fisso sul visore di Elena. I passi con cui avanzava restarono fermi e decisi, e si fermò soltanto quando il suo addome fu a contatto della bocca del cannone a plasma. Il gesto di sfida era stato drammatico, e drammatico fu il momento d'immobilità che Gregor offrì a tutti. Miles ne fu così ammirato che soltanto allora il suo dito si mosse di pochi centimetri, premendo il pulsante che fece chiudere il portello anti-esplosione.

Il meccanismo non era programmato per un ritorno lento come l'apertura: si chiuse con un tonfo violento, più veloce dello sguardo. Dall'altra parte si udirono alcuni rumori, il sibilo del plasma e grida sulla frequenza radio dei Rangers. Cavilo urlò un ordine appena in tempo per impedire a uno dei suoi di sparare a una mina applicata al muro del corridoio dov'erano rinchiusi. Poi, il silenzio.

Miles abbassò il fucile a plasma e si tolse il casco. — Possente Iddio, non mi aspettavo questo. Gregor, sei stato geniale.

Lui alzò una mano e con gesto accurato spinse da parte la canna del cannone a plasma.

— Non preoccuparti — disse Miles. — Nessuna delle nostre armi è carica. Non volevo rischiare incidenti.

— Avrei giurato che le cose stavano così — mormorò Gregor. Gettò uno sguardo al portello chiuso dietro di lui. — Cos'avresti fatto se io fossi rimasto lì a dormire in piedi?

— Una chiacchierata. Avrei proposto qualche compromesso. Avevo due o tre espedienti… sulla destra di quel corridoio c'è una squadra pronta con le armi cariche. Se la tua cara fidanzata non avesse ceduto ero perfino preparato ad arrendermi.

— Proprio come temevo — annuì Gregor.

Da oltre il portello provennero alcuni rumori.

— Elena, a te il comando — disse Miles. — Pensaci tu. Se possibile prendi Cavilo viva, ma non voglio che uno solo dei Dendarii si giochi la pelle nel tentativo. Niente rischi. E non fidarti di una sola delle sue parole.

— Afferro il concetto. — Elena li salutò con un gesto e si occupò dei suoi uomini, che stavano caricando le armi. Poi si mise in contatto radio con l'ufficiale al comando dell'altra squadra, e con la plancia per farsi riferire da Thorne la situazione all'esterno della Ariel.

Miles accompagnò subito Gregor in fondo al corridoio, per farlo allontanare il più possibile dalla zona dove la parola stava per passare alle armi. — Andiamo in sala tattica. Devo aggiornarti. E ci sono alcune decisioni che tu dovrai prendere.

Entrarono in un ascensore. Miles sospirava di sollievo per ogni metro in più che stava mettendo fra Gregor e Cavilo.

— La mia più grossa preoccupazione, fino al momento in cui ho potuto parlarti — disse, — era che Cavilo fosse davvero riuscita a ottenebrarti il cervello come si vantava. Era impossibile che il suo piano funzionasse, se non grazie a te. E in questo caso non so proprio cos'avrei potuto fare, se non darti l'indirizzo del migliore psichiatra di Barrayar. Sempre che ne fossi uscito vivo. Non sapevo quanto tu ci avresti messo a leggerle nella testa.

— Oh, quella era un libro aperto fin dall'inizio. — Gregor scrollò le spalle. — Cavilo mi accarezzava con lo stesso dolce sorriso di Lord Vordrozda, e di un'altra dozzina di cannibali dello stesso genere. Ormai il mio radar individua i cacciatori di potere anche su distanze interstellari.

— Appena potrò togliermi lo scafandro m'inchinerò a un maestro della strategia — disse Miles. — Be', allora avresti potuto salvarti da solo. Lei ti avrebbe portato dritto fino a casa.

— Sarebbe stato facile — annuì lui, accigliato. — Non avrei dovuto far altro che comportarmi come un serpente viscido, privo del senso dell'onore. — Nello sguardo di Gregor, notò Miles, c'era un'ombra che sembrava la completa assenza di ogni emozione.

— Non credo che tu potresti raggirare una donna onesta — disse, incerto. — Cos'avresti fatto, se ti avesse riportato in patria?

— Dipende. — Gregor evitò i suoi occhi. — Visto che ha complottato per assassinarti, suppongo che l'avrei fatta impiccare. — Uscendo dall'ascensore si volse a guardarlo. — Così è meglio, però. Forse… forse c'è il modo di darle l'occasione di redimersi.

Miles sbatté le palpebre. — Io ci andrei molto cauto prima di dare a Cavilo qualunque genere e specie di occasione, se fossi in te. Credi che la meriti? Ti rendi conto di quanta gente ha tradito e di quanto sangue c'è sulle sue mani?

— Più o meno. Però…

— Però cosa?

La voce di Gregor fu quasi inudibile quando mormorò: — Vorrei che fosse stata sincera, in tutto questo.


— … di conseguenza, quando si sono resi conto che Cavilo non aveva preparato loro la strada con l'incursione preliminare ai danni dei vervani, hanno deciso di tentare ugualmente un'azione di forza. Questa è l'attuale situazione strategica nel Mozzo e nello spazio territoriale di Vervain, per quanto posso stabilire con i dati di cui dispongo — concluse Miles, distogliendo lo sguardo dallo schermo su cui l'aveva illustrata a Gregor. Avevano la sala riunioni della Ariel tutta per loro. Arde Mayhew era di guardia in corridoio. Poco prima Elena aveva riferito che tutti gli elementi ostili saliti a bordo erano stati catturati senza troppi danni. Miles aveva interrotto il suo resoconto solo per togliersi lo scafandro da combattimento, che era stato subito rimandato alla mercenaria da cui se l'era fatto prestare, la stessa che gli aveva fornito gli stivali e che forse cominciava ad averne abbastanza di lui.

Congelò l'immagine sull'olovisore al centro del tavolo. Gli sarebbe piaciuto poter premere un pulsante e congelare allo stesso modo gli eventi in essa rappresentati, per fermare la loro terribile corsa verso quella che poteva essere soltanto una tragedia. — Avrai notato che la nostra falla più evidente resta l'assenza di informazioni precise sulle forze cetagandane. Spero che il servizio segreto dei vervani, e forse anche i Randall Rangers, possano darmi qualcosa di utile, se riusciremo a tirarli dalla nostra parte.

«Ora, Altezza Imperiale, la decisione spetta a lei. Combattere o non combattere? Io posso separare la Ariel dal resto della Flotta e rimandarti a casa anche subito, senza che questo influisca troppo sulla battaglia che senza dubbio ci sarà al corridoio di transito. A determinare le nostre possibilità non sarà la velocità di manovra, ma la pura e semplice potenza di fuoco. Ed è quello che farebbero mio padre o Illyan, se fossero qui, lo sai.

— No. — Gregor s'irrigidì. — Comunque loro non sono qui.

— Vero. In alternativa, se esaminiamo la soluzione opposta, te la sentiresti di essere il comandante in capo di una faccenda sporca e sanguinosa? Comandante di fatto, oltreché di nome?

Gregor ebbe un sorrisetto. — Che tentazione. Ma non credi che ci sia una certa… folle arroganza nel prendere il comando senza aver fatto apprendistato sul campo di battaglia?

Miles sentì una vampa di rossore. — Io… mmh… sono alle prese con lo stesso dilemma. Tu però hai una soluzione: si chiama Ky Tung. Parleremo con lui più tardi, quando ci trasferiremo sulla Triumph. - Fece una pausa. — C'è un paio di altre cose che dovresti fare per noi. Se credi. Cose di una certa importanza.

Gregor si grattò il mento, scrutando Miles come se stessero giocando a mini-tattica. — Scopra le sue intenzioni, Lord Vorkosigan.

— Legittimare i Dendarii. Presentarli ai vervani come Flotta ufficialmente al servizio di Barrayar. Io susciterei dubbi. La tua parola è legge. Potresti concludere un vero trattato di alleanza difensiva fra Vervain e Barrayar… e anche Aslund, se riuscissimo ad averlo. Il tuo principale valore è, mi spiace dirtelo, non militare ma diplomatico. Fermati a Stazione Vervain e tratta con quella gente. E intendo dire contratta.

— Al sicuro dietro le linee — notò seccamente Gregor.

— Soltanto se noi vincessimo, sul nostro lato del corridoio di transito. Se fossimo sconfitti, il fronte arriverà fino a te.

— Vorrei essere un soldato e basta. Un semplice tenente, con una sola squadra di uomini a cui pensare.

— Moralmente non c'è alcuna differenza fra mandarne alla morte uno o diecimila, stanne certo. Sarai dannato allo stesso modo.

— Sì, ma vorrei andare in battaglia. Probabilmente è l'unica occasione che avrò mai di correre i miei rischi sul serio.

— E il rischio che corri ogni giorno, quello d'essere ucciso in un attentato, non è un brivido sufficiente per te? Capisco.

— Parlo di rischio attivo, non passivo. In servizio.

— Se dal tuo punto di vista il servizio migliore che puoi rendere alla gente che combatte è di rischiare la tua vita qui, col grado di tenente, ti faccio subito portare un'uniforme.

— Ouch! — mormorò Gregor. — Riesci a rivoltare ogni cosa che dico contro di me, come un coltello, vero? — Fece una pausa. — Trattati militari, eh?

— Sempreché Sua Altezza li trovi abbastanza rischiosi, Maestà.

— Oh, piantala — sospirò Gregor. — Io reciterò la parte che mi è stata assegnata. Come sempre.

— Grazie. — Per un attimo Miles fu tentato di chiedergli scusa, di ammorbidire quelle parole, poi ci ripensò. — L'altro nostro jolly sono i Randall Rangers. Che in questo momento, se posso permettermi una solida ipotesi, sono in pieno caos. Metzov è scomparso, l'attacco in superficie non è avvenuto, la loro comandante ha disertato la scena dell'azione… a proposito, com'è riuscita a convincere i vervani a lasciarla allontanare?

— Ha detto loro che veniva a conferire con te, facendo credere che ti consideravi davvero al suo servizio. Penso che contasse su un rapido arrivo delle forze cetagandane, per farsi inseguire fino a Pol. Ma a quanto pare gli invasori non sono ancora riusciti a raggiungere il corridoio di transito Vervain-Mozzo.

— La loro avanguardia ha compiuto il balzo Cetaganda-Vervain, ma sta attaccando i cantieri orbitali. O almeno credo. — Miles annuì fra sé. — Mmh. Cavilo potrebbe averci spianato la strada. Ha negato d'essere in qualche modo coinvolta coi cetagandani?

— Non credo che i vervani abbiano capito che i Rangers dovevano aprire la strada agli invasori. Quando siamo partiti da Stazione Vervain sapevano che i Rangers non avevano neppure cominciato a difendere l'uscita del corridoio di transito Cetaganda-Vervain, ma lo attribuivano a incompetenza.

— Probabilmente con abbondanti prove al riguardo. Ma dubito che la maggior parte dei Rangers sapesse del tradimento, o non sarebbe rimasto a lungo un segreto. E quelli di loro che lavoravano per i cetagandani sono rimasti a brancolare nel buio quando Cavilo ha deciso di filarsela per la sua tangente imperiale. Tu sapevi che, accettando le sue proposte con una mano, con l'altra stavi sabotando l'invasione cetagandana?

— Oh — borbottò Gregor, — per accettare quello che lei offriva ho dovuto usare due mani…

Miles decise di non toccare quel tasto. — Comunque, se possibile, dobbiamo occuparci dei Rangers. Prenderli sotto controllo, o almeno impedire che agiscano alle nostre spalle.

— Saggia idea.

— Suggerisco di chiamare la nostra amica e giocare al Buono-e-Cattivo. Io sarò lieto di recitare la parte del Cattivo.


Cavilo fu portata dentro da due uomini che la manovravano con campi-rete di energia. Indossava ancora il suo pesante scafandro da combattimento, ora segnato e ammaccato. Non aveva più il casco. La riserva d'aria e le armi erano state staccate, i servomeccanismi disattivati, l'elettronica interna spenta, e ciò che restava era una prigione di oltre cento chili che la racchiudeva come un sarcofago. I due mercenari Dendarii la sistemarono in piedi a un'estremità del tavolo e si fecero indietro con un sorrisetto. Una statua con una testa viva, quasi una specie di Pigmalione orribilmente interrotta a metà della sua metamorfosi.

— Grazie, signori. Attendete fuori — disse Miles. — Comandante Bothari-Jesek, prego, lei resti.

Cavilo agitava con furia la bella testa bionda, unico movimento a sua disposizione, in un futile tentativo di mostrare che stava resistendo. Mentre gli altri uscivano incenerì Gregor con lo sguardo. — Tu, serpente! — ringhiò. — Razza di bastardo!

Gregor aveva i gomiti sul tavolo e il mento appoggiato sulle mani. Alzò gli occhi verso di lei, con aria stanca. — Comandante Cavilo, entrambi i miei genitori sono morti di morte violenta durante un complotto politico prima che io avessi sei anni. Un fatto che lei avrebbe dovuto considerare. Pensava di avere a che fare con un dilettante?

— Lei stava giocando fuori dal suo cortile fin dall'inizio, Cavilo — disse Miles, camminando lentamente intorno a lei come se valutasse un oggetto esposto in vendita. — Avrebbe dovuto attenersi al suo contratto. O al suo secondo piano. O al terzo. In effetti, avrebbe dovuto attenersi a qualcosa. La totale propensione a fare soltanto i suoi interessi ha fatto di lei una foglia al vento, che chiunque poteva raccogliere. Ora Sua Altezza Imperiale… non io, sia chiaro… pensa che dovremmo darle una possibilità di comprarsi il diritto di vivere.

— Tu non hai neppure abbastanza pelo sullo stomaco da farmi gettare nello spazio — sbottò lei, vibrando di rabbia.

— Non è questo che mi riproponevo. — Visto che le stava facendo accapponare la pelle, Miles continuò a girarle freddamente intorno. — No. Guardando al futuro… quando questa storia sarà finita, pensavo di consegnarla ai cetagandani. Un piccolo regalo che a noi non costerà niente, e che faciliterà la conclusione della faccenda. Immagino che alcuni di quei Lord siano ansiosi di rivederla, no? — Si fermò davanti a lei e sorrise.

Il volto di lei era esangue. Sul suo collo candido una vena pulsava con violenza.

Gregor inarcò un sopracciglio. — Tuttavia, se lei farà ciò che le sarà chiesto, le garantirò l'uscita dal Mozzo Hegen, via Barrayar, quando tutto sarà finito. E, con lei, ciò che resterà delle sue truppe o quanti vorranno seguirla. Questo le darà un paio di mesi di vantaggio sui cetagandani che decidessero di farle pagare il suo tradimento.

— In effetti — continuò Miles, — se reciterà il suo ruolo potrebbe perfino passare per un'eroina. Che ironia!

— Io te ne farò pentire — sibilò Cavilo.

— Oggi come oggi è l'unico contratto che le sia rimasto da firmare. In cambio della vita. Di un nuovo inizio lontano da qui… molto lontano. Di questo si occuperà Simon Illyan. Lontano, ma non inosservata.

Uno sguardo calcolatore cominciò a sostituire la rabbia negli occhi azzurri di lei. — Cosa volete farmi fare?

— Non molto. Cedere il controllo che ha ancora sulle sue truppe a un ufficiale di nostra scelta. Probabilmente sotto il comando dei vervani, visto che dopotutto loro hanno pagato per avervi. Lei presenterà il suo sostituto ai Rangers, e poi si ritirerà al sicuro in una cella della Triumph per la durata dell'attività bellica.

— Quando tutto sarà finito non resterà più un solo Ranger ancora in vita!

— Dovranno affrontare la loro parte di rischio — annuì Miles. — Lei stava rinunciando a loro, del resto. Noti, per favore, che non le offriamo questo in alternativa a qualche scelta migliore. O questo, o i cetagandani. I quali apprezzano i traditori solo quando tradiscono a loro favore.

Cavilo sembrava sul punto di sputargli in faccia, ma disse: — Molto bene. Avrete quello che volete. Accetto.

— La ringrazio.

— Ma tu… — La sua voce si abbassò, rauca e velenosa. — Tu la pagherai, piccolo serpente. Oggi ti fai bello con le tue manovre, ma verrà il giorno che ruzzolerai nella polvere. Dovessero volerci vent'anni… ma dubito che vivrai tanto. Gli intriganti come te si consumano a forza di strisciare, finché qualcuno si stanca di loro e li schiaccia. Mi spiace solo che non sarò lì a guardare, quando il tuo corpiciattolo sarà ridotto come una polpetta.

Miles richiamò dentro i mercenari. — Portatela via — li supplicò quasi. Quando la prigioniera fu uscita si voltò, e si accorse che Elena lo stava guardando.

— Dio, quella femmina mi dà i brividi — disse, con una smorfia.

— Sì? — chiese Gregor, coi gomiti ancora poggiati sul tavolo. — Però, stranamente, sembra che sappiate intendervi al volo voi due. Pensate nello stesso modo.

— Ti prego! — protestò lui. Guardò Elena per avere il suo appoggio. — Ti sembra giusto da parte sua?

— Siete entrambi piuttosto contorti — lo deluse lei, dopo averci pensato un momento. — O forse dovrei dire entrambi «corti». — E mentre Miles si accigliava, offeso, continuò: — È una questione di schemi, più che di contenuto. Se tu fossi follemente desideroso di potere, invece di…

— Invece di essere folle in qualche altro modo, certo. Vai pure avanti, prego.

— … potresti complottare come lei. Mi è sembrato che te la sia goduta molto a metterla fuori gioco.

— Grazie per la sincerità, suppongo. — Miles curvò le spalle. Qual era la verità? Sarebbe stato così anche lui, da lì a vent'anni? Reso cinico dalle sue delusioni personali, pieno di rabbia e di rancori mal trattenuti, capace di dedicarsi soltanto a spietati giochi di potere per saziare l'appetito della bestia ferita dentro di lui?

— Trasferiamoci a bordo della Triumph - disse, secco. — Abbiamo del lavoro da fare.


Miles camminava avanti e indietro nel breve spazio dell'ufficio di Oser, sulla Triumph. Seduto sul bordo della consolle piena di strumenti, Gregor lo ascoltava, seguendolo con lo sguardo.

— … naturalmente i vervani saranno cauti e sospettosi, ma con i cetagandani che li stanno azzannando alla gola avranno un buon motivo per fidarsi. E per contrattare. Tu dovrai indorargli la pillola il più possibile per accelerare le cose, ma non cedere più del minimo indispensabile…

— Forse — disse bruscamente Gregor, — preferiresti mettermi una trasmittente nel cervello e parlare tu per la mia bocca.

Miles si fermò, schiarendosi la gola. — Scusa. So che tu hai più esperienza di me in materia di trattati. A me poi, quando sono nervoso, capita di balbettare.

— Sì, lo so.

Miles fece lo sforzo di tenere chiusa la bocca, ma non fermi i piedi, finché la porta emise un ronzio. — I prigionieri, come ha ordinato, signore — disse la voce di Chodak dall'intercom.

— Va bene, sergente. Entrate. — Miles andò a premere il pulsante sulla consolle.

La squadra di Chodak introdusse nell'ufficio il capitano Ungari e il sergente Keller. Entrambi erano come Miles aveva ordinato: ben puliti, rasati, pettinati, e vestiti con uniformi dendarii adeguate al loro grado. Sembravano tutt'altro che entusiasti di doverle indossare, e ostili perfino all'aria che stavano respirando.

— Grazie, sergente. Tu e la tua squadra potete andare.

— Andare? — Le sopracciglia di Chodak lo interrogarono sulla saggezza di quell'ordine. — È sicuro di non volere che aspettiamo fuori, signore? Le ricordo quel che è successo l'ultima volta.

— Questa volta non sarà necessario.

Lo sguardo di Ungari prometteva il contrario. Chodak annuì, dubbioso, ma prima di uscire richiamò l'attenzione dei due sul distruttore neuronico che aveva al fianco, con un gesto chiaro come una sentenza.

Appena sentì chiudersi la porta alle sue spalle, Ungari lasciò uscire il fiato che aveva in corpo. — Vorkosigan! Bastardo traditore ammutinato! Io la trascinerò davanti alla corte marziale, con tante di quelle accuse che dovranno impiccarla dieci volte prima di…

L'uomo non aveva ancora fatto caso a Gregor, che sedeva in silenzio sul bordo della consolle e indossava un'uniforme dendarii, senza gradi perché i Dendarii non avevano gradi adatti a un Imperatore.

— Uh, signore… — Con un gesto Miles dirottò lo sguardo fosco del capitano verso di lui.

— Queste sue ambizioni sono talmente condivise da tanti altri, capitano — disse Gregor con un sorrisetto, — che dovrà fare la fila per presentare le sue accuse alla corte.

Il fiato rimasto nei polmoni di Ungari uscì senza dar voce ad altre parole. Sbatté le palpebre. A suo credito, tuttavia, le selvagge emozioni che gli deformavano il volto lasciarono subito il posto a un enorme sollievo. — Altezza Imperiale!

— Capitano, le faccio le mie scuse — disse Miles, — per il brusco trattamento che ho dovuto riservare a lei e al sergente Keller. Ma ho dovuto ritenere l'azione con cui mi proponevo di salvare l'Imperatore troppo… uh, estemporanea per i suoi nervi. — Sei stato ben felice di non esserne responsabile tu, in realtà. E io sono stato felice di non averti fra i piedi.

— Un alfiere non può ritenersi responsabile di operazioni di questa portata — sbottò Ungari, come se gli avesse letto nella mente. — Il responsabile è il suo diretto superiore. E Illyan si sarebbe rivolto a me, se la sua, uh, azione fosse fallita…

— Be', allora congratulazioni, signore. Lei è appena riuscito a salvare l'Imperatore — ribatté Miles. — Il quale, come suo comandante in capo, ha ora alcune istruzioni da darle, se lei gli consente di mettere bocca in questa discussione.

Ungari tacque. Con uno sforzo visibile distolse la sua attenzione da Miles e la focalizzò su Gregor. — Ai suoi ordini, Altezza.

Gregor disse: — Come unico ufficiale della Sicurezza Imperiale nel raggio di molti milioni di chilometri, a parte l'alfiere Vorkosigan che ha altri incarichi, lei, col suo sergente, è ora addetto alla protezione della mia persona, in attesa di contattare le nostre forze. Uno di voi potrà anche svolgere mansioni di corriere. Prima di lasciare la Triumph la prego di mettere a disposizione degli ufficiali dendarii tutte le informazioni militari di cui è in possesso. I mercenari ora agiscono come miei, uh…

— Ubbidienti servitori — suggerì Miles sottovoce.

— … mie truppe — tagliò corto Gregor. — Consideri l'uniforme che indossa — Ungari guardò con disprezzo il tessuto grigio e bianco — quella di un esercito regolare, e la rispetti di conseguenza. Senza dubbio riavrà quella verde del Servizio Imperiale quando anch'io riavrò la mia.

Miles aggiunse: — Distaccherò l'incrociatore leggero Ariel e il più veloce dei nostri due corrieri al servizio personale di Sua Altezza, appena lascerete la Stazione Vervain. Se uno di voi dovrà partire potrà usare il corriere, mentre la Ariel resterà a tutela dell'Imperatore. Il suo comandante, Bel Thorne, è leale e fidato. Uno dei più esperti combattenti fra gli ufficiali dendarii.

— Sempre preoccupato di lasciarmi aperta una via di fuga, eh, Miles? — Gregor scosse il capo, seccato.

Lui s'inchinò leggermente. — Se le cose andassero male, potrà sopravvivere per vendicarci. Per non parlare del fatto che qualcuno dovrà maledettamente assicurarsi che i Dendarii siano pagati. Abbiamo dei doveri verso di loro, suppongo.

— Giusto — assentì Gregor, a bassa voce.

— Anch'io ho qui un rapporto, sugli ultimi eventi, da far pervenire a Illyan — proseguì Miles. — Nel caso che io… nel caso che voi lo vediate prima di me. — Prese un dischetto da uno scaffale, lo chiuse nella custodia e lo consegnò a Ungari.

Lui annuì appena, assorto in tutt'altre preoccupazioni. — La Stazione Vervain? La sua sicurezza mi impone di suggerire Pol Sei, Altezza.

— Ma i miei doveri mi impongono Stazione Vervain, capitano. E così anche i suoi. — Gregor si alzò. — Venga, le spiegherò la situazione mentre ci prepariamo a sbarcare.

— E lascerà Vorkosigan da solo? — obiettò lui, accigliato. — Con questi mercenari? È un problema di cui vorrei occuparmi un momento, Altezza.

— Signore — disse Miles a Ungari, — mi spiace di non poter… — di non poterti ubbidire, pensò, ma non lo disse. — Ho anch'io un problema con questi mercenari. Si tratta di prepararli alla battaglia. Inoltre c'è da regolare un'ultima questione con la ex-comandante dei Rangers. Si tratta di particolari che io solo posso seguire, per avere certe garanzie. Sono sicuro che Gre… che sua Altezza Imperiale capirà.

— Mmh — disse Gregor. — Sì, capitano Ungari. Nomino l'alfiere Vorkosigan nostro ufficiale di collegamento presso i Dendarii, sotto la mia responsabilità personale. Questo dovrebbe accontentare anche lei, penso.

— Non sono io quello che deve essere accontentato, Altezza!

Lui esitò un attimo. — Diciamo allora che questo è nel miglior interesse di Barrayar. Argomento che dovrà essere sufficiente anche per Illyan. Andiamo, capitano.

— Sergente Keller — aggiunse Miles, — lei sarà la guardia del corpo e l'attendente personale dell'Imperatore, fino a nuovo ordine.

Keller non parve affatto ringalluzzito da quell'inattesa promozione sul campo. — Signore — mormorò, piegandosi verso Miles, — io non ho neppure fatto il corso di specializzazione!

Si riferiva al corso d'addestramento avanzato che tenevano al Quartier Generale della Sicurezza Imperiale, e da cui uscivano guardie di palazzo dai modi impeccabili che esteticamente facevano un gran bell'effetto.

— Anche noi ci troviamo alle prese con problemi analoghi qui, sergente, mi creda — mormorò Miles in risposta. — Faccia del suo meglio.


La sala tattica della Triumph ferveva d'attività; ogni consolle era occupata, ogni schermo olovisivo mostrava gli spiegamenti delle flotte e le varianti che intervenivano nella loro disposizione. In piedi al fianco di Tung, Miles si sentiva inutile. Gli veniva da pensare a una vecchia battuta dell'Accademia: «Regola 1: ignorate i suggerimenti del computer tattico solo se sapete qualcosa che lui non conosce. Regola 2: il computer tattico ne sa sempre una più di voi».

Quella era una battaglia? Quel silenzio disturbato solo da qualche mormorio, quelle luci morbide, quella grafica computerizzata, quelle comode poltroncine imbottite? Forse tanto distacco era positivo, per chi aveva il comando. Lui si sentiva battere forte il cuore. Una sala tattica di quelle dimensioni poteva sovraccaricare la mente di dati fino a mandarla in corto circuito, se uno perdeva il controllo un momento. Il trucco stava nel concentrarsi sulle cose essenziali, e mai, mai dimenticare che la mappa non era il territorio.

Il suo lavoro lì, ricordò a se stesso, non era quello di comandare. Era di osservare come Tung dirigeva le operazioni e imparare un modo di vedere le cose alternativo a quello che insegnavano all'Accademia Imperiale di Barrayar. La sola condizione lecita per un suo intervento si sarebbe presentata se qualcosa, nella strategia/politica esterna, avesse assunto la precedenza sulle necessità tattiche immediate. Miles pregava che non accadesse, perché una breve e spiacevole definizione per una cosa del genere era: «Tradire la fiducia delle truppe in lui».

La sua attenzione fu attratta da una piccola nave da esplorazione balzata fuori dal corridoio di transito. Il display la mostrava come un puntolino luminoso in lento spostamento su uno sfondo nero. Sullo schermo del teleradar era una forma affusolata; su quello di navigazione un vettore che si allungava; su di un altro ancora un insieme di dati telemetrici, cifre, simboli, quasi un ideale platonico. Qual è la verità? Tutte, nessuna.

— Squalo Uno a Flotta Uno — disse la voce del pilota sulla consolle di Tung. — Rotta libera per dieci minuti fra i punti di balzo. Rapporto su canale ristretto ad alta velocità pronto per la trasmissione.

Tung parlò in un microfono: — Flotta pronta al balzo. Rapporto in arrivo su canale Y-G. Computer in ricezione dati.

La prima nave dendarii in attesa all'imbocco del corridoio di transito si mosse in avanti, lampeggiò un attimo sullo schermo tattico (sugli altri non ci fu niente) e scomparve. Una seconda nave la seguì a trenta secondi di distanza, limite di sicurezza minimo fra due oggetti in transito fuori dallo spazio normale. Due navi che si fossero materializzate nello stesso punto all'uscita dal balzo avrebbero dato origine a un solo esplosivo ammasso di atomi.

Mentre il computer digeriva i dati telemetrici di Squalo Uno, ciò che l'altra nave aveva visto apparve anche sullo schermo della Triumph: il vortice (puramente energetico) d'ingresso del corridoio di transito fu sostituito dal vortice identico all'altra estremità. Oltre quell'immagine c'erano punti e linee in movimento, astronavi che manovravano, sparavano, deviavano su percorsi d'attacco e di difesa: la battaglia in corso sul lato di Vervain, nei pressi della stazione interna, gemellata alla stazione sul lato Mozzo dove Miles aveva lasciato Gregor. Gli attaccanti cetagandani. Finalmente una panoramica della loro destinazione. In differita, naturalmente; quelle immagini risalivano a una decina di minuti prima.

— Cristo — commentò Tung, — che confusione. Quindici secondi al balzo.

Il cicalino suonò. Era il turno della Triumph. Miles si aggrappò allo schienale della poltroncina di Tung, pur sapendo che l'impressione di muoversi era illusoria. Un refolo di sogni sembrò annebbiare la sua mente, per un attimo, per un giorno; impossibile stabilirlo. La nausea che subito dopo gli salì dallo stomaco non era un sogno. Balzo avvenuto. Nella sala ci fu qualche secondo di silenzio mentre gli altri lottavano per riprendere il controllo delle loro disorientate percezioni. Poi il mormorio riprese là dove s'era interrotto. Benvenuti a Vervain. L'inferno non vi ha voluti neanche stavolta.

Il computer tattico sparò su tutti gli schermi le immagini che ora captava in diretta da quella sezione dell'universo. Lo sbocco (o meglio, ora l'imboccatura) del corridoio di transito era sorvegliato dalla stazione di balzo e dalla Marina Spaziale di Vervain, con l'appoggio delle navi dei Rangers sotto il comando vervano. L'attacco era appena finito; i cetagandani avevano colpito, erano stati respinti e adesso si stavano portando a distanza in attesa dei rinforzi per la prossima offensiva. E i loro rinforzi erano ormai un flusso continuo, sul lato opposto del sistema, dove sfociava il corridoio di transito fra Vervain e Cetaganda.

L'altra stazione era caduta quasi senza colpo ferire in mano agli assalitori. Eppure, malgrado l'attacco a sorpresa, i vervani avrebbero potuto fermare facilmente l'invasione cetagandana del loro spazio, se non fosse accaduto che tre navi dei Rangers avessero frainteso gli ordini (apparentemente) ritirandosi quando avrebbero dovuto invece contrattaccare. Così i cetagandani avevano rinsaldato la loro testa di ponte e cominciato a far affluire altre forze.

L'ingresso/uscita del secondo corridoio, quello da cui i Dendarii stavano uscendo, era meglio equipaggiato per la difesa… o meglio, lo era stato: i vervani avevano ritirato buona parte di quelle forze nell'orbita del loro pianeta. Miles non poteva biasimarli; la scelta tattica era dura in entrambi i casi. Ma ora i cetagandani si spostavano a loro piacere attraverso il sistema, girando alla larga dal pianeta ben sorvegliato nel tentativo di forzare l'ingresso del Mozzo Hegen, se non di sorpresa almeno il più presto possibile.

Il sistema migliore per impadronirsi di un corridoio di transito erano i sotterfugi, la corruzione, l'infiltrazione, in altre parole l'inganno. Il secondo, anch'esso preferibilmente facilitato da qualche sotterfugio, stava nel raggiungere la zona di spazio interessata attraverso un'altra rotta, se ce n'era una. Il terzo consisteva nel far balzare una nave suicida che innalzasse subito davanti a sé un «muro solare», un'onda d'urto fatta di numerose esplosioni nucleari, al riparo della quale creare spazio per l'arrivo di altri attaccanti. Ma il muro solare era costoso, durava poco prima di dissolversi, funzionava solo localmente. I cetagandani avevano cercato di usare tutti e tre questi metodi, ed i Rangers li avevano facilitati ritraendosi dalla nuvola radioattiva dietro cui era penetrata la loro avanguardia.

Il quarto sistema per risolvere la questione di un attacco frontale a un'imboccatura sorvegliata era di sparare all'ufficiale che lo aveva proposto. Miles contava che i cetagandani si vedessero presto costretti a esaminare quella possibilità.

Il tempo trascorse. Miles agganciò una poltroncina davanti allo schermo principale e lo studiò finché le immagini cominciarono a confondergli la vista e la sua mente scivolò in una specie di trance. Poi se ne riscosse e si alzò, andando a curiosare nella strumentazione degli altri.

I cetagandani facevano manovra. L'inaspettato arrivo dei Dendarii durante quella pausa li aveva gettati in una momentanea confusione tattica; il loro attacco definitivo alle difese vervane doveva essere sostituito da un'altra azione colpisco-e-fuggi per indebolirle. Un'azione che avrebbe richiesto il suo prezzo. A quel punto non potevano celare il loro numero né i loro spostamenti. La presenza dei Dendarii poteva significare trattati, alleanze, altre riserve (chi sapeva di quale entità? Non Miles, di certo) in attesa all'altra estremità del corridoio. In lui sorse l'effimera speranza che quest'ipotesi bastasse a far desistere i cetagandani.

— No, no — sospirò Tung quando Miles gli confidò il suo ottimismo. — Ormai si sono spinti troppo avanti. Le perdite che ci sono state impediscono ai cetagandani di tornare indietro senza conseguenze, economiche e diplomatiche. Anche interne. Un Lord che rinunciasse ora, in patria troverebbe la corte marziale. Continueranno anche se dovessero perdere l'ultima speranza, mentre chi ha organizzato l'invasione cercherà fino in fondo di salvarsi il collo con i soliti espedienti: falsificare l'entità delle perdite, gonfiare il valore degli obiettivi raggiunti, e tacere agli uomini la situazione reale per poterli mandare al massacro pieni di entusiasmo patriottico.

— Questo è vile cinismo.

— Questo è il sistema, ragazzo, e non solo fra i cetagandani. È uno dei difetti delle aristocrazie militariste. Inoltre, purtroppo — Tung ebbe un sogghigno, — contro di noi potrebbe funzionare. Un fatto che cercheremo di tenere nascosto finché possibile.

Le forze cetagandane cominciarono a muoversi, in una direzione e con un'accelerazione che rivelavano la volontà di non attaccare in un solo punto. La loro tattica sembrava quella di aggredire piccoli gruppi di navi, con una superiorità di tre o quattro contro uno, per sopraffare la tenuta degli schermi antiplasma dell'avversario. Anche i vervani e i Dendarii avrebbero cercato di fare lo stesso, e appena giunti a portata si prevedevano numerosi duelli a breve distanza con le nuove lance a implosione gravitazionale. Miles cercò di tener d'occhio anche i movimenti dei Randall Rangers. Non tutte le navi dei Rangers avevano a bordo un consigliere militare vervano, e uno schieramento che li avesse posti in prima linea era preferibile a uno che li vedesse agire più indietro rispetto ai Dendarii.

In sala tattica, il pacato mormorio dei tecnici e dei computer non cambiò ritmo. Avrebbero dovuto esserci motori rombanti, boati di esplosioni, ordini concitati, qualunque cosa che accompagnasse la danza degli uomini con la morte. Ma la realtà esterna avrebbe squarciato il silenzio di quella torre d'avorio solo in un attimo improvviso. E definitivo.

Una chiamata dell'intercom interruppe la concentrazione di Tung, e ricordò a Miles che fuori dalla porta c'era ancora una nave intorno a loro. — Qui reparto detenzione. Signore, state attenti ai ponti superiori. Abbiamo un guaio: l'ammiraglio Oser è fuggito, e ha fatto uscire di cella anche tutti gli altri prigionieri.

— Maledizione! — ringhiò Tung. Indicò a Miles l'intercom. — Occupatene tu. Mettiti in contatto con Auson. — E si volse di nuovo allo schermo tattico, mugolando fra sé: — Ai miei tempi questo non sarebbe successo.

Miles sedette alla consolle e chiamò la plancia della Triumph. - Auson! Le hanno già detto di Oser?

Il volto irritato di Auson apparve sul monitor. — Sì, sto prendendo provvedimenti.

— Ordini che squadre di commando sorveglino la sala macchine, la sala tattica e la plancia. Non possiamo permetterci interruzioni in un momento così delicato.

— Lo dice a me? Li vedo anch'io quei bastardi cetagandani che stanno arrivando. — Auson tolse la comunicazione.

Miles si mise in ascolto sui canali interni della sicurezza, interrompendosi solo quando sentì arrivare in corridoio un plotone di uomini armati fino ai denti. Non c'erano dubbi che Oser fosse stato aiutato ad evadere, e da uno o più leali ufficiali oserani, il che originava spiacevoli interrogativi sugli stessi uomini di servizio nei ponti superiori. Possibile che Oser cercasse di mettersi d'accordo con Cavilo e con Metzov? Un paio di Dendarii agli arresti per motivi disciplinari furono trovati che vagavano nei corridoi e riportati in cella. Un altro si presentò spontaneamente. Un elemento sospetto fu scoperto a sabotare una telecamera. Ma nessun segno di attività pericolose…

— Sta decollando!… Perdita d'aria nella stiva 4!… Sono usciti dal compartimento stagno. Il tubolare è staccato!…

Miles si sintonizzò su quel canale ed ebbe un'immagine video: una navetta s'era staccata dalle flange di tribordo della Triumph, e stava accelerando per allontanarsi nello spazio. Con un'imprecazione fece il codice della centrale di tiro.

— Non aprite il fuoco su quella navetta! Ripeto, non aprite il fuoco!

— Uh… — rispose la voce di un tecnico. — Sissignore. Non aprire il fuoco.

Perché nel subconscio di Miles stava nascendo l'impressione che la centrale di tiro non avrebbe aperto il fuoco comunque? Chiaramente quella era una fuga ben organizzata. Ora si preannunciava una sgradevole caccia alle streghe. Chiamò l'ufficialessa alle comunicazioni, in plancia. — Mi metta in contatto con quella navetta. — Avrei dovuto mandare qualcuno di guardia anche ai portelli di attracco… Ma ormai era troppo tardi.

— Signore, li sto chiamando, ma non rispondono.

— In quanti sono a bordo?

— Parecchi, sembra. Nessuno sa quanti di preciso.

— Mi metta in linea. Devono ascoltarmi, anche se non vogliono rispondere.

— È in contatto con la loro radio di bordo, signore. Ma non so dirle se l'abbiano spenta.

— Ci proverò. — Miles fece un lungo respiro. — Ammiraglio Oser! Inverta immediatamente la rotta e torni alla Triumph. Siamo in una situazione pericolosa, e lei sta andando dritto nella zona del fuoco. Rientrate, e io personalmente vi garantisco l'incolumità.

Tung venne accanto a lui e scosse il capo. — Sta cercando di raggiungere la Peregrine. Che Dio lo maledica, se perdiamo quella nave il nostro schema difensivo potrebbe crollare.

Miles gli indicò lo schermo tattico. — No, non credo. Abbiamo tenuto la Peregrine più indietro proprio perché la sua affidabilità era incerta.

— Sì, ma se la Peregrine ci lascia posso dire il nome di altri tre capitani che faranno lo stesso. E se perdiamo quattro navi…

— I Rangers decideranno che la situazione è troppo dura, malgrado i loro comandanti vervani, e allora saremo messi molto male. Sì, è vero. — Miles continuò a guardare lo schermo tattico. — Santo cielo, non credo che ce la farà. Guarda! … Ammiraglio Oser! Mi sente?

— Oh, Cristo! — Tung tornò a sedersi al suo posto. Quattro incrociatori leggeri cetagandani stavano stringendo su un lato della Flotta Dendarii, mentre un quinto puntava dritto verso il suo centro, evidentemente in cerca di uno scontro ravvicinato in cui far uso della lancia gravitazionale. Fu quest'ultimo che di passaggio sparò con un'arma al plasma contro la navetta, distante non più di quindicimila chilometri. Sullo schermo ci fu una scintilla. Nient'altro che una scintilla.

— Non sapeva che i cetagandani stavano attaccando. Se n'è accorto solo dopo la fuga — mormorò Miles. — Buon piano, cattiva scelta di tempo… ma avrebbe potuto invertire la rotta, invece ha deciso di tentare… — Oser aveva fatto il suo gioco e perso. Lo si poteva considerare un argomento consolante?

I cetagandani non spinsero l'attacco alle estreme conseguenze, com'era prevedibile, e venti minuti dopo si ritirarono di nuovo. Il conto delle perdite fu leggermente a favore dei Dendarii. Tre astronavi degli invasori furono danneggiate e una completamente distrutta. I canali radio dei Dendarii e dei Rangers erano intasati dalle voci frenetiche delle squadre di rilevamento danni. Nessuna nave era andata perduta, ma quasi tutte avevano incassato colpi a bordo: motori fuori uso, impianti elettrici in cortocircuito, griglie gravitazionali sconnesse, sistemi d'arma coi sensori bruciati, forti cali di potenza negli accumulatori. L'elenco era lungo. Il prossimo attacco sarebbe stato molto più devastante.

Possono permettersi di perdere tre navi per ognuna delle nostre. Se continuano a ricevere rinforzi e a venirci addosso, l'esito è ormai scontato, rifletté freddamente Miles. A meno che non arrivino rinforzi anche per noi.

Trascorsero le ore, mentre i cetagandani riorganizzavano la loro formazione. Miles lasciò la sala tattica un paio di volte per cercare di rilassarsi nella stanza di riposo, ma era troppo teso per riuscire a concedersi gli stupefacenti pisolini istantanei di Tung, della durata di quindici minuti esatti. E sapeva che l'eurasiatico non fingeva quella flemma per rinfrancare il morale degli altri; nessuno avrebbe russato in quel modo disgustoso solo per finta.

Il teleradar a lunghissima portata dava la possibilità di vedere i rinforzi cetagandani in uscita dal loro corridoio di transito, a molte centinaia di milioni di chilometri di distanza. Dovevano fare un ampio giro, perché numerosi astrocaccia vervani di stanza su un pianeta esterno continuavano a insidiare le loro navi più piccole. Quello era il tempo che avevano deciso di prendersi. Più i cetagandani aspettavano, più il loro numero cresceva. Anche se davano modo ai difensori di riparare i danni. Sicuramente a bordo della nave ammiraglia cetagandana il computer tattico aveva generato una curva di probabilità per stabilire l'optimum dell'intersezione Noi/Loro, e l'attesa era calcolata su quella stima. Se soltanto i vervani fossero stati più aggressivi nell'attaccare quella colonna di rinforzi dalla loro base planetaria…

E dopo quella pausa tornarono. Tung studiava i suoi monitor, aprendo e chiudendo i pugni inconsciamente ogni volta che le sue mani non dovevano correre sui comandi per chiedere dati, inserire ordini, correggere le loro mosse, anticipare quelle dell'avversario. Le dita di Miles a tratti echeggiavano i movimenti delle sue, teso com'era nello sforzo di comprendere i pensieri di Tung e assorbire ogni dettaglio. Il loro quadro della situazione era pieno di falle dovute ai danni dei sistemi di avvistamento o di trasmissione-dati delle altre navi. I cetagandani furono a distanza di tiro e lo spazio si riempì di raggi d'energia ardente e di scariche radioattive che facevano crepitare gli strumenti. Le due formazioni si mescolarono… un'astronave dendarii esplose in una nuvola di detriti semifusi. Un'altra, con la centrale di tiro distrutta, cercò di portarsi fuori dalla zona dello scontro. Tre navi dei Rangers furono annientate una dopo l'altra… lo svolgimento della battaglia era rapido e allucinante.

— Squalo Tre a rapporto — gridò una voce al di sopra del caos che intasava i canali radio, facendo sobbalzare Miles sulla poltroncina. — Tenete sgombra l'uscita del corridoio di transito. Ripeto, sgombrate l'uscita!

— Non adesso! — ringhiò Tung. Ma cominciò a organizzare una manovra per coprire il ristretto volume di spazio alle loro spalle, in modo che le astronavi nemiche fornite di lance a esplosione fossero indotte o costrette ad attaccare lungo percorsi più esterni. Quelle cetagandane che Miles vedeva nelle vicinanze parvero quasi esitare, rizzare gli orecchi e guardarsi attorno mentre Squalo Tre continuava a trasmettere: «Sgombrate l'uscita!» I Dendarii dovevano essere alle strette, sul punto di ritirarsi balzando nel corridoio di transito… un'insperata opportunità di sfondare il loro fronte difensivo e penetrare…

— Che diavolo è quello? — ansimò Tung, quando una massa molto voluminosa e per il momento non identificabile apparve allo sbocco del vortice e accelerò all'istante. Guardò il display del teleradar e sbatté le palpebre. — È troppo grossa per essere così veloce. È troppo veloce per essere così grossa.

Miles riconobbe il suo profilo energetico appena il simulatore tattico ne costruì un'immagine grafica. Dio mio, che bestia. Non si può negare che abbiano fatto una nave da battaglia! - È il Principe Serg. I rinforzi dell'Impero di Barrayar sono arrivati. — Gli sfuggì un fischio fra i denti. — Non ti avevo forse promesso che…

Con lo sguardo inchiodato allo schermo tattico Tung imprecò, stupefatto. Altre navi, appartenenti alle Forze Spaziali di Pol e alla Marina di Aslund, uscirono dal vortice a brevi intervalli e si allinearono rapidamente in formazione. Una formazione d'attacco, non difensiva.

Il varco che si aprì nello schieramento cetagandano fu come un gemito di stupore. Una delle loro navi più grosse deviò contro il Principe Serg sparando furiosamente gragnuole di missili e raggi al plasma, e fu spaccato in due tronconi quando dall'incrociatore da battaglia scaturì una lancia gravitazionale di portata tripla di quelle cetagandane. Quello fu il primo colpo mortale.

Il secondo arrivò via radio su tutte le frequenze: l'intimazione agli aggressori cetagandani di arrendersi o di essere distrutti dalle navi dall'Alleanza del Mozzo Hegen, nel nome di sua Altezza Imperiale Gregor Vorbarra e del Conte Aral Vorkosigan, comandanti della flotta unita.

Per un momento Miles pensò che Tung fosse sul punto di cadere dalla poltroncina. Poi l'eurasiatico indicò lo schermo e gridò, deliziato: — Aral Vorkosigan… lui qui? Morte e maledizione! — Poi abbassò la voce, quasi parlando fra sé: — Come saranno riusciti a farlo tornare in azione? Diavolo, magari potrò conoscerlo di persona!

Tung, ricordò Miles, era un esperto di storia militare ed uno dei più entusiasti ammiratori di suo padre. Anche se teneva per sé il suo hobby, avrebbe potuto recitare a memoria ogni particolare delle campagne belliche dell'ammiraglio barrayarano. — Vedrò se posso organizzarti un incontro — gli promise.

— Ragazzo, se tu riuscissi davvero a farlo… — Tung scosse il capo e lasciò da parte le considerazioni legate alla storia militare per l'altra sua passione, senz'altro più immediata e urgente: quella di essere fra coloro che ne scrivevano, sul campo, qualche riga.

Le navi cetagandane si videro costrette ad allontanarsi, dapprima singolarmente, sfuggendo qua e là, poi in gruppi più ordinati che cercavano di organizzare una ritirata col minimo di perdite. Il Principe Serg e la flotta alleata non persero tempo ad aspettare la loro risposta: le inseguirono e le attaccarono con tutta la violenza possibile, per impedire che pianificassero una resistenza efficace. Nelle ore successive la ritirata divenne sempre più scoordinata e confusa, mentre anche le forze vervane attestate a protezione del pianeta abbandonavano l'orbita per tagliare la strada agli invasori in rotta. I vervani attaccarono senza pietà, dando la caccia alle navi cetagandane con la furiosa sete di vendetta di chi ha dovuto temere la tracotante sopraffazione di un nemico spietato.

I particolari organizzativi, la stressante attività per riparare i danni, ed i problemi del recupero dei naufraghi rimasti alla deriva in una vasta zona di spazio, assorbirono l'attenzione di Miles al punto che solo alcune ore più tardi cominciò a rendersi conto che per la Flotta dei Mercenari Dendarii la guerra finiva lì. Ciò che dovevano fare era stato fatto.

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