CAPITOLO DICIASSETTESIMO

Prima di uscire dalla sala tattica Miles, per prudenza, chiamò la sicurezza interna della Triumph e s'informò su come procedeva la ricerca dei prigionieri evasi. Quelli definiti al momento ancora irreperibili erano Oser, il capitano della Peregrine e altri due ufficiali oserani, la comandante Cavilo e il generale Metzov.

Miles era quasi certo d'aver visto Oser e gli altri fuggiaschi esplodere in cenere radioattiva sui monitor. C'erano stati anche Cavilo e Metzov a bordo della navetta? Che ironia per la bionda mercenaria finire così ad opera dei cetagandani. Ma non le sarebbe accaduto nulla di diverso se avesse dovuto rispondere delle sue manovre ai Randall Rangers, agli aslundiani, ai vervani, ai barrayarani o a chiunque fra quelli che aveva ingannato nella sua breve e movimentata comparsa al Mozzo Hegen. Era uscita di scena (se era davvero così) nel modo più pulito e conveniente per tutti, anche se le sue ultime parole avevano lasciato a Miles l'amaro sapore profetico delle maledizioni di chi era atteso dall'inferno. A preoccuparlo, comunque, era più l'ipotesi che Metzov si fosse nascosto da qualche parte per tendergli un agguato. Prese con sé uno dei mercenari di guardia in corridoio e si fece scortare al suo alloggio.

Per strada incrociò una fila di feriti sbarcati da una navetta, che venivano trasportati nell'infermeria della Triumph. La nave ammiraglia, pur seguendo gli scontri con il gruppo di riserva non aveva incassato colpi che i suoi scudi non potessero assorbire, ma poche erano state così fortunate. L'elenco delle perdite, nelle battaglie spaziali, aveva caratteristiche opposte a ciò che avveniva su un pianeta; i morti erano assai più dei feriti, anche se gli ambienti stagni dei relitti alla deriva consentivano ai superstiti di sperare nell'arrivo dei soccorsi. Angosciato da ciò che vedeva Miles cambiò strada e seguì la triste processione. Di che utilità poteva essere lui nell'infermeria?

Le squadre di recupero non avevano certo mandato alla Triumph i casi più facili. Sulle barelle di testa c'erano tre gravissimi casi di ustioni e una frattura cranica, e il personale di sala operatoria cominciò a occuparsene subito. Alcuni mercenari erano consci e attendevano con calma il loro turno, immobilizzati dai campi-rete d'energia delle barelle, lo sguardo annebbiato dai sedativi.

Miles cercò di dire qualche parola a ciascuno di loro. Tre o quattro non lo udirono neppure, altri sembrarono apprezzarlo. Lui fece del suo meglio per incoraggiare e distrarre questi ultimi, commosso nel vederli compatire le condizioni dei compagni feriti ancor più gravemente di loro. Poi andò a bere qualcosa e restò sulla porta per alcuni minuti, immerso negli spiacevoli odori di un'infermeria dopo la battaglia: sangue, disinfettante, carne bruciata, urina, apparecchiature surriscaldate, finché s'accorse che la stanchezza l'aveva ridotto in uno stato di stordimento tale che stava tremando, sull'orlo delle lacrime. Depose il bicchiere di carta e uscì. Un letto. Se qualcuno lo voleva, avrebbe potuto venire a cercarlo più tardi.

Batté il codice sulla serratura dell'alloggio di Oser. Ora che l'aveva ereditato, gli sarebbe forse convenuto modificare la combinazione. Scrollò le spalle ed entrò. Pochi istanti dopo nella sua mente penetrò la consapevolezza di due fatti allarmanti. Primo: quando aveva rimandato indietro l'uomo di scorta s'era dimenticato di dirgli che tornasse a prenderlo all'infermeria. Secondo: non era solo. Il suo passo indietro fu inutile; la porta s'era chiusa prima che l'istinto gli suggerisse di tornare in corridoio.

La faccia arrossata del generale Metzov era ancor più minacciosa dell'argentea parabola del distruttore neuronico che aveva in pugno, puntato dritto verso la sua testa.

L'uomo s'era procurato da qualche parte un'uniforme grigia e bianca da Dendarii, un po' troppo piccola per le sue misure. La comandante Cavilo, più indietro, ne indossava una uguale e troppo larga per lei. Metzov era teso, fremente e inferocito. Cavilo appariva… strana. Aspra, ironica, freddamente divertita. Sul suo collo candido c'era un'escoriazione. Non portava armi.

— Ora sei mio — sussurrò Metzov, trionfante. — Ora chiudiamo il conto. — Sorridendo di un sorriso distorto avanzò verso di lui e lo prese per il collo con una delle sue grosse mani, schiacciandolo contro la parete. Poi lasciò cadere il distruttore neuronico, che rimbalzò sul pavimento, lo attanagliò alla gola anche con l'altra mano e cominciò a stringere lentamente.

— Non potete sopravvivere. Non… — fece in tempo a gorgogliare Miles prima che la sua voce si strozzasse. Poté sentire la trachea cedere e cominciare a spezzarsi sotto la pressione dei pollici; il sangue gli riempì la testa e gli occhi con una violenza sorda che lo stordì. Niente, comprese, avrebbe impedito a Metzov di ucciderlo e di vendicarsi, neppure la prospettiva della morte certa…

Cavilo scivolò avanti, silenziosa e furtiva come un gatto, raccolse il distruttore neuronico e si spostò di lato, girando lungo la parete alla sinistra di Miles.

— Stanis, mio caro — tubò dolcemente. Assorto nell'estasi del graduale strangolamento di Miles, Metzov non si volse neppure a guardarla. — Ricordi l'ultima frase d'amore che mi hai detto? «Apri le gambe, cagna, o ti rompo la schiena». Che tesoro… sentirò molto la mancanza del tuo affetto, Stanis, sul serio.

Il tono della bionda indusse Metzov a girarsi a mezzo, perplesso. Sbarrò gli occhi. La vampa d'energia azzurrina si rifletté in essi per un breve attimo, prima di fondergli il contenuto delle orbite in una pappa ardente e cuocergli il cervello. Per poco Miles non ebbe il collo spezzato nella convulsione spasmodica che contrasse la muscolatura dell'uomo. Poi sentì il tonfo del corpo che si abbatteva al suolo. L'odore di ozono sparso nell'aria dalla scarica entrò nelle sue narici insieme a quello acre della carne bruciata.

Miles restò con le spalle al muro, ansando, senza osare muoversi. Mise a fuoco lo sguardo sul cadavere, poi lo alzò verso Cavilo. Le belle labbra di lei erano ricurve in un sorriso d'immensa e serena soddisfazione. C'era da dubitare che non fosse stata proprio lei a richiedere a Metzov una fraseologia da postribolo, nei loro momenti d'intimità. Avevano ingannato quelle ore d'attesa nella camera da letto di Oser, libera dagli apparati d'ascolto? Strano che il generale non avesse capito che in lei la meccanica dell'orgasmo era azionata da qualcosa di assai più morboso del sesso. Il silenzio si prolungò per molti secondi.

— Non… — Miles deglutì saliva, massaggiandosi la gola, — non che io mi lamenti, intendiamoci, ma perché non la fai finita e spari anche a me?

Cavilo ebbe una smorfia. — Una vendetta rapida è meglio di niente, ma una lenta è migliore… purché si viva abbastanza da vederla arrivare. Sarà per un'altra volta, ragazzo. — Abbassò il distruttore neuronico come per infilarlo in una fondina, che però non aveva; allora lasciò pendere il braccio lungo il fianco. — Tu hai promesso che in cambio dei miei mercenari mi avresti fatta uscire salva dal Mozzo Hegen, Lord Vor. E io credo che sarai abbastanza stupido da mantenere la tua parola. Non che mi lamenti, intendiamoci. Certo, se Oser avesse dato un distruttore neuronico anche a me, invece di farne gentile dono a Metzov insieme al codice della serratura di questa porta, e se mi avesse presa a bordo come lo supplicavo, forse ora quella navetta avrebbe un altro padrone e si starebbe allontanando su un'altra rotta… molto più sicura. E le cose sarebbero diverse.

Già, alquanto diverse. A passi pesanti, e stancamente, Miles andò ad accendere l'interfono e chiamò la sicurezza. Cavilo lo guardava con aria pensosa. Dopo un poco, mentre aspettavano che la squadra arrivasse, la donna gli si avvicinò. — Quel giorno, in quell'albergo… qualcosa mi diceva che sottovalutare un tipetto strano come te poteva essere uno sbaglio.

— Io non ti ho sottovalutato mai.

— Lo so. Non ho l'abitudine di dirlo spesso, ma… grazie. — Con gesto sprezzante gettò il distruttore neuronico sul cadavere di Metzov. Poi si girò, lasciando balenare un attimo il candore dei suoi denti; passò un braccio intorno al collo di Miles e lo baciò voluttuosamente sulla bocca. La sua scelta di tempo era stata perfetta: condotta da Elena e dal sergente Chodak, ad armi spianate, la squadra della sicurezza fece irruzione nell'alloggio.


Equilibrandosi sulle irregolarità gravitazionali del tubolare di collegamento Miles lasciò la navetta e passò a bordo del Principe Serg. Uscito dal compartimento stagno guardò con invidia il largo corridoio, scintillante di luci, ai lati del quale era allineata sull'attenti la guardia d'onore, e gli eleganti ufficiali nell'impeccabile uniforme verde del Servizio Imperiale che li stavano aspettando. Si volse a gettare un'occhiata ansiosa ai suoi mercenari in bianco e grigio. La vecchia Triumph, orgoglio dei Dendarii, sembrava piccola e sporca e malconcia a paragone di quel lusso.

Già, ma voi ragazzi non avreste segnato il punto se noi non avessimo portato la palla attraverso tutto il fango che c'era nel campo, cercò di consolarsi.

Tung, Elena e Chodak stavano gongolando come turisti appena entrati nell'albergo di lusso dei loro sogni, e lui dovette richiamarli all'ordine con un gesto perché ricevessero e restituissero lo scattante saluto militare dei loro ospiti.

— Signori, sono il comandante Natochini, ufficiale esecutivo del Principe Serg - si presentò l'ufficiale più anziano. — Ammiraglio Naismith, il tenente Yegorov, qui, scorterà lei e la comandante Bothari-Jesek dall'ammiraglio Vorkosigan, che vi sta aspettando. Commodoro Tung, se me lo permette io condurrò personalmente lei e la sua scorta in visita al Principe Serg, e avrò il piacere di rispondere alle sue domande. Sempre che non riguardino particolari tecnici riservati, naturalmente.

— Naturalmente. — Il largo volto di Tung espresse impazienza e compiacimento. In effetti, se non si fosse subito tolto le sue curiosità sarebbe esploso.

— Più tardi saremo a pranzo con voi e l'ammiraglio Vorkosigan alla mensa ufficiali — disse Natochini a Miles. — I nostri ultimi ospiti a cena sono stati il Presidente di Pol e il suo staff, dodici giorni fa.

Certo che i mercenari apprezzavano al giusto valore un simile privilegio, l'ufficiale esecutivo accennò a Tung e a Chodak di seguirlo e si avviò lungo il corridoio. — A pranzo con l'ammiraglio Vorkosigan, eh? Bene, bene… — mormorò Tung, affiancandolo a passi marziali.

Il tenente Yegorov scortò Elena e Miles nella direzione opposta. — Lei è di Barrayar, signora? — domandò alla giovane donna, poiché la cortesia imponeva una conversazione formale.

— Mio padre è stato per diciotto anni vassallo-giurato e armiere del Conte Piotr — rispose lei. — È morto al servizio di Casa Vorkosigan.

— Capisco — disse rispettosamente l'ufficiale. — Lei è intima della famiglia, allora. — Questo spiega perché l'ammiraglio ti ha invitata, parve a Miles di sentirlo pensare.

— Oh, sì.

Yegorov considerò con sguardo incerto quello che aveva sentito chiamare «ammiraglio Naismith». — Mi sembra… uh, di aver capito che lei è di Beta, signore.

— Per parte di madre, ragazzo — disse lui, con smaccato accento betano.

— Ah… in tal caso lei potrà accorgersi che noi barrayarani diamo più importanza a certe formalità — lo avvertì il tenente. — Il Conte Vorkosigan, come lei capirà, è abituato ai modi deferenti dovuti al suo alto rango.

Miles annuì, deliziato dalla cautela con cui il solerte ufficiale cercava un modo per dirgli: «Rivolgiti a lui col suo titolo, non asciugarti il naso su una manica, e non azzardarti a offendere un nobile con i tuoi stupidi atteggiamenti democratici betani».

— Sono certo che lei si renderà conto, nel conoscerlo, che il Conte è una persona di notevoli doti.

— Un bravo politicante, eh? Sì, così si dice.

Il tenente si accigliò. — È un grand'uomo. Anche dal punto di vista umano…

— Sicuro. Scommetto che a tavola, dopo qualche bicchiere, anche lui sa sbottonarsi abbastanza da raccontare qualche barzelletta spinta, come tutti noi. Me ne sono preparato un paio che gli piaceranno sicuramente. Lei crede che la sappia quella del cannibale e della bella missionaria naufragata nella giungla?

Il sorrisetto educato di Yegorov si congelò. Elena diede energicamente di gomito a Miles e sussurrò con enfasi: — Ammiraglio, contegno!

— Oh, sì, mi scusi — sospirò lui, rammaricato.

Yegorov lanciò ad Elena uno sguardo di gratitudine, al disopra della sua testa.

Miles ammirò lo stile con cui elementi lussuosi si mescolavano alle attrezzature di bordo. Il Principe Serg era stato progettato per la guerra quanto per la diplomazia; una nave fatta per ospitare l'Imperatore durante le visite di stato senza perdere nulla in efficienza bellica. All'incrocio con un corridoio dove c'erano dei pannelli aperti vide un giovane alfiere che dirigeva alcune piccole riparazioni… no, santo cielo, stavano montando apparecchiature nuove di zecca. Il Principe Serg aveva lasciato l'orbita con molti tecnici del cantiere ancora a bordo. Si volse a guardarlo. Potrei esserci io al tuo posto, amico, se non fosse stato per il generale Metzov. Gli sarebbe bastato tenersi fuori dai guai per sei mesi, all'isola Kyril… Miles scosse il capo. Ma a quel pensiero aveva sentito un illogico fremito d'invidia per l'indaffarato alfiere.

Salirono ai livelli superiori. Il tenente Yegorov li condusse in un'anticamera e poi in un ufficio largo il doppio di qualunque altro Miles ne avesse mai visto su un'astronave barrayarana. Seduto dietro un'ampia scrivania piena di elettronica, il Conte ammiraglio Aral Vorkosigan alzò lo sguardo, mentre i due pannelli della porta si aprivano in silenzio.

Miles attraversò la soglia, mentre d'un tratto il cuore gli balzava in gola. Per nascondere l'emozione parlò ad alta voce: — Ehilà, ammiraglio! Da quanto vedo in giro, non si può dire che il lusso ti dia fastidio, eh? Bel posticino. Bada però che i troppi agi fanno mettere su pancia.

— Ah, ragazzo! — Il Conte Vorkosigan si alzò, urtando contro un angolo della scrivania nella fretta di girarci intorno, come se non vedesse dove metteva i piedi. Non c'è da stupirsene. Mio Dio, ha gli occhi pieni di lacrime. Lo abbracciò con forza e lo strinse a sé. Miles sorrise e deglutì un groppo di saliva, con una guancia premuta sul freddo tessuto verde della sua uniforme, e quasi perse ogni compostezza quando l'ammiraglio lo guardò ansiosamente da capo a piedi, tenendolo per le spalle.

— Tutto bene, figliolo?

— Tutto bene. E voi? Siete arrivati qui senza problemi?

— Nessun problema — lo tranquillizzò lui. — O meglio, ci sono stati momenti in cui lo stato maggiore avrebbe voluto farti fucilare. E ci sono stati momenti in cui gli avrei dato ragione.

Il tenente Yegorov, interrotto al preambolo della sua formale presentazione (Miles non ricordava di averlo sentito aprir bocca, e dubitava che anche suo padre ci avesse fatto caso) s'era pietrificato poco oltre la soglia, con una vitrea luce di stupore nello sguardo. Il biondo tenente Jole, sopprimendo a fatica un sogghigno, si alzò dalla consolle delle comunicazioni e prese dolcemente Yegorov per un gomito, scortandolo di nuovo alla porta. — Grazie, tenente. L'ammiraglio apprezza i suoi servizi. Per ora non c'è altro… — Si volse, considerò pensosamente il da farsi e poi seguì il collega fuori dall'ufficio. Prima che la porta si chiudesse Miles lo vide sedersi in anticamera, con l'atteggiamento rilassato e paziente di chi prevede una lunga attesa. Jole sapeva avere un tatto supernaturale, a volte.

— Elena! — Il Conte Vorkosigan lasciò Miles e prese fra le sue mani quelle della giovane donna, con affettuosa fermezza. — Stai bene?

— Sì, signore.

— Mi fa piacere rivederti… più di quel che io possa dire. Cordelia ti manda un abbraccio, e tutti i suoi auguri. Mi incarica di ricordarti… ah, devo ripetere le sue parole esatte. Come dicono i betani: «La tua casa è dove hai scelto di vivere. Fatti voler bene da chi ti è amico, e chi non lo è vada al diavolo».

— Mi sembra quasi di sentire la sua voce. — Elena sorrise, senza sbilanciarsi troppo. — Le dica che la ringrazio. E che… lo terrò a mente.

— Bene. — Il Conte Vorkosigan non volle farle altra pressione. — Mettetevi comodi, ragazzi. — Indicò loro le poltroncine davanti alla consolle, e ne girò una su cui sedette. Per un momento, rilassandosi, la sua espressione cambiò del tutto; ma subito si fece di nuovo tesa e attenta. Dio, sembra sfinito, si rese conto Miles. Pensò a quel che aveva dovuto passare in patria e sospirò. Gregor, dannazione, hai molti peccati di cui rispondere.

— Quali sono le ultime novità dal fronte? Il cessate-il-fuoco sta reggendo?

— Visto che siamo noi a deciderlo, sì. Le sole navi cetagandane che non hanno ancora fatto il balzo sono quelle con danni a bordo. Lasceremo che riparino le avarie e seguano le altre, compresa l'ammiraglia, alla estremità del loro corridoio di transito. Penso che sulla rotta Cetaganda-Vervain i voli commerciali potranno riprendere fra sei settimane, benché a certe condizioni.

Miles scosse il capo. — Così finisce la Guerra dei Cinque Giorni. Senza che nessuno di noi abbia visto un cetagandano faccia a faccia. Tutte queste manovre e questo sangue, solo perché le cose restino quelle di prima.

— Non per tutti. Diversi alti ufficiali e Lord cetagandani saranno richiamati a corte per rispondere di «un'iniziativa non autorizzata» al loro Imperatore. Alcuni avranno il buon gusto di suicidarsi prima del processo-farsa che concluderà l'attuale imbarazzo.

Miles sbuffò. — I soliti capri espiatori. Iniziativa non autorizzata. S'illudono davvero che la gente ci creda? Ma già, perché dovrebbero preoccuparsene?

— Diplomazia, figliolo. A un nemico che si ritira bisogna concedere di portarsi via il suo cosiddetto onore. Purché non si porti via nient'altro.

— Mi sembra di capire che hai dovuto fare il diplomatico con i polani, piuttosto. A dir la verità avrei detto che sarebbe stato Simon Illyan a mettersi in giro, per riportare a casa la sua pecorella smarrita.

— Voleva occuparsi lui di questa parte, sì. Ma non potevamo lasciare il pollaio incustodito tutti e due. L'espediente con cui abbiamo nascosto l'assenza di Gregor non dava molte garanzie di durare a lungo.

— A proposito, come ci siete riusciti?

— Ci siamo serviti di un giovane sottufficiale molto somigliante a Gregor. Gli abbiamo detto che c'era un complotto per assassinare l'Imperatore, e che lui doveva fungere da esca. Il bravo ragazzo si è subito offerto di recitare la parte. Lui e la sua scorta (alla quale abbiamo raccontato la stessa bugia) sono andati in vacanza a Vorkosigan Surleau, dove hanno approfittato al meglio della nostra cucina… e anche della cantina, purtroppo. Poi li abbiamo mandati in campeggio sulle montagne, a contatto con la natura, perché alla capitale certe pressioni stavano aumentando. I deputati e i senatori dell'opposizione hanno annusato qualcosa di strano, o qualcuno ha parlato ma non aveva le prove. Comunque, ora che abbiamo di nuovo Gregor, l'Imperatore potrà appianare la situazione nel modo che noi preferiamo. O che lui preferisce. — Sul volto del Conte apparve uno strano cipiglio. Strano, forse, perché quel pensiero gli dispiaceva del tutto.

— Mi ha molto sorpreso — disse Miles, — anche se ne ringrazio Iddio, che le tue astronavi siano passate così presto attraverso lo spazio di Pol. Temevo che i polani avrebbero fatto opposizione finché non avessero visto i cetagandani nel Mozzo. E allora sarebbe stato troppo tardi.

— Sì. Be', questa è l'altra ragione per cui hai visto arrivare me e non Illyan. Come primo ministro ed ex reggente, era bene che fossi io ad andare su Pol in visita di stato. Abbiamo accettato di discutere i cinque principali argomenti su cui Pol vuole garanzie politiche da anni, e ci siamo accordati per una conferenza al vertice.

«Visto che il Principe Serg attendeva la crociera d'inaugurazione, era logico che io la abbinassi alla missione diplomatica. Mentre eravamo in orbita attorno a Pol, e io andavo su e giù fra una cena ufficiale e l'altra — si poggiò una mano sull'addome, con una smorfia — cercando disperatamente di passare nel Mozzo senza dover sparare a nessuno, è arrivata la notizia dell'attacco a sorpresa dei cetagandani. A quel punto gli accordi sono diventati molto più facili. E ci trovavamo a pochi giorni, non a settimane, di viaggio dal teatro dell'azione. Prevedevo che portare gli aslundiani sulla stessa linea dei polani sarebbe stato più complicato, ma devo dire che Gregor, districando questo problema, mi ha stupito. Coi vervani ovviamente non c'è stata discussione: volevano aiuto, e ci hanno accolto a braccia aperte.

— Ho sentito dire che Gregor è già alquanto popolare su Vervain.

— Stanno facendo di tutto per trattenerlo là, alla capitale. Feste, belle donne e ricevimenti ufficiali. Ne ha uno giusto in questo momento. — Il Conte guardò l'orologio. — Trasmettere le immagini di Gregor nella sala tattica del Principe Serg, durante l'attacco, non è stata una cattiva idea. Almeno, dal punto di vista diplomatico. — Si passò una mano sul mento, con aria pensosa.

— Mi ha… sorpreso che tu gli abbia permesso di fare il balzo con voi in zona di combattimento. Non me lo sarei aspettato.

— Be', in fin dei conti la sala tattica di questa nave è uno dei punti meglio difesi dello spazio territoriale di Vervain. Qui era… era…

Miles attese, chiedendosi perché suo padre non terminasse la frase con le parole «perfettamente al sicuro». E ad un tratto capì per quale motivo non gli uscivano di bocca. — Non è stata una tua idea, è così? Lo ha ordinato Gregor!

— Diciamo che aveva alcuni buoni argomenti per voler partecipare all'azione — disse il Conte. — Quello della pubblicità che gliene sarebbe derivata, ad esempio, sta dando i suoi frutti.

— Avrei giurato che tu fossi troppo… prudente per lasciargli correre questo rischio.

Il Conte Vorkosigan studiò le sue mani robuste. — L'idea non mi rendeva entusiasta, certo. Ma un giorno ho giurato di servire un Imperatore. Il momento più pericoloso per un uomo di potere è quando la possibilità di esercitare anche il potere a cui non ha diritto diventa razionale, quasi inevitabile. E io ho sempre saputo che questa tentazione mi… no. Non l'ho mai avuta. Sentivo che se l'avessi avuta avrei infranto quel giuramento e offeso prima di tutto me stesso. — Fece una pausa. — Ma è sempre uno shock per il sistema. La rinuncia al potere, intendo.

Gregor ti ha messo di fronte alla sua autorità imperiale? Oh, essere stato una mosca su una parete di quella sala!

— Anche quando uno ha cercato di far pratica per qualche anno — aggiunse sottovoce il Conte.

— Uh… come va la tua ulcera?

Suo padre inarcò un sopracciglio. — Non chiedermelo. — Poi fece un sorrisetto. — Meglio, negli ultimi tre giorni. A pranzo potrei perfino ordinare da mangiare, invece di quella poltiglia bianca che sembra qualcosa già mangiato da qualcun altro.

Miles si schiarì la gola. — E il capitano Ungari?

Il Conte Vorkosigan si mordicchiò un labbro. — Non credo che sia molto compiaciuto di te.

— Io… so di non avere scusanti. Ho fatto un sacco di errori. Ma disubbidire al suo ordine di restare su Stazione Aslund non è stato uno di quelli.

— Evidentemente no. — L'uomo lasciò vagare lo sguardo sulla parete di fronte. — Tuttavia… sono sempre più convinto che il Servizio Imperiale non fa per te. È come cercare di quadrare un cerchio. No, peggio: come tentare d'infilare un tessaratto in un foro rotondo.

Miles trattenne il fiato. — Non sarò… dimesso, vero?

Elena alzò una mano, la girò e si studiò le unghie. — Se anche fosse, potresti sempre trovar lavoro come mercenario. Al generale Metzov, ad esempio, s'era presentata una… attraente prospettiva. Ho sentito dire che la comandante Cavilo intende ingaggiare altro personale. — Ricambiò il sorriso di Miles. Ma lui aveva scoperto i denti solo per comunicarle che una parola in più significava essere morsa.

— Mi è quasi dispiaciuto sentire che Metzov è stato ucciso — disse il Conte Vorkosigan. — Stavamo per chiedere l'estradizione a Vervain quando è scoppiata la grana di Gregor.

— Ah! Finalmente avete stabilito che la morte di quel prigioniero komarrano, durante la rivolta, è stato un omicidio? Io l'ho sempre sospettato…

Il Conte alzò due dita. — Due omicidi.

Miles sbatté le palpebre. — Mio Dio, non avrà chiuso per sempre la bocca ad Ahn prima di andarsene? — Aveva quasi dimenticato Ahn.

— No. Siamo stati noi a rintracciare Ahn, anche se purtroppo quando ormai Metzov aveva lasciato Barrayar. Ci ha confermato che il ribelle komarrano fu torturato a morte, anche se non del tutto intenzionalmente. Sembra che fosse debole di cuore. Tuttavia Metzov non lo fece per vendicare il caporale di guardia alle celle. In realtà, dice Ahn, quest'ultimo fu ucciso dopo il komarrano, perché aveva minacciato di fare rapporto sull'accaduto.

«Metzov lo strangolò in un accesso di rabbia, poi inventò la storia della fuga e costrinse Ahn a confermare questa versione. Ahn fu così complice di due omicidi. Metzov poté tenerlo in pugno, anche se in realtà la cosa era reciproca. Andando in pensione Ahn desiderava sopratutto sparire e rendersi irreperibile, perché in effetti aveva sempre temuto d'essere messo a tacere definitivamente. Sotto il penta-rapido ha raccontato tutto, quando gli agenti di Illyan lo hanno trovato.

Miles ripensò all'ufficiale meteorologico e si sentì triste per lui. — Che cosa ne sarà di Ahn, adesso?

— Avevamo pensato di usarlo come testimone per processare Metzov. Illyan era del parere che questo avrebbe avuto un buon effetto sui komarrani, politicamente… presentare loro l'onesto caporale barrayarano come un degno soldato, impiccare Metzov come prova che l'Imperatore mette la giustizia alla base delle relazioni amichevoli fra Barrayar e Komarr… — Il Conte si accigliò, insoddisfatto. — Ora sembra che dovremo passare sotto silenzio l'intera faccenda. Per la seconda volta.

Miles annuì lentamente. — Metzov… omicida, ricattatore-ricattato, fuggiasco, capro espiatorio, e alla fine ingannato e ucciso. Doveva aver appiccicato addosso un cattivo karma.

— Attento all'eccessivo desiderio di giustizia. Potresti ottenerne troppa per i tuoi gusti.

— Ho già imparato questa lezione, signore.

— Davvero? — Il Conte inarcò un sopracciglio. — Mmh.

— A proposito di giustizia — si affrettò a cambiare argomento lui. — Mi preoccupa la questione del pagamento dei Dendarii. Hanno avuto molte perdite e danni, più di quanto una flotta mercenaria possa sopportare. Il loro unico contratto era a voce, sulla mia parola. Se l'Impero non mi sostiene… li avrò ingannati.

Il Conte Vorkosigan annuì. — Abbiamo già considerato la cosa.

— Illyan acconsente a metterli sul conto spese?

— I fondi a disposizione di Illyan non sarebbero neppure lontanamente sufficienti. Ma sembra che tu abbia appoggi in alto loco. Faremo in modo che la Sicurezza abbia un prestito dalla banca che si occupa degli interessi finanziari dell'Imperatore, per pagare la Flotta, e in seguito presenteremo al Parlamento la proposta di far risarcire la banca dal Ministero delle Finanze.

Miles tirò fuori un microdisco da una tasca della giacca. — Ecco, signore. Questo è il conto da pagare ai Dendarii. Elena è stata alzata fino a tardi per compilarlo. La stima dei danni è soltanto preliminare, ovviamente. — Lo depose sulla consolle.

Un angolo della bocca del Conte si piegò in su. — Vedo che stai imparando a essere pratico, figliolo. — Inserì il dischetto in un computer, per registrarlo. — Penso di poter avere un mandato di pagamento da una banca di Vervain per l'ora di pranzo. Potrete portarlo con voi quando tornerete sulla Triumph.

— Grazie, signore.

— Signore — Elena si piegò in avanti, ansiosamente. — Cosa ne sarà, ora, della Flotta Dendarii?

— La scelta spetta ai vostri capitani, presumo. Anche se non posso dar torto a Illyan quando esprime l'opinione che non debbano restare nelle vicinanze di Barrayar.

— Allora saremo di nuovo abbandonati? — chiese Elena.

— Abbandonati?

— Avevate fatto di noi una milizia imperiale, una volta. Io lo credevo. Anche Baz lo credeva. Poi Miles ci lasciò, e da allora… niente.

— Come l'isola Kyril — aggiunse Miles. — Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. — Scosse la testa, tristemente. — Il loro morale ne soffrirà molto.

Il Conte Vorkosigan gli diede un'occhiata tagliente. — Il destino dei Dendarii, come anche la tua futura carriera militare, è… ancora sotto discussione.

— E loro avranno voce in capitolo, in questa discussione? Io l'avrò?

— Ve lo faremo sapere. — Il Conte poggiò le mani sulla consolle e si alzò in piedi. — Questo è tutto ciò che posso dirvi. E ora, signori, che ne dite di andare a pranzo?

Anche Elena e Miles dovettero alzarsi. — Il commodoro Tung non sa ancora niente della nostra parentela — disse quest'ultimo. — Se desideri che la copertura sia ancora sfruttabile, quando saremo a tavola dovrò continuare a recitare la parte dell'ammiraglio Naismith.

Il Conte Vorkosigan fece un sorrisetto ironico. — Illyan e il capitano Ungari non vorranno certo rinunciare a un personaggio ancora potenzialmente utile. Comunque, per quello che vale… fai pure come credi.

— Devo avvertirti che l'ammiraglio Naismith non è molto deferente con gli alti papaveri.

Elena e il Conte Vorkosigan si guardarono, e d'un tratto scoppiarono a ridere. Miles rimase ad attendere, rigido e per niente divertito, finché la loro ilarità si placò. A volte aveva la seccante impressione d'essere un microbo sotto il microscopio.

L'ammiraglio Naismith fu straordinariamente compito durante il pranzo. A tavola non raccontò barzellette sporche, anche se il tenente Yegorov lo guardò un paio di volte come chiedendosi (evidentemente la sua fantasia non ci arrivava) cosa poteva esser successo fra il cannibale e la bella missionaria.


Il corriere del governo vervano appoggiò l'assegno, una tessera magnetica, sulla scrivania del comandante della Stazione Interna di Vervain. Miles impresse sulla ricevuta l'impronta del pollice, quella della retina e l'illeggibile e fantasioso scarabocchio dell'ammiraglio Naismith, assai diverso dall'accurata firma dell'alfiere Vorkosigan. — È un piacere fare affari con onesti gentiluomini come voi, signori — si compiacque, intascando la tessera e chiudendo con cura la tasca.

— È il meno che possiamo fare — disse il comandante della stazione di balzo. — Non so dirle come mi sia sentito sollevare lo spirito quando le navi dei Dendarii si sono materializzate nel nostro spazio, per combattere e scacciare gli invasori cetagandani.

— I Dendarii non avrebbero potuto riuscirci da soli — precisò modestamente Miles. — Tutto ciò che abbiamo fatto è stato di affiancarvi in attesa che la vera forza d'urto entrasse in campo.

— Ma se non aveste tenuto le posizioni, l'Alleanza del Mozzo Hegen, la «vera forza d'urto» come dice lei, non avrebbe potuto fare il balzo nello spazio locale.

— Non senza gravi perdite, è vero — concesse lui.

Il comandante della stazione guardò l'orologio. — Be', il mio pianeta esprimerà fra poco la sua opinione sull'argomento in modo più tangibile. Posso accompagnarla alla cerimonia, ammiraglio? È quasi l'ora.

— Sì, grazie. — Miles si alzò e lo precedette fuori dall'ufficio, palpando il ringraziamento più tangibile che aveva in tasca. Medaglie, uh-hu. Non è con le medaglie che si pagano i conti dei cantieri navali.

Davanti a una finestra panoramica si fermò un istante, non tanto per guardare lo spazio all'esterno della stazione quanto la sua immagine riflessa nel cristallo. L'accoppiamento bianco/grigio dei Dendarii non mancava di stile, riconobbe. La giacca dell'uniforme aveva bordi in velluto grigio scuro, messi in risalto dalle strisce bianche lungo le cuciture e intorno ai gradi. I morbidi stivaloni di pelle, anch'essi grigi, aggiungevano alcuni preziosi centimetri alla sua statura. I bottoni e le fibbie d'argento gli conferivano, senza eccedere, un'eleganza marziale. Forse avrebbe potuto riportare lo stesso disegno su qualche abito civile.

Nel vuoto esterno fluttuavano sparse numerose astronavi di Dendarii, Rangers, vervani e dell'Alleanza. Il Principe Serg non era fra esse. Si trovava nell'orbita di Vervain e ospitava continue riunioni ad alto livello, in cui venivano perfezionati i particolari di diversi accordi: traffici commerciali e turistici, rapporti economici, comportamenti diplomatici, tariffe doganali, alleanza militare di mutua protezione, programmi di scambio culturale e altri ancora fra Barrayar, Vervain, Aslund e Pol. Gregor, così Miles aveva sentito dire, si stava distinguendo sia nelle relazioni sociali, come protagonista dei notiziari televisivi, che nell'oscuro lavoro degli affari politici. Meglio tu che io, ragazzo. Il cantiere della stazione vervana aveva lasciato da parte altre riparazioni per dare la precedenza alle astronavi dendarii. Baz era indaffarato da qualche parte, fra le centinaia di lucciole che si spostavano lente intorno agli scafi. Miles si distolse da quella vista e seguì il comandante della stazione.

Nel corridoio fuori dal vasto auditorium dove si teneva la cerimonia furono fermati dal personale che stava organizzando la sala. Evidentemente i vervani (o i registi dei loro notiziari) desideravano che i protagonisti facessero il loro ingresso secondo una coreografia precisa. Il comandante entrò a controllare l'ambiente. Non era un grosso auditorium, ma i vervani avevano fatto in modo di riempirlo con un pubblico scelto e rappresentativo. Miles aveva contribuito con un plotone di Dendarii convalescenti. Nel suo discorsetto, decise, avrebbe sottolineato che poteva accettare ogni merito solo a nome dei mercenari, come loro rappresentante.

Mentre aspettava fuori vide arrivare la comandante Cavilo con la scorta in alta uniforme fornitale da Barrayar. A quanto ne sapeva lui, ai vervani non era stato detto che quella guardia d'onore aveva in realtà l'ordine di sparare alla bionda mercenaria, se solo avesse fatto tanto di fuggire. Due ausiliarie barrayarane dall'aria dura provvedevano a sorvegliare ogni momento delle sue giornate. Cavilo le precedeva con andatura flessuosa, ignorando altezzosamente la loro esistenza.

Indossava una delle sue versioni sexy dell'uniforme dei Randall Rangers, nera e ocra, coi gradi applicati ai lati di una scollatura vertiginosa. La vampira morde, ricordò Miles a se stesso. Cavilo sorrise e deviò nella sua direzione. Emanava il profumo aspro, muschioso, a cui lui era allergico, intenso come se ci avesse fatto il bagno dentro.

Miles la salutò con un cenno del capo, s'infilò una mano in tasca e ne estrasse due filtri nasali. Con lenta ostentazione se li mise uno dopo l'altro nelle narici, e quindi aspirò l'aria per controllarne l'efficacia. Funzionavano bene. Avrebbero filtrato anche numerosi batteri oltre alle molecole organiche di quel dannato profumo.

Alla vista della sua esibizione Cavilo s'irrigidì, fulminandolo con uno sguardo furioso. — Maledetto imbecille! — sibilò fra i denti.

Lui si strinse nelle spalle, come per dire: «E cosa dovrei fare, secondo te?» — Siete già pronti per partire, tu e i Rangers?

— Ce ne andremo subito dopo questa stupida mascherata. Ho dovuto vendere come rottami sei navi che non possono più fare il balzo.

— Buona idea. Se i vervani non hanno ancora mangiato la foglia, potrebbero essere i cetagandani a fornire loro qualche sgradevole informazione. Ti consiglio di non indugiare da queste parti.

— Non intendo farlo. Se il Mozzo Hegen sparisse dalla galassia stai cerio che non sentirei la sua mancanza. E questo vale ancor di più per te, piccolo rettile mutante. Se non fosse stato per te… — Scosse il capo, a denti stretti.

— Spero che ti rallegrerà sapere che i Dendarii sono stati pagati tre volte per questa operazione — disse Miles. — Una volta da Aslund, secondo il contratto originale, una volta da Barrayar, e una volta dai vervani grati e commossi. Sottratte le spese, questo ci lascia un discreto utile netto.

— Prega piuttosto di non incontrarmi mai più sviila tua strada! — ringhiò lei.

— Terrò caro questo augurio.

Il personale li fece entrare in sala, e furono indirizzati verso la scaletta a destra del palco. Miles si chiese se fosse possibile che Cavilo avesse la sfacciataggine di accettare un'onorificenza a nome dei Rangers, dopo aver complottato per distruggere chi gliela stava dando. Era possibile, come risultò subito dopo.

La prima medaglia che ho meritato, pensò, mentre il comandante della stazione gliela appuntava sul petto e si voltava verso le telecamere per motivarne la concessione, con imbarazzanti parole di elogio. E non posso neanche portarla in patria. La medaglia, l'uniforme e lo stesso ammiraglio Naismith erano destinati a essere messi in naftalina. Per sempre? Il futuro dell'alfiere Vorkosigan non era molto attraente, al confronto. E tuttavia… la vita di un militare era all'incirca la stessa ovunque. Se fra lui e Cavilo c'era una differenza, stava in quello che ciascuno aveva scelto di servire. E nel modo di farlo. Non tutte le strade, ma una sola strada…


Quando Miles tornò su Barrayar in licenza, qualche settimana più tardi, Gregor lo invitò a pranzo al Palazzo Imperiale. Andarono a sedersi a un vecchio tavolo d'acciaio nel Giardino Settentrionale, noto per esser stato disegnato e curato dall'Imperatore Ezar, nonno di Gregor. D'estate il tavolo sarebbe stato immerso in un'ombra fresca e profonda; quel mattino, sprazzi di sole filtravano fra le tenere foglie di una primavera alquanto precoce. Le guardie erano di sentinella al di là delle piante; i servi si tenevano fuori portata d'orecchio, pronti a scattare se nell'aria si fossero sparse le note argentine del campanello. Dopo tre portate, sazio, Miles sorseggiò il caffè e progettò un assalto al secondo vassoio di paste, che sull'altro lato del tavolo attendevano coraggiosamente il loro destino trincerate dietro i resti dilaniati delle bistecche. O era troppo per le capacità d'attacco dei suoi succhi gastrici? I soli avanzi di quel pranzo avrebbero dato dei punti alle razioni vervane dei lavoratori a contratto, per non parlare delle specialità canine servite nelle celle di Cavilo. Anche Gregor sembrava osservare quel panorama culinario con occhi nuovi. — Le stazioni spaziali sono posti noiosi, dopotutto, non trovi? Tutti quei corridoi così stretti — disse, contemplando una fontana da cui un ruscello serpeggiava via fra le aiuole. — Avevo smesso di vedere la bellezza di Barrayar, trovandomela sotto gli occhi ogni giorno. Per ricordare ho dovuto dimenticare. Strano.

— Ci sono stati momenti in cui io non riuscivo neppure a ricordare in che stazione fossi — fu d'accordo Miles, allungando una mano verso le paste alla crema. — Viaggiare in prima classe è un'altra cosa, ma le stazioni del Mozzo Hegen non offrono molte distrazioni ai turisti. Non è parso anche a te? — osservò, sogghignando.

La conversazione deviò sui fatti accaduti nello spazio territoriale vervano. Gregor fu divertito nel sapere che nella sala tattica della Triumph Miles non s'era occupato concretamente della battaglia né di altro, salvo che seguire le attività della sicurezza di bordo dopo l'evasione dei prigionieri.

— Buona parte degli ufficiali finiscono il loro lavoro proprio quando comincia una battaglia, perché lo svolgimento degli scontri spaziali riguarda una ristretta minoranza di tecnici — disse Miles. — Quando uno ha un buon computer tattico (e un esperto con una certa dose di intuito che sappia usarlo) può mettersi le mani in tasca e aspettare come finiscono le cose. Io avevo Tung, mentre sul Principe Serg tu… ahem.

— Io avevo due tasche molto profonde — annuì Gregor. — Ci sto ancora pensando. Mi sembrava tutto irreale, finché non andai a visitare l'infermeria, più tardi. E allora compresi che un punto di luce significava che quell'uomo aveva perso un braccio, e che quello accanto stava respirando una nebbia radioattiva…

— Quelle dannate luci sugli schermi ti danno gli incubi, dopo. Per il modo in cui mentivano sulla realtà — disse Miles. Si versò un altro po' di caffè e lasciò trascorrere una pausa di silenzio. — Non hai detto a Illyan la verità sul motivo per cui sei scappato, vero? — chiese poi, immaginando benissimo la risposta.

— Gli ho raccontato che sono sceso da quel balcone perché ero ubriaco — Gregor lasciò vagare lo sguardo sui fiori. — Come lo sai?

— Quando parla di te non gli vedo nessuna gelida ombra di terrore in fondo agli occhi.

— Gli ho detto solo… il minimo indispensabile. Non voglio che si preoccupi di queste cose. Anche tu sei stato molto riservato nel tuo rapporto… e te ne ringrazio.

— Di niente. — Miles sorseggiò il caffè. — Fammi un favore, in cambio. Parlane con qualcuno.

— E con chi? Non certo Illyan, né tuo padre.

— Che ne diresti di mia madre?

— Mmh. — Gregor rinunciò alla forchetta con cui stava goffamente torturando una fetta della torta al cioccolato e usò le mani, immergendo le dita nella tenera crosta.

— Probabilmente è l'unica persona di Barrayar che quando ti parla vede davanti a sé Gregor l'uomo, invece di Gregor l'Imperatore. Le nostre qualifiche sociali continuano a sembrarle illusioni ottiche, credo. E tu sai che non ti consiglierebbe nulla che non farebbe lei stessa, al tuo posto.

— Ci penserò.

— Non voglio essere io il solo che… il solo. So benissimo quando una cosa è troppo profonda per me.

— Lo sai? — Gregor inarcò un sopracciglio, togliendosi un pezzo di torta dall'angolo della bocca.

— Sicuro. E di norma evito di farla. Se posso.

— Be', appena avrò l'occasione… — disse Gregor.

Miles attese.

— Le parlerò, va bene.

Miles si rilassò, con un sospiro d'approvazione. — Mi fa piacere che tu l'abbia detto. — Il suo sguardo stava soppesando un'altra pasta alla crema. Era un delitto lasciare che perdesse la sua freschezza ammosciandosi su quel vassoio. — E in questi giorni va meglio?

— Molto meglio, grazie. — Gregor prese la pasta che lui stava fissando e se la portò alla bocca. A Miles parve di aver perso un'amica.

— Sul serio?

In due bocconi la pasta sparì. — Non lo so. A differenza di quel povero diavolo che hanno fatto andare in giro coi miei vestiti addosso, io non mi sono offerto volontario per questo.

— Tutti i Vor sono volontari. Appena tagliato il cordone ombelicale ci mettono in fila, e noi facciamo un passo avanti.

— Qualunque altro Vor potrebbe andarsene all'altro capo della galassia, e nessuno sentirebbe la sua mancanza.

— Tu non sentiresti la mia, un po'? — chiese Miles con indifferenza studiata. Gregor sbuffò. Lui si volse a guardare le aiuole. — Non è un posto malvagio qui, in confronto all'isola Kyril.

— Prova a svegliarti di notte in una camera vuota e buia, larga trenta passi, e a chiederti se dai tuoi cromosomi non verrà fuori qualcuno come mio zio Yuri, il Grande Folle Visionario, o uno come il Principe Serg. — Gregor gli diede un'occhiata tagliente. — E allora comincerai a vedere mostri anche tu, dietro le tende.

— Io… so dei problemi che aveva il Principe Serg — disse Miles, cautamente.

— Sembra che tutti lo sapessero, salvo io.

Così questo era uno degli elementi che avevano innescato la fuga di Gregor da quel palazzo, una fuga dietro cui poteva esserci stato un inconscio desiderio di morte. La notte in cui s'era ubriacato. La notte in cui quel meccanismo era scattato. — Quando hai saputo di lui?

— Durante la conferenza su Komarr, fra una riunione e l'altra. Fino ad allora avevo captato solo qualche accenno… ma la propaganda anti-barrayarana era più esplicita.

Dunque l'impulso di gettarsi da quel balcone, razionalizzato con la decisione di scendere, era stata la sua prima reazione allo shock. Gregor non era stato preparato da nessuno.

— Dimmi, è vero che ha torturato…

— Non tutto ciò che si dice del Principe Serg è vero — si affrettò a interromperlo Miles. — Anche se i fatti reali sono… già abbastanza sgradevoli. Mia madre li conosce. Lei è stata testimone di parecchie cose che io non saprò mai, durante l'invasione di Escobar. Ma forse con te ne parlerà. Se glielo chiedi francamente, a te risponderà altrettanto francamente.

— Neppure tu e tuo padre parlate per enigmi, se è per questo — concesse Gregor.

— Lei può dimostrarti quanto tu sia diverso da lui. Comunque, nell'eredità genetica di tua madre non c'era niente che non andasse, a quanto ne so. È probabile che io abbia tanti cromosomi di Yuri il Folle quanti ne hai tu, ereditati dall'una o dall'altra linea di antenati.

Gregor fece un sogghigno. — E questo dovrebbe essere rassicurante per me?

— Mmh. Se i miei modesti cromosomi ti spaventano, puoi sempre spararmi.

— Quello che mi spaventa è il potere… — L'espressione di Gregor si fece contemplativa.

— Tu non hai paura del potere. Hai paura del male che potresti fare a molta gente… se rinunciassi al potere — disse Miles, in un lampo d'ispirazione.

— Uh. Ci sei andato vicino.

— Non dritto al nocciolo della questione?

— Ho paura che ci proverei gusto. A fare del male. Come lui.

Si riferiva al Principe Serg. Suo padre.

— Sciocchezze — disse Miles. — lo ho visto mio nonno cercare di farti appassionare alla caccia, per anni. Eri bravo, suppongo perché lo ritenevi un dovere per un Vor. Ma non tiravi mai il grilletto se l'animale era fermo o non s'era accorto di te, ed eri sempre tu quello che s'infognava dietro una bestia ferita per finirla. Quali che siano le tue perversioni, non sei un sadico.

— Ciò che ho letto e sentito dire… è impressionante — mormorò Gregor. — Sono cose troppo orribili per fingere d'ignorarle. Non posso fare a meno di pensarci.

— Se la tua testa è piena di cose orribili, è perché il mondo ne è pieno. Pensa alle sventure che Cavilo ha causato al Mozzo Hegen.

— Se l'avessi strangolata nel sonno (e avrei avuto occasione di farlo) quelle mostruosità non sarebbero accadute.

— Se strangolandola le avessi impedito di compierle, non avrebbe meritato d'essere strangolata. Inutile tormentarsi col senno di poi; lo strale della giustizia non può essere scagliato verso il passato. Perciò non devi rimpiangere di non averla strangolata prima. Anche se ammetto che tu possa rimpiangere di non averlo fatto dopo.

— No… no… preferisco lasciarla al suo destino. I cetagandani la stanno già cercando, anche se ha un buon vantaggio su di loro.

— Gregor, scusa ma Yuri il Folle qui non c'entra. Oggi quelli che rischiano di diventare matti sono i tuoi consiglieri.

Gregor guardò la torta al cioccolato, ancora quasi intera, e sospirò. — Se ti spiaccicassi questa torta in faccia, le guardie potrebbero allarmarsi.

— Decisamente. Avresti potuto farlo a otto anni, o a dodici, ma oggi no. La torta della giustizia non può essere scagliata verso il passato — scherzò Miles.

Alcune battute sulla possibilità di modificare la legge, e su certi personaggi che avrebbero meritato d'essere fucilati a raffiche di pasticceria alla crema, rasserenarono l'atmosfera e li fecero ridere. Gregor, decise Miles, aveva davvero bisogno di una battaglia a torte in faccia ogni tanto, anche se solo verbale e immaginaria. Quando si furono ormai rilassati, e il caffè fu freddo, versandosi un bicchierino di brandy Miles disse: — So che i complimenti ti fanno sentire con le spalle al muro, ma dannazione, il tuo lavoro lo sai fare. Dovrai pur avere questa consapevolezza, da qualche parte dentro di te, dopo la grossa parte che hai recitato a Vervain. Resta nei panni di quel personaggio. D'accordo?

— Credo che dovrò farlo — annuì lui, attaccando con la forchetta gli avanzi del dessert. — Ma anche tu dovrai adattarti ai tuoi.

— Qualunque siano, eh? È proprio a questo proposito che Simon Illyan vuole vedermi, oggi pomeriggio. — Miles decise che non si sarebbe appesantito lo stomaco con altre paste.

— Non sembri molto eccitato all'idea.

— Be', che non sarò degradato è sicuro. Non c'è un grado inferiore a quello di alfiere.

— Penso che sia soddisfatto di te. Perché non dovrebbe?

— Non aveva un'aria molto allegra quando sono andato a mettermi a rapporto. Sembrava che avesse acidità di stomaco. Non ha quasi detto parola. — Si accigliò, colpito da un improvviso sospetto. — Tu sai qualcosa, è così? Parla!

— L'Imperatore non deve interferire con le faccende interne del Servizio — sentenziò verbosamente Gregor. — Forse sarai promosso. Mi risulta che ci sia un posto di comando disponibile, all'isola Kyril.

Miles rabbrividì.


La primavera, nella città di Vorbarr Sultana, era gradevole come l'autunno. Sul marciapiede di fronte al Quartier Generale della Sicurezza Imperiale, Miles si fermò un momento a guardare l'acero terrestre, visìbile anche da lì, quasi dietro l'angolo del grande edificio. Le sue foglie erano di un tenero verde pallido anche nella luce dorata del sole pomeridiano. La vegetazione indigena di Barrayar aveva per lo più colori rosati o marroncini. Sarebbe mai andato a visitare la Vecchia Terra? Forse. Chi c'era stato aveva un certo successo nei salotti mondani.

All'ingresso principale esibì i suoi documenti. Pura formalità, poiché gli uomini di guardia erano sempre gli stessi con cui aveva lavorato per un interminabile periodo… possibile che fossero trascorsi solo pochi mesi? Avrebbe potuto ancora recitare a mente i dati delle loro buste paga. Scambiarono qualche battuta scherzosa con lui, ma essendo uomini della Sicurezza si guardarono bene dal fargli quella domanda che pure avevano negli occhi: «E dov'è stato di recente, signore?». Non gli fu assegnata una scorta per l'ufficio di Illyan. Buon segno. Non che qualcuno rischiasse di dimenticarsi quel percorso, comunque.

Prese un ascensore di servizio e seguì il ben noto intreccio di corridoi fino all'angolo opposto dell'edificio. Nell'anticamera del sancta sanctorum il capitano, indaffarato davanti a uno schermo, si limitò a fargli cenno di proseguire. L'ufficio interno era sempre lo stesso, l'aspetto della grande scrivania era lo stesso, Simon Illyan era… più stanco, più pallido del solito. Forse avrebbe fatto meglio a uscire a godersi un po' di quel sole primaverile. L'inverno tuttavia non gli aveva messo più grigio nei capelli; che li tingesse? Improbabile, visto lo stile neutro e spersonalizzato con cui si vestiva.

Illyan gli indicò una sedia (altro buon segno) di cui Miles approfittò prontamente, e prima di dedicarsi a lui terminò quello che stava facendo. Poi appoggiò i gomiti sulla scrivania, intrecciò le dita e lo scrutò con una sorta di cinica disapprovazione, come se fosse un esemplare biologico sperimentale che con alcune modifiche avrebbe potuto essere trasferito su qualche scaffale del magazzino, invece che gettato fra gli scarti di laboratorio.

— Alfiere Vorkosigan — sospirò infine, — sembra che tu abbia ancora difficoltà nel riconoscere d'essere un subordinato rispetto a chi ha un grado più elevato del tuo.

— Lo so, signore. Mi rattrista doverlo ammettere.

— E hai intenzione di fare qualcosa in merito, oltreché rattristarti?

— Signore, se qualcuno mi dà un ordine sbagliato io faccio sempre qualcosa in merito, oltreché rattristarmi.

— Se non riesci a ubbidire ai miei ordini, in questo dipartimento non c'è posto per te.

— Be'… pensavo di aver ubbidito. Lei voleva una valutazione militare del Mozzo Hegen. L'ho fatta. Voleva sapere dov'era l'origine della situazione destabilizzante. L'ho scoperta. Voleva che i Mercenari Dendarii lasciassero il Mozzo, e fra tre settimane se ne andranno, a quel che so. Lei chiede dei risultati. Ne ha avuti.

— Anche troppi — borbottò Illyan.

— Lo ammetto, non avevo ricevuto l'ordine di salvare Gregor. Ho presunto che lei mi avrebbe autorizzato a farlo, signore.

Illyan strinse le palpebre, scrutandolo in cerca di una traccia di ironia, e Miles cercò di esibire un'espressione blanda, ma aveva di fronte un maestro e non s'illuse di passarla liscia.

— Se la memoria non m'inganna — disse Illyan (e non lo ingannava, perché un biochip di fabbricazione Illyrica gli dava una memoria eidetica) — diedi questi ordini al capitano Ungari. A te ne diedi uno solo. Riesci a ricordare quale? — Il tono era quello di un genitore comprensivo verso un bambino di sei anni affetto da gravi problemi psichici. Sì, usare l'ironia con Illyan era poco consigliabile; idem per l'espressione blanda.

— Ubbidire agli ordini del capitano Ungari — fu costretto a rispondere.

— Proprio così. — Illyan si appoggiò all'indietro. — Ungari era un buon agente operativo, affidabile. Se tu avessi fatto un passo falso l'avresti fatto precipitare con te. Ora è un uomo insicuro di sé, forse rovinato per sempre.

Miles allargò le braccia, addolorato. — Dal suo punto di vista ha preso le decisioni giuste, signore. Lei non può fargliene una colpa. È solo che… il gioco era troppo grosso perché io potessi affrontarlo come alfiere, mentre chi serviva davvero era Lord Vorkosigan. — O l'ammiraglio Naismith.

— Mmh — disse Illyan. — E allora a chi devo assegnarti, adesso? Di quale altro bravo ufficiale vuoi rovinare la carriera?

Lui ci pensò sopra. — Perché non mi prende alle sue dirette dipendenze, signore?

— Grazie — annuì seccamente Illyan.

— Non volevo dire… — cominciò a scusarsi Miles. Poi notò la scintilla d'ironia negli occhi dell'altro e tacque. Mi stai rosolando a fuoco lento per fare un po' di sport, eh?

— In effetti questa proposta è già stata ventilata. Non da me, inutile sottolinearlo. Ma un agente operativo galattico deve agire con un alto grado d'indipendenza. Stiamo pensando che dovremo fare di necessità virtù… — Una luce sulla consolle lo distrasse. Controllò qualcosa e premette un pulsante. La porta mimetizzata nella parete accanto alla scrivania si aprì, e Gregor entrò nell'ufficio. L'Imperatore disse a uno dei due uomini che lo seguivano di restare fuori; l'altro attraversò l'ufficio e andò in anticamera. Entrambe le porte furono richiuse. Illyan, che s'era alzato a scostare una poltroncina per Gregor, gli rivolse il breve accenno di un inchino prima di tornare dietro la scrivania. Anche Miles, dopo aver eseguito il saluto militare, sedette di nuovo.

— Gli ha già parlato dei Dendarii? — chiese Gregor a Illyan.

— Ci stavo arrivando, Altezza.

Non senza girarci maledettamente intorno! - Che cosa c'entrano i Dendarii? — domandò Miles, incapace di celare l'emozione della voce. Imitare l'inespressività del capo della Sicurezza gli riusciva solo con i lineamenti del volto.

— Abbiamo deciso di tenerli a disposizione dell'Impero — disse Illyan. — Tu, sotto l'identità dell'ammiraglio Naismith, sarai il nostro ufficiale di collegamento.

— A disposizione in che senso? — si stupì Miles. Naismith, non sei morto!

Gregor sorrise. — Al servizio di Sua Maestà. Dobbiamo loro qualcosa di più che la semplice paga per quello che hanno fatto con noi… e per noi, al Mozzo Hegen. E non c'è dubbio che abbiano dimostrato la loro utilità nell'agire oltre certe barriere geografiche e politiche per noi insormontabili.

Miles interpretò la smorfia di Illyan come profondo dolore per le finanze del suo dipartimento, più che l'idea in se stessa.

— Simon, la prego di studiare le possibilità di un loro impiego attivo — continuò Gregor. — Dobbiamo poter giustificare questa decisione, e la somma che ci costa.

— Io credo che sarebbero più utili in operazioni di spionaggio che in attività belliche — brontolò seccamente Illyan. — Questa non è un'autorizzazione per darsi alle avventure o, ancora peggio, carta bianca per la guerra da corsa. La prima cosa che dovrai fare sarà di riorganizzare il reparto informazioni di quella flotta. So che i soldi non ti mancano. Ti affitterò un paio dei miei esperti.

— Non sorveglianti/guardie del corpo, signore? — domandò Miles, nervosamente.

— Vuoi che chieda al capitano Ungari di offrirsi volontario? — Illyan ebbe un sogghigno malizioso. — No. Sarai tu il responsabile. E che Dio ci aiuti. Comunque non intendo mandarti in nessun posto; resterai dove potrò tenerti d'occhio. Così ci sarà almeno qualcosa di buono, anche se i Dendarii non dovessero servire a niente.

— Temo che la sfiducia di Simon sia dovuta soprattutto alla tua giovane età — mormorò il venticinquenne Gregor. — Noi siamo dell'idea che dovrebbe abbandonare questo pregiudizio.

Sì, pensò Miles, quello era il «Noi» imperiale; i suoi sensibili orecchi barrayarani non l'avevano ingannato. L'autorità faceva sentire la sua voce. E stavolta nell'ironia di Illyan ci fu una sfumatura di… approvazione? — Aral e io abbiamo lavorato vent'anni per tirar su qualcuno capace di sostituirci. Potremmo perfino vivere fino all'età della pensione. — Fece una pausa. — Questo significa «successo» nel nostro lavoro, ragazzo. Non mi dispiacerebbe. — E sottovoce, fra sé: — … levarmi finalmente dalla testa quel maledetto chip…

— Mmh, non è ancora tempo che lei si metta in cerca di una casetta di campagna con l'orticello — disse Gregor. Non era una velata ammissione d'incertezza nelle sue capacità, ma solo un'espressione di fiducia in quelle di Illyan. Né più, né meno. Si volse a Miles e gli guardò… il collo? Le profonde escoriazioni lasciate dalle dita di Metzov dovevano essere ormai scomparse, sicuramente. — Lo ha convocato anche per dargli l'altra notizia? — domandò al capo della Sicurezza.

L'uomo si strinse nelle spalle. — Già che è qui — borbottò, frugando in un cassetto sotto la consolle del videotelefono.

— Noi… e intendo Noi, pensiamo di doverti anche qualcos'altro, Miles — disse Gregor.

Lui esitò fra un formale «non-è-il-caso/non-ho-fatto-nulla» e «be'-se-proprio-insisti-allora-grazie», optando poi per un cauto sguardo interrogativo.

Illyan chiuse il cassetto e gettò a Miles qualcosa di rosso che roteò un attimo nell'aria. — Ecco qua. Ora sei tenente. Qualunque cosa significhi per te.

Lui afferrò al volo la busta contenente le piastrine rettangolari del suo nuovo grado. Ne fu così sorpreso che disse la prima cosa che gli venne in mente: — Be', questo aggiunge qualcosa ai miei problemi di insubordinazione verso i superiori: la possibilità d'essere degradato.

Illyan gli concesse un sorrisetto calcolato al millimetro. — Non montarti la testa. Il dieci per cento degli alfieri ottiene la stessa promozione al termine del primo anno di servizio. In ogni caso, niente convincerebbe i tuoi colleghi che non si tratta di nepotismo.

— Lo so — disse Miles, rassegnato. Ma si slacciò il colletto e cominciò a fissare le piastrine al loro posto.

L'espressione di Illyan si ammorbidi leggermente. — Tuo padre sa che non è così, comunque. E anche Gregor, e… e io.

Miles rialzò lo sguardo e lo fissò dritto negli occhi, forse per la prima volta senza alcun accenno di sfida. — Grazie.

— Te lo sei meritato. Da me non avrai niente che tu non meriti. Inclusa la restituzione di quei gradi.

— Li conserverò come se fossero suoi, signore.

FINE
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