CAPITOLO TREDICESIMO

Quel pomeriggio, comunque, un po' di sano esercizio fisico fu concesso a tutte e tre le sue identità. Miles venne condotto in una piccola palestra di bordo per l'occasione riservata soltanto a lui e per un'ora poté far uso delle attrezzature, distraendosi col calcolo delle traiettorie fra ciascuna di esse e la posizione in cui stazionava l'uomo di guardia, accanto alla porta. Riuscì a vedere almeno due modi in cui un giovanotto robusto come Ivan avrebbe potuto stordirlo e fuggire. Nessuno dei due alla sua portata. Per un momento desiderò quasi che Ivan fosse con lui.

Durante il ritorno sotto scorta alla Cella 13, nella stanza di controllo, incrociò un altro prigioniero che le guardie stavano perquisendo. Era un uomo scosso e tremante, con corti capelli biondi bagnati di sudore, e quando poté guardarlo in faccia Miles dovette fare uno sforzo per celare lo sbalordimento nel vederlo lì. Il luogotenente di Oser. La sua espressione era molto diversa.

Portava ancora i pantaloni grigi dell'uniforme, ma l'avevano messo a torso nudo. La sua schiena era segnata da lividi lasciati da uno sfollagente-storditore. Sull'epidermide pallida del braccio destro risaltavano i puntolini rossi di un ipospray. Dalle labbra umide, ogni tanto contratte da un sorriso ebete simile a un rictus, gli usciva un balbettio sconnesso. Reduce di fresco da un interrogatorio col penta-rapido, evidentemente.

Miles abbassò lo sguardo a osservare la mano sinistra del tenente: sì, erano ancora lì i segni dei suoi denti, la mossa d'esordio della lotta nel corridoio della Triumph, quando l'uomo aveva estratto la vibrolama nel selvaggio impulso di amputargli la lingua.

La guardia lo fece proseguire con uno spintone. Miles per poco non cadde, ma continuò a voltarsi indietro finché la porta della Cella 13 non si chiuse, imprigionandolo di nuovo.

Cosa sei venuto a fare qui? Quella, stabilì, era la domanda che al Mozzo Hegen tutti facevano a tutti… anche se pochi dovevano aver risposto con la franchezza del tenente oserano. Non c'era dubbio che quello di Cavilo fosse un servizio di controspionaggio efficiente. Da quanto si trovava lì il tirapiedi di Oser? Com'era riuscito a rintracciare lui e Gregor? A giudicare dalle sue condizioni fisiche non doveva essere nelle mani dei Randall Rangers da più di ventiquattr'ore…

Ma ciò che Miles avrebbe voluto sapere era se quella puntata degli Oserani su Stazione Vervain faceva parte di una loro strategia generale, oppure significava che Tung era stato costretto a parlare. Oser aveva scoperto il tradimento di Elena? L'aveva fatta arrestare? A denti stretti cominciò a camminare avanti e indietro nella cella, sempre più ansioso e preoccupato. Ho rovinato i miei amici? Sono stati uccisi per colpa mia?

E ora tutto ciò che Oser sapeva lo sapeva anche Cavilo: l'intero guazzabuglio di menzogne, errori e verità. Perciò, se Gregor le aveva mentito e intendeva continuare a mentirle, la reazione della bionda avrebbe potuto essere feroce. C'era quasi da augurarsi che Gregor si fosse davvero innamorato di lei. Miles si sentiva la testa così piena di domande angosciose che avrebbe voluto ubriacarsi e non pensare più a niente.


Due guardie vennero a svegliarlo a metà del ciclo notturno e gli ordinarono di vestirsi. Dunque s'erano decisi a torchiarlo? Miles ripensò al balbettante tenente oserano ed ebbe un fremito. Insisté per lavarsi la faccia, poi indossò con deliberata lentezza la tuta da fatica dei Rangers per rallentare il più possibile la sua uscita di cella, finché i due cominciarono a battere minacciosi colpetti sui loro sfollagente-storditori. Anche lui da lì a poco sarebbe stato un balbettante imbecille. E tuttavia, a quel punto, sotto l'effetto del penta-rapido cosa poteva dire che rendesse le cose peggiori? Da quanto ne sapeva lui, Cavilo aveva già il quadro completo della situazione. Si scrollò di dosso le mani dei due uomini e li precedette fuori, con tutta la scarsa dignità che ancora riusciva a mostrare.

Fu scortato lungo i corridoi in penombra e fatto salire su un ascensore che si riaprì davanti a una targa: PONTE G. I suoi sensi si tesero di colpo. Gregor doveva essere alloggiato proprio lì. Le guardie lo fecero fermare di fronte a una cabina contrassegnata 10-A e uno di loro batté un codice sulla tastiera della serratura, per identificarsi. La porta scivolò di lato.

Cavilo sedeva a una consolle di comunicazioni, sotto un cono di luce azzurrina che spandeva vaghi riflessi ultravioletti sui suoi capelli platinati. Quello doveva essere l'ufficio, adiacente all'alloggio privato, della comandante. Miles aguzzò lo sguardo nella penombra della stanza in cerca dell'Imperatore. Lo riportò su di lei e notò che malgrado l'ora tarda indossava la sua solita uniforme sexy-militaresca da lavoro. Aveva anche l'aria stanca. Se non altro, si disse, lui non era il solo a dormire poco e male in quel periodo. Cavilo poggiò lo storditore sulla consolle, a portata di mano, e licenziò le guardie. Nelle vicinanze non c'era traccia di ipospray, ma quello che Miles sentiva nell'aria non era l'odore del penta-rapido. La bionda emanava un profumo intenso, non lo stesso — a quel ricordo lui deglutì a vuoto — che aveva il giorno in cui gli si era presentata come Livia Nu.

— Si accomodi, Lord Vorkosigan.

Miles sedette sulla sedia che gli era stata indicata, e attese. Cavilo lo studiò con sguardo calcolatore. Il suo profumo era forte, così pungente da fargli prudere le narici, e tuttavia anche tanto femminile che d'un tratto lui si accorse di non vedere più alcun pericolo in quella situazione. Ne fu irritato con se stesso. Reprimere il bisogno di grattarsi il naso gli costò uno sforzo, ma era un gesto di debolezza che non voleva fare di fronte a a quella donna.

— Il suo Imperatore è in un brutto guaio, piccolo Lord Vor. Se lei vuole salvarlo non ha che un modo: tornare dai Mercenari Oserani e riprenderne il comando. Quando avrà fatto questo riceverà ulteriori istruzioni.

Miles restò a bocca aperta. — Chi lo minaccia? — ansimò. — Lei?

— Niente affatto! Greg mi è molto caro… è l'uomo della mia vita. Io lo amo, e farei qualsiasi cosa per lui. Rinuncerei perfino alla mia carriera. — Annuì fra sé, appoggiandosi all'indietro. Miles piegò gli angoli della bocca, ma più per controllare il prurito che per sorridere. — Se lei scegliesse una linea di condotta che non fosse quella di seguire le mie istruzioni alla lettera, be'… questo causerebbe immediatamente a Greg dei guai inimmaginabili. Da parte dei suoi peggiori nemici.

Peggiori di te? E chi sarebbero? - Perché vuole che io torni al comando dei Mercenari Dendarii?

— Non posso dirglielo. — Ebbe un sorrisetto, divertita per un motivo che capiva lei sola. — Sarà una sorpresa.

— Che genere di assistenza può darmi in questa missione?

— Un passaggio fino alla Stazione Aslund.

— E cos'altro? Truppe, armi, astronavi, denaro?

— Mi è stato detto che lei sa cavarsela soltanto con le sue brillanti doti. Vedremo se questo è vero.

— Oser mi farà uccidere. Ci ha già provato una volta.

— È un rischio che io devo correre.

Davvero generoso questo «io», signora. - Si direbbe che lei voglia farmi eliminare — la accusò Miles. — E se invece riuscissi nell'impresa?

— La chiave di ogni strategia, caro signore — spiegò con pazienza lei, — non è di scegliere un percorso vincente, ma di predisporre in modo che tutti i percorsi possibili siano vincenti. Teoricamente la sua morte può avere un utile, e così anche il suo successo. Voglio sottolineare che un suo tentativo di contattare Barrayar sarebbe considerato molto controproducente. Molto.

Grazioso, come concetto di strategia. Miles si propose di tenerlo a mente. — Lasci che a darmi il via per questa missione sia il mio comandante supremo, allora. Mi permetta di parlare con Gregor.

— Questo, diciamo, sarà il suo premio se avrà successo.

— L'ultima persona a cui lei ha promesso questo genere di premio si è preso un colpo alla nuca per la sua credulità. Che ne dice di risparmiare tempo e ammazzarmi fin d'ora? — Sbatté le palpebre. Il prurito al naso era così insopportabile da fargli lacrimare gli occhi, ma grattarselo apertamente non era dignitoso.

— Non voglio spararle, stia tranquillo. — Cavilo inclinò la testa, stupita e accigliata. Poi si alzò in piedi. — Santo cielo, Lord Vorkosigan, non mi aspettavo che lei si mettesse a piangere.

Lui storse il naso e fece per sollevare una mano, in un vago gesto d'impotenza. Con una smorfia sprezzante Cavilo tolse un fazzoletto di tasca e glielo gettò. Il tessuto era impregnato dello stesso pungente profumo, ma Miles aveva il fiato mozzo: lo afferrò e se lo premette sulla faccia prima ancora di accorgersene.

— La smetta di frignare, razza di codardo. Non ha un minimo… — La sua disgustata osservazione fu interrotta dal rumore con cui lui si soffiava il naso, in cinque o sei energiche riprese.

— Non sto piangendo, stupida puttana! Sono allergico al suo maledetto profumo! — ansimò Miles scaraventando via il fazzoletto, e continuò a sfregarsi il naso su una manica della tuta.

Lei si portò una mano alla fronte e scoppiò a ridere; una risata genuina, non uno dei suoi soliti manierismi. Finalmente quella era la vera, spontanea Cavilo. Miles aveva visto giusto: il suo senso dell'umorismo era alquanto distorto. — Oh, caro — cinguettò. — Non immaginavo che lei fosse così delicato. In effetti c'è chi apprezza questo, uh… be', non importa. È sicuro di sentirsi bene?

Miles non rispose. I suoi seni paranasali erano saturi di muco, e ora se lo sentiva anche scendere in gola. La bionda scosse il capo e andò a battere qualcosa sulla sua consolle.

— Meglio che lei cominci ad avviarsi, Lord Vorkosigan, prima che la sua crisi si aggravi — gli disse. — Può partire subito.

Lui si passò una mano sulla faccia, e il suo sguardo annebbiato di lacrime cadde sulle pantofole che aveva ai piedi. — Posso almeno avere un paio di scarpe decenti per questo viaggio?

Lei lo esaminò, con un sogghigno. — Sciocchezze — decise. — Credo che lei starà più comodo con la roba che ha indosso.

— Su Stazione Aslund questa uniforme mi procurerà un'accoglienza più ostile di quella di un gatto in un canile — protestò lui. — C'è il rischio che mi sparino a vista, per errore.

— Loro per errore, io di proposito… cielo, con con facilità lei s'immagina protagonista di scene emozionanti. — Gli passò davanti e andò ad aprire la porta.

Lui stava ancora sbuffando dal naso quando la sua scorta lo condusse via. Cavilo non aveva smesso di ridacchiare.


Occorse mezz'ora perché gli ultimi effetti di quel profumo si dissolvessero, e per allora Miles aveva già lasciato la Mano di Kurin lungo un tubolare di collegamento, passando a bordo di una piccola nave da carico. Partirono senza fargli rimettere piede su Stazione Vervain; neppure una possibilità di sfuggire al loro controllo.

Osservò la cabina che gli era stata assegnata. La cuccetta e il cesso-lavandino non erano molto diversi da quelli della Cella 13. La vita di bordo… bah. L'immenso panorama dell'universo, bah. La gloria del Servizio Imperiale, doppio-bah. Aveva perduto Gregor. Può darsi che io sia piccolo, ma faccio errori grossi perché sono seduto sulle spalle dei giganti. Cercò di aprire la porta e gridò qualche parola nell'intercom. Nessuno gli rispose.

Non è una sorpresa.

Poteva essere lui a sorprenderli, facendosi trovare impiccato. Non che fosse la soluzione ideale per rovinare i piani di Cavilo. Ma non c'era niente di abbastanza alto a cui legare la cintura.

Si rassegnò. Quella nave era più veloce del mercantile in cui lui e Gregor avevano trascorso tre giorni, ma attraversare il sistema del Mozzo Hegen richiedeva tempo. Davanti a lui c'era un giorno e mezzo che avrebbe potuto impiegare per riflettere all'imprevisto sviluppo della situazione. Lui e l'ammiraglio Naismith.

Be', che ne pensa, ammiraglio? Oh, Dio.


Un sottufficiale e una guardia vennero a prelevarlo trentasei ore più tardi, quando stimava d'essere già entro i confini del perimetro difensivo della Stazione Aslund. Ma non abbiamo ancora attraccato. Perché questo anticipo? La stanchezza nervosa non gli aveva impedito di reagire con un flusso di adrenalina. Respirò a fondo e cercò di scuotersi via la nebbia dal cervello. Ancora un po' di detenzione, pensò, e non ci sarebbe stata adrenalina capace di farlo tornare a contatto col mondo. Il sottufficiale lo scortò nel breve corridoio centrale fino in plancia e lo fece fermare a qualche passo dal comandante. L'uomo, nella sua uniforme dei Randall Rangers, era appoggiato alla consolle delle comunicazioni, a cui stava lavorando il secondo ufficiale. Il pilota e l'ingegnere di macchina erano indaffarati sul resto della strumentazione.

— Se salgono a bordo lo arresteranno, e così sarà automaticamente portato a destinazione — stava dicendo il secondo ufficiale.

— Se salissero a bordo potrebbero arrestare anche noi. Lei ha ordinato di scaricarlo alla stazione o dove capita e tornare indietro. Non le piacerebbe sentirsi dire che ci siamo fatti internare — replicò il comandante.

— Volo C6-WG — disse una voce dalla consolle. — Qui è la Ariel, nave a contratto con mansioni di sorveglianza per conto della Flotta di Aslund. Chiamo il Volo C6-WG da Stazione Vervain. Rallentate a velocità d'ingresso e preparate il compartimento stagno per ricevere un'ispezione a bordo. La Stazione Aslund si riserva il diritto di negarvi l'attracco qualora non vi fermiate per un'ispezione preliminare. — Poi proseguì, in tono meno ufficiale: — E noi ci riserviamo il diritto di aprire il fuoco se voialtri, gente, non ubbidite maledettamente subito. Chiaro, questo? — Assumendo una nota sarcastica la voce aveva fatto scattare un interruttore nella memoria di Miles. Bel?

— Rallentare a velocità di ingresso — ordinò il comandante, e accennò al secondo di spegnere la radio. — Ehi, tu, Rotha — disse a Miles. — Vieni qui.

Così sono di nuovo Rotha. Lui esibì un sorrisetto docile e cercando di mascherare il suo famelico interesse aggirò la consolle, fino al punto da cui poteva vedere il display del teleradar. La Ariel? Sì, quella in avvicinamento su una rotta quasi parallela era la sagoma snella dell'incrociatore di costruzione illyrica… ancora al comando di Bel Thorne? Come posso farmi trasferire su quella nave?

— Ehi, non vorrete buttarmi fuori! — protestò, ansiosamente. — Gli Oserani ce l'hanno ancora con me, per via di un vecchio malinteso. Io non sapevo che quelle pistole a plasma fossero difettose.

— Quali pistole a plasma? — domandò il comandante.

— Io commercio in armi, e sono conosciuto in tutta la distorsione. Niente… ho venduto a Oser cinquanta casse di pistole nuove di fabbrica allo stesso prezzo che mi erano costate. Ma poi è venuto fuori che quando andavano in sovraccarico il calcio poteva fondere… in mano a chi lo impugnava. Le avrei ritirate per modificarle a mìe spese, giuro, se fossi stato sul posto. Ma i miei affari mi costringono a viaggiare molto.

— E molto in fretta, eh? — Il comandante si portò una mano alla cintura e con gesto automatico sfiorò la fondina della sua grossa pistola a plasma. Guardò Miles da capo a piedi, come se vedesse un insetto, e si accigliò. — Non vale la pena di rischiare — disse dopo qualche secondo. — Tenente, lei e il caporale scortate questo piccolo sgorbio mutante al portello di tribordo, impacchettatelo in una sacca di sopravvivenza e buttatelo fuori. Poi ce ne torniamo a casa.

— No! — supplicò debolmente Miles mentre lo afferravano per un braccio. Sì! Trascinando i piedi li seguì alla porta, attento a non offrire resistenza per non mettere a repentaglio le sue fragili ossa. — Non avete il diritto di gettarmi fuori come se fossi una balla di merce… E quella Ariel, mio Dio… quella gente senza scrupoli…

— Oh, non temere, i mercenari di Aslund non ti perderanno — disse il comandante. — O magari ti scambieranno per una mina e ti faranno saltare, con un colpo di cannone al plasma. Chi può dirlo? — Con un sorrisetto si volse alla consolle, afferrò un microfono e in tono indifferente disse: — Nave Ariel? Qui Volo C6-WG. Purtroppo difficoltà tecniche ci impongono di cambiare il programma di volo e rientrare immediatamente a Stazione Vervain. Di conseguenza non abbiamo bisogno di un'ispezione pre-attracco. Vi lasceremo però un piccolo regalo di addio. Innocuo, sia chiaro. Cosa vorrete farne sono solo fatti vostri…

La porta di plancia si chiuse, e nel corridoio restò il silenzio. Miles fu fatto girare a destra verso un piccolo compartimento stagno. Cercò di divincolarsi ma il caporale lo tenne fermo, mentre l'altro uomo tirava fuori un involucro di plastica rossa, opaca.

La sacca di sopravvivenza era una sfera gonfiabile a uso rapido, generalmente fornita ai passeggeri delle navi di linea e utile sia durante un'eventuale depressurizzazione interna che per abbandonare la nave. Le sue possibilità tecniche non erano superiori a quelle di un salvagente di sughero. Il passeggero chiuso dentro di essa non aveva bisogno di alcuna conoscenza perché l'impianto — un minuscolo cilindro che forniva alcune ore di aria riciclata e il segnalatore a batteria da cui partiva un impulso radar — era automatico.

Inerte, a prova di idioti e di cani o gatti terrorizzati, poco raccomandabile per chi soffriva di claustrofobia, la sacca di sopravvivenza era così funzionale che salvava in effetti la vita di molta gente… purché i soccorsi arrivassero in tempo.

Miles mandò un gemito realistico quando fu costretto a strisciare nel contenitore odoroso di plastica e vi fu chiuso dentro. Uno strattone alla valvola e il pallone cominciò a gonfiarsi. Nello stesso istante in lui tornò un'immagine della tenda-bolla dell'isola Kyril, e il suo gemito si arricchì di una nota più autentica. A questo seguì una serie di urti e percosse, quando lo fecero rotolare senza complimenti nella camera stagna. Un sibilare d'aria, un clangore di flange, lo scossone della gravità che lo abbandonava e fu proiettato nel buio assoluto dello spazio vuoto.

Il sacco di sopravvivenza aveva un diametro di poco superiore al metro e venti. Piegato in due, Miles roteò con l'inerzia dell'impulso che lo aveva scaraventato fuori, conscio di roteare soltanto perché la forza centrifuga gli faceva salire lo stomaco in bocca. Annaspò attorno finché le sue mani tremanti artigliarono quello che gli sembrò un tubo a luce-fredda. Lo palpeggiò a caso e fu ricompensato dall'accendersi di una nauseante fluorescenza verdastra.

Il silenzio era profondo, disturbato solo dall'ansito spettrale del riciclatore d'aria. Be'… se dovevo proprio essere buttato fuori da un portello stagno, stavolta c'è una differenza che non sarò io a criticare. Nei venti minuti che seguirono ebbe modo d'immaginare tutti i possibili motivi per cui la Ariel poteva non ricevere il segnale di soccorso oppure decidere di non recuperarlo. Stava già pensando che avessero scelto di non aprire il fuoco su di lui per lasciarlo invece morire d'asfissia, quando il sacco di sopravvivenza fu agganciato da un raggio trattore con uno strattone che lo lasciò senza fiato.

Il troglodita alla manovra del raggio trattore era un criminale con dieci banane marce al posto delle dita, questo fu chiaro fin dal principio, ma dopo alcuni minuti di penosi sballottamenti il ritorno della gravità e alcuni rumori metallici gli dissero che si trovava all'interno di un compartimento stagno. Un portello si aprì, voci umane si avvicinarono. Poi il pallone cominciò a rotolare di nuovo. Con un grido di protesta lui si rannicchiò per proteggersi, finché quel movimento ebbe termine. Allora sedette, fece un lungo sospiro e cercò di sistemarsi l'uniforme.

Una mano palpeggiò la superficie esterna del pallone. — C'è qualcuno qui dentro?

— Fatemi uscire! — gridò Miles.

— Un momento…

Alcuni strattoni, lo scricchiolio della plastica dei sigilli mentre un utensile li spezzava, e poi il fruscio della cerniera. La sacca di sopravvivenza si afflosciò mentre l'aria ne usciva. Miles si fece strada fra le pieghe e vacillando si tirò in piedi, con tutta la goffaggine e l'inettitudine di un pulcino strisciato fuori dall'uovo.

Era in una piccola stiva per le merci. Tre militari in uniforme bianca e grigia lo circondavano, tenendogli puntati alla testa due storditori e un distruttore neuronico. Appoggiato a una cassa, un uomo snello coi gradi di capitano lo stava osservando.

La posa dell'ufficiale, i lunghi capelli castani e i lineamenti del volto, non lasciavano capire se fosse un uomo delicato ed efebico o una donna d'aspetto alquanto deciso. Quell'ambiguità a suo modo affascinante era in parte naturale, ma per il resto sapientemente coltivata. Bel Thorne era un ermafrodita betano, un discendente delle sperimentazioni genetico-culturali che s'erano concluse un secolo addietro senza molto successo. La sua espressione, dapprima blanda e scettica, si fece sbalordita quando poté vederlo in faccia.

Miles sogghignò ampiamente. — Salve, Pandora. Gli Dei ti hanno fatto un dono, ma a una condizione, e ora che l'hai violata tutti i mali del mondo sono liberi. Trovi soltanto me in fondo a quel dannato contenitore.

— La Speranza! Potrei chiedere di meglio? — Thorne s'illuminò in volto mentre veniva verso di lui. Lo abbracciò e lo strinse a sé con entusiasmo. — Miles! — Scostandosi continuò a tenerlo per le spalle, e nei suoi occhi c'era una luce quasi avida. — Ma che stai facendo qui? E…

— Sapevo che me lo avresti chiesto — sospirò Miles.

— … e perché hai addosso una tuta dei Rangers?

— Dio, sono felice che tu non sia di quelli che prima sparano e poi fanno domande. — Miles scalciò via la plastica sgonfia fra cui si impigliavano le sue pantofole e vide che i mercenari, per quanto un po' incerti, continuavano a tenerlo sotto mira. — Ah… — Fece un gesto verso di loro.

— Riposo, uomini — ordinò Thorne. — È tutto a posto.

— Vorrei che fosse vero — disse lui. — Bel, dobbiamo parlare.


La cabina di Thorne a bordo della Ariel era lo stesso miscuglio di cose familiari e novità che Miles stava trovando in tutto ciò che riguardava i mercenari. I rumori, gli odori e le attività nei locali dell'astronave gli risvegliavano cascate di ricordi. Bel aveva riempito il suo alloggio con una gran quantità di oggetti personali: videolibri, armi, ricordi accumulati nelle campagne belliche, un casco semifuso alla cui robustezza doveva la vita e che era stato trasformato in una lampada, e una piccola gabbia contenente un animaletto di origine terrestre che Thorne chiamava «criceto».

Fra una tazza e l'altra di tè non sintetico, proveniente dalla riserva privata del comandante, Miles riferì a Thorne una versione in stile ammiraglio Naismith dei fatti accaduti, molto vicina a quella che aveva dato a Oser ed a Tung: l'incarico di valutare la situazione politica del Mozzo, e il governo al cui servizio agiva e del quale non poteva fare il nome. Gregor, naturalmente, restò fuori dal resoconto, e così anche ogni accenno a Barrayar. Miles Naismith parlava con puro accento betano. Per il resto rimase aderente a ciò che gli era successo davvero, compresi molti particolari del suo soggiorno fra i Randall Rangers.

— Così il tenente Lake è stato catturato dai nostri concorrenti — commentò Thorne, dopo che lui gli ebbe riferito di come lo aveva incontrato nel reparto detenzione della Mano di Kurin. - Non posso dire di amarlo svisceratamente… ma è chiaro che nelle procedure della nostra sicurezza c'è una falla.

— Lo penso anch'io. — Miles depose la tazza e si piegò in avanti. — Il mio datore di lavoro mi ha autorizzato non soltanto a osservare ma anche a impedire che scoppi un conflitto nel Mozzo Hegen, se possibile. — Sì chiese fino a che punto Ungari gli avrebbe dato ragione. — Però credo che ormai la situazione sia ingovernabile. Dal vostro punto di vista come sembra?

Thorne si accigliò. — Abbiamo attraccato alla stazione cinque giorni fa, per l'ultima volta. È stato allora che gli aslundiani hanno ordinato le ispezioni preliminari obbligatorie. Tutte le navi di stazza inferiore sono state adibite a questo servizio. Con la loro stazione militare ormai quasi completata, i nostri datori di lavoro cominciano a temere gli atti di sabotaggio, bombe fra le merci, missili dall'esterno, contaminazioni batteriologiche…

— Sì, ma non intendevo questo. Cosa puoi dirmi della situazione interna della Flotta?

— Ti riferisci alle voci sulla tua vita/morte/resurrezione? Circolano dappertutto, in quindici o venti versioni diverse. Io avevo deciso di non credere a niente… ma poi, all'improvviso, Oser ha fatto arrestare Tung.

— Cosa? — Miles si morse un labbro. — Solo Tung? Non Elena, o Mayhew, o Chodak?

— Soltanto Tung.

— Questo non ha senso. Se ha arrestato Tung deve averlo interrogato col penta-rapido, quindi sa anche di Elena. A meno che non l'abbia lasciata libera come esca.

— C'è stato un brutto momento quando hanno arrestato Tung. E credo che se Oser avesse osato fare lo stesso a Elena e Baz, la situazione sarebbe esplosa fin da allora. Malgrado questo, Tung non è stato rilasciato. Siamo sul filo del rasoio. Oser ha fatto in modo di tener separati quelli di cui non si può fidare, e l'ordinanza degli aslundiani gli ha fatto comodo; ecco perché siamo di servizio qui fuori da quasi una settimana senza interruzioni. Ma l'ultima volta che ho visto Baz era dannatamente vicino a impugnare un'arma e scatenare una rivolta. E tu sai che ce ne vuole per condurlo a quel punto.

Miles lasciò uscire lentamente il fiato. — Una rivolta… proprio quello che la comandante Cavilo vuole. È per questo che mi ha fatto portare fin qui e scaricare sulla vostra tavola: il pomo della discordia. Desidera che io prenda il potere. Non le importa che io vinca o perda: mira a seminare lo scompiglio fra le forze avversarie per poi saltar fuori con la sua mossa a sorpresa.

— E tu hai già capito di che sorpresa si tratta?

— No. Fino a poco tempo fa i Rangers si stavano preparando per un attacco in superficie da qualche parte. Il fatto che mi abbiano spedito qui fa pensare che mirino ad Aslund, contro ogni logica. Ma forse la manovra di quella donna è molto più sottile. Ha una mente contorta, da autentica intrigante. Mah! — Si batté un pugno sul palmo dell'altra mano. — Bisogna che parli con Oser. E stavolta mi dovrà ascoltare. Una collaborazione fra noi è l'unico sviluppo strategico che Cavilo non si aspetta, il solo ramo sano fra tutti quelli segati a metà su cui sta cercando di farmi sedere… te la senti di darmi una base d'appoggio, Bel?

Thorne si grattò pensosamente una guancia. — A bordo di questa nave, sì. La Ariel è la più veloce della Flotta. Potrò stare alla larga dalla gratifica di Oser, se la prossima busta paga sarà quella che penso. — E fece un sogghigno.

Converrebbe fuggire verso Barrayar? No… Cavilo aveva ancora Gregor. Meglio fingere di seguire le sue istruzioni. Per un po' di tempo, almeno.


Miles trasse un lungo respiro e sedette con fermezza alla consolle di comunicazione nella plancia della Ariel. S'era fatto una doccia, e aveva avuto in prestito un'uniforme bianca e grigia dalla donna di più bassa statura a bordo della nave. Gli orli dei pantaloni erario ripiegati in un paio di stivali che gli andavano quasi a misura. La blusa mancava della protesi imbottita che avrebbe dato un taglio più regolare alle sue spalle, ma per farla modificare c'era tempo. Fece un cenno a Thorne. — Siamo in linea? D'accordo, passamelo su un videotelefono.

Uno sfarfallio di scariche, un ronzio, e il volto aquilino dell'ammiraglio Oser si materializzò su uno schermo bidimensionale. — Pronto? Cosa c'è di tanto… lei! — I suoi denti si chiusero con uno scatto quasi udibile. La sua mano destra, una chiazza sfocata quasi fuori campo, armeggiò con i controlli del video e batté qualcosa su una tastiera.

Stavolta non può tagliar corto ordinando di buttarmi nello spazio. Ma potrebbe non aver voglia di ascoltarmi. Meglio parlare in fretta.

Miles esibì un sorriso cordiale. — Buongiorno, ammiraglio Oser. Ho completato la valutazione delle forze di Vervain sul Mozzo Hegen, come le ho detto che intendevo fare. E la mia conclusione è che lei si trova in un brutto guaio.

— Com'è riuscito a mettersi in contatto? Questo canale è riservato — sbottò Oser. — Raggio ristretto, doppi codici… — Si volse a qualcun altro. — Ufficiale alle comunicazioni, rintracci l'origine di questa chiamata!

— Non si preoccupi, non avrà difficoltà a localizzarmi. Può tenermi in linea quanto vuole — disse Miles. — Ma il suo vero nemico è alla Stazione Vervain, non qui. Non su Pol, non nel Gruppo Jackson. E di certo non sono io. Noti che ho detto Stazione Vervain, non Vervain. Lei conosce la comandante Cavilo, la sua collega, dall'altra parte del sistema?

— Mi sembra di averla incontrata, una volta o due. — Nell'attesa che la sua squadra tecnica localizzasse la chiamata, Oser si mostrava guardingo.

— Un volto d'angelo e gli scrupoli di un tagliagole da strada?

Oser contrasse la bocca. — Vedo che anche lei l'ha incontrata.

— Oh, sì. Lei e io abbiamo avuto alcuni colloqui a cuore aperto. Li ho trovati… istruttivi. In questo momento la merce più importante che circola al Mozzo Hegen sono le informazioni. Le mie, comunque, lo sono. Desidero trattare un affare con lei.

Oser chiese una pausa alzando una mano e spense lo schermo. Quando riattivò la comunicazione era pallido di rabbia. — Comandante Thorne, questo è un ammutinamento!

Bel Thorne si spostò nel raggio delle telecamera e gli rivolse un sorriso smagliante. — Niente affatto, signore. Non è così. Stiamo solo tentando di salvarle il collo, sempreché lei ci permetta di farle questo favore. La invito ad ascoltare l'ammiraglio Naismith. Lui ha dei contatti che noi non abbiamo.

— Dei contatti, sicuro — ringhiò l'altro. — Maledetti betani, buoni solo a complottare insieme e…

— Se io combattessi contro di lei, ammiraglio Oser, o lei contro di me, perderemmo entrambi — disse in fretta Miles.

— Lei non può vincere — replicò l'uomo. — Non può portarmi via la Flotta. Non con la Ariel.

— La Ariel sarebbe solo la prima, se arrivassimo a questo. Ma voglio darle ragione, probabilmente non avrei la meglio. Ciò che io posso fare è rovinarla e niente più… dividere le sue truppe, renderla inutilizzabile per i suoi datori di lavoro. Ma in una battaglia di questo genere ogni mercenario ucciso, ogni astronave danneggiata, ogni pezzo d'equipaggiamento sprecato sarebbe una pura perdita. E nessuno vincerebbe davvero, a eccezione di Cavilo, la quale non spenderebbe nulla. Ed è precisamente per questo che lei mi ha mandato qui. Ora mi dica: quale profitto prevede di avere facendo esattamente ciò che il suo nemico desidera di più?

Miles aspettò, e riprese fiato. Le palpebre di Oser si stringevano e si riaprivano, come mandibole che ruminassero i suoi pensieri. — E lei che profitto ci trova? — domandò alla fine.

— Ah. Temo d'essere una pericolosa variabile in un calcolo di questo genere, ammiraglio. Io non ci sono dentro per profitto. — Miles sorrise. — Perciò non m'importa dei vantaggi e delle perdite altrui.

— Ogni informazione che lei abbia avuto da Cavilo è spazzatura — disse Oser.

Sta cominciando a trattare… l'ho agganciato. Miles mascherò la sua esultanza dietro un'espressione grave e preoccupata. — Tutto ciò che Cavilo dice va senz'altro preso con un grano di sale. Ma… le belle donne hanno sempre in mano armi a doppio taglio. E io ho scoperto il suo punto vulnerabile.

— Cavilo non ha punti vulnerabili.

— Oh, sì che li ha. La sua passione per l'utile, la fobia per ciò che non le dà un guadagno. I suoi interessi, insomma.

— Stento a vedere come ciò la renda vulnerabile, piuttosto che il contrario — ribatté Oser.

— È proprio per questo che lei ha bisogno di assumere me nel suo staff, e subito. A lei serve la mia visuale delle cose.

— Assumere lei! — Oser lo fissò sbalordito.

Be', se non altro l'aveva sorpreso. Anche questo era un obiettivo raggiunto, militarmente. — Se non sbaglio, il posto di Capo dello staff/Assistente Tattico è vacante, al momento.

L'espressione stupita di Oser lasciò il posto a una specie di rabbia sardonica, divertita. — Lei è pazzo.

— No, ho soltanto una fretta dannata. Ammiraglio, fra noi non è accaduto nulla di drastico e irrevocabile. Non ancora. Lei mi ha aggredito brutalmente, questo è certo, e ora si aspetta che io le restituisca il colpo. Ma io non sono qui in vacanza, e non ho tempo da sprecare per soddisfazioni improduttive come le vendette personali.

Oser lo scrutò a occhi socchiusi. — E Tung?

Lui si strinse nelle spalle. — Lo tenga pure in cella, per ora, se proprio vuole. Purché sia trattato bene, ovviamente. — Solo, non dirgli che ti ho detto questo.

— Supponiamo che io lo faccia fucilare.

— Ah… questo sarebbe irrevocabile. — Miles fece una pausa. — Voglio puntualizzare che tenendo in cella Tung è come se lei si legasse la mano destra prima della battaglia.

— Quale battaglia? Con chi?

— Questa è la sorpresa. La sorpresa che Cavilo sta preparando, anche se io ho elaborato un paio di idee al riguardo. Idee che vorrei condividere con lei.

— Vorrebbe? — La smorfia di Oser era quella di chi sta succhiando un limone, la stessa che Miles aveva visto ogni tanto sulla faccia di Illyan. Glielo fece apparire quasi più simpatico.

— Come alternativa alla mia assunzione — proseguì Miles, — potrei essere io ad assumere lei. Il mio… sponsor mi ha autorizzato a firmare contratti standard con forze mercenarie, con le solite clausole: buona paga, percentuale sugli utili, risarcimento danni, spese pagate, polizza d'assicurazione per chi la desidera e tutto il resto. — Illyan, ascolta le mie suppliche. - Non sarebbe in conflitto con gli interessi di Aslund. Ciò le consentirebbe di incassare da due datori di lavoro, senza cambiare bandiera. Il sogno di ogni mercenario.

— Quali garanzie può offrirmi?

— Sono io, mi pare, quello che ha diritto a certe garanzie, signore. Procediamo un passetto alla volta: io non organizzerò un ammutinamento, e lei la smetterà di farmi scaraventare fuori dai portelli stagni. Mi unirò a lei apertamente, senza nascondere la cosa a nessuno, e metterò a sua disposizione le informazioni di cui dispongo. — Quanto leggere gli sembravano le sue «informazioni» sulla brezza di quelle ariose promesse! Niente mappe, né dati tecnici, né movimenti di truppe, ma soltanto intenzioni: mutevoli topografie mentali di necessità, ambizioni e tradimenti. — Dobbiamo incontrarci e parlarne. I suoi punti di vista potrebbero perfezionare i miei. Poi stabiliremo una linea di condotta.

Oser strinse le labbra, per metà divertito, per metà persuaso, sprizzante diffidenza da ogni poro.

— Il rischio, devo puntualizzarlo — disse Miles, — il rischio personale, è più mio che suo.

— Credo che…

Miles restò appeso a quella frase, aspettandone la fine.

— Credo che finirò col pentirmene — sospirò Oser.


I negoziati sul ritorno della Ariel all'ormeggio della stazione militare richiesero un'altra mezza giornata, e man mano che l'eccitazione iniziale si placava Thorne divenne sempre meno ottimista. Quando l'astronave accostò per completare la manovra di attracco il suo umore s'era fatto tetro e pensoso.

— Non sono certo di capire cosa tratterrà Oser dall'accoglierci con una scarica di storditori. Potrebbe benissimo farci processare e poi fucilare per alto tradimento — disse, allacciandosi una fondina alla cintura. Aveva parlato sottovoce, per non farsi sentire dalla squadra che attendeva in corridoio, davanti al principale compartimento stagno della Ariel.

— La curiosità — rispose con sicurezza Miles.

— Sicuro. Un colpo di storditore, un ipospray di penta-rapido per togliersela, e poi la fucilazione.

— Se mi interrogasse col penta-rapido gli direi esattamente ciò che intendo dirgli in ogni modo. — E qualcosa in più, ahimè. - E tanto meglio, così gli resteranno pochi dubbi.

I clangori e i sibili del tubolare di collegamento lo salvarono dal dover spalmare altro balsamo sul pessimismo di Thorne. Il sergente che aveva il comando della squadra aprì il portello stagno senza esitazioni, anche se Miles notò che si teneva prudentemente da parte per non stagliarsi sull'apertura.

— Scorta, tenersi pronti! — ordinò il sergente. I sei mercenari della squadra controllarono che i loro storditori fossero accesi. Thorne e il graduato avevano anche distruttori neuronici; un miscuglio d'armi psicologicamente calcolato: gli storditori per porre umanamente rimedio agli errori degli altri, i distruttori neuronici per scoraggiarli dal commetterli. Miles era disarmato. Con un pensiero di ringraziamento a Cavilo (piuttosto rude, tuttavia) s'era rimesso le pantofole. Thorne, al suo fianco, prese la testa del gruppo e avanzò a passo di marcia nel tubo verso uno dei moli dell'ormai quasi finita stazione militare aslundiana.

Come Oser aveva preteso e ottenuto, ad attenderli c'era una squadra dei suoi. Erano una ventina di mercenari fra uomini e donne, armati allo stesso modo di quelli scesi dalla Ariel. - Sono il triplo di noi — borbottò Thorne.

— È solo un'impressione — rispose Miles. — Cammina come se avessi alle spalle un intero esercito. — E non fare movimenti bruschi. Potrebbero avere l'ordine di disarmarci alla prima mossa sospetta. - Più testimoni ci sono, meglio è.

C'era anche Oser in fondo alla fila, con aria assai poco cordiale. E al suo fianco, Elena… Elena! disarmata e impassibile, le labbra serrate in una linea fredda. Lo sguardo con cui accolse Miles fu teso e sospettoso, forse non a causa dei suoi motivi ma certo a causa dei suoi metodi. «Che sciocchezza è questa?» chiesero gli occhi di lei. Miles la salutò con un sorriso e un cenno del capo prima di rivolgersi assai più formalmente a Oser. L'uomo gli restituì il saluto militare, non senza una certa riluttanza. — E ora… ammiraglio, voglia seguirmi a bordo della Triumph, dove passeremo agli affari — tagliò corto.

— Certo, volentieri. Ma prima gradirei allungare il percorso facendo quattro passi per la stazione, se non le spiace. Soltanto le zone a libero accesso, ovviamente. La mia ultima visita è stata… spiacevolmente breve, sa? Prego, dopo di lei, ammiraglio.

Oser scoprì alcuni denti in un sorriso sottile. — No, no, dopo di lei, ammiraglio.

I quattro passi divennero una parata militare. Miles li condusse in giro per quarantacinque minuti buoni, senza trascurare la zona del bar-ristorante dove sostavano molte decine di persone. Era l'ora di cena. Miles si fermò a chiacchierare con i pochi ex-Dendarii che conosceva, ed elargì sorrisi e strette di mano a tutti quelli che si trovò davanti. Nel proseguire lasciò dietro di sé i mormorii dei molti che facevano domande sulla sua presenza ai pochi che forse supponevano d'essere in grado di fare qualche ipotesi.

Numerosi tecnici aslundiani stavano smontando pannelli di materiale fibrocompresso, e Miles fece un'altra sosta per augurare loro buon lavoro e complimentarsi con la decisione di sostituirli. Elena approfittò di un momento di distrazione di Oser per sussurrargli irosamente all'orecchio: — Dov'è Gregor?

— Se la passa male… mai quanto me se non riuscirò a riportarlo in patria — rispose sottovoce lui. — È troppo complicato. Ne parliamo più tardi.

— Oh, Dio! — La giovane donna alzò gli occhi al cielo.

Quando gli parve, a giudicare da quanto s'erano gonfiate le vene sul collo di Oser, che l'ammiraglio fosse ormai al limite della sopportazione, Miles si rassegnò a tornare alla Triumph. C'erano, si disse, cose inevitabili. In conformità agli ordini di Cavilo non aveva fatto alcun tentativo di contattare Barrayar, ma se dopo quella sceneggiata Ungari non fosse riuscito a ritrovarlo era tempo che si ritirasse in pensione.

I lavori di costruzione erano ancora in corso nel lungo molo a cui era ormeggiata la Triumph quando la parata condotta da Miles cominciò ad attraversarlo. Alcuni operai aslundiani in tuta azzurro-sporco o verde si aggiravano su un'impalcatura a due piani montata lungo tutta la parete interna. Tecnici militari in blu, o in bianco, si sporsero a guardare quelli che passavano sotto di loro, per poi dedicarsi di nuovo ai servomeccanismi che stavano installando cavi e materiale elettronico. Miles rallentò il passo e rivolse ai curiosi qualche cenno cordiale, ma per non far scricchiolare oltre i denti di Oser evitò di fermarsi. L'aveva stuzzicato anche troppo, ed era tempo di pensare a cose più serie. I mercenari che gli facevano da scorta d'onore avrebbero potuto diventare da un momento all'altro i suoi secondini.

L'alto e robusto sergente di Thorne, che gli camminava al fianco, notò le nuove apparecchiature montate davanti ai portelloni chiusi degli attracchi. — Ah, quelli sono i montacarichi robotizzati — disse. — Era ora. Adesso potremo caricare il materiale senza… oh, merda! - L'uomo abbatté una mano su una spalla di Miles, scaraventandolo al suolo. Stava girando su se stesso, con un braccio arcuato e la mano protesa verso la fondina, quando la scarica azzurra di un distruttore neuronico lo colpì al petto, proprio al livello a cui era stata la testa di Miles. L'uomo vacillò, con un ansito rauco. L'odore di ozono, indumenti bruciati e carne umana orribilmente cotta dalle microonde entrò nelle narici di Miles, che con un riflesso automatico cominciò a rotolare sul ponte. Una seconda scarica colpì la pavimentazione di plastica, così vicino al suo braccio che gli parve d'essere stato punto da decine di api. Con un'imprecazione si contorse e rotolò dalla parte opposta.

Mentre il sergente si afflosciava, ormai privo di vita, Miles balzò verso di lui e se lo tirò addosso, seppellendo la testa e quanto più poteva della colonna vertebrale sotto il suo corpo inerte. Cercò di aderire a lui con le braccia e con le gambe. Una terza scarica crepitò sul ponte a un passo di distanza, e subito dopo altre due colpirono in pieno il cadavere che gli faceva scudo. Benché la massa corporea ne assorbisse l'energia, per lui fu peggio che essere percosso da uno sfollagente-storditore al massimo della potenza.

Gli orecchi di Miles captavano adesso un caos di voci, tonfi, ordini confusi, e rumori di passi in corsa tutto intorno a lui. Nell'aria vibrò il ronzio degli storditori. Un uomo gridò: — È lassù! È lassù! Sali sulla sinistra… prendilo! — Una voce di donna urlò in risposta: — Vai tu! Io da qui non lo vedo. Sali sul… attento! — Un'altra scarica arroventò la plastica a meno di un metro dal corpo del sergente.

Il peso del cadavere schiacciava al suolo la faccia di Miles, che si sentiva soffocare nell'odore greve delle sue ferite aperte. Ma avrebbe desiderato che il poveraccio fosse ancor più grosso e pesante. Non c'era da meravigliarsi dell'interesse di Cavilo per i pur costosissimi neuroscudi betani. Di tutte le armi che lui aveva dovuto affrontare, nessuna gli dava la nausea quanto quelle a raggio neuronico. Una ferita di striscio alla testa, una scarica che invece di ucciderlo sul colpo lo lasciasse privo di mente come un vegetale, era il suo incubo peggiore. L'intelletto era la sola cosa che avesse e l'unica sua ragione di vita. Senza di esso…

Miles sentì il crepitio di alcuni distruttori neuronici che non sparavano verso di lui. Girò la testa e gridò con voce soffocata dalla giacca del sergente che gli copriva la faccia: — Storditori! Storditori! Lo voglio vivo per interrogarlo! — Se è uno solo dovete prenderlo, dannazione… Avrebbe dovuto uscire da sotto il suo riparo e unirsi al combattimento. Ma se il bersaglio del sicario era lui (e perché tempestare di colpi un cadavere, altrimenti?) forse la cosa migliore era restare dov'era. Cercò di farsi ancora più piccolo e di nascondere anche le gambe, ripiegandole.

Le grida tacquero, gli spari smisero di echeggiare nella lunga caverna del molo. Qualcuno si chinò accanto a lui e afferrò il corpo del sergente per levarglielo di dosso, ma senza riuscirci. A Miles occorse qualche istante per accorgersi che aveva le mani strette all'uniforme del morto, e che per essere tolto da lì doveva lasciarlo. Con uno sforzo costrinse le sue dita ad aprirsi.

Il volto di Thorne si piegò su di lui, pallido e ansioso. — Sei ferito, ammiraglio?

— No, non credo — ansimò Miles.

— Stava mirando su di te — riferì lui. — Un sicario prezzolato da qualcuno.

— Sì, l'avevo immaginato. — Miles si trascinò da parte. — Penso di avere solo qualche bruciatura. — Thorne lo aiutò a sedersi. Stava tremando come dopo un pestaggio con uno sfollagente-storditore, paragone che era in grado di fare senza errori. Si guardò le mani, scosse da spasmi e ne abbassò una sul corpo che gli giaceva accanto. Ogni giorno che mi resta da vivere sarà un tuo regalo. E non so neppure come ti chiami. - Quest'uomo… qual è il suo nome?

— Sergente Collins.

— Grazie, sergente Collins.

— Era un bravo soldato.

— Lo so.

Oser si stava avvicinando, con aria stralunata. — Ammiraglio Naismith, questo non deve addebitarlo a me.

— Cosa? — Miles sbatté le palpebre. — Aiutami ad alzarmi, Bel… — Forse avrebbe fatto meglio a restare seduto, perché quando fu in piedi i suoi tremiti peggiorarono al punto che Thorne dovette sostenerlo di peso. Si sentiva debole e svuotato come un malato. Elena! Dove… lei era disarmata…

Ma quasi subito la vide. Era con un'altra donna, una mercenaria, e insieme stavano trascinando verso di loro un uomo con l'uniforme azzurro scuro degli aslundiani. Lo tenevano ciascuna per un piede, e le braccia inerti dell'individuo strisciavano sul pavimento. Morto? Stordito? I due stivali atterrarono con un tonfo quando li lasciarono andare accanto a Miles, con l'espressione pratica e indifferente di due leonesse che consegnassero la loro preda ai cuccioli. Lui abbassò lo sguardo su quel volto ben noto. Generale Metzov. Ma cosa sei venuto a fare, qui?

— Lei conosce quest'uomo? — domandò Oser a un ufficiale aslundiano che s'era affrettato a raggiungerli. — È uno dei vostri?

— Non l'ho mai visto. — L'aslundiano lo frugò in cerca dei documenti. — Ha un passaporto civile. Sembra valido…

— Avrebbe potuto spararmi. Ero allo scoperto — disse Elena a Miles. — Ma ha continuato a far fuoco su di te. Hai fatto bene a restare disteso.

Un trionfo dell'intuito, o un fallimento dei nervi? — Sì, credo. — Miles fece un altro tentativo di reggersi in piedi da solo. Vacillò. Dovette reggersi a Thorne. — Spero che non l'abbiate ucciso.

— È solo stordito — disse Elena, mostrandogli come prova l'arma che aveva in mano. Qualche persona intelligente doveva esser stata svelta a gettarle una pistola. — Può darsi che abbia un polso fratturato.

— Chi può essere? — chiese l'ammiraglio Oser. Sinceramente stupito, giudicò Miles.

— Be', ammiraglio, — rispose, tentando un sogghigno, — come le ho detto, mi proponevo di darle più informazioni di quel che i suoi agenti potrebbero racimolare in mesi di lavoro. Mi permetta di presentarle… — e alzò un braccio a imitare un cameriere nell'atto di sollevare il coperchio da un grosso vassoio d'argento, ma che forse sembrò solo un altro spasmo muscolare, — il generale Stanis Metzov, secondo nella linea di comando dei Randall Rangers.

— E da quando gli ufficiali anziani vengono spediti in missione come killer a pagamento?

— Mi scusi: secondo nella linea di comando fino a tre giorni fa. Potrebbero esserci stati dei cambiamenti. Cominciava a non essere più indispensabile ai progetti di Cavilo. Ora lei ed io, e questo signore, abbiamo un appuntamento con un ipospray.

Oser lo fissò, stupito. — Lei aveva previsto…?

— Perché crede che abbia sprecato un'ora in giro per la stazione? A volte è meglio invitare il pesce, prima che sia lui a scegliere in quali acque accostare l'esca — fu la brillante risposta di Miles. Avrebbe potuto bruciarmi il cervello quando voleva. Non ho più un briciolo di prudenza, dannazione. Ho appena dichiarato d'essere un astuto calcolatore, o un incredìbile imbecille? Oser aveva l'aria di essersi posto esattamente quella stessa domanda.

Con gli occhi fissi sul corpo inerte di Metzov, Miles cercò di fare mente locale. Era stato mandato da Cavilo, oppure si trattava di una sua iniziativa personale? Se la mandante era Cavilo… possibile che avesse inteso lasciar cadere Metzov vivo nelle mani dei suoi nemici? Che nei dintorni ci fosse un secondo sicario, pronto a eliminare Miles nel caso fosse sopravvissuto all'attentato, o Metzov qualunque ne fosse stato l'esito, o entrambi? Ho bisogno di mettermi a sedere e di bere qualcosa.

Una squadra medica era intanto scesa dalla Triumph. Una barella fu poggiata al suolo. — Portate il nostro amico in infermeria — disse stancamente Miles. — Ci occuperemo di lui appena si sarà ripreso.

— Sì, sono d'accordo. — Oser scosse il capo, forse con disappunto per la mira difettosa dell'attentatore.

— Meglio disporre subito una scorta intorno al prigioniero. Non giurerei che fosse nei loro programmi lasciarlo sopravvivere alla cattura.

— Giusto — annuì Oser, dopo un'esitazione.

Con Thorne che lo sorreggeva da una parte ed Elena dall'altra, Miles barcollò verso il portello d'imbarco della Triumph.

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