CAPITOLO QUINDICESIMO

Miles tornò nell'alloggio di Oser per una rapida scorsa ai file archiviati nella sua consolle. Voleva farsi un'idea dei cambiamenti nel personale e nelle attrezzature avvenuti dal tempo in cui lui aveva comandato i Dendarii, e delle informazioni che Oser aveva avuto da Aslund sulla situazione del Mozzo. Qualcuno gli portò un sandwich e del caffè, che buttò giù senza sentirne il sapore. Ma ormai né il caffè né la tensione emotiva riuscivano a sciogliere il piombo che gli si accumulava nelle palpebre.

Appena saremo salpati crollerò come un macigno sul letto di Oser. Gli conveniva utilizzare le prossime trentasei ore di viaggio per riposarsi, o l'affidabilità del suo raziocinio sarebbe stata molto scarsa nel momento in cui avrebbe affrontato Cavilo, che riusciva a farlo sentire ingenuo come un bambino anche quand'era al meglio.

Per non parlare dei cetagandani. Miles considerò gli sviluppi più recenti della continua gara a tre corsie fra armi difensive, armi offensive ed espedienti tattici.

Le armi a proiettili nei combattimenti spaziali nave-contro-nave erano state rese obsolete dagli scudi antimassa e dai laser ad alta potenza. Gli scudi antimassa (essenziali contro i microdetriti che potevano danneggiare uno scafo a velocità anche assai inferiori a quella di 0,5-c nello spazio normale) deviavano con estrema facilità ogni tipo di missile. Le armi a laser avevano perso buona parte della loro validità dopo la messa in uso dell'ingoiatore di spade, uno schermo di produzione betana che assorbiva il fuoco nemico per trasformarlo in una sorgente d'energia utilizzabile. Il principio era lo stesso dello specchio antiplasma, inventato ai tempi dei genitori di Miles, che nel giro di dieci anni aveva reso inutili i proiettori a plasma, la cui portata era comunque assai ridotta.

L'ultima novità negli scontri nave-contro-nave era, da un paio d'anni, la lancia gravitazionale a implosione, una modifica del raggio trattore. Erano già in commercio vari tipi di scudi, nessuno dei quali molto efficiente. Il raggio a implosione trasformava in un relitto informe qualsiasi tipo di massa. Ciò che poteva fare a un corpo umano era orripilante.

Ma la lancia gravitazionale a implosione-assorbimento energetico aveva una portata ridicolmente breve, considerate le velocità e le distanze a cui avvenivano gli scontri: non più di una dozzina di chilometri. Questo avrebbe dovuto favorire chi intendeva adottare tattiche evasive nei confronti dell'avversario, come ad esempio fare a meno di incontrarlo in senso assoluto; tuttavia i teleradar a lunga portata e le tecniche per l'avvicinamento computerizzato consentivano di stringere molto le distanze, a patto che un fuggiasco non fosse più veloce. Di conseguenza, dato il raggio assai ridotto dell'imboccatura dei corridoi di transito, gli scontri spaziali avevano luogo in zone molto più ristrette di quanto fosse mai stato prevedibile in passato. Ovviamente le formazioni di navi troppo strette potevano essere attaccate col muro-solare, una semplice rete di esplosioni nucleari su uno o più lati. Ma era una scelta tattica pericolosa, a cui gli avversari potevano decidere di rinunciare per comune accordo. C'era chi diceva che di quel passo sarebbero tornati in uso i grappini d'arrembaggio. Finché dalla pentola del diavolo non sarebbe uscita qualche altra novità, comunque. Miles rimpiangeva i tempi di suo padre, quando due astronavi, se pure riuscivano ad avvistarsi, potevano regolare i loro conti stando a centomila chilometri di distanza l'una dall'altra. Solo punti di luce su uno schermo.

L'effetto dei nuovi raggi a implosione in scontri a breve distanza prometteva d'essere interessante, soprattutto in un corridoio di transito. In uno spazio ristretto ciò dava modo a una piccola flotta di concentrare la stessa potenza di fuoco per chilometro cubico di una flotta più numerosa, impossibilitata a spiegare le sue forze su un raggio d'azione più adeguato. Ovviamente questa avrebbe contato su riserve in grado di sostituire le navi distrutte. Una grossa flotta disposta a subire un certo numero di perdite poteva limitarsi a combattere fino ad avere la meglio su un avversario inferiore. E i Lord cetagandani non erano certo allergici al sacrificio, anche se solitamente preferivano cominciare coi subordinati, o meglio ancora con gli alleati. Miles si massaggiò il collo indolenzito.

Dalla porta provenne un ronzio. Allungò una mano verso il pulsante d'apertura.

Sulla soglia apparve un uomo snello dai capelli neri, sulla trentina, che indossava un'uniforme bianca e grigia da mercenario con lo stemma del reparto tecnico. — Mio Lord — disse, con voce bassa e morbida.

Baz Jesek, Primo Ufficiale Ingegnere della Flotta. Già disertore, un tempo in fuga, del Servizio Imperiale di Barrayar. In seguito vassallo-giurato e armiere privato di Miles nelle sue vesti di Lord Vorkosigan. E infine marito della donna che Miles amava. Che aveva amato. Che continuava ad amare. Baz. Dannazione. Nel rispondere al suo saluto lui si schiarì la gola, a disagio. — Si accomodi pure, commodoro Jesek.

Baz chiuse la porta e venne verso di lui, sulla difensiva e con aria colpevole. — Stavo eseguendo riparazioni all'esterno, e ho saputo del suo ritorno soltanto quando sono rientrato, mio Lord — disse. Dopo così pochi anni di esilio volontario il suo accento barrayarano non era scomparso, ma a contatto di tanti altri dialetti galattici s'era già assottigliato.

— È un ritorno temporaneo, nient'altro.

— Io… mi spiace che lei non abbia trovato le cose come le aveva lasciate, mio Lord. Ho l'impressione di aver buttato via la dote di Elena, ciò che lei ci aveva dato. Non ho capito le implicazioni delle manovre finanziarie di Oser finché… be', non ci sono scuse, suppongo.

— Quell'individuo è riuscito a raggirare anche Tung — puntualizzò Miles. Non gli piacque che Baz sentisse il dovere di scusarsi con lui. — Penso che non sia stata una battaglia divertente.

— Non è stata affatto una battaglia, mio Lord — disse lentamente Baz. — Questo è il brutto della cosa. — Assunse la posizione di riposo militaresco. — Sono venuto per chiederle di accettare le mie dimissioni, signore.

— Richiesta respinta — disse subito lui. — In primo luogo, un armiere e vassallo-giurato non può dimettersi. In secondo luogo, non vedo dove potrei procurarmi un altro Primo Ufficiale Ingegnere con un preavviso… — controllò l'orologio, — di due ore. E in terzo luogo… in terzo luogo… ho bisogno di un testimone per tenere il mio nome pulito nel caso che certe cose vadano male. O peggio. Lei dovrà aggiornarmi un po' sulle nuove attrezzature della Flotta, e provvedere che dal lato tecnico tutto fili liscio. Nel frattempo io la metterò al corrente della situazione. Lei è l'unico, a parte Elena, a cui io possa confidare ciò che per altri deve restare segreto.

Con qualche difficoltà Miles convinse l'imbarazzato ingegnere a sedersi, e quindi gli fornì un riassunto di tutto ciò che gli era accaduto dal suo arrivo al Mozzo Hegen, lasciando fuori solo i motivi personali che avevano spinto Gregor a comportarsi in modo indegno del suo rango. L'animo di un Imperatore apparteneva soltanto a lui. Non lo sorprese accorgersi che Elena gli aveva taciuto il suo ritorno; quella breve e rocambolesca (e insoddisfacente, per i Dendarii) comparsa sulla scena doveva esserle apparsa indegna, meritevole solo di passare sotto silenzio. Baz, comunque, parve convinto che la presenza dell'Imperatore in incognito in quel quadro d'azione giustificasse la riservatezza di lei. Al termine del resoconto di Miles, il suo senso di colpa era stato sostituito da una forte preoccupazione.

— Se l'Imperatore restasse ucciso… o se non tornasse, in patria ci sarebbe il caos, per anni e anni — disse Baz. — Forse lei dovrebbe lasciare che Cavilo lo «salvi» a suo modo, invece di rischiare che…

— In mancanza di una soluzione migliore, sceglierei questa — annuì Miles. — Il fatto è che non conosco le intenzioni di Gregor. — Fece una pausa. — Se perdessimo sia l'Imperatore che la battaglia al corridoio di transito, ci troveremmo coi cetagandani alla porta di casa proprio nel momento peggiore della nostra disorganizzazione politica. Che tentazione per loro… che occasione! Saremmo esposti a una seconda invasione in modo così improvviso e drammatico che perfino i cetagandani ne sarebbero sorpresi. Loro preferiscono i piani a lunga scadenza ma, da buoni opportunisti, non si lascerebbero certo scappare un'occasione tanto appetitosa.

Dopo aver immaginato visioni così allarmanti furono entrambi lieti di poter cambiare discorso, e Miles si fece riferire una serie di dati tecnici. Avevano appena passato in rassegna le caratteristiche delle armi di cui disponeva la Flotta, quando l'ufficiale di servizio sul molo chiamò attraverso l'intercom.

— Ammiraglio Naismith? — L'uomo lo guardò con interesse, dallo schermo, poi continuò: — Signore, al portello principale si è presentato uno sconosciuto che insiste per parlare con lei. Dice di avere delle informazioni importanti.

Automaticamente Miles ripensò all'ipotesi del secondo Killer. — Lo avete identificato?

— L'uomo ha chiesto che prima di procedere a un'identificazione le sia comunicato il suo nome: Ungari. Per ora non gli abbiamo chiesto altro.

Miles trattenne il respiro. La cavalleria, finalmente! O almeno un solido contatto con la Sicurezza Imperiale. — Può farmelo vedere, senza che lui si accorga d'essere inquadrato?

— Sì, signore. — Il volto dell'uomo lasciò il posto a una rapida carrellata del molo a cui era attraccata la Triumph. L'immagine si fermò su un paio di uomini con la tuta bianca dei tecnici aslundiani e fu messa a fuoco. Miles sospirò di sollievo. Il capitano Ungari. E, grazie al cielo, il sergente Keller.

— Grazie, tenente. Faccia scortare al mio alloggio questi due uomini fra… — guardò Baz, — dieci minuti. — Spense l'intercom e spiegò: — È un agente della Sicurezza Imperiale, il mio diretto superiore. Dio sia ringraziato! Ma… non sono certo che saprei spiegargli le particolari circostanze della sua diserzione, Baz. Voglio dire, il suo ordine d'arresto fu emesso dalla Sicurezza del Servizio, inoltre suppongo che in questo momento Ungari abbia ben altro a cui pensare, però sarebbe tutto… uh, più semplice se lei lo evitasse, eh?

— Mmh. — Baz annuì, con un sogghigno. — Diciamo che ho dei doveri urgenti a cui tornare.

— Il che è innegabile. Baz… — Per un assurdo momento fu tentato di ordinargli di prendere Elena e andarsene, di portarla lontano dal pericolo che li attendeva tutti. — Ci attendono dei giorni un po' folli, temo.

— Con Naismith il Folle di nuovo al comando, come potrebbe essere diversamente? — Baz scrollò le spalle con un sorriso e si avviò alla porta.

— Non sono bislacco come Tung o altri… Santo Cielo, sta dicendo che qualcuno mi chiama davvero così?

— Uh… per scherzo, signore. Ma solo pochi vecchi Dendarii si azzardano a farlo.

E i vecchi Dendarii sono pochi, infatti. Quello, sfortunatamente, non era uno scherzo. La porta si chiuse con un sibilo alle spalle di Baz.

Ungari. Il capitano Ungari. Qualcuno a cui appoggiarsi, alla fine. Se soltanto avessi qui Gregor, potrei cominciare a rilassarmi. Ma se non altro saprò cos'hanno fatto i nostri in tutti questi giorni. Esausto appoggiò il mento sulle mani, guardò la consolle di Oser e sorrise. Un aiuto. Era l'ora.

Il preludio di un sogno gli stava annebbiando la mente quando il ronzio della porta gli precluse l'accesso al lungo sonno da tanto tempo rimandato. — Chodak — disse una voce. Miles si passò una mano sulla faccia e premette il pulsante d'apertura. — Entrate. — Guardò l'orologio; aveva perso solo quattro minuti sul confine fra la realtà e qualcosa di meglio. Aveva bisogno di una bella dormita, definitivamente.

Chodak e due mercenari Dendarii scortarono dentro il capitano Ungari e il sergente Keller. I due avevano la tuta dei supervisori agli impianti elettronici, senza dubbio con tanto di carte di identità e lasciapassare in perfetta regola. Miles li accolse con un sorriso.

— Sergente, tu e i tuoi uomini aspettate fuori. — Chodak parve infelice di vedersi escluso. — Ah, se la comandante Elena Bothari-Jesek ha finito quello che stava facendo, chiedile di raggiungerci qui. Grazie.

Ungari attese con impazienza che la porta si richiudesse prima di farsi avanti a lunghi passi. Miles si alzò e lo salutò militarmente. — Lieto di rivederla, capi…

Ma con sua sorpresa, invece di restituirgli il saluto Ungari lo afferrò rabbiosamente per il petto e lo sollevò in punta di piedi. Miles si rese conto che solo con uno sforzo l'uomo aveva imposto alle proprie mani di chiudersi sull'uniforme invece che intorno al suo collo. — Vorkosigan, razza di dannato idiota! Si può sapere a che maledetto gioco da mentecatti sta giocando?

— Ho trovato l'Imperatore, signore. — Non disse «perduto». — Ora sto organizzando una spedizione per recuperarlo. Sono contento che lei sia riuscito a mettersi in contatto con me giusto in tempo. Un'ora in più e avrei dovuto lasciarla qui. Se uniamo le nostre informazioni e le nostre risorse…

Le mani di Ungari non si aprirono, e il suo labbro superiore non si riabbassò sui denti. — So benissimo che lei ha trovato l'Imperatore. Ho seguito le sue tracce dalla prigione della Stazione Confederata fin qui. Alcuni giorni fa eravate insieme. Poi siete spariti.

— Ah, non ne ha parlato a Elena? Avrei detto che certo… ma si sieda, signore, la prego. — E mi lasci, morte e maledizione. Ungari sembrava non accorgersi che lui toccava terra solo con le punte dei piedi. — Perché non mi dice come valuta la situazione, dal suo punto di vista? Mi interessa molto.

Respirando pesantemente Ungari gli tolse le mani di dosso e andò a sedersi sulla sedia che lui gli stava indicando. Con un grugnito comunicò a Keller che lui non era autorizzato a fare altrettanto, e il massiccio sergente restò in piedi alle sue spalle. Rivederlo era un sollievo per Miles, che l'ultima volta lo aveva lasciato disteso su un marciapiede della Stazione Confederata senza sapere se fosse vivo o morto. Notò che aveva un'aria stanca e un po' assente.

— Appena il sergente Keller è stato in grado di muoversi — disse Ungari, — l'ha seguita alla prigione per toglierla dalle mani dei confederati. Ma lei era già svanito nel nulla. Ha dovuto spendere non le dico quale somma per tirar fuori di bocca a quei bastardi ciò che sapevano. Ma solo il giorno dopo, parlando con l'uomo a cui lei aveva rubato sia l'identità che il contratto di lavoro…

— Ah, è sopravvissuto — disse Miles. — Ottimo. Gre… noi eravamo preoccupati per la sua sorte.

— Sì. Ma il sergente non ha riconosciuto l'Imperatore, quando ha visionato le registrazioni dei lavoratori sotto contratto. Il suo nome non era nella lista di quelli che potevano essere informati della scomparsa di Gregor Vorbarra.

Una smorfia vagamente disgustata passò sul volto di Keller, al ricordo di quell'ingiustizia così offensiva.

— Soltanto quando ha preso contatto con me, qui a Stazione Aslund, abbiamo cominciato a seguire le vostre tracce. E soltanto più tardi io ho potuto riconoscere uno di quei lavoratori a contratto come Sua Altezza Imperiale. Giorni interi perduti.

— Io davo per certo che lei avrebbe contattato Elena Bothari-Jesek. Era informata dei nostri spostamenti. E lei, signore, sapeva che è una mia vassalla-giurata. È nel mio fascicolo.

Ungari lo gratificò di uno sguardo piatto, ma non gli offrì alcuna spiegazione per quella dimenticanza. — Quando le prime squadre di agenti barrayarani saranno nel Mozzo, avremo finalmente le forze sufficienti per intraprendere una seria ricerca…

— Bene! Dunque in patria sanno che Gregor è qui. Temevo che Illyan stesse ancora impegnando i mezzi della Sicurezza su Komarr, oppure in direzione di Escobar.

Ungari strinse i pugni. — Vorkosigan, che cosa ha fatto all'Imperatore?

— È al sicuro, tuttavia in pericolo. — Miles rifletté qualche istante. — Cioè, voglio dire che al momento sta bene, credo, ma le cose potrebbero cambiare appena la situazione strategica…

— So benissimo dov'è. Tre giorni fa è stato visto da un nostro agente infiltrato fra i Randall Rangers.

— All'incirca quando io li ho lasciati — calcolò Miles. — Difficile che vedesse anche me, comunque, visto che ero in cella… e cosa si prevede da parte nostra?

— Un contingente adeguato si sta preparando a intervenire. Non so quante astronavi di preciso.

— E hanno il permesso di attraversare lo spazio di Pol?

— Dubito che attendano di averlo.

— I polani devono essere informati. Non possiamo rischiare di inimicarci Pol mentre…

— Alfiere, Vervain ha catturato l'Imperatore! — sbottò Ungari, irritatissimo. — Io non ho intenzione di informare i…

— Non è stato Vervain a catturare Gregor, bensì Cavilo — lo interruppe Miles, ansiosamente. — Capitano, non è affatto un complotto politico, ma una manovra con cui quella donna si propone di ottenere un guadagno personale. Io credo, anzi in effetti ne sono sicuro, che il governo vervano non conosca l'identità dell'ospite di Cavilo. Le nostre forze devono essere avvisate di non compiere alcun atto ostile fino all'arrivo della flotta d'invasione cetagandana.

— All'arrivo di cosa?

Miles sbatté le palpebre. — Sta dicendo — chiese con voce sottile, — che non sa niente dell'invasione dei cetagandani? — Si accigliò. — Be', anche se lei non ne ha fatto parola nei suoi rapporti, è probabile che la notizia sia giunta a Illyan. Gli agenti della Sicurezza scaglionati nell'Impero Cetagandano devono aver notato che molte astronavi da battaglia hanno lasciato le loro basi, e avranno capito che c'è una grossa azione in programma. Qualcuno ha certo proseguito la normale attività spionistica, malgrado il caos creato dalla scomparsa di Gregor. — Ungari continuava a fissarlo in sbalordito silenzio, così lui spiegò: — Mi aspetto che una forza d'invasione cetagandana penetri nello spazio di Vervain e prosegua per prendere possesso del Mozzo Hegen, con la connivenza della comandante Cavilo. Fra brevissimo tempo. Il mio progetto è di spostare la Flotta dei Dendarii attraverso il sistema, per fermare l'attacco all'altezza del corridoio di transito vervano, tenendo la posizione fino all'arrivo dei rinforzi. Spero che manderanno qualcosa di più di un semplice gruppo d'intervento… a proposito, lei ha ancora quel contratto in bianco per i mercenari che Illyan le ha dato? Ne avrei bisogno.

— Lei, signore — disse Ungari quando ebbe ritrovato la voce, — lei non andrà da nessuna parte, fuorché nella base d'appoggio che io ho organizzato qui a Stazione Aslund. E lì attenderà tranquillamente, molto tranquillamente, finché non potrò consegnarla nelle mani degli agenti mandati da Illyan.

Miles scartò con un gesto quella proposta poco pratica. — Lei avrà raccolto una gran quantità di dati da riferire a Illyan. Ha informazioni che mi possano servire?

— Ho steso un rapporto completo sulla stazione Aslund, con tutto ciò che riguarda i mercenari, le attività tecniche, militari e…

— Questi sono dati che ho anch'io. - Miles batté un dito sulla consolle di Oser, impaziente. — Dannazione, avrei preferito che in queste due settimane lei fosse rimasto sulla Stazione Vervain.

Ungari digrignò i denti. — Vorkosigan, ora lei si alzerà e uscirà con me da questa nave. E le consiglio di farlo con le sue gambe, prima che ordini al sergente di portarla di peso.

Miles si accorse che Keller lo stava già soppesando con lo sguardo. — Questo potrebbe essere un grave errore, capitano. Peggiore della sua mancata conversazione con Elena Bothari-Jesek. Se mi consente di illustrarle l'attuale situazione strategica…

Esasperato oltre ogni limite di sopportazione, Ungari sbottò: — Keller, lo prenda in consegna!

Mentre l'uomo si avvicinava a passi pesanti, Miles abbassò una mano sul pulsante d'allarme della consolle. Poi fece ruotare la sua poltroncina, saltando giù dall'altra parte, e le mani dell'altro mancarono la presa. La porta della cabina si spalancò con un sibilo d'aria compressa, e Chodak e i due mercenari di guardia balzarono dentro, seguiti da Elena. Keller fu investito dai raggi degli storditori intanto che toglieva di mezzo la poltroncina, e si abbatté pesantemente al suolo. Miles si scostò per non esserne travolto. Ungari, che s'era alzato con un'imprecazione, non poté far altro che guardare le canne dei quattro storditori puntati su di lui. Miles avrebbe quasi voluto piangere, e se fosse servito a qualcosa lo avrebbe fatto. Ma ormai era inutile. Cercò di controllare la voce:

— Sergente Chodak, trasferisca questi due nel reparto detenzione della Triumph. Fra la cella di Oser e quella di Metzov c'è ancora posto, credo.

— Sì, ammiraglio.

Ungari fece la sua uscita in dignitoso silenzio, come si conveniva a un ufficiale catturato da forze nemiche superiori, anche se quando si voltò per gettargli un ultimo sguardo non poté trattenersi dal ringhiare qualcosa, paonazzo in volto per la furia.

E non posso neanche interrogarlo chimicamente, pensò Miles con un sospiro. Un agente del livello di Ungari aveva certo un impianto allergico al penta-rapido, e sarebbe bastata una dose per produrre in lui uno shock anafilattico o addirittura la morte. Poco dopo altri due Dendarii entrarono con una barella e portarono via il corpo inerte di Keller.

Quando la porta si chiuse dietro di loro, Elena chiese: — E va bene. Che diavolo è successo?

Lui ebbe un gesto d'impotenza. — Quello è il mio diretto superiore, il capitano Ungari. Sfortunatamente non era dell'umore adatto per ascoltarmi.

Elena inarcò un sopracciglio, con un sorriso acre. — Santo cielo, Miles. Metzov, poi Oser, e ora Ungari… non sei certo tenero con i tuoi ufficiali superiori. Che pensi di fare quando verrà il giorno di tirarli fuori di là?

Lui scosse la testa, cupamente. — Non lo so.


La Flotta abbandonò la Stazione Aslund un'ora dopo, mantenendo un completo silenzio radio. Gli aslundiani, com'era prevedibile, furono colti da un'agitazione prossima al panico. Seduto nel centro comunicazioni della Triumph, Miles si limitò ad ascoltare le loro chiamate frenetiche, deciso a non interferire con il corso più semplice degli eventi a meno che gli aslundiani non avessero aperto il fuoco. Finché Gregor non fosse stato alla sua portata intendeva presentare a Cavilo una situazione facilmente interpretabile. Che pensasse pure di aver avuto qualcosa di molto simile a ciò che voleva, o che comunque le faceva comodo.

In effetti, il corso degli eventi prometteva di avere conseguenze meno semplici di quelle che Miles avrebbe forse ottenuto usando diplomazia, tempo e persuasione. Dai messaggi sparsi nell'etere dedusse che gli aslundiani avevano ben tre diverse teorie: i mercenari stavano fuggendo dal Mozzo dopo aver avuto segretamente notizia di un qualche attacco imminente; i mercenari avevano cambiato bandiera e si stavano unendo a uno o più dei loro nemici; i mercenari (e questa era la peggiore) stavano per attaccare i suddetti nemici, follia che avrebbe esposto Aslund all'immediata reazione di questi ultimi. Le forze armate di Aslund erano già in stato di allarme. La stazione stava chiamando tutte le navi sparse nell'estensione del Mozzo per coprire la falla difensiva lasciata dalla criminosa e inaspettata defezione dei mercenari.

Per Miles fu un sollievo quando la Flotta dei Dendarii uscì dallo spazio territoriale di Aslund, accelerando attraverso il sistema. Grazie alla disorganizzazione che si lasciavano alle spalle, nessuna forza aslundiana avrebbe potuto inseguirli finché non avessero cominciato a decelerare verso il corridoio di transito vervano. E una volta là, dopo l'arrivo della flotta d'invasione, non sarebbe stato difficile persuadere gli aslundiani a ridefinire se stessi non più datori di lavoro bensì riserve dei Dendarii.

Il fattore tempo era ormai, se non vitale, molto importante. C'era da supporre che Cavilo non avesse ancora mandato il suo segnale in codice ai cetagandani. L'improvvisa partenza della Flotta dei Dendarii, unita e concorde, poteva essere interpretata da lei come un fallimento del complotto programmato. In tal caso, decise Miles, meglio così. Non era da escludere che Cavilo avesse l'intelligenza di fermare l'invasione cetagandana prima che fosse sparato un sol colpo. Un perfetto esempio di «guerra di manovre» l'avrebbe definito l'ammiraglio Aral Vorkosigan. Ovviamente, come risultato politico, io mi troverò con la faccia piena di uova marce e una folla inferocita alle spalle. Ma mio padre capirà. Spero. Da quel punto di vista, il suo unico obiettivo doveva essere di restare in vita e salvare Gregor, cosa che dati gli ultimi sviluppi sembrava perfino troppo semplice… salvo il caso che Gregor non volesse essere salvato.

Innumerevoli e più sottili tronchi della strategia ramificata attendevano di spezzarsi sotto il suo peso, stabilì blandamente Miles. Andò in camera e si gettò sul letto di Oser per quelle che contava fossero almeno dodici ore di sonno profondo.


A svegliarlo fu l'ufficiale alle comunicazioni della Triumph, la cui morbida voce femminile lo chiamò dal video. In maglia e mutande Miles si alzò, andò alla consolle e sedette sulla poltroncina girevole. — Sì, tenente?

— Lei ha chiesto d'essere aggiornato sui messaggi in arrivo da Stazione Vervain, signore.

— Sì, grazie. — Miles si schiarì gli occhi con due dita inumidite di saliva e cercò di distinguere l'orologio. Dodici ore di volo al tempo stimato di arrivo. — Segni di attività insolita a Stazione Vervain o al loro corridoio di transito?

— Non ancora, signore.

— Bene. Continuate il monitoraggio. Seguite la rotta di ogni nave in transito e registrate i segnali. Qual è lo scarto di tempo fra noi e loro, in questo momento?

— Il messaggio appena pervenuto è partito trentasei minuti fa, signore.

— Bene. Me lo mandi su un monitor. — Sbadigliando appoggiò i gomiti sulla consolle e guardò lo schermo. — Un ufficiale vervano d'alto rango apparve e domandò spiegazioni sull'attività e sulle intenzioni della Flotta Oserana/Dendarii. Il suo tono non era diverso da quello degli aslundiani. Nessun accenno a Cavilo. Miles chiamò di nuovo l'ufficialessa addetta alle comunicazioni. — Tenente, risponda che il loro importante messaggio è stato rovinato dalle interferenze statiche e da un malfunzionamento nel nostro decodificatore. Chieda con urgenza una ripetizione, accurata e amplificata.

— Sì, signore.

Nei settanta minuti di scarto che seguirono Miles fece una doccia, si vestì con un'uniforme a sua misura (completa di stivali) che il sarto della nave gli aveva nel frattempo preparato e si gustò una colazione equilibrata. Arrivò nella sala-plancia della Triumph giusto in tempo per l'arrivo del secondo messaggio. Stavolta, con sua soddisfazione, a fianco dell'alto ufficiale vervano c'era la comandante Cavilo, a braccia conserte. L'uomo ripeté le stesse cose di prima, ad alta voce e scandendo le parole, con volume al massimo. Quando ebbe finito, Cavilo aggiunse: — Date subito spiegazioni, o riterremo ostile il vostro atteggiamento e saranno prese adeguate contromisure.

Quella era la qualità di trasmissione che Miles voleva. Andò a sedersi alla consolle delle comunicazioni e si specchiò in uno schermo per controllare l'uniforme. Poi inclinò la telecamera in modo che i suoi gradi di ammiraglio fossero bene in mostra. Annuì verso la donna in uniforme che attendeva accanto a lui. — Pronto a trasmettere, tenente — disse, e atteggiò il volto in un'espressione franca, seria e contegnosa.

— Qui è l'ammiraglio Miles Naismith, comandante in capo della Libera Flotta dei Mercenari Dendarii. Alla comandante Cavilo dei Randall Rangers, riservata e personale. Signora, ho eseguito la mia missione esattamente nei termini da lei richiesti. Le ricordo ora ciò che prevedeva il nostro accordo in caso di successo. Quali sono le sue nuove istruzioni? Qui Naismith, chiudo.

L'ufficialessa inserì la registrazione nel codificatore, ma prima di inviarla all'antenna esitò. — Signore — disse, incerta, — se questo è un messaggio personale per la comandante Cavilo, è lecito trasmetterlo sul canale militare della Stazione Vervain? I vervani lo decodificheranno prima di farlo procedere. Sarà visionato da molte altre persone.

— Proprio così, tenente — disse Miles. — Coraggio, lo trasmetta.

— Sì. E se… e quando risponderanno, cosa devo fare?

Lui controllò l'orologio. — Quando arriverà la loro risposta, la rotta che stiamo seguendo ci porterà oltre la corona dei due soli gemelli. Le interferenze ci escluderanno da qualsiasi possibilità di comunicazione per… mmh, tre ore buone.

— Posso ripulire ogni segnale e filtrarlo, signore, e le garantisco una passabile…

— Se lo scordi, tenente. Le interferenze saranno spaventose, mi creda. Anzi, se lei riuscirà a farle durare quattro ore sarà tanto di guadagnato. Ma cerchi di essere convincente. Finché non arriveremo abbastanza vicini da avere un colloquio con Cavilo in tempo reale, lei deve considerarsi provvisoriamente degradata al rango di ufficiale alle non-comunicazioni.

— Sì, signore. — La donna sogghignò. — Ma poi riavrò i gradi?

— Dipende da lei. Esigo il massimo di incompetenza, errori puerili e inefficienza tecnica. Sul canale vervano, ovviamente. Lei avrà lavorato con reclute stupide. S'ispiri a loro. Sia creativa.

— Sarà un piacere, signore.

Miles uscì a cercare Tung.

Venti minuti dopo, mentre lui e Tung erano immersi nelle proiezioni che il computer della sala tattica mandava su un grosso schermo, estrapolando alcuni probabili scenari del corridoio di transito, l'ufficialessa alle comunicazioni chiamò ancora.

— Cambiamenti alla Stazione Vervain, signore. Tutto il traffico commerciale in partenza è stato fermato. A quello in arrivo viene negato il permesso di attracco ai moli. Le trasmissioni in codice sui canali militari sono triplicate di volume. E quattro grosse navi da battaglia hanno appena effettuato il balzo.

— Per il centro del Mozzo o fuori, verso Vervain?

— Fuori, signore. Verso Vervain.

Tung si avvicinò. — Ci mandi questi dati nel computer tattico, tenente.

— Sissignore.

— Grazie — disse Miles. — Continui a tenerci aggiornati. E metta qualcuno alla ricezione dei messaggi non codificati, quelli che possiamo sentire. Voglio farmi un'idea anche delle voci che corrono fra i civili delle navi da carico e di linea.

— Buona idea, signore. Chiudo.

Tung fece partire il programma tattico che loro definivano quello «in tempo reale», lo schema non estrapolativo a cui si stavano aggiungendo i dati appena inseriti dalla plancia. Studiò quelli che si riferivano alle quattro navi da battaglia e annuì. — Ci siamo — disse. — Questa è la mossa d'avvio.

— Tu credi che l'abbia causata la nostra comparsa?

— Non per quanto riguarda queste quattro navi. Non sarebbero salpate dalla stazione se non fossero urgentemente richieste altrove. Meglio che ti tiri su le braghe… cioè, meglio che tu trasferisca la tua bandiera sulla Ariel, ragazzo.


Miles si leccò nervosamente le labbra e osservò quella che dentro di sé chiamava la sua «Flotta Piccola», sul display olografico della sala tattica della Ariel. Lo schema mostrava la Ariel affiancata dalle altre due navi più veloci dei Dendarii. Il suo personale gruppo d'attacco, rapido, manovrabile, capace di mutare assetto nel minor tempo possibile. Non disponevano, a dire il vero, di una gran potenza di fuoco. Ma se le cose andavano come lui aveva progettato, uno scontro a fuoco era abbastanza improbabile.

Il personale nella sala tattica della Ariel era ridotto allo scheletro: lui, Elena come ufficiale alle comunicazioni, e Arde Mayhew alle attrezzature elettroniche. I più fidati, in previsione del prossimo colloquio riservato. Se fossero giunti ai ferri corti Miles non avrebbe potuto far altro che lasciare la nave a Thorne, in quel momento in plancia a occuparsi della navigazione. E forse si sarebbe ritirato nel suo alloggio ad aspettare il Destino.

— Vediamo la Stazione Vervain, ora — ordinò.

Elena, seduta alla consolle laterale, inserì altri dati e lo schermo olografico principale si riempì d'immagini. L'area verso cui si stavano dirigendo ribollì di linee e di puntini colorati: navi in movimento, raggi d'azione di vari sistemi d'arma, scudi energetici e canali di trasmissione attivi. I Dendarii ne distavano ora circa un milione di chilometri, poco più di tre secondi-luce, e il varco si riduceva sempre più. La Piccola Flotta, con due ore d'anticipo sul resto delle astronavi, stava decelerando rapidamente.

— Sembrano alquanto agitati — commentò Elena. Si mise un auricolare e girò una manopola. — I loro computer continuano a chiamare i nostri. Pretendono una risposta.

— Ma non sembra che preparino un contrattacco — disse Miles, studiando lo schema. — Hanno capito che il vero pericolo non viene da questa parte, e mi fa piacere. Bene. Rispondi che finalmente abbiamo risolto i nostri problemi tecnici e possiamo ricevere. Ma precisa prima che parlerò soltanto con la comandante Cavilo.

— Credo che… ah… sì, credo che la stiano mettendo in linea — riferì poco dopo Elena. — C'è un raggio molto ristretto che va e viene, sul canale riservato ai Rangers.

— Sintonizzalo. — Miles si alzò e da sopra una spalla di lei osservò gli sforzi del decodificatore automatico.

— La fonte è in rapido movimento…

Miles gettò un'occhiata a Mayhew, chiedendosi se non fosse il caso di cambiare rotta, ma subito un'esclamazione di Elena lo fece voltare: — Abbiamo il contatto! Guarda lo schermo. Il raggio viene da quella piccola astronave sulla sinistra.

— Dammi la rotta e il suo profilo energetico. Ti sembra che stia andando verso il corridoio di transito per Vervain?

— No, se ne allontana.

— Ah!

— È veloce… piccola, classe Falcone. Forse un corriere — disse Elena. — Se il suo obbiettivo è Pol, e quindi Barrayar, dovrebbe intersecare il nostro triangolo.

Miles schioccò le dita. — È così, è così! Cavilo stava aspettando di poter parlare su un canale che i militari vervani non potessero intercettare. Penso che possa farcela. Mi chiedo che razza di bugie abbia raccontato loro. Ormai ha passato il punto da cui non può tornare indietro. Se ne rende conto? — Annuì fra sé, fissando il vettore della piccola nave sulla schermata. — Vieni, bellezza. Vieni fra le mie braccia.

Elena inarcò sarcasticamente un sopracciglio. — Decodifico. La tua innamorata sta per apparire sul Monitor Tre.

Miles tornò a sedere al suo posto e girò verso di sé la piastra dell'olovisore, che cominciava a illuminarsi di scintille. Ora avrebbe dovuto ricorrere a tutto il suo autocontrollo. Si dipinse sul volto un'espressione fredda, un po' ironica, mentre l'attraente mezzobusto di Cavilo prendeva forma sullo schermo. Ma tenne le mani, sudate, fuori dal raggio della telecamera, e se le asciugò sulla stoffa dei pantaloni.

Negli occhi azzurri della bionda c'era una luce di trionfo, anche se stava serrando la bocca in una linea sottile. Doveva essersi accorta che la rotta delle tre navi di Miles stava per intersecare la sua. — Lord Vorkosigan, per quale motivo si trova in questa zona di spazio?

— Eseguo le sue istruzioni, signora. Lei mi ha ordinato di unirmi ai Dendarii, e mi ha proibito di mettermi in contatto con Barrayar. È quello che sto facendo.

Sei secondi d'intervallo fra domanda e risposta; la distanza fra le due navi gli dava modo di riflettere. Peccato che questo vantaggio l'avesse anche Cavilo.

— Io non le ho ordinato di attraversare il Mozzo.

Miles esibì un'espressione stupita. — E in che altro luogo lei ha bisogno che la mia flotta si trovi, se non sul teatro dell'azione? Non deve pensare che io sia uno sciocco, signora.

La pausa di Cavilo, stavolta, fu più lunga dello scarto trasmissione/ricezione. — Sta dicendo che non ha ricevuto il messaggio di Metzov? — chiese.

C'è mancato dannatamente poco. Che eccitante gioco di doppi sensi, in questo. — Perché, lei aveva mandato Metzov come corriere?

Pausa. — Sì!

Una palese menzogna in cambio di una palese menzogna. — Non l'ho neppure visto. Forse ha disertato. Deve aver capito che ormai lei ha dato il suo cuore a un altro. Forse è andato a rintanarsi in qualche bar, e sta affogando le sue pene d'amore in una bottiglia. — Miles sospirò tristemente a quel pensiero.

L'espressione preoccupata e attenta di Cavilo si fece rabbiosa quando quella risposta le arrivò. — Idiota! So benissimo che lei lo ha preso prigioniero!

— Sì, lo confesso. E da allora non faccio che chiedermi perché lei abbia consentito che questo accadesse. Se non voleva che Metzov finisse in cella, avrebbe dovuto prendere un'elementare precauzione per impedirlo.

Cavilo strinse le palpebre. Poi scrollò le spalle. — Sì, temevo infatti che l'emotività di Stanis lo rendesse inaffidabile. Volevo dargli un'occasione di dimostrarsi leale. Avevo ordinato a un altro uomo di ucciderlo, se avesse cercato di ammazzare lei. Ma quando Metzov ci ha provato, lo sciocco non era sulla scena.

Sostituendo «se avesse cercato» con «dopo che ci fosse riuscito» la frase era probabilmente una mezza verità. A Miles sarebbe piaciuto aver intercettato il messaggio che l'agente aveva mandato a Cavilo dopo il suo fallimento. — Vede? Lei ha bisogno di subordinati che sappiano pensare con la loro testa. Come me.

La bionda fece una smorfia. — Lei come subordinato? Preferirei dormire con un serpente.

Interessante immagine, quella. — Farebbe meglio ad abituarsi a me. Lei sta per entrare in un mondo che le è estraneo, a me invece assai familiare. I Vorkosigan sono parte integrante della classe al potere su Barrayar. Lei disporrebbe di una guida indigena.

Pausa in più. — Esattamente. Io sto cercando… devo… portare in salvo il vostro Imperatore. Lei sta per intersecare la nostra rotta. Si tolga di mezzo!

Miles gettò uno sguardo allo schermo tattico. Sì, era proprio così. Vieni fra le mie braccia. - Comandante Cavilo, io sono certo che lei sta omettendo un dato importante nei suoi calcoli. Mi riferisco a me.

Pausa in più. — Allora lasci che le chiarisca la mia posizione, piccolo barrayarano. Io ho il suo Imperatore. Sotto il mio completo controllo.

— Bene. Per chiarirla definitivamente lasci che sia lui a darmi l'ordine di sgombrare il campo.

Pausa, anche se brevissima. — Io posso fargli tagliare la gola qui, davanti ai suoi occhi. Lasciateci passare!

— Proceda pure. — Miles scrollò le spalle. — Le raccomando di farlo inquadrare bene. Non mi piacciono le registrazioni difettose.

La bionda ebbe un sogghigno acre. — Il suo bluff è stupido, sa?

— Peccato che non sia un bluff. Vede, Gregor serve vivo a lei, ma a me non tanto. Dove state andando lei non può fare niente se non tramite Gregor. Lui è il suo biglietto d'ingresso. Ma non le hanno sussurrato all'orecchio che se Gregor morisse il prossimo Imperatore di Barrayar sarei io? O almeno, in teoria, anche se dovrei vedermela con altri meno titolati pretendenti alla successione.

Cavilo s'irrigidì. — Lui dice… lui non ha nessun erede. Anche lei stesso lo ha detto.

— Nessun erede riconosciuto. Questo perché mio padre ha rifiutato il riconoscimento ufficiale, benché la mia famiglia sia consanguinea di quella Imperiale. Ma il non riconoscere un legame di sangue non basta a cancellarlo. Io sono figlio unico, e mio padre è già anziano. Perciò… faccia pure resistenza alla squadra che sto per mandarle a bordo. Minacci, e porti a compimento le sue minacce. Io le sarò eternamente grato, e le prometto che la sua impiccagione sarà il video più venduto dell'anno. Dopodiché… Miles Primo di Barrayar. Come le suona? Meglio di Imperatrice Cavilo, sì, molto meglio. — Allargò le mani. — Oppure potremmo lavorare insieme. I Vorkosigan hanno sempre pensato che la sostanza sia più preferibile all'apparenza. Il potere dietro il trono. Il potere che mio padre detiene, come senza dubbio Gregor le avrà detto, da fin troppo tempo… e lei non potrà conquistare mio padre sbattendo le sue affascinanti ciglia. Devo informarla che a lui non piacciono le donne. Però io conosco i suoi punti deboli. E se gli auguro di vivere a lungo, non intendo necessariamente per sempre. Questa dunque è la mia grande occasione, in un modo o nell'altro. E detto fra noi, signora… a lei importa con chi dividere il potere che c'è dietro il trono o dietro il letto imperiale?

Lo scarto temporale gli diede modo di assaporare una dopo l'altra le espressioni che comparvero sul volto di lei, mentre le sue plausibili ambizioni venivano soppesate: allarme, disprezzo, incredulità, e infine riluttante rispetto.

— Mi accorgo di averla sottovalutata. Molto bene… vuol dire che le vostre navi ci scorteranno in una zona sicura. Dove, evidentemente, dovremo approfondire il discorso.

— Io vi trasporterò al sicuro, a bordo della Ariel. Questo ci darà modo di discutere a fondo l'argomento.

Cavilo ebbe un lampo negli occhi. — Niente affatto.

— D'accordo, veniamo a un compromesso. Io eseguirò gli ordini di Gregor, e soltanto i suoi. Come ho detto, signora, è una cosa a cui dovrà fare l'abitudine; nessun barrayarano prenderà ordini da lei, direttamente, finché non avrà rinsaldato la sua posizione. Se questo è il gioco a cui vuole giocare, cominci a far pratica. Se invece sceglie di fare resistenza, al grande tavolo da gioco resterò io solo. Potrebbe essere la soluzione più semplice. — Prendi tempo, Cavilo. Coraggio, graffia e mordi.

— La farò parlare con Gregor. — L'immagine scomparve e sul video restò solo il grigio del segnale d'attesa.

Miles si appoggiò allo schienale della poltroncina e si massaggiò il collo con una mano, cercando di allentare la tensione nervosa. Si accorse di tremare. Mayhew lo stava fissando con aria allarmata.

— Dannazione — disse sottovoce Elena, — se non ti conoscessi, direi che qui c'è la reincarnazione di Yuri il Folle. Lo sguardo che hai negli occhi… se non ho interpretato male questo valzer di chiacchiere, in una sola tirata di fiato tu le hai proposto di assassinare Gregor, le hai suggerito di tradirlo con te, hai accusato tuo padre d'essere un omosessuale, ti sei detto pronto a commettere parricidio, e le hai offerto di complottare insieme in qualunque gioco di potere ci sarà da giocare… c'è qualche altra azione infame che hai trascurato?

— Dipende da quello che succederà. Ti confesso che sono impaziente di scoprirlo. — Miles sospirò. — Sono stato convincente?

— Per un momento ho avuto voglia di strangolarti.

— Bene. — Si asciugò ancora le mani sudate sui pantaloni. — È un faccia-a-faccia fra Cavilo e me, prima che si arrivi al nave-contro-nave. Per natura lei è l'intrigo fatto carne. Io posso agitarle davanti agli occhi miraggi, parole, ipotesi, e tutte le più diverse biforcazioni della sua strategia ramificata, spero abbastanza a lungo da distrarla dalla situazione reale…

— Abbiamo il segnale — lo avvertì Elena.

Miles si raddrizzò e attese. La faccia che prese forma sullo schermo fu quella di Gregor. Vivo e vegeto. Il giovane Imperatore spalancò gli occhi nel vedere Miles, ma la sua espressione tornò subito neutra.

Accanto a lui ci fu un movimento: Cavilo, appena fuori campo. — Mio caro, digli ciò che abbiamo deciso.

Miles si piegò in avanti, inchinandosi per quanto glielo permetteva la sua posizione. — Altezza Imperiale, ho l'onore di mettere ai suoi ordini la Libera Flotta dei Mercenari Dendarii. Ne disponga secondo la sua augusta volontà.

Gregor gettò uno sguardo di lato, senza dubbio a uno schermo tattico analogo a quello della Ariel. - Santo cielo, li hai davvero tirati dalla tua parte. Miles, sei decisamente diabolico. — Il suo umorismo lasciò subito il posto alla formalità. — Noi le siamo grati, Lord Vorkosigan. Accettiamo la sua offerta e le truppe di cui dispone.

— Altezza, appena lei si sarà trasferito a bordo della sua nave ammiraglia, la Ariel, potrà prendere personalmente il comando delle Sue forze.

Cavilo si fece subito avanti. — E ora ha scoperto il suo inganno. Lascia che io ti faccia sentire una registrazione delle proposte che quest'individuo ha osato farmi, Gregor. — La bionda si spostò ai comandi della consolle, e Miles ricevette, benché solo in audio, il replay delle sue fosche ambizioni, dalle osservazioni sull'eredità al trono al suggerimento di una relazione adulterina fra lui e Cavilo. Fra un delitto e l'altro. Tutto ben orchestrato.

Gregor ascoltò con pensierosa attenzione, perfettamente calmo e controllato, e quando la voce di Miles tacque annuì fra sé. — E questo ti sorprende tanto, Cavy? — domandò in tono innocente, prendendola per mano con gesto affettuoso. Dall'espressione del volto di lei, comunque, qualcosa la stava sorprendendo. — Le gravi infermità mutanti di Lord Vorkosigan hanno alterato la sua mente, è una cosa che tutti sanno. Ordisce piccoli tranelli, rimesta nel torbido, si circonda di sicofanti prezzolati. È ovvio che, se non c'è il padre a tenerlo sotto controllo, io devo guardarmi dalle sue manovre…

Grazie, Gregor. Terrò a mente questa linea di condotta.

— … ma finché decide che i suoi interessi coincidono coi nostri, è anche un prezioso alleato. I Vorkosigan hanno un enorme potere nella politica di Barrayar. È stato suo nonno, il Conte Piotr, a mettere sul trono mio nonno, l'Imperatore Ezar. Sono nemici che nessuno può permettersi. Preferirei che tu ed io governassimo Barrayar con la loro collaborazione.

— Togliendoli di mezzo avremmo lo stesso risultato, o migliore — disse Cavilo, guardando Miles.

— Il tempo è dalla nostra parte, mia cara. Suo padre è un vecchio, lui è un mutante. La sua linea ereditaria è un vicolo cieco. Nessun barrayarano accetterebbe un mutante per Imperatore, come suo padre il Conte Aral sa bene, e come lui stesso si rende conto nei rari momenti di lucidità mentale. Ma può darci dei guai, se vuole. Può alterare i giochi di potere. Lei è d'accordo con le mie osservazioni realistiche, Lord Vorkosigan?

Miles s'inchinò ancora. — Come Sua Altezza afferma, si tratta di osservazioni realistiche. Ne comprendo il significato. — E anche tu, mi auguro. Gettò una rapida occhiata a Elena, che durante il discorsetto di Gregor circa la follia di Miles aveva abbandonato il suo posto: appoggiata a un angolo della consolle, era impegnata a soffocare con una manica dell'uniforme un accesso di risa che minacciava di travolgerla. I suoi occhi lampeggiavano, sopra la stoffa grigia. A fatica la giovane donna ritrovò l'autocontrollo e tornò a sedersi, scambiando cenni divertiti con Arde Mayhew. Miles sbatté le palpebre. Tenete la bocca chiusa, dannazione.

— La cosa migliore, Cavy — continuò Gregor, — è che io mi trasferisca sulla nave ammiraglia. A questo punto avremo la Flotta sotto controllo. E ogni tuo desiderio — le baciò la mano, cingendole le spalle con un braccio, — sarà un ordine per me, mia cara.

— Pensi che ci sia da fidarsi? È uno psicopatico, l'hai detto tu stesso.

— Brillante, forse nevrotico, ma finché prende i suoi sedativi non c'è niente da temere. In questo periodo è un po' instabile, a causa dell'eccitazione e dei continui spostamenti. Ti assicuro che io so come prenderlo.

Lo scarto trasmissione/ricezione s'era molto ridotto. — Venti minuti al rendez-vous, signore — riferì Elena, fuori campo.

— Altezza Imperiale, trasborderete con una delle vostre navette, o preferisce che ne mandi una io? — domandò educatamente Miles.

Gregor scrollò le spalle, indifferente. — Questo può deciderlo la comandante Cavilo.

— Una delle nostre — disse subito lei.

— Attendiamo il vostro arrivo. — E saremo pronti.

Cavilo interruppe la trasmissione.

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