CAPITOLO SETTIMO

Il mattino dopo Miles fu trasferito in un nuovo alloggio. Un ufficiale lo condusse un piano più in basso, abbassando ancor di più le sue speranze di rivedere la luce del sole, e gli assegnò una delle camere destinate ai testimoni che la Sicurezza proteggeva in attesa del processo. E alle persone, pensò Miles, ridotte allo stato sociale di non-persone. Possibile che quei giorni nel limbo l'avessero, per contagio, trasformato in qualcuno che tutti ormai preferivano tenere fuori dalla realtà?

— Quanto dovrò stare qui? — chiese all'ufficiale.

— Non saprei, alfiere — rispose lui, e lo lasciò solo.

La sacca da viaggio, il baule pieno di indumenti buttati lì e una scatola confezionata alla meglio lo attendevano sul pavimento della stanza. I suoi beni terreni dell'isola Kyril. Miles li passò in rassegna — sembrava esserci tutto, inclusi i libri di meteorologia — ed esaminò l'alloggio. Era un appartamentino monocamera, ammobiliato nel severo stile di vent'anni addietro, con due sedie di legno, un letto, un angolo attrezzato a cucina, due armadi di forma diversa e alcuni scaffali vuoti. Nessun oggetto o indumento abbandonato che accennasse all'esistenza di precedenti inquilini.

Dovevano esserci microspie dappertutto. Ogni superficie lucida poteva nascondere la lente di una telecamera, e i microfoni erano probabilmente sepolti nei muri. A quale stanza di controllo erano collegati? Oppure, indifferenza ancor più irritante, Illyan non aveva neppure ordinato di accenderli?

Decise di fare due passi. In fondo al corridoio c'erano una guardia e alcuni monitor per la sorveglianza, ma all'apparenza nessun altro inquilino. Miles scoprì che poteva prendere l'ascensore e aggirarsi nel resto dell'edificio, salvo che nelle zone per cui occorreva un lasciapassare; ma gli uomini di guardia agli ingressi, informati della sua identità, gli vietarono con cortese fermezza di uscire in strada. Lui rifletté che avrebbe sempre potuto calarsi giù da qualche finestra… per farsi sparare, magari, e rovinare così la carriera di una povera guardia.

Un ufficiale della Sicurezza lo trovò che vagabondava all'ultimo piano, lo ricondusse nel suo alloggio, gli diede una manciata di banconote e di spiccioli per il bar-ristorante dell'edificio e alluse con molta enfasi che si sarebbe fatto apprezzare di più se fosse rimasto in camera fra un pasto e l'altro. Miles lo ringraziò docilmente e poi contò il denaro, cercando di dedurne la durata della sua permanenza lì. Avrebbe potuto bastare per un centinaio di pasti, se avesse lasciato laute mance. Il groppo di saliva che deglutì fu amaro come il veleno.

Tirò fuori il contenuto della sacca e del baule, mandò tutti gli indumenti già usati alla lavanderia sonica per eliminare l'odore umido di Campo Cessofreddo, appese le giacche, lucidò gli stivali, sistemò i suoi pochi oggetti sugli scaffali, fece la doccia e poi indossò un'uniforme verde pulita.

Un'ora era andata. Quante altre ne sarebbero trascorse?

Cercò di leggere, ma presto gli passò la voglia e finì per trovarsi seduto sulla sedia meno scomoda, con gli occhi chiusi e i piedi sul tavolo, fingendo che quella stanza silenziosa fosse una cabina a bordo di un'astronave. Diretta verso l'immensità.


Due sere dopo era seduto sulla stessa sedia, occupato soltanto a digerire una cena un po' troppo pesante, quando il cicalino della porta emise un ronzio.

Sorpreso, Miles si alzò per andare ad aprire di persona. Difficile che fosse un plotone d'esecuzione, rifletté, anche se non si poteva mai dire.

Ma per un attimo il suo ottimismo s'incrinò di brutto alla vista dei due ufficiali della Sicurezza Imperiale che si trovò di fronte, un capitano e un maggiore, rigidi e impettiti. — Mi scusi, alfiere Vorkosigan — borbottò il capitano entrando senza complimenti, e cominciò a sondare mobili e pareti con uno scandaglio elettronico. Miles sbatté le palpebre. Poi vide la persona che era dietro di loro in corridoio, con una scatola in mano, e gli sfuggì un — Oh! — di comprensione. A un cenno del capitano alzò le braccia con ubbidienza e si lasciò scandagliare anche i vestiti.

— Pulito, signore — riferì l'ufficiale al collega, e Miles poté stare tranquillo che era così. Quegli uomini non avrebbero mai, mai trascurato un angoletto, neppure nel cuore del Quartier Generale della Sicurezza Imperiale.

— Grazie. Lasciateci soli, per favore. Potete aspettare qui fuori — disse l'altra persona. I due ufficiali annuirono e si disposero in atteggiamento marziale di fronte all'alloggio.

Dato che entrambi indossavano l'uniforme, Miles salutò militarmente il suo visitatore, che pure non portava alcun grado o mostrina sul petto. Era giovane, di altezza media, con corti capelli neri e occhi di un verde intenso. Un sorriso un po' amaro piegò gli angoli di una bocca che non aveva avuto molte occasioni di ridere.

— Altezza — disse formalmente Miles.

L'Imperatore Gregor Vorbarra fece un cenno col capo e lui chiuse la porta, con uno sguardo di scusa ai due della Sicurezza. Soltanto allora il giovanotto snello parve rilassarsi. — Ehilà, Miles.

— Ehilà a te. Uh… — Miles gli indicò la stanza con un gesto circolare. — Benvenuto nella mia modesta cella. Le nostre parole stanno passando alla storia?

— Ho chiesto a Illyan di spegnere gli apparati d'ascolto, ma non sarei sorpreso se facesse a modo suo. Per il mio bene, ovviamente. — Con un sogghigno Gregor cambiò mano alla scatola, dal cui interno provenne un lieve tintinnio, e seguì Miles. Si lasciò cadere sulla sedia che lui aveva appena scaldato, alzò una gamba sulla spalliera della sedia accanto e sospirò stancamente, come se quella che lasciava uscire fosse l'ultima aria del mondo. Gli porse la scatola. — Un po' di anestesia per le tue pene.

Miles la aprì. Due bottiglie di vino pregiato, già fredde al punto giusto. — Che tu sia benedetto e amen, ragazzo mio. Da un po' di tempo sto pensando che soltanto una vera sbronza può togliere un uomo da un vero guaio. Come hai avuto questa felice ispirazione? E già che ci siamo, cosa ti ha ispirato a venire in questa tetra quarantena? Credevo d'essere troppo contagioso per chiunque. — Andò a mettere una bottiglia nel frigo, trovò due bicchieri e li ripulì dalla polvere.

Gregor scrollò le spalle. — Hanno capito che non potevano tenermi fuori a lungo. Io so essere molto insistente, lo sai. Illyan ha voluto fare in modo che la mia visita privata fosse veramente privata. E posso stare qui solo fino al 2500. — Le sue spalle si abbassarono, come schiacciate dal peso dei suoi fitti impegni giornalieri. — Comunque, la religione di tua madre garantisce un buon karma per chi visita i malati e i carcerati, e ho sentito dire che tu sei entrambe le cose.

Ah, così era stata sua madre a suggerire a Gregor quell'iniziativa. Avrebbe dovuto immaginarlo dall'etichetta delle bottiglie, una marca praticamente privata dei Vorkosigan. Girò la bottiglia e controllò la data, maneggiandola con grande rispetto. Diavolo, erano proprio quelle dell'annata migliore. Stava cominciando a sentirsi così solo che provò un impeto di commozione per quella piccola premura. Stappò la bottiglia e mescé il vino; poi, secondo l'etichetta barrayarana, bevve per primo. Nettare. Si sedette su un'altra sedia, in una posa simile a quella di Gregor. — È bello rivederti, in ogni modo.

Miles contemplò il suo vecchio compagno di giochi. Se Gregor avesse avuto qualche anno di meno sarebbero stati ancora più vicini, quasi come fratelli; il Conte e la Contessa Vorkosigan avevano svolto il ruolo di tutori di Gregor fin dai tempi caotici e sanguinosi della guerra contro il Pretendente Vordariano. Dover crescere insieme li aveva comunque uniti molto, fra loro e con altri compagni «sicuri» come Ivan ed Elena, anch'essi più giovani di Gregor, il quale si adattava pazientemente ai loro giochi anche quando ne avrebbe preferito altri meno infantili.

Gregor raccolse il bicchiere e sorseggiò il vino. — Mi spiace che le cose non vadano bene per te — disse, con goffo imbarazzo.

Miles sollevò le spalle. — Breve il soldato, breve la carriera. — Buttò giù un sorso più lungo. — Avevo sperato di essere imbarcato su un'astronave. Andare nello spazio.

Gregor s'era diplomato all'Accademia Imperiale due anni prima che Miles si iscrivesse. Inarcò un sopracciglio. — Non è quello che volevamo tutti?

— Tu un anno a bordo l'hai fatto — puntualizzò Miles.

— Quasi tutto in orbita. A fingere di fare servizio di sorveglianza circondato da navette della Sicurezza. Dopo un po' cominciava già a farmi star male, tutta quella scenografia. Recitare la parte dell'ufficialetto, far finta di occuparmi di un lavoro vero quando in realtà la mia presenza rendeva più difficile il lavoro altrui… a te, almeno, è stato permesso di affrontare dei pericoli.

— Per la maggior parte non pianificati, posso assicurartelo.

— Mi sto convincendo sempre più che questo è il guaio principale — continuò Gregor. — Tuo padre, il mio, entrambi grandi uomini… loro sono sopravvissuti a situazioni militari reali. È così che sono diventati ufficiali veri. Non questo… addestramento. — La sua mano libera ebbe un gesto come a spazzar via ricordi sgradevoli.

— No. Tutti ci troviamo cacciati in qualche situazione — obiettò Miles. — La carriera militare di mio padre cominciò il giorno in cui la squadra della morte di Yuri il Folle fece saltare in aria metà della sua famiglia… credo che lui avesse undici anni, più o meno. A me è stata risparmiata un'iniziazione così dura, grazie al cielo. Voglio dire, una vera esperienza formativa è proprio quella che uno non si augurerebbe di fare, se potesse scegliere.

— Mmh — annuì cupamente Gregor. Quella sera sembrava oppresso dal suo leggendario genitore, il Principe Serg, come lui aveva sempre sentito il peso del Conte Vorkosigan. Miles rifletté brevemente su ciò che era arrivato a chiamare dentro di sé «i due Serg». Uno — forse la sola versione che lui conoscesse? — era l'Eroe-Morto, il coraggioso che aveva sacrificato la vita sul campo di battaglia, o quantomeno era stato pulitamente disintegrato in orbita. L'altro era il Serg Sconosciuto-Alla-Storia, il comandante isterico e il sadico sodomita la cui prematura morte nella sventurata invasione di Escobar poteva esser stato il miglior colpo di fortuna per le sorti politiche di Barrayar… Che una traccia di quella personalità così multiforme fosse filtrata anche in Gregor? Nessuno di quanti avevano avuto rapporti con Serg parlava mai di lui, e il Conte Vorkosigan ancor meno di altri. Miles aveva conosciuto una delle vittime del Principe, una volta. Si augurava che a Gregor non accadesse.

Decise di cambiare argomento. — Be', cos'è successo a me ormai lo sappiamo tutti, ma tu che hai fatto negli ultimi tre mesi? Mi spiace esser mancato alla festa, per il tuo compleanno. Sull'isola Kyril l'hanno celebrato ubriacandosi, il che l'ha reso indistinguibile da ogni altro giorno.

Gregor ebbe un sogghigno, poi sospirò. — Troppe cerimonie, troppe ore in piedi… qualche volta penso che se mettessi al mio posto un manichino di plastica a grandezza naturale non se ne accorgerebbe nessuno. E non ti dico il tempo che spreco ad ascoltare i verbosi suggerimenti di quelli che si sono autonominati miei consiglieri matrimoniali.

— In effetti, non hanno torto di preoccuparsi — dovette osservare Miles. — Non puoi sederti a un tavolino da tè senza che qualcuno ti presenti, assolutamente per caso, una delle dozzine di giovani donne che per pura coincidenza si trovano fra gli invitati. Io potrei nominare almeno sei candidate che hanno forti schiere di seguaci a spingerle avanti, e altre ne arrivano di continuo sulla scena. E tutto ciò mentre quelle prive dei requisiti complottano ugualmente con incrollabile ferocia per impedire ad altre di comparirti davanti. Fatto che, secondo me, è il primo motivo per cui tu non hai ancora un erede.

Gregor inclinò la testa. — Anche tu sei nel mirino di chi fa i suoi calcoli sulla successione al trono. Lo sai.

— Con questo corpo? — Miles sbuffò. — Dovrebbero proprio… odiare una ragazza, per presentarla a me. E a quel punto sarebbe il momento di andarmene da casa. Lontano e in fretta. Fammi un favore, sposati, sistemati e metti al mondo cinque o sei piccoli Vorbarra.

Gregor parve ancor più depresso. — Potrebbe essere una buona idea, sai? Andarmene da casa. Mi chiedo quanto lontano potrei arrivare prima che Illyan mi ritrovi.

Entrambi guardarono involontariamente verso il soffitto, anche se Miles non aveva idea di dove fossero nascoste le microspie. — Meglio augurarsi che a trovarti sia Illyan prima di qualcun altro. — Dio, la conversazione si stava facendo morbosa.

— Non saprei. Non ci fu un Imperatore, in Cina, che finì a lavare i pavimenti da qualche parte? E migliaia di esuli d'alto rango… Contesse a servire nei ristoranti… la fuga è possibile.

— Fuga dal fatto d'essere un Vor? È più probabile… riuscire a fuggire dalla propria ombra. — Ci sarebbero stati momenti, chissà dove, in cui sarebbe parso di avercela fatta. Ma poi… Miles scosse il capo. Guardando la scatola si accorse che dentro c'era qualcos'altro. — Ah! Hai portato una mini-tattica. — Non aveva la minima voglia di giocare a mini-tattica, anche se fino ai quattordici anni era stato uno dei suoi passatempi preferiti, ma era pur sempre meglio di quei discorsi. Tirò fuori le due tavolette elettroniche collegate dal filo e le piazzò sul tavolo, deciso a mostrarsi di buonumore. — Come ai vecchi tempi, eh? — Pensiero non molto felice per molti versi.

Gregor tirò giù la gamba dalla spalliera dell'altra sedia e fece la sua mossa di apertura. Fingendo di essere interessato per divertire Miles, che fingeva di divertirsi per stimolare il suo interesse, mentre entrambi pensavano a tutt'altro. Miles, distratto, sconfisse l'amico troppo in fretta nella prima battaglia e cercò di fare più attenzione. Nella seconda rese l'esito più incerto e fu ricompensato da una scintilla di genuina attenzione — o di provvisoria amnesia circa altri pensieri — da parte di Gregor. Aprirono anche l'altra bottiglia di vino. A quel punto Miles cominciò a sentirne gli effetti: lingua ispessita, sonnolenza, difficoltà di concentrazione. Gli costò un vero sforzo lasciare che Gregor arrivasse vicino alla vittoria nella terza partita.

— Non riesco a batterti da quand'eri un ragazzino — sospirò Gregor accennando al display del punteggio globale, sempre più a favore dell'avversario. — Tu dovresti essere un ufficiale, dannazione.

— Questo gioco non richiede vere capacità tattiche, secondo mio padre — commentò Miles. — Non ci sono abbastanza fattori casuali e possibilità di sorpresa per simulare la realtà. A me piace anche l'imprevisto. — La mini-tattica era invece una routine monotonamente logica, di controlli e conteggi, con catene di mosse inevitabili e possibilità di scelta nitide e precise.

— È vero. — Gregor alzò lo sguardo. — Non ho mai capito perché ti abbiano mandato all'isola Kyril. Tu hai già comandato una vera flotta spaziale, anche se erano solo una banda di mercenari.

— Ssssh. Quell'episodio ufficialmente non esiste, nel mio fascicolo personale. Per fortuna, perché non piacerebbe ai miei superiori. Mi è stato dato un ordine, e io non ho ubbidito. Comunque, più che comandare i Mercenari Dendarii si può dire che li avessi ipnotizzati. Senza il capitano Tung, che aveva deciso di sfruttare i miei desideri per i suoi scopi, sarebbe finito tutto in modo molto spiacevole. E molto prima.

— Dopo quel fatto ho spesso pensato che Illyan avrebbe potuto utilizzarli — disse Gregor. — Senza forse saperlo, avevi portato al servizio di Barrayar un'organizzazione militare, in segreto.

— Sì, ma senza che neppure loro lo sapessero. E il segreto era questo. Assegnarli al dipartimento di Illyan fu una finzione legale, tutti lo sapevano. — E sarebbe stata una finzione legale anche il suo trasferimento agli ordini del capo della Sicurezza? — Illyan è troppo cauto per lasciarsi trascinare in qualche avventura galattica perché non ha di meglio da fare. Temo che il suo solo proposito verso i Mercenari Dendarii sia di tenerli il più possibile alla larga da Barrayar. I mercenari ingrassano sulle difficoltà politiche degli altri.

«Inoltre hanno le dimensioni sbagliate: neanche una dozzina di navi e da tre a quattromila combattenti. Troppi per farli funzionare come quinta colonna in territorio nemico, e troppo pochi per situazioni a livello planetario. Buoni nello spazio, difettosi in superficie. La loro specialità erano le imboscate nei corridoi di transito: con le spalle coperte, ben equipaggiati, e per la maggior parte splendidi nel fare i gradassi coi civili disarmati… fu così che io ebbi occasione di conoscerli, quando bloccarono il nostro mercantile e i loro soprusi oltrepassarono il segno. Mi vengono i brividi se penso al rischio che corsi. Anche se spesso, sapendo quello che so oggi, mi chiedo se avrei potuto… — Miles tacque e scosse il capo. — Forse è come il fascino delle grandi altezze: meglio non guardare giù troppo spesso, o ti viene un attacco di vertigini e fai una brutta fine. — A lui i luoghi alti non piacevano.

— Come esperienza militare aveva qualcosa in comune con la Base Lazkowski? — chiese Gregor, con l'aria di fare una battuta.

— Oh, c'erano alcuni paralleli — riconobbe Miles. — Né l'uno né l'altro erano lavori per cui fossi stato addestrato, entrambi erano letali, e da nessuno dei due sono uscito con la salute che avevo prima. La faccenda dei Dendarii è stata… peggiore. Ho perduto il sergente Bothari. E in un certo senso ho perduto Elena. A Campo Cessofreddo, almeno, non ho avuto perdite.

— Forse stai migliorando — commentò Gregor.

Miles scosse il capo e bevve. Avrebbe dovuto mettere su un po' di musica. Il silenzio di quella stanza era opprimente, nelle pause della conversazione. Gli veniva da chiedersi se il soffitto non fosse idraulicamente strutturato per abbassarsi e schiacciarlo nel sonno, anche se la Sicurezza aveva sistemi assai più contorti per occuparsi dei detenuti recalcitranti. Che incombesse su di lui era solo una sua impressione. Be', io sono piccolo. Magari con me non funzionerebbe.

— Presumo che sarebbe… inopportuno — disse, esitante, — chiedere a te di tirarmi fuori di qui. Sembra sempre piuttosto imbarazzante chiedere un favore imperiale. Un po' come barare, o una cosa del genere.

— Cosa? Un prigioniero della Sicurezza chiede la libertà a un altro carcerato? — Gli occhi verdi di Gregor erano ironici, sotto le sopracciglia scure. — Per me è imbarazzante scontrarmi coi limiti del mio potere imperiale. Sono chiuso fra tuo padre e Illyan come fra due parentesi. — E accennò con un pollice verso il soffitto.

Quella stanza aveva un effetto subliminale, decise Miles. Anche Gregor lo subiva.

— Vorrei, se potessi — aggiunse l'Imperatore in tono di scusa. — Ma Illyan ha specificato molto chiaramente che vuole tenerti fuori vista. Per un po' di tempo, comunque.

— Tempo. — Miles buttò giù un altro sorso di vino e decise che avrebbe fatto meglio a non berne più. L'alcol era un deprimente, per qualcuno. — Quanto tempo? Dannazione, se non mi danno qualcosa da fare, e subito, qui dentro si verificherà il primo caso di combustione umana spontanea della storia. — Agitò minacciosamente un dito verso il soffitto. — Io non ho bisogno di… non chiedo di lasciare l'edificio, ma almeno che mi diano un lavoro. Da operaio, da mezzemaniche… sono perfino esperto nella pulizia delle fogne, qualunque cosa. Mio padre ha parlato con Illyan della possibilità di assegnarmi alla Sicurezza… uh, l'unico dipartimento che potrebbe volermi, dice. E deve aver avuto in mente qualcosa di meglio che una ma… ma… mascotte. — Bevve di nuovo, in fretta, per tapparsi la bocca. Aveva già detto troppo. Dannazione al vino. Dannazione alla voglia di lamentarsi che gli avevano messo addosso.

Gregor aveva costruito una piccola torre coi pezzi mobili della mini-tattica. La abbatté con un dito. — Oh, quello della mascotte non è un brutto lavoro, se trovi chi ti assume. — Riunì i pezzi e li mise nella scatola. — Vedrò cosa posso fare. Non ti prometto niente, però.


Miles non seppe mai se fu grazie all'Imperatore, alle microspie o ad ingranaggi che già stavano girando (con irritante lentezza), ma due giorni dopo gli fu assegnato un incarico: assistente amministrativo del comandante del corpo di guardia dell'edificio. Era un lavoro da scrivania, riempire moduli, catalogare, stampare circolari e aggiornare i file dei computer. Per una settimana, mentre imparava, fu interessante; in seguito mortalmente noioso. Alla fine di quel mese la banalità di quell'occupazione cominciava a dargli sui nervi. Si stava dimostrando leale, oppure solamente stupido? Chi apparteneva a un corpo di guardia, era stato costretto ad accorgersi, doveva restare in prigione tutto il giorno. Anzi, come guardia il suo primo compito era di tenere in prigione se stesso. Dannata sottigliezza di Illyan; nessun altro avrebbe potuto trattenerlo se avesse voluto andarsene da lì. Sapeva dove trovare le finestre, adesso, anche se fuori cominciava a venir giù un po' di neve.

Sarebbe uscito da quella scatola di cemento prima della fine dell'inverno? C'erano delle festività a cui gli sarebbe piaciuto partecipare. Quanto ci avrebbe messo il mondo a dimenticarsi di lui, comunque? Se si fosse suicidato, avrebbero politicamente preferito dichiararlo ucciso durante la fuga? Illyan stava cercando di farlo uscire di senno, o soltanto dal suo dipartimento?

Un altro mese se ne andò. Come esercizio spirituale, decise di arricchire le sue ore d'ufficio sorbendosi tutti i video per l'istruzione delle reclute che trovò in biblioteca, in ordine alfabetico. Ce n'era un assortimento stupefacente. Fra gli altri, fu molto divertito da un documentario di trenta minuti sotto la I: Igiene (pulizia corporale) che spiegava come farsi una doccia. Be'… probabilmente erano esistite reclute, provenienti da qualche buco sperduto, che avevano avuto urgente bisogno di quelle istruzioni. Dopo qualche settimana era arrivato alla L: Laser (Fucile a) Modello D-67, (batterie, circuiti, manutenzione e riparazione), quando fu interrotto da una telefonata ed ebbe l'ordine di presentarsi a rapporto da Illyan.


L'ufficio del Capo della Sicurezza non era fatto per rasserenare gli umori di chi entrava: una stanza senza finestre, arredata con una scrivania e una consolle di comunicazioni che sembrava tolta da un'astronave, poteva avere un effetto positivo soltanto sull'umore di chi ne usciva. Ma stavolta le sedie erano due, notò Miles. Forse non sarebbe stato costretto ad accovacciarsi sul pavimento. Quella di destra era occupata da un ufficiale coi gradi di capitano e l'Occhio di Horus della Sicurezza Imperiale sul petto dell'uniforme verde.

Interessante individuo, quel capitano. Miles lo scrutò con la coda dell'occhio mentre scambiava un saluto formale con Illyan. Sui trenta-trentacinque anni, aveva la stessa espressione illeggibile del suo Capo ed era ancor più massiccio. Pallido e serio. Avrebbe potuto passare per un piccolo burocrate, un sedentario, ma c'era qualcosa dell'uomo d'azione nel suo sguardo. Qualcosa che parlava di lunghi periodi trascorsi a bordo di astronavi nello spazio.

— Alfiere Vorkosigan, il capitano Ungari — li presentò Illyan. — Il capitano è uno dei miei agenti galattici operativi. Ha dieci anni di esperienza nel raccogliere informazioni per questo dipartimento. La sua specialità è la valutazione degli aspetti militari.

Ungari gli aveva rivolto un educato cenno del capo identico al suo, e lo osservava con sguardo neutro. Miles si chiese se la spia stesse valutando il suo aspetto, e raddrizzò le spalle per renderlo il più militare possibile. Non c'era niente di decifrabile nella reazione che Ungari aveva avuto nel vederlo, se pure ne aveva avuto una.

Illyan si appoggiò all'indietro nella sua poltrona girevole. — Vorrei che mi dicesse una cosa, alfiere. — Illyan non dava mai del tu a un aristocratico in presenza di chi non lo era. — Di recente ha avuto notizie dei Mercenari Dendarii?

— I mercenari, signore? — Miles ne fu colto di sorpresa. Non era l'argomento che si sarebbe aspettato. — Io non… di recente, nulla. Ho avuto una lettera, un anno fa, da Elena Bothari… cioè, Bothari-Jesek. Ma era una cosa privata, uh, auguri di compleanno.

— Sì, ne ho avuto una copia.

Ci avrei scommesso, razza di bastardo.

— Da allora niente? — chiese Illyan.

— No, signore.

— Mmh. — L'uomo agitò una mano verso la sedia libera. — Si metta comodo, alfiere. — Il suo tono era spiccio, da affari. Qualcosa di concreto, finalmente? — Ripassiamoci un po' di astrografia. L'esame del terreno, così si dice, è il padre di ogni strategia. — Batté qualcosa su una tastiera della sua consolle e girò la piastra olografica per far vedere anche a loro.

Una mappa spaziale della distorsione galattica e dei corridoi di transito apparve in tre dimensioni sulla piastra. Ricordava il modello di una molecola organica di strana forma, vivacemente colorato: le sfere rappresentavano i punti d'incrocio, le linee dritte i corridoi per il balzo spaziale che si aprivano nel caos invisibile della distorsione. Schematica, con i dati compressi in poco spazio invece che in scala. Illyan zumò su una porzione un po' periferica e comparvero altre linee rosse e azzurre, che collegavano fra loro sette sfere e uscivano di campo in direzioni diverse. — Le è familiare, alfiere?

— La sfera doppia, al centro è il Mozzo Hegen, signore — rispose Miles.

— Proprio così. — Illyan gli consegnò il telecomando. — Mi dia un quadro strategico del Mozzo Hegen, alfiere.

Lui si schiarì la gola. — Si tratta di una stella doppia, senza pianeti abitabili. Ci sono quattro stazioni di balzo e alcuni satelliti per lo sfruttamento dell'energia solare. Pochi sono i motivi per indugiare nella zona. Come quasi tutti gli incroci di una certa grandezza sulla distorsione, è più un luogo di transito che altro, importante solo per le zone a cui dà accesso. In questo caso quattro regioni dello spazio locale, ciascuna con pianeti abitabili. — Miles proseguì facendo illuminare in verde le sfere a cui si riferiva.

— Aslund. Aslund è in fondo a un vicolo cieco come Barrayar. In quella zona, il Mozzo Hegen è l'unico passaggio che dia accesso alla grande rete di transito galattica. Il Mozzo è quindi vitale per Aslund come lo è Komarr per noi.

«In alto, il Gruppo Jackson. Il Mozzo Hegen è soltanto uno dei cinque corridoi di transito che si dipartono da lì. Oltre il Gruppo Jackson si stende una buona metà della galassia conosciuta.

«Più in basso vediamo Vervain, in una dilatazione del corridoio di transito e quindi con due uscite: una verso il Mozzo e l'altra dalla parte dei settori controllati dall'Impero Cetagandano.

«Sulla sinistra abbiamo il nostro, uh, amichevole vicino: il pianeta Pol, una repubblica, su un gomito del corridoio di balzo fra il Mozzo Hegen e Komarr, quest'ultimo prezioso per le numerose via d'uscita che offre a noi. Da Komarr abbiamo la possibilità di accedere con un solo balzo a un settore periferico dei cetagandani, anche se questa è una rotta di cui loro controllano il traffico fin da quando ci siamo installati su Komarr. — Miles gettò un'occhiata a Illyan e si chiese cos'altro avrebbe dovuto aggiungere e su quale località in particolare. Il Capo della Sicurezza guardò Ungari, che concesse a uno dei suoi sopraccigli di sollevarsi di un millimetro. Cosa significava?

— Strategia della distorsione. Le porte dell'inferno, che con una mano di vernice bianca diventano quelle del paradiso — borbottò Illyan fra sé. — Osservò lo schema tridimensionale. — Quattro giocatori e una scacchiera. Dovrebbe essere semplice…

«Comunque… — Illyan si fece restituire il telecomando e tornò ad appoggiarsi all'indietro, — il Mozzo Hegen è più che un potenziale punto caldo per i quattro sistemi limitrofi. Il venticinque per cento del nostro traffico commerciale passa da lì, via Pol. E anche se Vervain è chiuso alle navi militari cetagandane come Pol è chiuso alle nostre, quelle commerciali di Cetaganda passano tranquillamente dentro e fuori da questa zona della distorsione attraverso il Gruppo Jackson e Vervain. Qualunque cosa che bloccasse il Mozzo Hegen, come ad esempio una guerra, danneggerebbe il traffico dei cetagandani quanto il nostro.

«E tuttavia, dopo decenni durante i quali tutti abbiamo rispettato la neutralità di questa zona di transito, all'improvviso vediamo che in essa prende l'avvio quella che posso definire una situazione prebellica. Tutti e quattro i nostri vicini sembrano aver dilatato i loro interessi militari. Pol ha potenziato gli armamenti delle sue sei stazioni di balzo rivolte verso il Mozzo, e sta ammassando forze anche sul nostro lato… cosa che io trovo poco sorprendente, visto che da quando abbiamo conquistato Komarr i poliani sono assai circospetti nei nostri confronti. La confederazione del Gruppo Jackson sta facendo lo stesso dalla sua parte. Vervain ha assoldato una flotta di mercenari che si fanno chiamare Randall Rangers.

«Tutta questa attività sta causando agitazione su Aslund, il cui interesse nel Mozzo Hegen è per ovvie ragioni più critico. Aslund sta devolvendo metà della sua spesa militare annuale per rinforzare la porta di casa con una grossa stazione di balzo… diavolo, una vera e propria fortezza spaziale, e nel frattempo ha pensato bene di procurarsi anche dei guerrieri a noleggio. Lei dovrebbe conoscerli, alfiere. Sono quelli che si facevano chiamare Libera Flotta dei Mercenari Dendarii. — Illyan fece una pausa, in attesa della reazione di Miles.

Delle sue ipotesi, forse. Ma ne aveva? Miles disse: — Una volta erano molto esperti nel blocco dei corridoi di transito. È logico, suppongo. Uh… ha detto che si facevano chiamare Dendarii? Hanno cambiato nome?

— Di recente sono tornati alla loro originale denominazione di Mercenari Oserani, a quanto sembra.

— Strano. Perché?

— Perché, mi chiede? — Illyan strinse i denti. — Questa è una delle domande, benché di gran lunga la meno urgente. Ma è la reazione cetagandana, o forse la mancanza di essa, a preoccuparmi. Il caos che può crearsi in quella zona danneggerebbe i cetagandani quanto noi. Tuttavia, una volta definita la situazione, Cetaganda potrebbe cercare di prendere sotto controllo il Mozzo Hegen. In questo caso regolerebbero a loro piacimento il nostro traffico in quella regione, così come noi facciamo col loro attraverso Komarr. Perciò, se consideriamo dove porta il corridoio Komarr-Cetaganda, loro si troverebbero sulla strada di due delle nostre quattro rotte galattiche più importanti. Ora, in questa situazione c'è qualcosa di intricato, di indiretto, che puzza dei metodi dei cetagandani. Sono certo che fra le mani che tirano i fili ci sono le loro. So che devono essere là, anche se finora non li vedo… — Illyan ruminò un poco fra sé, poi scosse il capo. — Se il corridoio di transito per il Gruppo Jackson fosse bloccato, tutti dovrebbero allungare quella rotta attraverso l'Impero Cetagandano, con costi… e indubbiamente i loro profitti…

— Oppure attraverso la nostra zona — puntualizzò Miles. — Perché Cetaganda dovrebbe farci questo favore?

— Ho pensato a un motivo. In realtà ne vedo almeno nove, ma questo è per lei, alfiere Vorkosigan: qual è il modo migliore per impadronirsi di un corridoio di transito?

— Bloccarne entrambe le estremità contemporaneamente — recitò Miles, senza pensarci.

— E questa è la ragione per cui Pol ci ha sempre impedito di creare una presenza militare sul Mozzo Hegen. Ma supponiamo che qualcuno su Pol raccolga la spiacevole voce che io mi sono preso il disturbo di far sì che i Mercenari Dendarii diventassero l'esercito privato di un certo Lord Vor barrayarano. Cosa ne penserebbero?

— Si convincerebbero che ci stiamo preparando a stringerli da due lati — disse Miles. — Avrebbero una reazione paranoica. Potrebbero perfino cercare una temporanea alleanza, che so, coi cetagandani?

— Buona ipotesi — annuì Illyan.

Il capitano Ungari, che aveva ascoltato con la pazienza di chi ha già ascoltato le stesse cose, guardò Miles con aria incoraggiante e approvò la sua deduzione con un cenno del capo.

— Ma anche se tutti ia considerassero una forza indipendente — proseguì Illyan, — quella dei Mercenari Dendarii resterebbe una presenza destabilizzante nella zona. La situazione è inquieta, e si fa più tesa ogni giorno che passa, senza un movente definibile. Un improvviso squilibrio di forze, un malinteso o un grave incidente potrebbero innescare conseguenze letali e inarrestabili. Il movente, alfiere Vorkosigan! Ho bisogno di informazioni.

Illyan, era risaputo, aveva per le informazioni la stessa bramosia di un drogato; doveva averne la sua dose quotidiana, e gli uomini come Ungari erano gli spacciatori da cui si serviva. Si volse a lui. — Allora, capitano, cosa ne pensa? Lui può andar bene?

Ungari rifletté un momento. — Come aspetto… dà più nell'occhio di quello che avrei creduto.

— Non è necessariamente uno svantaggio. In sua compagnia lei può risultare quasi invisibile. L'esca luccicante e il pescatore.

— Forse. Ma potrà sopportare la fatica? Io non avrò tempo da dedicare alle sue private difficoltà. — La voce di Ungari era baritonale, ben controllata; si sentiva un'istruzione dietro di essa, anche se non portava le mostrine dell'Accademia.

— L'ammiraglio sembra convinto di sì. Dovrei dargli torto?

Ungari guardò Miles. — È sicuro che l'opinione dell'ammiraglio non sia… raddolcita dalle sue personali speranze?

Falsata di brutto dalle sue illusioni, tradusse Miles quel delicato eufemismo.

— Se fosse vero, sarebbe la prima volta. — Illyan si strinse nelle spalle. E c'è una prima volta per tutto, disse il silenzio che aleggiò nell'aria. L'uomo inchiodò su Miles uno sguardo trucemente intenso. — Alfiere Vorkosigan, crede che saprebbe, se le fosse richiesto, recitare di nuovo la parte dell'ammiraglio Naismith, per un breve periodo?

Lui le aveva viste arrivare, ma pronunciate in tono così ufficiale quelle parole gli diedero uno strano brivido freddo. Attivare di nuovo quella personalità… Io non mi limitavo a recitare, Illyan. - Posso riassumere il ruolo di Naismith, certo. È smettere di recitarlo che mi dà fastidio.

Illyan la giudicò una battuta e gli concesse un sorriso. Quello con cui gli rispose Miles fu alquanto più faticoso. Tu non sai com'era, non sai cosa significava… Due terzi di spettacolo senza copione, e un terzo di… zen, gestalt, doppia personalità? Incontrollabili momenti di quasi-esaltazione schizofrenica… se la sentiva di rifarlo? Forse ormai la sapeva troppo lunga. Il fascino dell'altezza e poi le vertigini, e la caduta. Forse sarebbe stata soltanto una recita, questa volta.

Illyan si appoggiò allo schienale e lasciò che le mani, unite, gli ricadessero in grembo; un gesto rilassato. — Molto bene. Capitano Ungari, questo signore è tutto suo. Ne faccia ciò che ritiene opportuno. Lo scopo della missione è di raccogliere informazioni sull'attuale crisi al Mozzo Hegen. Secondariamente, se possibile, usi l'alfiere Vorkosigan per togliere di scena i Mercenari Dendarii. Se occorresse un acconto, nel caso che decida di prenderli sotto contratto per spedirli lontano con qualche scusa, attinga la cifra dal nostro fondo segreto. Lei sa quale risultato desidero. Non posso essere più specifico, quindi toccherà a lei stabilire i passi da fare. O da non fare.

— Cercherò di non camminare sulla corda, signore — disse Ungari.

— E quando dovrà farlo tenga a mente che la rete non c'è. Nel suo lavoro si cade una volta sola. — Illyan cercò di dirlo con gravità, ma la metafora lo fece sogghignare. Finché non guardò Miles. — Alfiere Vorkosigan, lei viaggerà come «ammiraglio Naismith», il quale a sua volta viaggerà in incognito, facendo il possibile per unirsi alla flotta dei Dendarii. Se il capitano Ungari deciderà che lei deve passare scopertamente al ruolo di «ammiraglio Naismith», lui fungerà da sua guardia del corpo, per essere sempre dove potrà avere il controllo della situazione. Ma sarebbe troppo chiedere al capitano d'essere responsabile sia della missione che della sua sicurezza, perciò lei avrà anche una vera guardia del corpo. Questa sistemazione darà al capitano Ungari un'inconsueta libertà di movimento. Lei sarà il proprietario di un'astronave privata, un corriere veloce con un pilota esperto nei balzi che abbiamo avuto da… non importa chi, comunque non da cittadini barrayarani. Al momento è iscritta nel registro navale del Gruppo Jackson, il che ben si adatta al misterioso sfondo su cui si muove l'ammiraglio Naismith. Sembrerà tutto così ovviamente contraffatto che nessuno cercherà un secondo strato di, uh, contraffazione. — Illyan fece una pausa. — Lei ubbidirà agli ordini del capitano Ungari, naturalmente. Questo suppongo che sia chiaro. — Lo sguardo con cui Illyan sottolineò il concetto fu freddo come la notte dell'isola Kyril.

Miles sorrise doverosamente per mostrare che aveva afferrato il messaggio. Per me va bene, signore… fuori, nello spazio! Da non-persona a esca luccicante: era da considerarsi una promozione?

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