CAPITOLO QUARTO

Miles chiamò il medico-chirurgo della Base con la radio della motopulce e chiese urgentemente la sua presenza, con il necessario per la medicina legale, un sacco per cadaveri e un veicolo. Poi lui e i due aiutanti occlusero la grata su cui s'era formata la pozzanghera con una targa di plastica staccata da un attrezzatura del percorso di guerra. Infine, ormai così bagnato e infreddolito che non faceva più differenza, Miles rientrò nella conduttura e legò una corda ai due anonimi stivali. Quando tornò fuori vide che il medico e l'infermiere erano già arrivati.

L'ufficiale medico, un uomo calvo e corpulento, scrutò con una smorfia lo sbocco della conduttura. — Cos'ha visto là dentro, alfiere? Cosa può essere successo?

— Da questa estremità si vedono solo le gambe, signore — riferì lui. — La fanghiglia e i residui di drenaggio che si sono accumulati intorno al corpo hanno ostruito il passaggio dell'acqua. Dovremo tirarlo fuori e vedere cos'altro esce con lui.

— Perché diavolo sarà entrato in questo scarico? — Il medico si grattò la testa liscia come un uovo.

Miles allargò le braccia. — È un modo alquanto strano di suicidarsi. Lento e dagli effetti incerti, a meno che non stia piovendo forte.

Il medico annuì, inarcando le sopracciglia. Lui e l'infermiere dovettero poi metter mano alla corda e unirsi agli sforzi di Miles, Pattas e Olney prima che la salma irrigidita nel fango cominciasse a muoversi.

— Cristo, se era incastrato - grugnì l'infermiere. Il corpo uscì finalmente alla luce, accompagnato da un rigurgito d'acqua sporca. Pattas e Olney preferirono restarne a distanza; Miles invece si chinò a guardare da sopra una spalla del medico. Bluastro in faccia e inzuppato d'acqua, il cadavere indossava una comune tuta nera da fatica. Le piastrine sul colletto e il contenuto delle tasche lo identificarono come un soldato semplice della sussistenza. Non aveva ferite visibili, a parte alcune graffiature sulle mani e strappi nella tuta all'altezza delle spalle.

Il medico registrò a voce alcuni dati preliminari nel suo mini-comp: niente ossa rotte, nessuna vescica da distruttore neuronico. Ipotesi preliminari: morte da annegamento o ipotermia, o entrambe, avvenuta entro le ultime dodici ore. Intascò l'apparecchio e aggiunse: — Dopo che l'avremo portato in infermeria potrò dire qualcosa di più preciso.

— Succedono spesso cose di questo genere, qui alla Base? — volle sapere Miles.

Il medico si strinse nelle spalle, cupamente. — Ogni anno mi vedo arrivare in sala operatoria parecchi giovani idioti. Cosa ti puoi aspettare, quando sbatti cinquemila ragazzi fra i diciotto e i vent'anni su un'isola e li fai giocare alla guerra? Ma confesso che questo sembra aver scoperto un metodo completamente nuovo per ammazzarsi.

— Lei pensa che si sia suicidato, allora? — In effetti era strano ammazzare un uomo e poi infilarlo in un posto di quel genere.

Il medico osservò pensosamente lo sbocco della conduttura. — Così sembrerebbe. Mmh, che ne dice di dare un'altra occhiata là dentro, alfiere, giusto per scrupolo?

— Come vuole, signore. — Miles si augurò che fosse l'ultimo viaggio. Non avrebbe mai pensato che la pulizia delle fognature potesse avere risvolti da thriller. Si trascinò avanti nella curva che il condotto faceva sotto la strada, esplorandone ogni palmo, ma trovò soltanto la torcia elettrica del soldato. Indicativo. Dunque era entrato lì di proposito. Con uno scopo. Quale scopo? Cosa poteva indurre un uomo a cacciarsi in una fogna di notte, durante un temporale? Indietreggiò di nuovo alla luce e consegnò la torcia al medico.

Miles aiutò l'infermiere a insaccare il corpo, quindi ordinò a Olney di recuperare la targa con cui avevano bloccato la grata e rimetterla al suo posto. L'acqua gorgogliò liberamente giù nello scarico. Il medico restò sulla strada con lui a guardare il livello della grossa pozzanghera che si abbassava sempre più.

— Sta pensando che potrebbe esserci un altro cadavere? Da questa parte, voglio dire — domandò Miles.

— È stato l'unico a non rispondere all'appello mattutino — disse l'ufficiale, — quindi è probabile di no. — Ma non sembrava disposto a scommetterci.

Quando la pozzanghera fu vuota comparve tuttavia un altro oggetto: il parka del soldato, appiattito nel fango. Evidentemente se l'era tolto prima di addentrarsi nello scarico, poggiandolo sulla bassa recinzione del percorso di guerra, e il vento l'aveva gettato al suolo. Il medico lo portò via con sé.

— Pare che queste cose non le facciano nessun effetto — commentò Pattas, mentre il veicolo si allontanava verso l'infermeria.

Il tecnico motorista non era molto più anziano di lui. — Non ti è mai capitato di maneggiare un cadavere? — gli domandò Miles.

— A me no. E a lei?

— Sì.

— Dov'è successo?

Miles esitò. Gli avvenimenti di tre anni prima erano ancora vividi nella sua memoria. I brevi mesi in cui s'era trovato a combattere disperatamente, in luoghi lontani, non erano però cosa di cui potesse parlare liberamente, o neppure accennare. I militari del Servizio Imperiale provavano soltanto disprezzo per i mercenari, vivi o morti. Ma la Campagna Tau Verde gli aveva senza dubbio insegnato la differenza fra l'addestramento e la realtà, fra le manovre belliche e la guerra vera, e nella morte dei compagni c'era qualcosa che restava per sempre appiccicato addosso. — Sono cose passate — disse, con un gesto vago.

Pattas scrollò le spalle e tornò al loro veicolo. — Be' — grugnì, voltandosi a mezzo, — almeno lei non ha paura di sporcarsi le mani, signore.

Miles inarcò un sopracciglio, divertito. Già. Non è di questo che ho paura.

Scrisse «Tubatura di drenaggio CA/69-B: stasata» sul display del rapporto giornaliero; poi riconsegnò la motopulce, l'equipaggiamento e i silenziosi Olney e Pattas al sergente Neuve della manutenzione e tornò agli alloggi ufficiali. Non aveva mai desiderato tanto una doccia in vita sua.


Stava percorrendo il corridoio verso la sua stanza quando una porta si aprì e un altro ufficiale mise fuori la testa. — Ah, alfiere Vorkosigan.

— Sì?

— Hanno chiamato al videotelefono, poco fa. Ho registrato a suo nome, così se vuole rispondere…

— Una telefonata? — Miles si fermò. — Da dove?

— Vorbarr Sultana.

Miles sentì un brivido nella nuca. Qualche problema a casa sua? — Grazie — annuì. Tornò in fretta all'inizio del corridoio, dove c'era la consolle che gli ufficiali di quel piano usavano in comune.

Sedette al terminale e batté il suo nome. Il numero che aveva chiamato gli era sconosciuto. Lo compose, infilò la tessera di credito nella fessura e attese che il satellite gli trovasse una linea libera. Il videotelefono all'altro capo del filo suonò parecchie volte; poi lo schermo prese vita e su di esso comparve il volto attraente di suo cugino Ivan. Il giovanotto sogghignò.

— Ah, Miles. Eccoti qua, finalmente.

— Ivan! Dove diavolo sei? Cos'è successo?

— Sono a casa mia, ragazzo. E non sto parlando della casa di mia madre. Pensavo che ti avrebbe fatto piacere dare uno sguardo al posticino dove mi sono sistemato.

Miles ebbe la vaga, disorientante, sensazione d'essere in linea con un universo parallelo, o un piano astrale alternativo. Vorbarr Sultana, certo. Lui aveva vissuto in quella città, in una precedente reincarnazione. Diversi eoni addietro.

Ivan staccò la telecamera dalla sua consolle e la girò attorno, fornendogli una panoramica un po' instabile di un soggiorno dalle eleganti tonalità pastellose. — Già completamente ammobiliato — disse la sua voce fuori campo. — L'ho avuto da un capitano del Genio Militare che è stato trasferito a Komarr. Un vero affare, credimi. Ho appena portato qui le mie cose. Riesci a vedere il terrazzo?

Miles vedeva il terrazzo, e vedeva la calda luce dorata del tramonto al di là di esso, in un cielo color miele. I tetti di Vorbarr Sultana si stagliavano su quello sfondo come il profilo di una città fatata. Grappoli di fiori scarlatti traboccavano da un lungo vaso sulla balaustra del terrazzo, così rossi da far male agli occhi. Miles si accorse di aver deglutito un pesante groppo di saliva. — Belli, i tuoi fiori — disse, con voce rauca.

— Vero? Li ha portati la mia ragazza.

— La tua ragazza? — Ah, sì, gli esseri umani erano suddivisi in due sessi, ora che ci pensava. Uno aveva un profumo migliore dell'altro. Molto migliore. — Che ragazza?

— Tatya.

— La conosco? — Miles si sforzò di ricordare.

— Naah. È una nuova.

Ivan smise di far ruotare la telecamera e riapparve sullo schermo. I sensi esacerbati di Miles si placarono un poco. — Allora, com'è il tempo da quelle parti? — Ivan lo scrutò con più attenzione. — Mi sembri bagnato, ragazzo. Che stavi facendo di bello?

Lui esitò. — Uh, medicina legale… e idraulica.

— Cosa? — Le sopracciglia di Ivan s'inarcarono.

— Non importa — borbottò Miles. — Senti, è davvero un piacere vedere una faccia nota e tutto il resto, sul serio. — Ed era un piacere, in effetti, strano, quasi doloroso. — Però adesso sono in piena giornata lavorativa, qui.

— Io sono smontato un paio d'ore fa — disse Ivan. — Stavo giusto per uscire. Porto Tatya a cena fuori, stasera. Mi hai preso appena in tempo. Allora dimmi, in due parole: com'è la vita lì, con la fanteria?

— Oh, grande. La Base Lazkowski è un posto dove si fa sul serio, sai? Non è un… un posteggio per i Lord Vor in eccesso, come il Quartier Generale Imperiale.

— Be', io faccio il mio lavoro! — replicò Ivan, piccato. Poi tornò a sorridere. — È un incarico che ti piacerebbe, sai? Processiamo informazioni. C'è da non crederci, quanto materiale ci trasmette la sezione operativa di questi tempi. È come essere sulla cima del mondo. Sarebbe una cosa adatta a te.

— Interessante. Anch'io stavo pensando che la Base Lazkowski sarebbe proprio adatta a te. Che abbiano scambiato i fogli con la nostra destinazione?

Ivan si grattò un lato del naso e fece una smorfia. — Non saprei dire. — La sua allegria lasciò il posto a uno sguardo un po' preoccupato. — Senti, abbi cura di te, lì in quel posto. Non mi hai l'aria d'essere molto in forma.

— Ho avuto una mattinata impegnativa. Appena riattacchi, filo di corsa sotto la doccia.

— Oh, bene. Be', cerca di riguardarti.

— E tu goditi la cena.

— Contaci pure, ragazzo. Ci vediamo.

Voci da un altro universo. Eppure Vorbarr Sultana era a due sole ore di volo suborbitale. In teoria. Ma per Miles fu in qualche modo un conforto poter ricordare che il nebbioso orizzonte dell'isola Kyril non rappresentava tutto il pianeta.


Quel giorno trovò difficile concentrarsi sulla meteorologia. Per fortuna il suo superiore non ci faceva caso. Da dopo l'incidente con la motopulce Ahn manteneva un nervoso silenzio con lui, salvo quando veniva interpellato su questioni di lavoro. Al termine dell'orario d'ufficio Miles uscì e andò subito in infermeria.

Il medico-chirurgo stava facendo lo straordinario, o comunque indugiava seduto alla sua scrivania, quando lui mise dentro la testa. — Buonasera, signore.

L'ufficiale alzò lo sguardo. — Oh, è lei, alfiere. Che c'è?

Miles lo prese per un invito, malgrado il tono di voce poco incoraggiante, ed entrò. — Mi stavo chiedendo cos'ha scoperto sul poveraccio che abbiamo tirato fuori dallo scarico stamattina.

Il medico si strinse nelle spalle. — Non che ci fosse molto da scoprire. Ho controllato la sua identità e confermato una diagnosi di annegamento. L'esame degli ematomi, l'ipotermia, le tracce di stress e tutte le altre prove fisiche e metaboliche indicano che al momento della morte si trovava nella conduttura da meno di mezz'ora. Mi sembra che si possa parlare di «morte accidentale».

— Sì, ma perché è morto?

— Perché? — Il medico allargò le braccia. — Se aveva deciso di fare quest'idiozia il motivo lo sapeva soltanto lui, no?

— Lei non desidera scoprirlo?

— A che scopo?

— Be'… per saperlo, suppongo. Per esser certo di aver stabilito esattamente la causa del decesso.

Il medico corrugò le sopracciglia.

— Non sto discutendo le sue conclusioni, signore — aggiunse in fretta Miles. — Però è una faccenda dannatamente strana. Lei non è curioso?

— Non più — rispose lui. — Mi basta aver stabilito che non è un suicidio o un omicidio. Per gli altri particolari, quali che siano, si può parlare di semplice stupidità. Non le pare?

Miles si chiese se l'uomo avrebbe commentato con quell'epitaffio anche la sua morte, se non fosse riuscito a tirarsi fuori dalla tenda-bolla. — Suppongo di sì, signore.

Fuori dall'infermeria, nel vento umido che soffiava dal mare, Miles si fermò a riflettere. Quel cadavere non era affar suo, dopotutto. Lui l'aveva trovato e rimesso nelle mani dell'autorità competente. E l'ufficiale medico aveva fatto la sua diagnosi. Eppure…

C'erano ancora parecchie ore di luce. In quei giorni dalla durata interminabile Miles aveva sempre difficoltà a prendere sonno. Tornò nel suo alloggio, indossò la tuta da ginnastica e le scarpette acquistate allo spaccio, e uscì per fare un po' di corsa.


La strada che costeggiava i silenziosi campi da addestramento era deserta. Il sole si spostava di traverso, una ventina di gradi sopra l'orizzonte. Miles rallentò a un'andatura più cadenzata, e infine al passo. I rinforzi metallici, sotto i pantaloni, gli stavano irritando la pelle. Un giorno o l'altro avrebbe dovuto trovare un po' di tempo per farsi sostituire le fragili ossa lunghe delle gambe con altre sintetiche. Un intervento chirurgico poteva essere una discreta scusa per andarsene dall'isola Kyril prima dello scadere dei sei mesi, se le cose si fossero fatte troppo difficili. Ma gli sarebbe sembrato di imbrogliare.

Si guardò attorno, cercando di immaginare la zona immersa nel buio e sotto la pioggia battente. Se lui fosse stato quel soldato, lì sulla strada e intorno alla mezzanotte, cos'avrebbe visto? Cosa poteva aver attirato la sua attenzione verso la conduttura? E prima di tutto, perché diavolo era uscito a un'ora simile? Quella strada non portava che a un percorso a ostacoli e al tiro a segno.

Si accostò allo scarico… no, la conduttura era quella più avanti. Ce n'erano quattro che sfociavano sul canaletto a cielo aperto sul lato esterno della strada, lunga circa mezzo chilometro. Miles trovò quella giusta e si fermò a guardare il rivolo d'acqua che ne sgocciolava fuori. Non c'era niente di interessante lì, decise. Perché, allora? Perché?

Percorse la strada fino in fondo esaminando l'asfalto, la recinzione del campo e le attrezzature consunte del percorso a ostacoli. Quando giunse alla curva tornò indietro lungo il lato opposto, ma arrivò di nuovo all'altezza della conduttura senza aver visto nulla di particolare.

Si appoggiò al recinto e meditò sul mistero della cosa. Una logica doveva pur esserci, si disse. Quale irresistibile emozione aveva spinto il soldato a cacciarsi dentro lo scarico, malgrado l'evidente pericolo di quell'iniziativa? Rabbia? Ma a cosa stava dando la caccia? Paura? Cosa poteva dare la caccia a lui? Uno sbaglio? Miles poteva fare diverse ipotesi su certi sbagli. E se il soldato fosse entrato nella conduttura sbagliata…

D'impulso Miles saltò giù nel primo canaletto scoperto. Il soldato poteva aver avuto l'intenzione di entrare in una conduttura ben precisa, una fra quattro, ma essersi sbagliato a causa del buio, o dell'acquazzone, o della fretta. Se fosse stato necessario lui era disposto a esplorarle tutte e quattro, ma preferiva indovinare al primo colpo, anche se nei dintorni non c'era nessuno a curiosare. La conduttura davanti al cui sbocco si chinò aveva un diametro leggermente maggiore della seconda, quella che s'era rivelata fatale. Tolse di tasca la torcia elettrica, si spinse nell'interno e cominciò a esaminarla centimetro per centimetro.

— Ah! — sussurrò soddisfatto, a metà del percorso sotto la strada. Là c'era l'oggetto, fissato all'arco superiore del condotto con del nastro adesivo. Un pacco avvolto in plastica impermeabile. Molto interessante. Lo prese e indietreggiò all'esterno; poi sedette nell'alveo del canaletto, incurante di bagnarsi i pantaloni pur di tenersi il più possibile fuori vista.

Si appoggiò il pacchetto in grembo e lo esaminò senza fretta, pregustandone il contenuto come se fosse un regalo di compleanno. Droga? Materiale di contrabbando? Documenti segreti? Il bottino di un furto? L'ipotesi che lo eccitava di più era quella dei documenti segreti, anche se non riusciva a immaginare cosa potesse esserci di segreto sull'isola Kyril, a parte forse i rapporti sull'efficienza individuale. Un traffico di droga poteva essere interessante, ma un agente straniero in azione sarebbe stato meraviglioso. Questo gli avrebbe dato un momento di gloria… e la sua mente corse avanti, già escogitando la prossima manovra di quell'indagine, seguendo gli indizi a partire da un cadavere su fino al suo misterioso mandante, e chi poteva dire quanto in alto nella scala gerarchica? Poi il drammatico arresto, magari un elogio da parte di Simon Illyan in persona… Il pacchetto era umido, ma nell'interno si sentiva uno scricchiolio. Pellicole fotografiche?

Col cuore che gli batteva forte lo aprì… e la delusione fu così inattesa e sorprendente da paralizzarlo. Un'imprecazione stupefatta, quasi una mezza risata, gli scaturì dalle labbra.

Paste. Una dozzina di lisette: piccoli bignè coperti di zucchero e ripieni di frutta candita, tradizionalmente fatti per la festa di mezza estate. Dolciumi vecchi di un mese e mezzo. Che razza di motivo per morire…

L'immaginazione di Miles, alimentata dalla conoscenza dei dormitori militari, costruì quasi automaticamente il resto della cosa. Il soldato aveva ricevuto il pacco da una madre/fidanzata/sorella di buon cuore, e s'era preoccupato di proteggerlo dalla rapacità dei suoi commilitoni, che l'avrebbero fatto fuori in dieci secondi. Forse, attanagliato dalla nostalgia di casa, aveva voluto razionare quei bocconcini in una sorta di rituale masochistico, fatto di dolore e di piacere ad ogni morso. O forse voleva soltanto salvarli per qualche occasione speciale.

Poi erano venuti quei due giorni di pioggia intensa, e lui aveva cominciato a temere per l'integrità del suo piccolo tesoro. Era uscito a salvarlo, nel buio aveva sbagliato conduttura e s'era addentrato con disperata determinazione nella seconda mentre il livello dell'acqua saliva, senza accorgersi del suo errore finché non era stato troppo tardi…

Molto triste. Ma tormentarsi con immagini così penose e tragiche ormai non serviva a nulla. Miles incartò di nuovo le lisette e si avviò verso l'infermeria col pacco sottobraccio.

Il commento del medico-chirurgo, quando lui gli ebbe spiegato quel ritrovamento, fu: — Uh-hu. Morte per stupidità, infatti. — Con aria assente prese una lisette e la annusò.


La settimana di condanna ai servizi di manutenzione terminò il giorno successivo, senza che Miles trovasse nelle fognature nulla di più emozionante del cadavere. La lavanderia gli restituì la tuta da ginnastica tornata a nuovo, e quella sera andò a correre sul lato opposto della base. Il mattino dopo tornò dalle ferie il caporale assegnato ad Ahn. Miles venne a sapere che il giovanotto lavorava all'ufficio meteorologico già da due anni, e possedeva la maggior parte delle informazioni che lui aveva sudato due settimane per annotarsi o imparare a mente. Non aveva il naso di Ahn, però.

Il luogotenente Ahn lasciò Campo Cessofreddo da sobrio, dopo una lunga attesa della navetta da carico, come al solito in ritardo. Miles, che l'aveva accompagnato all'aeroporto, scoprì che vederlo partire non lo rallegrava affatto. Ma Ahn aveva un'aria serena, e quando si fermarono alla scaletta gli brillavano gli occhi.

— Allora dove pensa di stabilirsi, dopo che avrà appeso al chiodo l'uniforme? — domandò Miles.

— All'equatore.

— Ah! All'equatore dove?

— All'equatore dovunque - rispose Ahn con convinzione. Miles si augurò che fosse solo un modo di dire; i deserti rocciosi e gli arcipelaghi spazzati dai tifoni non erano posti molto salubri.

Sulla scaletta Ahn esitò, abbassando lo sguardo su di lui. — Stia attento a Metzov — lo avvertì infine.

Era consiglio notevole solo per il ritardo con cui arrivava, oltre che stupidamente vago. Miles lo guardò, esasperato da quel modo di fare. — Dubito che avremo occasione di cenare allo stesso tavolo. E gli orari in cui usciamo a far ginnastica sono molto diversi.

Ahn si mordicchiò un labbro, a disagio. — Non intendevo questo.

— Cosa sta cercando di dirmi?

— Be'… non so. Una volta ho visto…

— Che cos'ha visto?

Ahn scosse il capo. — Niente. È stato molto tempo fa. Durante la rivolta di Komarr sono successe anche cose pazzesche. Ma è meglio che lei stia alla larga da quell'uomo.

— Ho già avuto a che fare con questi vecchi mangiareclute.

— Oh, non è esattamente un tipo di quel genere. Ma ha una vena di… contrariarlo può essere pericoloso. Non lo minacci.

— Io, minacciare Metzov? — Miles non riuscì a nascondere il suo stupore. Forse Ahn non era sobrio come sembrava, dopotutto. — Andiamo, non può essere così cattivo, altrimenti non lo avrebbero messo all'addestramento reclute.

— Non è lui che comanda la truppa. Le reclute vengono qui con i propri graduati e ufficiali, e gli istruttori fanno rapporto a loro. Metzov comanda solo il personale e le strutture permanenti della Base. Lei è un ragazzo testardo, Vorkosigan. Cerchi di non… mettersi in urto con lui, o le cose le andranno male. Questo è tutto ciò che posso dirle. — Ahn chiuse la bocca con determinazione e si avviò su per la scaletta.

Le cose mi stanno già andando male, fu sul punto di rispondergli Miles. Ma i suoi sette giorni di punizione erano finiti. Forse Metzov aveva inteso in realtà umiliarlo, più che punirlo; tuttavia quel lavoro non s'era rivelato poi troppo sgradevole. Umiliante era stato affondare nella palude con la motopulce. E quel guaio se l'era tirato addosso da solo. Miles agitò la mano un'ultima volta mentre Ahn spariva nella navetta, poi scrollò le spalle e s'incamminò sulla pista di tarmac verso l'ormai familiare edificio dell'amministrazione.

Bastarono un paio di minuti, dopo che il caporale fu uscito dall'ufficio meteorologico per andare a pranzo, perché Miles cedesse alla tentazione che Ahn aveva seminato in lui. Chiamò la biblioteca della Base e fece apparire a schermo i dati personali di Metzov pubblicamente accessibili. La lista delle sue promozioni e degli incarichi svolti era troppo scarna, anche se un po' della storia degli ultimi decenni filtrava fra i suoi precedenti bellici.

Metzov s'era arruolato nel Servizio trentasei anni prima, e le sue promozioni più rapide avevano avuto luogo — non c'era da stupirsene — durante la conquista di Komarr, venticinque anni addietro. Ricco di distorsioni secondarie, il sistema di Komarr costituiva per Barrayar l'unica via d'accesso alla distorsione galattica principale attraverso il Mozzo. Questo lo aveva reso d'immensa importanza strategica per Barrayar, all'inizio del secolo, quando l'oligarchia di Komarr aveva permesso che la flotta d'invasione dell'Impero Cetagandano si servisse delle sue stazioni di balzo per attraversare la distorsione e piombare su Barrayar. Per respingere i cetagandani era occorsa una generazione, ai tempi del padre di Miles, e Barrayar aveva imparato una sanguinosa lezione. In seguito, dopo essersi assicurato il controllo dei corridoi di transito di Komarr, Barrayar s'era trasformato da pianeta periferico chiuso in fondo a un vicolo cieco in una piccola ma decisa potenza militare, ed era ancora alle prese con le gravi conseguenze politiche di quel semplice fatto.

Durante la guerra civile contro il Pretendente Vordariano, un tentativo di colpo di stato mirante a esautorare Gregor — che all'epoca aveva cinque anni — e il suo Reggente, vent'anni prima, Metzov s'era schierato dalla parte giusta. Il contrario avrebbe spiegato a Miles perché un ufficiale esperto come lui fosse finito in un buco sperduto come l'isola Kyril. Ma non era stato così: la svolta negativa della carriera di Metzov sembrava essere avvenuta durante la rivolta di Komarr, circa sedici anni addietro. Nel file che lui stava consultando non c'era alcun accenno alla cosa, salvo un riferimento a un altro file. Uno con la sigla della Sicurezza Imperiale, come Miles notò. Nulla da fare su quel lato.

O forse sì. Mordicchiandosi pensosamente le labbra Miles chiamò sul video l'elenco telefonico, poi compose un numero.

— Operazioni, ufficio del commodoro Jollif — annunciò Ivan in tono formale mentre la sua faccia appariva sullo schermo. Poi: — Oh, salve Miles. Cosa mi racconti?

— Sto facendo una piccola ricerca. Ho pensato che tu potresti aiutarmi.

— Avrei dovuto saperlo che non mi chiamavi qui al Quartier Generale solo per fare due chiacchiere. Allora, cos'è che ti serve?

— Senti… hai l'ufficio tutto per te, in questo momento?

— Proprio così. Il vecchio è in riunione da due ore. Abbiamo una patata bollente per le mani. Una nave mercantile iscritta al nostro registro di navigazione bloccata al Mozzo Hegen, alla Stazione Vervain, sotto l'accusa di spionaggio.

— Possiamo tirarla fuori? O minacciare un intervento armato?

— Non oltre Pol. Nessuna astronave militare barrayarana può balzare oltre le loro distorsioni, in questo periodo.

— Credevo che avessimo rapporti abbastanza distesi con Pol.

— Più o meno. Ma i vervani stanno facendo il gioco duro con Pol, minacciano di rompere le relazioni diplomatiche, così i polani hanno tirato i remi in barca. Particolare divertente: il mercantile in questione non è di quelli usati dal nostro servizio segreto. Sembra che l'accusa vervana sia stata montata ad arte.

Politica delle distorsioni galattiche. Strategia da stazioni di balzo. Proprio il genere di situazioni che l'Accademia Imperiale aveva addestrato Miles ad affrontare. Su quelle astronavi e quelle stazioni doveva esserci un'atmosfera arroventata. Miles sospirò, invidiando chi se ne occupava.

Ivan strinse sospettosamente le palpebre. — Perché mi hai chiesto se sono solo?

— Voglio che tu tiri fuori un file per me. Storia antica, nulla di attuale — lo rassicurò Miles, e gli diede la sigla.

— Bene. … — Ivan cominciò a batterla sulla sua consolle, poi s'interruppe. — Ehi, ma sei impazzito? Questo file è negli archivi della Sicurezza Imperiale. Non posso farlo!

— Certo che puoi. Tu hai accesso agli archivi, no?

Ivan scosse il capo, immusonito. — Non più. L'accesso agli archivi della Sicurezza è stato ristrutturato. Si possono inviare dati ma non trasmetterli a terzi, salvo che con un filtro a codice e via cavo. E il cavo uno deve attaccarlo di persona dopo aver firmato per ottenerlo. Se io lo richiedessi dovrei spiegare il perché ed esibire l'autorizzazione. Tu hai l'autorizzazione per questo? Ah. Penso proprio di no.

Miles si accigliò, contrariato. — Però sono certo che puoi chiamare l'archivio col sistema interno.

— Sicuro, posso chiamare il file, sicuro. Ma non spedirlo fuori. Tutto quello che posso fare è di collegare il sistema interno alle fonti esterne, per la registrazione di dati in arrivo. Perciò non sei fortunato, ragazzo.

— In quell'ufficio hai una consolle del sistema interno?

— Naturale che ce l'ho.

— Allora — disse Miles, impaziente, — chiama il file, gira la tua scrivania e lascia che i due video si parlino a vicenda.

Ivan si grattò la testa. — E funzionerebbe?

— Provaci! — Miles tamburellò con le dita sulla tastiera, intanto che Ivan girava la sua scrivania e si dava da fare con la messa a fuoco. Il segnale aveva scarsa definizione ma era leggibile. — Sì, penso che vada bene così. Fai scorrere il file per me, vuoi?

Affascinante, e sempre più affascinante. Il file conteneva alcuni rapporti segreti della Sicurezza Imperiale fatti durante un'indagine sulla morte misteriosa di un prigioniero affidato a Metzov, un ribelle komarriano che aveva ammazzato un secondino e poi era stato ucciso mentre tentava di fuggire. Quando la Sicurezza aveva chiesto il corpo del komarriano per l'autopsia, Metzov aveva esibito solo un'urna di ceneri e delle scuse: se soltanto l'avessero informato prima che mandasse il corpo alla cremazione, ecc. ecc. L'ufficiale incaricato dell'indagine aveva sentito puzza di tortura illegale — forse per vendicare la morte della guardia? — ma non aveva potuto sommare abbastanza prove da richiedere la macchina della verità per diversi testimoni barrayarani, fra i quali un certo alfiere-tecnico Ahn. L'investigatore aveva registrato una protesta formale contro la decisione dei suoi superiori di chiudere il caso, e la faccenda era finita lì. Evidentemente. Se esistevano altri particolari oscuri erano solo nella testa di Simon Illyan, un archivio a cui Miles per il momento non intendeva chiedere accesso. Tuttavia la carriera di Metzov s'era fermata lì, all'improvviso e definitivamente.

— Miles — lo interruppe Ivan per la quarta volta, — sul serio, non credo che dovresti farlo. Questa è roba da leggere a occhi chiusi, da dimenticarsi prima di averla saputa.

— Certo. Tuttavia l'obbligo del cavo per la trasmissione istantanea non mi sembra un granché come precauzione. Aggirarla è stato facile, anche se nessun agente nemico se la sentirebbe di stare lì un'ora a far passare un file schermata dopo schermata, col pericolo d'essere sorpreso e fucilato.

— Non parlare di fucilazione! — Ivan spense l'altro schermo con una mano umida di sudore. L'immagine ondeggiò selvaggiamente quando trascinò la scrivania al suo posto, poi ci fu il fruscio dei suoi stivali che cancellavano freneticamente le tracce dalla moquette. — Tu non mi hai chiesto niente e io non ho fatto niente. Chiaro?

— Non essere sciocco. Noi non siamo agenti nemici. — Miles rifletté un momento. — Però… suppongo che qualcuno dovrebbe dire a Illyan che nelle sue misure di sicurezza c'è questo buco.

— Non io!

— Perché no? Presentala come una tua brillante scoperta puramente teorica. Magari ti guadagni un encomio. Non c'è bisogno di raccontare che l'abbiamo messa in pratica. Oppure puoi dire che l'abbiamo fatto per controllare se l'ipotesi funzionava. Eh?

— Tu sei veleno per la mia carriera, ragazzo — disse severamente Ivan. — Non ingombrare più il video del mio telefono. Salvo che a casa. D'accordo?

Miles annuì con un sogghigno e permise al cugino di tornare al suo lavoro. Per un po' rimase seduto davanti ai display collegati ai satelliti, su cui le immagini colorate delle nuvole e dei fronti di pressione si distorcevano lentamente, pensando al comandante della Base e al genere di incidenti che potevano accadere ai prigionieri poco tranquilli.

Be', era successo molto tempo prima. Metzov sarebbe scomparso di scena da lì a cinque anni, con la sostanziosa pensione dei suoi quarant'anni di servizio, dileguandosi fra altre migliaia di vecchi militari pieni solo di vecchi ricordi. Non era tanto un problema da risolvere quanto uno a cui sopravvivere, per quanto riguardava Miles. Il suo scopo ultimo alla Base Lazkowski, si ripeté, era di svanire dalla Base Lazkowski, silenzioso come un refolo di fumo. A suo tempo si sarebbe lasciato alle spalle anche Metzov.

Nelle settimane che seguirono, Miles riuscì a sistemarsi in una routine sopportabile. La sola vera novità fu che arrivarono le reclute. Tutte e cinquemila. Il rango di Miles fece un balzo e si spostò al disopra delle loro teste, ovvero a livello di quasi-umano. La Base Lazkowski fu investita dalla prima neve, mentre i giorni si accorciavano, più un wha-wha di media entità che durò poche ore, eventi che lui previde entrambi con soddisfacente precisione.

Cosa ancor più positiva, fu decisamente scalzato dal rango di Idiota dell'Isola (spiacevole titolo che deteneva dal giorno dell'incidente con la motopulce) ad opera di un gruppo di reclute che una notte diedero fuoco a due alloggiamenti contigui durante un esperimento scientifico: avevano scommesso che le loro ventosità naturali contenevano gas metano infiammabile. Il giorno dopo, alla riunione degli ufficiali dove si discusse dell'inefficienza degli impianti antincendio, il suggerimento di Miles circa la possibilità di disarmare gli eventuali incendiari abolendo lo stufato di fagioli rossi dal menu fu scartato dal generale Metzov con un'occhiata gelida. Anche se in corridoio, uscendo, un capitano del reparto sussistenza si complimentò con lui per il rigore logico con cui aveva aggredito la causa prima dell'incidente.

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