CAPITOLO QUATTORDICESIMO

Tremando ancora Miles sedette su una panca nel cubicolo di vetro solitamente usato per la quarantena nell'infermeria della Triumph, mentre Elena controllava le cinghie con cui Metzov era stato assicurato a una poltroncina. Quella scena gli avrebbe dato uno sgradevole senso d'identificazione col soggetto, se l'interrogatorio a cui si accingevano non fosse stato così gravido di pericolose complicazioni. Elena era di nuovo disarmata. Due uomini con lo storditore al fianco stazionavano fuori dalla porta trasparente a prova di suono, gettando appena qualche occhiata nell'interno. C'era voluta tutta l'eloquenza di Miles per ottenere che a quel primo interrogatorio partecipassero soltanto Elena, Oser e lui stesso.

— Quanto possono essere attuali le informazioni in possesso di quest'uomo? — aveva chiesto Oser, irritato. — Lo hanno praticamente mandato a farsi catturare.

— Abbastanza attuali da doverle considerare con attenzione prima di lasciare che arrivino agli orecchi di troppi — era stata la risposta di Miles. — E avrà la registrazione, se vorrà renderne partecipi i capitani.

Metzov sembrava malridotto, depresso, ma testardamente deciso a ignorare ciò che gli veniva fatto, e le sue labbra erano strette in una linea sottile. L'ufficiale medico gli aveva steccato il polso destro mentre si riprendeva dagli effetti dello storditore. Il suo silenzio era inutile, lui stesso lo sapeva bene, così come sapeva che fino ad allora quel silenzio era stato rispettato con la strana forma di cortesia riservata a chi stava per essere sottoposto al penta-rapido.

Oser si volse a Miles, accigliato. — Lei è esperto in questo tipo di trattamento?

— Finché non mi si chiede di fare un intervento chirurgico sul cervello, sì. Procediamo. Ho motivo di sospettare che il tempo sia una questione vitale.

Oser fece un cenno d'assenso a Elena. La giovane donna raccolse l'ipospray, calibrò la dose, appoggiò l'estremità svasata della siringa al collo di Metzov e premette il pulsante. L'uomo chiuse un attimo gli occhi, con una breve smorfia disperata. Dopo alcuni secondi le sue mani si rilassarono sui braccioli. La muscolatura del volto si ammorbidì bruscamente in un sorriso vacuo, da idiota. Non era una trasformazione piacevole da osservare; col crollo della tensione psicofisica la sua faccia appariva quella di un vecchio, un uomo senile d'un tratto falsamente a suo agio di fronte ad avversari a cui si compiaceva di esibire un sorrisetto sprezzante.

Elena gli controllò le pupille e le pulsazioni. — Va bene. È tutto vostro, signori. — Si fece indietro e appoggiò le spalle alla parete di vetro, incrociando le braccia, con un'espressione chiusa quasi quanto quella che aveva abbandonato il volto di Metzov.

Miles allargò le mani. — Dopo di lei, ammiraglio.

Oser annuì seccamente. — Grazie, ammiraglio. — Si accostò all'uomo legato alla poltroncina e lo scrutò, con aria speculativa. — Generale Metzov… è questo il suo nome, Stanis Metzov?

Lui ebbe un sogghigno contorto. — Sì, quello è il mio.

— Ed è lei il secondo nella linea di comando dei Randall Rangers, attualmente?

— Puoi scommetterci che sono io.

— Chi le ha dato l'ordine di assassinare l'ammiraglio Naismith?

Metzov spalancò gli occhi con ingenuo stupore. — Chi?

— Si riferisca a me col nome di Miles — suggerì lui. — Quest'uomo mi ha conosciuto… sotto pseudonimo. — Le possibilità che il suo «pseudonimo» aveva di restare sconosciuto per tutta la durata dell'interrogatorio erano quelle di una palla di neve che rotolasse verso la bocca di un forno. Ma non c'era modo di evitarlo.

— Chi le ha ordinato di uccidere Miles?

— Cavy, naturalmente. Chi credevi? Il piccolo sgorbio era scappato, capisci? Io sono il solo di cui quella… quella… quella stupida cagna possa fidarsi…

Miles alzò una mano. — In realtà è stata la stessa Cavilo a farmi imbarcare, di notte e in segreto — disse a Oser. — Di conseguenza il generale Metzov è stato ingannato. Ma a quale scopo? Ora è il mio turno, credo, se permette.

Oser allargò un braccio nel gesto di prego-si-accomodi, e fece un passo indietro. Miles si alzò dalla panca per portarsi di fronte a Metzov, nel suo campo visivo. Malgrado l'euforia artificiale del penta-rapido, l'uomo riuscì ad esprimere rabbia; emise un ringhio ostile e mosse le braccia. Poi sogghignò ancora, ferocemente.

Miles decise di cominciare con la domanda su cui si era assillato più invano e a lungo: — Chi… quale obiettivo avete programmato per l'attacco in superficie?

— Vervain — disse Metzov.

Oser sbatté le palpebre, sbalordito. In quella pausa d'incredulo silenzio Miles si sentì il sangue pulsare negli orecchi.

— Vervain è il pianeta che vi ha assoldato! — ansimò Oser.

— Oh, Dio… Dio… finalmente, ora il conto torna! — esclamò Miles. Per l'emozione vacillò, ed Elena si scostò dalla parete per sorreggerlo. — Sì, sì. Ora sì…

— Ma è follia! — commentò Oser. — Dunque è questa la sorpresa di Cavilo?

— Non è ancora tutto, però. Potrei scommetterci. Le forze da sbarco di Cavilo sono più numerose delle nostre, ma neppure lontanamente all'altezza di conquistare un pianeta come Vervain o stabilire una testa di ponte durevole. Al massimo potrebbero imboscarsi e compiere azioni di guerriglia. Oppure un'incursione rapida…

— Incursione rapida — annuì Metzov, con un sorriso soddisfatto.

— Qual è il vostro bersaglio particolare? — chiese Miles, in tono incalzante.

— Banche… musei d'arte… banche genetiche… ostaggi…

— Questa è un'incursione piratesca - disse Oser. — E il bottino? Cosa diavolo pensate di farne?

— Rivenderlo sul Gruppo Jackson, durante la fuga. C'è già chi è disposto a pagarlo bene.

— E come avete programmato di sfuggire alla flotta dei vervani, dopo un'azione così criminosa? — domandò Miles.

— Colpiremo prima che le loro nuove astronavi siano attrezzate. La flotta d'invasione cetagandana le coglierà nei cantieri orbitali. Bersagli seduti. Facile.

Il silenzio, stavolta, fu profondo.

Questa è la sorpresa di Cavilo — mormorò infine Miles. — Già. È proprio degna di lei.

— I cetagandani… invasione? — Oser si grattò la mandibola, mentre lo sguardo vagava sulla parete.

— Il conto torna. Oh, Dio, se torna. — Miles andò avanti e indietro nel cubicolo, a passi incerti. — Qual è il solo modo per conquistare un corridoio di transito? Dai due lati contemporaneamente. I veri datori di lavoro di Cavilo non sono i vervani… ma i cetagandani. - Si volse di scatto e puntò un dito verso il generale, che continuava ad annuire stupidamente con bovina soddisfazione. — E ora vedo il ruolo di Metzov, chiaro come la luce del sole.

— Pirata — disse Oser, sprezzante.

— No: capro espiatorio.

— Cosa?

— Quest'uomo, come lei presumo non sappia, è stato scacciato dal Servizio Imperiale Barrayarano per condotta brutale.

Oser sbatté le palpebre. — Dal Servizio Imperiale Barrayarano? Avrei detto che dessero una medaglia per cose simili. Deve aver fatto qualcosa di veramente brutale.

Miles soppresse un impulso di rabbia. — Be', sì. Diciamo che, uh… ha scelto la vittima sbagliata. Comunque sia, non vede come stanno le cose? La flotta d'invasione cetagandana balza nello spazio locale dopo il segnale di Cavilo. Questo immediatamente dopo il sanguinoso raid dei Randall Rangers, che incamerano l'oro e i tesori d'arte di Vervain. Per pura bontà d'animo i cetagandani s'incaricano quindi di «salvare» il pianeta così vigliaccamente ferito dai mercenari traditori. I Rangers fuggono verso il Gruppo Jackson lasciando qui Metzov a fungere da capro espiatorio, come gettandolo dalla troika ai lupi… — oops, quella non era una tipica metafora betana, — in modo che i cetagandani possano fucilarlo pubblicamente e dimostrare la buona fede del loro intervento con una scusa di questo genere: "Guardate ciò che un diabolico generale barrayarano vi ha fatto. Sapevamo bene che avevate bisogno della nostra amichevole protezione contro la minaccia dell'Impero di Barrayar, e perciò eccoci qua".

«E Cavilo riscuote la sua paga tre volte: una dai vervani, una dai cetagandani, e una dal Gruppo Jackson a cui può smerciare il bottino mentre abbandona questa zona di spazio. Un buon profitto per tutti… salvo che per i vervani, ovviamente. — Miles tacque, per riprendere fiato.

Oser cominciava a sembrare persuaso. E preoccupato. — Lei pensa che i cetagandani intendano spingersi qui nel Mozzo? O che si fermeranno a Vervain?

— Perché dovrebbero fare le cose a metà? Il vero bersaglio strategico è il Mozzo Hegen. Vervain è solo la porta d'ingresso. E la scusa dei «mercenari pirati» è ottima, in quanto consente ai cetagandani di spendere pochissima energia per imporsi alla sconvolta opinione pubblica di Vervain. Probabilmente dichiareranno il pianeta un «protettorato» e non lo toccheranno neppure, limitandosi a prendere sotto controllo le rotte commerciali per poi assorbirlo economicamente nel tempo di una generazione. La domanda è: i cetagandani si fermeranno a Pol? Cercheranno di coinvolgere Pol nella manovra, oppure lo lasceranno come stato-cuscinetto fra loro e Barrayar? Conquista o avvolgimento? Se potessero indurre Barrayar a reagire attaccando attraverso lo spazio di Pol senza permesso, ciò porterebbe Pol nella sfera degli alleati cetagandani… mmh! — Riprese a camminare avanti e indietro.

Oser aveva l'aria di chi si è accorto che gli hanno servito in tavola la ciotola del cane. Con i vermi dentro. — Io non sono stato assunto da Aslund per affrontare l'Impero Cetagandano. Mi aspettavo al massimo di dover contrastare i mercenari di Vervain, qualora la situazione fosse peggiorata. Se i cetagandani arriveranno qui nel Mozzo, saremo… in trappola. Con i corridoi di transito chiusi e un vicolo cieco alle nostre spalle. — Scosse il capo e mormorò fra sé: — Forse dovremo considerare l'idea di andarcene finché c'è la possibilità…

— Ma, ammiraglio Oser, lei non ha ancora capito tutto. Costui… — Miles indicò Metzov. — Cavilo non si sarebbe mai sbarazzata di lui se questo fosse ancora un piano effettivo. Può aver contato che si facesse ammazzare nel tentativo di assassinarmi, però c'era sempre la possibilità che lo catturassimo vivo… e che il risultato fosse proprio l'interrogatorio a cui lo stiamo sottoponendo. Quello che lui ha in testa è il vecchio piano. Dev'esserci ormai un piano diverso, forse completamente nuovo. — E io penso di sapere quale sia. - C'è oggi… un altro fattore. Una nuova X nell'equazione. — Già. Gregor. - A meno che io non mi sbagli di grosso, l'accordo con i cetagandani è ormai piuttosto imbarazzante per Cavilo.

— Ammiraglio Naismith, io posso credere che Cavilo farebbe il doppio gioco con chiunque lei voglia nominare… ma non ai danni dei cetagandani. Anche se questo costasse loro una generazione, alla fine si vendicherebbero. Non potrebbe scappare abbastanza lontano. Difficilmente vivrebbe abbastanza da spendere i suoi guadagni. Fra l'altro, quale profitto potrebbe mai invogliarla a rinunciare a una tripla paga?

Se si aspetta che a difendere il suo profitto sia l'Impero di Barrayar, con tutte le risorse della Sicurezza Imperiale… - Una via di fuga sicura l'avrebbe, ammiraglio, io posso vederla — disse Miles. — Se la cosa funzionerà come ha progettato, Cavilo potrà avere tutta la protezione che vuole. E godersi i suoi profitti.

Avrebbe potuto funzionare, era una possibilità reale. Se Gregor s'era lasciato incantare dal suo fascino. E se due imbarazzanti testimoni ostili, Miles e il generale Metzov, avessero avuto il buongusto di ammazzarsi a vicenda. Cavilo poteva abbandonare la sua flotta prima dell'invasione cetagandana, non senza aver orchestrato una fuga drammatica per far rifulgere il suo sprezzo del pericolo, offrendosi così a Barrayar come l'eroica salvatrice dell'Imperatore. Se poi un Gregor innamorato e orgoglioso avesse presentato la bella mercenaria nelle vesti di sua fidanzata, futura madre di forti e arditi combattenti, l'aspetto romantico deila vicenda avrebbe ottenuto dall'opinione pubblica un supporto tale da sovrastare il giudizio più ponderato dei consiglieri. Saprebbe davvero manovrarsi la cosa. L'Imperatrice Cavilo, di Barrayar. Avrebbe successo. E avrebbe coronato la sua carriera dopo aver tradito tutti quanti, amici e nemici…

— Miles, hai l'aria di sentirti male — disse Elena, preoccupata.

— Quando? — domandò Oser. — Quando ci sarà l'invasione dei cetagandani? — L'uomo costrinse Metzov a focalizzare i residui della sua vaga attenzione e gli ripeté la domanda.

— Oh, solo Cavy lo sa — mormorò lui. — Cavy sa tutto.

— Dev'essere imminente — disse Miles. — Potrebbe essere sul punto di cominciare. A giudicare da quanto ha atteso prima di rimandarmi qui, sicuramente calcola che già ora i Den… che la nostra flotta sia paralizzata dalle discordie intestine.

— Se questo è vero — disse Oser, — cosa conviene fare?

— Siamo alquanto lontani. Un giorno e mezzo di viaggio dal teatro dell'azione. Che avverrà intorno alla Stazione Vervain e più oltre, nel corridoio di transito e nello spazio locale di quel pianeta. Di conseguenza dobbiamo avvicinarci. Bisogna spostare la Flotta attraverso il sistema e fermare Cavilo, prima che i cetagandani mettano il loro blocco. Lei…

— Cosa? Io non organizzerò proprio nessun attacco contro l'Impero Cetagandano! — lo interruppe Oser.

— Ma deve farlo. Se li troverà di fronte, presto o tardi. Scelga il momento lei, dunque, prima che lo facciano loro. L'unica possibilità di fermarli è all'estremità del corridoio di transito. Se potessero uscirne, questo sarebbe impossibile.

— Se io allontanassi la Flotta da Aslund, i vervani penserebbero che li sto attaccando.

— E mobiliterebbero le loro forze. Sicuro. Ma… nella direzione sbagliata. Questo non andrebbe bene. Finiremmo per fare l'interesse di Cavilo. Dannazione! Senza dubbio un altro passo della sua famosa strategia ramificata.

— Supponiamo… se i cetagandani sono ora d'imbarazzo per Cavilo, come mi stava dicendo… lei non manderà loro nessun segnale.

— Oh, Cavilo ha ancora bisogno di loro. Ma per uno scopo diverso. Le servono come minaccia da cui fuggire. E come arma che eliminerà i testimoni indesiderati. Ma non le interessa che ottengano il loro obiettivo militare. In effetti le calza meglio la possibilità che l'invasione cetagandana fallisca. Questo se sta già pensando a lunga scadenza, secondo il suo nuovo piano.

Oser scosse la testa come per schiarirsela. — Perché?

— La nostra sola speranza, e la sola speranza di Aslund, sta nel catturare Cavilo, combattendo poi i cetagandani da un punto di forza come lo sbocco del corridoio alla Stazione Vervain. No, aspetti… dobbiamo tenere entrambe le estremità del balzo Vervain-Mozzo. Finché arriveranno i rinforzi.

— Quali rinforzi?

— Aslund, Pol… dopo che i cetagandani si saranno materializzati in forze, anche loro vedranno la minaccia. E se Pol interviene come avversario dei cetagandani, Barrayar potrà accodarsi mandando le sue astronavi da battaglia attraverso lo spazio di Pol. I cetagandani saranno fermati, se tutto procede nell'ordine giusto. — E sarebbe stato possibile salvare Gregor? Non una sola strada per la vittoria, ma tutte le strade…

— Lei dice che i barrayarani interverranno?

— Oh, credo di sì. Il suo servizio di controspionaggio potrà certo confermarlo… non ha forse notato un incremento dell'attività spionistica di Barrayar nel Mozzo, da qualche giorno?

— Ora che ci penso, sì. Ultimamente le loro trasmissioni in codice sono quadruplicate.

Grazie a Dio. Forse la situazione era migliore di quanto lui avesse osato sperare. — Avete decifrato qualcuno di questi messaggi? — domandò in tono indifferente, già che c'era.

— Solo il meno interessante, sembra, finora.

— Ah, bene. Voglio dire, peccato.

A braccia conserte Oser si mordicchiò le labbra, rimuginando i suoi pensieri intensamente per un paio di minuti. La sua espressione ricordò spiacevolmente a Miles quella che aveva prima di ordinare ai suoi uomini di gettarlo nello spazio, meno di una settimana addietro.

— No — disse l'uomo alla fine. — La ringrazio per le informazioni. Mi sdebiterò risparmiandole la vita. Ma noi ce ne terremo fuori. Non è una battaglia che si possa vincere. Soltanto le forze militari di un pianeta, ben imbottite di propaganda e con tutte le risorse che potrebbero avere, sarebbero disposte a un autosacrificio così poco produttivo. La mia Flotta è strutturata per essere un sottile strumento tattico, non una cieca barricata coperta di cadaveri. Io non sono, per usare le sue parole, un capro espiatorio.

— Non un capro espiatorio, ma la punta di lancia delle forze difensive.

— La sua «punta di lancia» non avrebbe dietro di sé nessuna lancia. Niente da fare.

— È la sua ultima parola, signore? — chiese Miles, con voce sottile.

— Sì. — Oser accese il comunicatore da polso per chiamare gli uomini all'esterno. — Caporale, queste tre persone vanno scortate al reparto detenzione. Chiami il capoguardia per notificarlo.

Il mercenario al di là del vetro salutò militarmente. Oser spense il comunicatore.

— Ma signore… — Elena si avvicinò, alzando una mano in un gesto supplichevole. Con velocità serpentina tolse l'altra da dietro la schiena, premette sul collo di Oser la canna dell'ipospray e gli sparò il contenuto del serbatoio attraverso la pelle. L'uomo sbarrò gli occhi, fece un passo di lato e il suo volto si contrasse per la rabbia. Sollevò il braccio destro per sferrarle un pugno. Il colpo si fermò a mezz'aria.

Le guardie all'esterno del cubicolo avevano voltato la testa di scatto, allarmate dall'improvviso movimento di Oser. Elena afferrò la mano dell'ammiraglio e gliela baciò, con un sorriso di commossa gratitudine. I due mercenari si rilassarono; uno di loro diede di gomito all'altro e si scambiarono qualche parola, con aria fra divertita e disgustata. Miles era troppo teso per cercare di leggere sulle loro labbra se erano davvero convinti che l'ammiraglio si fosse lasciato impietosire.

Oser vacillò ed emise alcuni grugniti, lottando contro l'effetto della droga. Senza lasciargli la mano Elena lo fece girare, in modo che voltasse la schiena verso la porta; poi gli incastrò una spalla sotto l'ascella, passandogli un braccio intorno alla cintura. Il tipico sorrisetto idiota del penta-rapido aleggiò sulle labbra di Oser, si dissolse un paio di volte ma infine riapparve e si fissò stabilmente.

— Ha agito come se io fossi disarmata. — Elena scosse il capo, con rabbia, e si ficcò l'ipospray in una tasca della blusa.

— E ora? — sussurrò freneticamente Miles, mentre il caporale batteva la combinazione sulla serratura della porta.

— Finiremo tutti in cella, credo. A far compagnia a Tung — disse Elena.

— Ah. Be'… — Male che vada, non può andare peggio di così. Doveva provarci. Miles sorrise cordialmente all'ingresso dei due mercenari e li aiutò a slegare Metzov, tenendosi fra loro e Oser nel tentativo di nascondere l'espressione insolitamente giuliva che avrebbero potuto vedere sulla faccia dell'ammiraglio. Approfittando di un attimo in cui i due non guardavano diede una spallata a Metzov, facendolo barcollare.

— Ehi, meglio che lo sosteniate per le braccia. Sembra che l'uomo non si regga in piedi — disse. Neanche lui era troppo sicuro sulle gambe, ma si fece premura di tenere aperta la porta intanto che i mercenari uscivano, tenendo Metzov fra loro. Li seguì subito, tallonato a sua volta da Elena che si stringeva al fianco di Oser come una gatta in calore. — Sì, tesoro. Come vuoi tu. Tutto quello che vuoi — la sentì dire, con voce appassionatamente calcolata per gli orecchi di chi doveva sentire e dedurre.

Quella breve passeggiata fu una delle più lunghe che Miles avesse mai fatto. A un certo punto restò indietro e sussurrò a Elena: — Non possiamo scendere con Oser nel reparto detenzione. Hai qualche idea?

Lei si morse le labbra. — Quello che vorrei avere non è un'idea, ma una pistola.

— Temevo che avresti detto questo. Allora volta a destra. — Senza cambiare il passo girarono l'angolo del corridoio.

Uno dei mercenari si voltò a guardare. — Signore?

— Voi proseguite, ragazzi — esclamò Miles. — Quando l'uomo sarà in cella, datecene conferma nell'alloggio dell'ammiraglio.

— Va bene, signore.

— Continua a camminare — ansimò Miles in un orecchio di Oser. — Continua a sorridere. Ti piacerebbe uccidermi? — L'ammiraglio annuì con entusiasmo.

I passi dei due che portavano via Metzov si allontanarono. — Dove andiamo, adesso? — chiese Elena. Oser inciampò. — Si sta indebolendo sempre più. È una situazione insostenibile.

— C'è un solo posto: la cabina dell'ammiraglio — decise Miles. Il sorriso che gli deformava la faccia era una smorfia dolorosa, ma la sfacciata audacia con cui Elena s'era ammutinata gli aveva dato una carica d'energia nervosa. Quello era il loro momento, se lo sentiva stampato in ogni cellula del corpo, e sarebbe andato avanti finché non lo avessero fermato a colpi di fucile. La sua mente s'era sgonfiata dell'insopportabile circolo chiuso dei forse-può darsi-se/forse-può darsi-se inchiodati dall'incertezza. Il momento è ora. La parola è: avanti.

Se. Forse.

Oltrepassarono alcuni tecnici e mercenari, uomini e donne. Oser stava continuando ad annuire la sua risposta all'ultima domanda. Miles si augurò che passasse per una risposta informale ai loro saluti. Nessuno si voltò a gridare «Ehi voi!», comunque. Due piani più in alto, un'ultima svolta li portò nel mai dimenticato corridoio degli alloggi-ufficiali. Oltrepassarono la cabina del comandante della Triumph (Dio, avrebbe dovuto trattare con Auson, fin troppo presto) e poi il palmo della mano di Oser, premuto sulla piastra della serratura, diede loro ingresso nei locali che l'ammiraglio aveva trasformato nel suo ufficio e alloggio. Quando la porta si chiuse alle sue spalle Miles si rese conto che nell'ultima parte del percorso aveva trattenuto il respiro.

— Ora ci siamo fino al collo — disse Elena, appoggiandosi sfinita al primo mobile che si trovò davanti. — Pensi di lasciarci a bollire nel nostro brodo, come prima?

— Non stavolta — la rassicurò lui, trucemente. — Forse hai notato un particolare di cui ho evitato di parlare, giù in infermeria.

— Gregor.

— Proprio così. In questo momento Cavilo lo tiene in ostaggio a bordo della sua nave ammiraglia.

Elena ebbe un moto di sconforto. — Ha intenzione di venderlo ai cetagandani per una grossa cifra, immagino. È così?

— No. Il suo piano è molto più allucinante e spaventoso, credimi. Vuole sposarlo.

Elena spalancò gli occhi, sbalordita. — Cosa? Miles, non è possibile che una follia così inverosimile le sia passata per la testa. A meno che… a meno che…

— A meno che Gregor non abbia piantato il seme di quest'idea in lei. Cosa che credo abbia fatto. Fertilizzandolo e annaffiandolo, anche. Quello che non so è se facesse sul serio oppure solo per sfizio. Lei ci ha tenuti accuratamente separati. Tu conosci Gregor forse meglio di me, sotto certi aspetti. Che ne pensi?

— Mi è difficile immaginare Gregor infatuato d'amore fino all'idiozia. È sempre stato… uh, piuttosto moderato. Quasi privo di… be', forti impulsi sessuali. A paragone, che so, di un tipo come Ivan.

— Non sono certo che Ivan sia un paragone valido.

— No, hai ragione. Diciamo che Gregor non è molto diverso da te, per intenderci.

Miles si chiese come interpretare quella diagnosi. — Gregor non ha mai avuto molte opportunità, quando eravamo più giovani. Voglio dire, nessuna intimità. La Sicurezza sempre incollata alla schiena. Questo può… inibire un uomo, a meno che non sia un tantino esibizionista.

Lo sguardo di lei parve riconsiderare eventi passati. — Gregor non ha mai avuto questa tendenza.

— Senza dubbio Cavilo sta mettendo ogni impegno nel presentargli il suo lato più attraente.

Elena si mordicchiò pensosamente un labbro. — Ed è attraente?

— Sì. Se a qualcuno piacesse una bionda con l'hobby dell'intrigo e le attitudini sentimentali di un maniaco omicida, suppongo che impazzirebbe per lei. — La sua mano destra si contrasse, come se la carezza con cui aveva sfiorato i capelli di Cavilo gli fremesse ancora nella carne.

Il volto di Elena parve rasserenarsi un po'. — Ah. Allora non ti piace.

Miles guardò la bruna valchiria da sotto in su. — È troppo piccola per i miei gusti.

Lei sogghignò. — Non so perché, ma ti credo. — Condusse Oser, che vacillava, al tavolo più vicino e lo scaricò su una sedia. — Meglio legarlo, prima che si riprenda.

L'intercom emise un ronzio. Miles andò alla consolle che occupava un'intera parete della stanza e premette un pulsante. — Sì? — rispose, nel suo tono più calmo.

— Qui caporale Meddis, signore. Abbiamo messo il sicario vervano nella Cella Nove.

— Grazie, caporale. Ah… — Valeva la pena fare un tentativo. — Abbiamo ancora un ipospray carico di penta-rapido. Le spiace portare su il capitano Tung per un interrogatorio? — Alla sua destra, fuori dal raggio della telecamera, Elena trattenne speranzosamente il fiato.

— Tung, signore? — La voce del mercenario era incerta. — Uh, posso prendere altri due uomini di rinforzo, allora?

— Sicuro… guardi se in giro c'è il sergente Chodak, e gli chieda se ha qualcun altro di corvé con lui. Se non sbaglio è stato assegnato a turni di lavoro extra, no? — Con la coda dell'occhio vide Elena unire il pollice e l'indice nel vecchio segno di OK.

— Credo di sì, signore.

— Bene, proceda pure. Chiudo. — Spense l'intercom e lo guardò con vago stupore, come se si fosse trasformato nella Lampada di Aladino. — Se il destino ha messo da parte per dopodomani i guai da cui mi ha salvato oggi, quella sarà una giornata memorabile.

— Tu credi?

— Oh, sì. Avrò un'occasione molto più pubblica e molto più spettacolare per lasciarci la pelle. E potrei portare con me qualche migliaio di persone.

— Cerca di non librarti nei tuoi soliti sciocchi voli di fantasia, ora. Non ne hai il tempo. — Elena tolse di tasca l'ipospray e controllò la carica del serbatoio. — Devi pensare a come toglierci da questo guaio.

— Sissignora — annuì docilmente lui, sfregandosi le mani. Cosa ne è stato del «Sì, mio Lord» e del «Sì, ammiraglio?» Nessun rispetto… Ma ne fu stranamente confortato. — A proposito, quando Oser ha arrestato Tung per aver organizzato la mia fuga, perché non se l'è presa anche con te, Arde, Chodak e gli altri?

— Non è stato per questo che ha messo Tung agli arresti. O almeno, non credo. Stava maltrattando Tung a parole, come al solito, ma stavolta mentre erano entrambi in plancia e davanti a tutti. A un certo punto Tung ha perso le staffe e lo ha colpito, mandandolo a rotolare sul ponte. Ho sentito dire che ci sono voluti quattro uomini per staccare le sue mani dalla gola di Oser.

— Allora la cosa non aveva niente a che fare con noi? — Questo era un sollievo.

— Be'… non ne sono sicura. Io non c'ero. Può esser stata una diversione d'emergenza, per impedire a Oser di completare qualche pericolosa deduzione. — Elena accennò col capo all'ammiraglio, che seguitava a sorridere blandamente. — Che ne facciamo di lui?

— Lo lasciamo così com'è, finché Tung non sarà qui. Sembra felice di andare tanto d'accordo con noi, no? — Miles sorrise. — Ma per l'amor di Dio, facciamo che non debba parlare con nessuno.

— Signore? Sono il caporale Meddis — disse l'intercom della porta. Elena si spostò dietro la sedia di Oser e gli poggiò una mano su una spalla, cercando di apparire docile al cospetto della sua autorità. Miles andò alla porta e aprì la serratura. Il battente scivolò di lato.

Sei mercenari accigliati e nervosi circondavano un Ky Tung che sprizzava ostilità da tutti i pori. L'eurasiatico indossava il pigiama giallo da carcerato, aveva i capelli scompigliati e la barba lunga. Nel suo sguardo rovente apparve un'ombra di perplessità quando vide Miles.

— Benissimo. Grazie, caporale — disse Miles. — Al termine dell'interrogatorio terremo una piccola riunione. Vorrei che lei e la sua squadra rimaneste di guardia qui fuori. E nel caso che il capitano Tung diventasse violento, la prudenza esige che… mmh, sergente Chodak, lei e un paio dei suoi uomini all'interno, per favore. — Ed enfatizzò la parola «suoi» senza cambiare tono, soltanto con un'occhiata.

Chodak non fraintese. — Sissignore. Tu, soldato, vieni con me.

Ti sei guadagnato i gradi da ufficiale, amico, pensò Miles, scostandosi, mentre il sergente e l'uomo da lui scelto portavano dentro Tung. Oser e la sua faccia serena furono chiaramente visibili al resto della squadra prima che la porta si chiudesse di nuovo.

Oser era chiaramente visibile anche a Tung. L'uomo si scrollò di dosso le mani degli altri due e andò di fronte all'ammiraglio. — E allora, bastardo figlio di puttana, cosa stai cercando di… — Tacque, stupito dal sorriso con cui Oser accoglieva le sue parole. — Che diavolo ha quest'uomo?

— Niente. — Elena si strinse nelle spalle. — Penso che quella dose di penta-rapido abbia anzi giovato alla sua personalità. Peccato che sia una cosa provvisoria.

Tung gettò indietro la testa e abbaiò una risata aspra. Poi si girò e afferrò energicamente Miles per le spalle. — Ce l'hai fatta, tu, piccolo… sei tornato, eh? Ora siamo di nuovo in affari!

L'uomo di Chodak fece un passo avanti, come se non sapesse se doveva o non doveva fermare qualcuno. Il sergente lo prese per un braccio, scosse il capo in silenzio e gli indicò la porta.

Poi estrasse lo storditore e andò ad appoggiarsi con le spalle al muro, a lato del battente. Dopo un attimo di perplessità il collega lo imitò, appostandosi dall'altra parte. — Ogni tanto bisogna farsi due risate con gli amici — gli mormorò Chodak con un sogghigno. — Fa bene allo spirito.

— Non è che io sia esattamente un volontario — disse Miles fra i denti. Doveva tenerli stretti per non mordersi la lingua, perché l'eurasiatico lo stava scrollando con entusiasmo esplosivo. — E non siamo neppure in affari, temo. — Spiacente, Ky, ma non posso essere il tuo uomo. Dovrai essere tu a seguire me. Mantenne un'espressione distaccata e si staccò di dosso le mani di Tung con deliberata freddezza. — Il capitano di quel mercantile vervano mi ha consegnato direttamente nelle mani di Cavilo. E ho dovuto chiedermi fino a che punto quello sia stato un incidente.

— Ah. — Tung fece un passo indietro, come se lui lo avesse colpito allo stomaco.

Miles si sentiva come se lo avesse fatto. No, Tung non era un traditore. Ma lui non osava rinunciare alla sola carta che poteva giocare come scusa. — Tradimento o errore, Ky? — E hai smesso di picchiare tua moglie?

— Un errore — mormorò Tung, scuro in faccia. — Dannazione a quel doppiogiochista. Lo ammazzerò io stesso.

— È già stato fatto — disse freddamente Miles. Tung sollevò le sopracciglia, con aria fra sorpresa e rispettosa.

— Io sono venuto al Mozzo Hegen per contratto — continuò Miles. — Un contratto che ormai è praticamente andato in pezzi a causa dei troppi imprevisti. Non sono venuto qui per rimetterti al comando operativo dei Dendarii… — un colpo, per Tung, che faticò a controllare la sua espressione, — a meno che tu non sia disposto a servire i miei scopi. Le priorità e gli obiettivi strategici spetteranno a me. A te, solo la scelta tattica. — E chi avrebbe messo chi al comando dei Dendarii? Miles sperò d'essere il solo a farsi quella domanda.

— Come mio alleato… — cominciò Tung

— Non tuo alleato. Tuo comandante. O niente — disse lui.

Tung restò immobile di fronte a lui, pesante e massiccio, mentre il suo sguardo tornava quello freddo e scrutatore di sempre. Infine disse, pacatamente: — Il piccolo allievo del maestro Ky è cresciuto, sembra.

— Questa non è che la metà della cosa. Ci stai o no?

— Sono curioso di sentire anche l'altra metà. — Tung si mordicchiò un angolo della bocca. — Ci sto.

Miles gli porse la mano. — Affare fatto.

Tung la afferrò. — Fatto. — La sua stretta fu decisa.

Miles lasciò uscire un lungo respiro. — Va bene. L'ultima volta vi ho detto metà della verità; la situazione è più complessa. — Si ficcò le mani in tasca per nascondere il tremito, non del tutto dovuto ai postumi del distruttore neuronico. — Io ho un contratto con un governo interessato, ma non per una valutazione politico-militare. Quella era una cortina fumogena che dovevo imbastire per Oser. Ciò che vi ho detto sulla possibilità di prevenire una guerra interplanetaria, invece, non è fumo. Io sono stato assoldato dai barrayarani.

— Quelli non assumono mercenari, di solito — disse Tung.

— Io non sono un mercenario dei soliti. A pagarmi è la Sicurezza Imperiale di Barrayar. — Dio, almeno una vera-verità. — La missione che mi è stata affidata è di rintracciare e recuperare un ostaggio. In via collaterale ho la speranza di bloccare un'invasione ormai imminente, quella della flotta cetagandana che intende impadronirsi del Mozzo. La nostra seconda priorità strategica sarà dunque di tenere le due estremità del corridoio di transito di Vervain, e fare ciò che potremo finché non arriveranno i rinforzi da Barrayar.

Tung si schiarì la gola. — Seconda priorità? E se non arrivassero? Hanno lo spazio di Pol da attraversare… e, ah, il recupero di un ostaggio, normalmente, non dovrebbe avere la precedenza sulla strategia operativa riguardante una flotta di invasione.

— Data l'identità di questo ostaggio, posso garantirti che loro interverranno. L'Imperatore di Barrayar, Gregor Vorbarra, è stato rapito. Io l'avevo trovato, poi l'ho perduto, e ora devo recuperarlo. Come potete immaginare, mi aspetto che il premio per la sua salvezza sia piuttosto sostanzioso.

La faccia di Tung passò dallo sbalordimento all'illuminazione. — Quel giovanottello magro e malconcio che stava con te… non mi dirai che quello era lui?

— Sì, proprio lui. E, detto fra noi, finora non ha molte ragioni per esserci grato: tu ed io l'abbiamo fatto finire dritto nelle mani della comandante Cavilo.

— Oh, merda! — Tung si grattò la testa calva. — Quella non ci pensa due volte a venderlo ai cetagandani.

— No. Cavilo ha in programma di riscuotere un lauto premio da Barrayar.

Tung aprì la bocca, la richiuse, alzò un dito. — Aspetta un momento…

— Sì, è complicato - concesse Miles con un sospiro. — Per questo intendo delegare la parte più semplice, cioè tenere il corridoio di transito, a te. Del recupero dell'ostaggio me ne occuperò io.

— Semplice, sì. I Mercenari Dendarii sono cinquemila. E dall'altra parte la flotta dell'Impero Cetagandano. Hai dimenticato la nobile arte del conteggio aritmetico, in questi quattro anni?

— Pensa alla gloria. Pensa a come brillerà il tuo nome. Pensa ai premi d'ingaggio che potrai chiedere in futuro.

— Il mio nome non brillerà neppure sul marmo di una lapide. Nessuno riuscirà mai a radunare i miei atomi polverizzati per seppellirli. Tu sei in grado di pagarmi un funerale come si deve, ragazzo?

— Di lusso. Con stendardi colorati e splendide ballerine discinte, e abbastanza birra da far galleggiare la tua bara fin nel Valhalla.

Tung sospirò. — Facciamo vino d'annata, per la bara. E fra le ballerine ci voglio almeno una rossa autentica, con gli occhi verdi. Be'… — Per un poco restò in silenzio, massaggiandosi la mandibola con una mano. — Il primo passo è di mettere la Flotta in stato di pre-allarme a un'ora, invece che a ventiquattro ore.

— Non è già così? — Miles si accigliò.

— Siamo sulla difensiva. Calcolavamo di avere almeno trentasei ore per prepararci a reagire a qualunque cosa arrivasse attraverso il Mozzo. O meglio, così calcolava Oser. Ci vorranno almeno sei ore per passare al preallarme di un'ora.

— Va bene, ma questo sarà il secondo passo. Il tuo primo compito è di dare un dolce bacetto sulla fronte del capitano Auson.

Questo gli do sulla fronte! — gridò Tung agitando un pugno. — Non ti ho forse detto che quell'idiota…

— C'è bisogno di lui al comando della Triumph, mentre tu dirigi la tattica della Flotta. Non puoi fare due cose. E io non posso certo riorganizzare i quadri di comando a così breve distanza dall'azione. Se avessi una settimana… ma non ce l'ho. La gente di Oser dev'essere persuasa a mantenere il suo posto. E se avrò Auson — Miles unì le mani e le strinse, — potrò avere anche il resto. In un modo o nell'altro.

Tung grugnì un assenso, di malavoglia. — D'accordo. — Poi sul suo volto comparve un lento sogghigno, come una crepa nel granito. — Ma darò la paga di un mese se tu persuaderai lui a baciare Thorne.

— Un miracolo alla volta.


Il capitano Auson, che già quattro anni prima era un uomo corpulento, sembrava aver messo su un altro po' di peso ma per il resto non era cambiato. Entrò nell'alloggio di Oser, s'accorse che su di lui erano puntati due storditori e si fermò, mentre la sua espressione si faceva tempestosa. Quando però vide Miles, seduto sulla consolle della strumentazione (una mossa psicologica per avere la testa al livello di quella degli altri; su una sedia Miles temeva sempre di sembrare un bambino che avesse bisogno di un rialzo per sedersi alla tavola dei grandi), la sua rabbia lasciò il posto a uno sguardo inorridito. — Oh, Cristo! Non è possibile!

— Lo è, lo è — gli confermò Miles. I due mercenari armati di storditori, Chodak e l'altro uomo, si scambiarono un sogghigno ferino. — In effetti, stiamo per entrare in azione.

— Lei non può permettere che questo… — cominciò Auson, rivolto a Oser. S'interruppe. — Cosa avete fatto all'ammiraglio?

— Diciamo che il suo atteggiamento è stato ammorbidito. In quanto alla Flotta, è già mia. — Be', ci stava lavorando, comunque. — La domanda è: lei desidera stare dal lato vincente? Intascare un buon extra a cose fatte? Oppure dovrò dare il comando della Triumph al suo pari grado…

Auson si volse a guardare Tung e fece una smorfia.

— … capitano Bel Thorne?

— Cosa? — trasalì Auson. — Lei non può, e dico non può…

Miles lo interruppe, secco: — Ha già dimenticato come lei stesso è stato trasferito dalla Ariel al comando della Triumph?

Auson accennò verso Tung. — E lui?

— Nel contratto che ho firmato può essere inserita una clausola con cui la Triumph, come proprietà del commodoro Tung assegnata alla Flotta, sia considerata parte contraente. Con la stessa clausola Tung rinuncerà ai diritti finanziari sull'attività della nave. Io confermerò a Tung l'incarico di Capo dello Staff/Direttore Tattico, e a lei quello di comandante della nave ammiraglia Triumph. La sua paga, poiché è stata contrattata allorché lei aveva il comando della Ariel, sarà confermata finché continuerà a prestare servizio nella Flotta, di cui faranno parte entrambe le navi.

— Lei è d'accordo con tutto questo? — chiese Auson a Tung.

Miles guardò con fermezza l'eurasiatico, che non sembrava affatto convinto di quella soluzione. — Mmh, sì — borbottò infine Tung.

Il cipiglio di Auson si approfondì. — Non è soltanto la parte economica che… — Scosse il capo, incerto. — E le gratifiche per l'eventuale partecipazione attiva al combattimento? E le polizze d'assicurazione? Non sono certo che questo mi piaccia.

Chi disprezza, compra. - Desidera partecipare, o no?

Auson assunse un'espressione dura. — Accetto… se lui si scuserà pubblicamente con me.

— Cosa? Questo voltagabbana pensa che io…

— Sii cortese, Tung. Fai le tue scuse al comandante Auson — disse dolcemente Miles, — e chiudiamo questa faccenda. O mi costringerai a mettere al comando della Triumph un capitano che ancora non conosce la nave… e che tuttavia, fra le altre sue doti, ha quella assai apprezzabile di non discutere le mie istruzioni.

— Ovvio che non discute. Quel piccolo invertito betano si è preso una cotta per lei — sbottò Auson. — Sicuramente è già venuto a strusciarsi ai suoi pantaloni come una gatta in calore, ruffiano o innamorato che sia…

Miles sorrise e alzò una mano. — Calma, calma — disse a Elena, che aveva rinfoderato il suo storditore per passare a un distruttore neuronico. Puntato alla testa di Auson.

Il sorriso della giovane donna gli ricordava uno di quelli del sergente Bothari. O, peggio, un'espressione di Cavilo. — Non le ho mai detto, Auson, che il suono della sua voce mi dà molto fastidio? — ringhiò Elena.

— Lei non oserà sparare — disse l'uomo.

— Io non glielo impedirei — mentì Miles. — Dopotutto ho bisogno della sua nave. La soluzione più conveniente, anche se non l'unica, è che lei la comandi per me. Comunque, signori, il tempo stringe. — Il suo sguardo saettò sul nuovo Capo dello Staff/Direttore Tattico, incalzante come la lama di un coltello. — Tung?

Di malavoglia l'eurasiatico prese a scusarsi, iniziando col dare atto ad Auson delle sue doti personali: carattere, intelligenza, antenati da cui discendeva e aspetto fisico… finché il volto dell'altro si fece così scuro e minaccioso che Miles azzitti Tung a metà dell'elenco e gli impose di ricominciare daccapo. — E sii breve, per favore.

Tung fece un sospiro. — Auson, qualche volta lei è solo un piccolo egoista immorale, ma dannazione, in combattimento sa farsi valere. L'ho visto coi miei occhi. Nelle situazioni tattiche più schifose, ripugnanti e sventurate preferirei avere al fianco lei piuttosto che ogni altro capitano della Flotta.

Un angolo della bocca di Auson si curvò. — E qualche volta lei è sincero. Accetto le sue scuse, poiché vengono da un uomo che non si scusa facilmente con nessuno, e le apprezzo. Ora, fino a che punto sarà schifosa, ripugnante e sventurata la situazione tattica in cui ci troveremo?

Tung, decise Miles, era capace di risatine aspre come il veleno.


I capitani-proprietari furono invitati a bordo uno alla volta per essere sondati, intimoriti, sedotti, ricattati, persuasi, finché Miles non ebbe la gola secca, la voce rauca, e sulle spalle un fardello di menzogne e di promesse così pesante che avrebbe voluto poterlo buttare nello spazio. Soltanto il capitano della Peregrine cercò di lottare fisicamente. Fu abbattuto con uno storditore e legato. Al suo ufficiale in seconda venne offerta la scelta fra la promozione e lo stesso destino. Scelse la promozione, anche se i suoi occhi dissero: «Un giorno o l'altro, però…» Ma a Miles non importava, purché quel giorno arrivasse dopo i cetagandani.

Si trasferirono nella grande sala per conferenze di fronte alla Sala Tattica, per la più strana riunione di Stato Maggiore a cui Miles avesse mai partecipato. Oser fu stimolato a collaborare da un'altra iniezione di penta-rapido e messo a sedere a un'estremità del tavolo, come un cadavere imbalsamato e sorridente. Ad altre due persone fu concesso di assistere all'incirca negli stessi termini, legate alla sedia e imbavagliate. Tung sostituì il suo pigiama giallo con un'uniforme nuova prelevata dallo spaccio di bordo, i gradi di commodoro appuntati con una spilla su quelli di capitano; poi espose ai presenti la fase tattica di avvio, destando in loro reazioni che andarono dalla sorpresa iniziale, al timore, e infine al dubbio sulle loro possibilità di affrontare gli sviluppi che potevano seguire. L'argomento più efficace di Tung fu la sinistra precisazione che, se non si fossero impegnati come difensori del corridoio di transito, avrebbero comunque dovuto attraversarlo in seguito nelle vesti di attaccanti contro una difesa cetagandana già organizzata, previsione che fece correre qualche brivido lungo il tavolo. Il potrebbe essere peggio, era sempre un'affermazione inconfutabile.

A metà della discussione Miles si girò a mormorare a Elena: — Era così anche prima, o sono io che l'ho dimenticato?

Lei ebbe una smorfia pensosa e rispose, sottovoce: — No, credo che ai vecchi tempi gli insulti fossero migliori.

Reprimere un sogghigno gli fu difficile.

Nell'ora che seguì, Miles mise a tacere decine di lamentele con altrettante promesse che non avrebbe potuto mantenere, e infine, quando il da farsi fu chiaro, ognuno ripartì per il suo posto di lavoro. Oser e l'ex comandante della Peregrine furono scortati al reparto detenzione. Tung rallentò il passo per gratificare di uno sguardo accigliato le morbide pantofole di Miles. — Se hai intenzione di darmi degli ordini, ragazzo, vuoi almeno rispettare il pudore di un vecchio soldato e metterti un paio di scarpe decenti? — Da ultimo soltanto Elena rimase.

— Voglio che tu interroghi di nuovo il generale Metzov — le disse Miles. — Registra tutte le informazioni che puoi fargli uscire di bocca sui Randall Rangers: codici, navi di cui dispongono e loro ultima posizione conosciuta, armamenti, caratteristiche personali degli ufficiali al comando, e tutto quello che sa dei vervani. Poi censura ogni riferimento inopportuno alla mia identità e passa la registrazione al reparto operazioni, con la premessa che non tutto quello che Metzov crede è necessariamente vero. Penso che potrà servire.

— Va bene.

Miles sospirò stancamente e appoggiò i gomiti sul lungo tavolo vuoto. — Sai… i nazionalisti patriottici come i barrayarani, noi barrayarani, sbagliano. I nostri militari pensano che i mercenari non abbiano il senso dell'onore, perché si lasciano comprare e vendere. Ma l'onore, quello vero, è un lusso che solo un uomo libero può permettersi. Un ufficiale dell'Impero, come me, non è legato a un codice d'onore, è soltanto legato. Io ho appena terminato di raccontare molte bugie a delle persone oneste, bugie per cui alcuni di loro stanno andando alla morte. Quella dell'onore è una partita che si gioca nel fango, a volte.

— Cosa cambieresti di quello che hai fatto oggi?

— Tutto. Niente. Mentirei perfino più cinicamente, se dovessi farlo. — Non una strada per la vittoria, ma tutte le strade…

Elena inarcò un sopracciglio. — Credi davvero?

Lui sorrise. — E tu faresti lo stesso. — Né ti amerei di meno per questo. - Mia signora di Barrayar, che detesti Barrayar, tu sei la sola qui al Mozzo che conosca tutta la verità. Perciò sei la sola che io potrei onestamente sacrificare.

Lei inclinò la testa e rifletté un poco su quelle parole. — Ti ringrazio, mio Lord — disse poi. E passandogli accanto, mentre usciva dalla sala, gli sfiorò il collo con una carezza.

Miles rabbrividì.

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