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Questo dev’essere una carogna,

o non sarebbe qui!

Bocca di tribordo… Fuoco!

Sparare è troppo bello per lui,

fagli sputare il gingillo ora!

Bocca di babordo… Fuoco!

Antica canzone dei cannoni


Tutto questo, però, avvenne dopo che avevamo lasciato il campo Arthur Currie. Nel frattempo erano successe molte cose: addestramento di guerra, soprattutto, esercitazioni, istruzioni, manovre. Ci servivamo di tutto, dalle mani nude alle finte armi nucleari. Non avrei mai pensato che ci fossero tanti modi diversi di combattere. Mani e piedi, tanto per cominciare, e se pensate che quelle non sono armi non avete visto in azione il sergente Zim e il capitano Frankel, il nostro comandante di battaglione, o non vi siete trovati tra le grinfie del piccolo Shujumi, che sorrideva da un orecchio all’altro mentre ci sbatteva qua e là come stracci. Zim non aveva perso tempo a nominare Shujumi istruttore, dando disposizione affinché prendessimo ordini da lui anche se non dovevamo salutarlo e chiamarlo “signore”.

Via via che i nostri ranghi si assottigliavano, Zim smise di occuparsi degli esercizi collettivi, limitandosi a passarci in rivista, e dedicò sempre più tempo all’istruzione individuale, completando l’opera dei caporali. Zim era “morte immediata” con qualsiasi arma, ma gli piacevano soprattutto i coltelli. Si era costruito e calibrato da sé il proprio coltello, disdegnando quelli in dotazione, che pure erano ottimi. Come istruttore individuale era un po’ più malleabile: diventava semplicemente insopportabile invece che decisamente disgustoso. Si mostrava perfino paziente anche se gli venivano rivolte domande stupide.

Una volta, durante una delle pause di due minuti dispensate con il contagocce durante le giornate di istruzione, uno dei ragazzi, un certo Ted Hendrick, chiese: — Sergente, scusi… Lanciare il coltello è un esercizio divertente, ma perché dobbiamo impararlo? A che cosa può servirci?

— Ecco, immagina un po’ di avere solo un coltello, e magari nemmeno quello — rispose Zim. — Che cosa fai? Dici le preghiere e muori? O ti getti a capofitto sull’avversario e cerchi di annientarlo? Figliolo, questo è un gioco vero, non una partita di scacchi che puoi dichiarare persa quando ti accorgi che ormai sei sconfitto.

— Ma è proprio quello che dico io, signore. Immaginiamo che uno sia completamente inerme. O che al massimo abbia uno di questi coltelli. Invece l’avversario è dotato di armi pericolose. Che cosa si può fare? Niente, no? L’altro ti ha già spianato prima ancora di averti guardato in faccia.

Il tono di Zim fu quasi paterno. — Ragazzo, vedo che hai le idee confuse. Non esistono armi pericolose, capisci?

— Come, signore?

— Non esistono armi pericolose, esistono solo uomini pericolosi. Noi tentiamo di insegnarti a essere pericoloso, per il nemico, s’intende. Pericoloso anche senza un coltello. Letale finché ti resta una mano, o un piede, e un filo di respiro. Se non sai di che cosa sto parlando, prova a leggere Orazio sul ponte o La morte del bon homme Richard. Li troverai entrambi nella biblioteca del campo. Ma torniamo al caso di cui parlavi. Mettiamo che tu sia dotato solo di un coltello e che quel bersaglio dietro di me, quello che hai mancato poco fa, il numero tre, sia una sentinella armata fino ai denti. Le manca solo la bomba all’idrogeno. Tu devi farlo fuori, alla svelta e senza chiasso, prima che abbia il tempo di dare l’allarme. — Zim si girò lievemente e… tunf: un coltello che l’istante prima Zim non aveva nemmeno in pugno stava vibrando al centro del bersaglio numero tre. — Visto? Meglio se di coltelli ne hai due, ma l’importante è colpire, sia pure adoperando le sole mani.

— Ehm…

— C’è qualcosa che non ti convince? Sputa. Io sono qui apposta per rispondere alle vostre domande.

— Ecco, signor sergente. Lei ha detto che la sentinella non ha una bomba H. Invece la bomba H ce l’ha. Questo è il punto. Be’, noi perlomeno l’abbiamo, se la sentinella siamo noi… e qualsiasi sentinella ci proponiamo di aggredire è probabile che ce l’abbia, anzi è quasi certo. Non mi riferisco solo alla sentinella, ma alla parte che rappresenta.

— Sì, capisco.

— Vede allora, signor sergente? Se noi possiamo usare una bomba H e, come dicevamo poco fa, la guerra non è una partita di scacchi e c’è poco da scherzare, non è un po’ ridicolo andarsene in giro strisciando sull’erba, lanciando coltelli e rischiando di farsi accoppare e magari di perdere addirittura la guerra, quando si ha a disposizione un’arma vera che può darti la vittoria? Che scopo ha un gruppo di uomini disposto a rischiare la vita usando armi antiquate, quando basta una specie di professore, da solo, per fare altrettanto premendo un pulsante?

Zim non rispose subito, il che era decisamente insolito per lui. Poi disse, calmo: — Ti trovi bene nella Fanteria, Hendrick? Puoi dare le dimissioni, altrimenti. Lo sai, vero?

Hendrick mormorò qualcosa, e Zim disse: — Parla forte!

— Non ci penso affatto a dare le dimissioni, sergente. Voglio completare la mia ferma, costi quello che costi.

— Capisco. Bene, allora. La tua è una di quelle domande alla quale un sergente non è qualificato a rispondere… e poi non dovresti farla a me. Si suppone che uno conosca la risposta prima di arruolarsi. Lo dovrebbe, almeno. A scuola non hai seguito un corso di storia e filosofia morale?

— Come? Sissignore, certo.

— Allora avrai già sentito la risposta. Comunque ti dirò anche la mia opinione in proposito. In via ufficiosa, s’intende. Se tu volessi dare una lezione a un bambino capriccioso, gli taglieresti la testa?

— Certamente no, signore!

— Certamente no. Ecco il punto. Esistono circostanze in cui colpire una città nemica con una bomba H sarebbe altrettanto pazzesco che decapitare un bambino che ha disubbidito. La guerra non è violenza fine a se stessa, è violenza controllata, tesa a uno scopo ben preciso. E uno degli scopi di una guerra è quello di sostenere con la forza la decisione del nostro governo. L’obiettivo non è mai quello di uccidere il nemico giusto per ucciderlo, ma di fargli fare quello che si vuole che faccia. Non uccidere ma esercitare una violenza controllata e mirata. La decisione sull’obiettivo da raggiungere, però, non spetta né a voi né a me. Non spetta mai al soldato decidere quando, dove, come o perché combattere. Spetta agli uomini politici e ai generali. Gli uomini politici decidono perché e fino a che punto. I generali ne prendono atto e ci dicono dove, quando e come. Noi forniamo la violenza. Altri, più anziani e saggi, almeno così dovrebbe essere, pensano a incanalarla e controllarla. Questa è la risposta migliore che posso darvi. Se non ne siete soddisfatti, vi rilascerò il permesso per andare a parlare con il comandante di reggimento. Se anche lui non riesce a convincervi, allora tornate a casa vostra e fate i civili, perché significa che sicuramente non diventerete mai buoni soldati. — Poi Zim scattò in piedi. — E adesso basta. Scommetto che mi avete fatto chiacchierare solo per perdere tempo. In piedi, soldati. Scattare. Ai bersagli! Hendrick, comincia tu. Stavolta voglio che getti il coltello a sud. Sud, capito? Non a nord. Il bersaglio è a sud rispetto a te, e voglio che quel coltello vada a sud almeno in senso generale. So che non colpirai il bersaglio, ma vedi almeno di andarci vicino. Non affettarti un orecchio, non infilzare qualcuno alle tue spalle, tieni quel grammo di cervello che ti ritrovi fisso sull’idea sud. Pronto… al bersaglio! Via!

Hendrick sbagliò di nuovo.

Ci allenavamo con i bastoni e con il filo di ferro (quante cose si possono improvvisare con un pezzo di filo di ferro!) e imparavamo quello che si può fare con armi modernissime, e come farlo, e come tenere in ordine e in efficienza il materiale: armi nucleari simulate, razzi della fanteria e ogni tipo di gas, veleni, bombe incendiarie e dirompenti. Ma apprendemmo anche un mucchio di altre cose sulle armi antiquate. Baionette su fucili a salve, e fucili che non erano a salve ma quasi identici ai fucili dei fanti del Ventesimo secolo, molto simili ai nostri fucili da caccia, solo che noi sparavamo unicamente pallottole potenti, proiettili di piombo incamiciati in lega indirizzati a bersagli situati a distanza moderata e a obiettivi a sorpresa, in brevi scorribande volte a catturare i nemici. Il tutto doveva prepararci all’uso delle armi che andavano puntate con precisione e soprattutto a tenerci pronti, all’erta, per qualsiasi evenienza. Serviva, infatti. Sono sicurissimo che serviva.

Usavamo quei fucili nelle esercitazioni sul campo, in sostituzione di armi da tiro più letali e crudeli. Tutto quello che adoperavamo era simulato, non avrebbe potuto essere altrimenti. Le granate e le bombe da esercitazione, usate contro materiali o persone, esplodevano emettendo una gran quantità di fumo nero. Un altro tipo di granata emanava un gas che faceva starnutire e piangere, il che equivaleva a essere morti o paralizzati: cosa sufficientemente fastidiosa da spingerci ad assumere le più efficaci precauzioni antigas. Senza contare l’iradiddio che ci pioveva addosso se per caso restavamo colpiti.

E dormivamo sempre meno. Oltre la metà delle esercitazioni venivano svolte di notte, con radar, visualizzatore, radioriceventi eccetera.

I fucili erano caricati a salve, tranne uno a caso ogni cinquecento, che aveva proiettili veri. Pericoloso? Sì e no. Anche il fatto di vivere, in sé è pericoloso, e un proiettile di piombo probabilmente non basta a uccidere, a meno che non ti prenda proprio alla testa o al cuore, e non sempre anche in questo caso. Quell’unico fucile su cinquecento veramente pericoloso serviva comunque a motivarci a stare coperti: sapevamo che i fucili erano in dotazione anche agli istruttori, che erano tiratori scelti e facevano del loro meglio per colpirci… con la conseguenza che possiamo immaginare, se l’arma carica capitava proprio in mano loro. È vero che ci garantivano di non mirare mai alla testa, ma una disgrazia può sempre capitare.

Questo amichevole impegno non era molto rassicurante. Quella cinquecentesima pallottola trasformava esercizi noiosi in una specie di roulette russa su larga scala. Quando avete appena sentito fischiare una pallottola vicino all’orecchio senza nemmeno avere sentito il rumore de! fucile, vi assicuro che non vi annoiate più.

Ma poi ci abituammo, e subito ci arrivò dall’alto la voce che, se non fossimo stati più pronti a scattare, l’incidenza dei fucili veri sarebbe salita a uno su cento, e se non fosse bastato, a uno su cinquanta. Non so se quel cambiamento venne apportato sul serio, non c’è modo di saperlo, posso però testimoniare che ritrovammo subito l’antica lena, anche perché un ragazzo dell’altra compagnia si era beccato una pallottola vera nel fondo della schiena, il che gli procurò una brutta ferita e una grande quantità di commenti salaci e infuse agli altri un rinnovato ardore nel tenersi al coperto. Ci prendemmo gioco di quel ragazzo per il posto in cui era stato colpito… ma tutti noi sapevamo che a essere ferita avrebbe potuto essere la sua testa, o le nostre.

Gli istruttori che non prendevano parte al conflitto a fuoco, non stavano al riparo. Indossavano una camicia bianca e se ne andavano in giro con i loro stupidi bastoni di comando, in apparenza assolutamente certi che nessuna recluta avrebbe sparato intenzionalmente a un istruttore, il che, da parte di alcuni, era evidentemente un eccesso di presunzione. In realtà, le probabilità che un colpo sparato con propositi omicidi fosse mortale erano una su cinquecento, e il fattore sicurezza veniva aumentato dal fatto che difficilmente una recluta avrebbe centrato il bersaglio scelto. Un fucile non è un’arma facile da usare, visto che non si può orientare con precisione il proiettile verso il bersaglio sparando in fretta. Ho saputo che nei tempi in cui le guerre venivano combattute solo a colpi di fucile, la media dei morti era di uno su diverse migliaia di colpi sparati. Sembra impossibile, eppure la storia militare conferma che è vero: pare che la maggior parte delle fucilate venisse tirata a casaccio, tanto per costringere il nemico a tenere giù la testa e impedirgli di prendere la mira.

In ogni modo, nessuno dei nostri istruttori rimase ferito o ucciso, e nemmeno altri, tranne quell’unico fante, soffrirono danni per colpa dei fucili carichi. Le morti furono provocate da altre armi o cose, alcune delle quali potevano rivelarsi assai pericolose se non avevi fatto tutto secondo le regole. Un ragazzo riuscì, per esempio, a rompersi l’osso del collo mettendosi al riparo troppo precipitosamente quando gli spararono per la prima volta, ma nessun proiettile lo colpì.

Comunque, per una reazione a catena, questa storia dei fucili carichi contribuì a spezzare il mio morale. Il colpo più pesante lo ricevetti quando mi furono tolti i galloni di capopattuglia, non per colpa mia ma per qualcosa che la pattuglia aveva fatto mentre io non ero presente. Lo feci notare a Bronski che mi rispose imponendomi di tacere. Allora feci rapporto a Zim. Il sergente mi disse in tono gelido che ero responsabile di tutto quello che i miei uomini facevano, e mi rifilò sei ore di punizione per avergli parlato senza l’autorizzazione di Bronski. Poi ricevetti una lettera che mi lasciò sconvolto: mia madre si era finalmente decisa a scrivermi. Inoltre, mi slogai una spalla nel primo addestramento con la tuta potenziata (nelle divise da esercitazione erano stati inseriti meccanismi che permettevano all’istruttore di provocare incidenti a piacere, e attraverso un controllo radio mi fecero cadere causandomi un infortunio alla spalla). L’incidente mi fruttò un periodo di servizio ridotto, con troppo tempo per pensare ai casi miei, proprio in un momento in cui avevo le ragioni più valide, a mio parere, per autocommiserarmi.

A causa del servizio ridotto, un giorno venni destinato all’ufficio del comandante di battaglione. Dapprima mi mostrai zelante, perché volevo fare buona impressione, poi scoprii che il capitano Frankel non pretendeva un atteggiamento zelante: voleva soltanto che me ne stessi immobile, zitto, senza disturbarlo. Non osavo addormentarmi, e quindi ebbi modo di autocommiserarmi più che mai.

Poi, poco dopo colazione, mi sentivo ben sveglio: il sergente Zim era entrato nell’ufficio seguito da tre uomini. Zim era lindo e impeccabile come sempre, ma con un’espressione da chi gli è morto il gatto, e in più un’ammaccatura sopra l’occhio destro, che aveva tutta l’aria di volersi espandere in un bernoccolo, anche se una cosa del genere in lui sembrava impossibile. Degli altri tre, quello di mezzo era Ted Hendrick. Era tutto sporco… ma si sa, la compagnia era appena tornata da un’esercitazione sul campo. Non le puliscono, quelle praterie, e in più, durante l’esercitazione, non si fa altro che strisciare ventre a terra. Però Hendrick aveva anche un labbro spaccato, sangue sul mento e sulla camicia, in più aveva perso il berretto. E sembrava fuori di sé.

Gli uomini ai suoi fianchi erano due reclute. I due erano armati di fucile, Hendrick no. Uno dei due era della mia pattuglia, un certo Leivy. Aveva l’aria eccitata e soddisfatta, e mi guardò strizzando l’occhio appena fu certo che nessuno badava a lui.

Il capitano Frankel parve sorpreso. — Che cosa succede, sergente?

Zim si tenne sull’attenti e parlò come se recitasse una cantilena. — Signore, il comandante della compagnia H si mette a rapporto dal comandante di battaglione. Motivo disciplinare. Articolo nove uno zero sette. Mancata osservanza delle regole e degli ordini tattici, mentre la pattuglia si trovava in combattimento simulato. Articolo nove uno due zero. Disobbedienza agli ordini, in condizioni identiche.

Il capitano Frankel era perplesso. — Sottopone tutto questo a me, sergente? In via ufficiale?

Non so come possa un uomo apparire imbarazzato quanto lo sembrava Zim, e tuttavia conservare una maschera assolutamente inespressiva. — Sissignore. Con il permesso del mio capitano. L’uomo ha rifiutato la disciplina amministrativa. Ha insistito per parlare al comandante di battaglione.

— Capisco. Un leguleio da caserma, ma tecnicamente questo è un privilegio di ogni soldato. Quali sarebbero le regole e l’ordine tattico trascurati?

— Un congelamento, capitano. — Guardai Hendrick, e provai compassione per lui. Doveva aver passato i suoi guai. In un congelamento ci si butta a terra, portandosi in tutta fretta al riparo, e poi ci si congela, ovvero non ci si muove più e non si batte ciglio, finché non arriva il contrordine. Oppure il congelamento può avvenire quando si è già al riparo. Si raccontano aneddoti su soldati colpiti mentre erano in congelamento che morirono lentamente senza emettere un gemito o fare un gesto.

Frankel inarcò le sopracciglia. — Seconda mancanza?

— Stessa cosa, signore. Dopo avere interrotto il congelamento, ha rifiutato di riprenderlo nonostante l’ordine.

Il capitano Frankel si fece severissimo. — Nome?

Rispose Zim. — Hendrick, signore. Recluta soldato semplice sette nove sei zero nove due quattro.

— Benissimo. Hendrick, sarai privato di ogni privilegio per trenta giorni, e confinato nella tua tenda durante le ore di riposo. Farai tre ore di servizio extra tutti i giorni agli ordini del caporale di guardia, un’ora prima della ritirata, un’ora prima della sveglia, e la terza durante l’intervallo per il rancio di mezzogiorno. La sera starai a pane, quanto ne vorrai, e acqua. Ogni domenica farai dieci ore di servizio extra, distribuite in modo da permetterti di assistere alle funzioni religiose, se ci tieni.

“Incredibile” pensai. “Il capitano fa di testa sua, in barba al regolamento.”

— Hendrick — continuò il capitano Frankel — ascoltami bene. L’unica ragione per cui te la sei cavata così a buon mercato è che non mi è permesso infliggerti di più senza riunire la corte marziale, e non voglio guastare la scheda personale del tuo comandante di compagnia. Puoi andare. — Riabbassò lo sguardo sulle carte che aveva davanti a sé. Aveva già dimenticato l’incidente.

Hendrick urlò: — Non ha sentito la mia versione dei fatti!

Il capitano alzò la testa. — Oh, scusa tanto. Avresti un’opinione da esprimere?

— Certo che ce l’ho! Il sergente Zim mi ci ha tirato per i capelli. Non ha fatto che sbraitare e sbraitare contro di me dal momento che sono arrivato. Ha…

— È qui per questo — lo interruppe Frankel, gelido. — Puoi negare le accuse a tuo carico?

— No, ma… lui non vi ha detto che mi ero sdraiato su un formicaio!

Frankel parve disgustato. — Quindi tu ti faresti ammazzare, e metteresti a repentaglio la vita di una decina di compagni, per via di quattro formiche?

— Altro che quattro! Erano centinaia e pungevano.

— E con questo? Ragazzo, vediamo di chiarire le idee. Se anche si fosse trattato di un nido di vipere, tu avresti avuto il dovere di congelarti. Hai niente da dire in tua difesa?

Hendrick era rimasto a bocca aperta. — Certo che ce l’ho! Mi ha colpito. Mi ha messo le mani addosso! Tutti gli istruttori non fanno che andarsene in giro con quei loro bastoni a distribuire colpi sulla schiena e a fare gli smargiassi, e uno deve ingoiare tutto. Ma stavolta mi ha picchiato con le mani, mi ha sbattuto a terra urlando “Congelati, pezzo d’idiota!”. Come la mettiamo in questo caso?

Il capitano Frankel si studiò le mani, poi guardò di nuovo Hendrick. — Giovanotto, stai cadendo in un equivoco molto comune tra i civili. Credi che ai tuoi superiori non sia permesso “metterti le mani addosso”, come hai detto tu. Nella vita civile è così. Se ci incontrassimo a teatro, io non avrei alcun diritto, qualora tu mi avessi trattato con il rispetto dovuto al mio grado, di mollarti un ceffone, proprio come tu non avresti diritto di appiopparlo a me. Ma in servizio la cosa è completamente diversa.

Il capitano si girò di scatto sulla sedia e indicò alcuni grossi libri semisfasciati. — Lì c’è il codice militare. Puoi leggerti quegli articoli uno per uno e consultare tutta la casistica della corte marziale. Non troverai un solo accenno al fatto che un superiore non può metterti le mani addosso o colpirti come meglio crede quando è nell’esercizio delle sue funzioni. Hendrick, io potrei cambiarti i connotati, e dovrei rispondere solo ai miei diretti superiori circa la necessità del gesto compiuto. Ma a te non dovrei nessuna spiegazione. Potrei fare anche di più. Ci sono circostanze in cui un ufficiale superiore non solo può, ma deve uccidere un ufficiale subalterno o un soldato, senza indugio e senza lanciare ultimatum, e riceve un encomio invece di una punizione. Capisci? Per esempio, nel caso di condotta vigliacca di fronte al nemico.

Il capitano calò un pugno sullo scrittoio. — Quanto ai bastoni, hanno due scopi. Primo, servono come simbolo dell’autorità. Secondo, devono essere usati per incitarvi, per impedirvi di prendervela con troppa calma. Non possono provocare danni, non nel modo in cui sono usati, al massimo fanno un po’ male, e risparmiano una quantità di parole inutili. Per esempio, voi non siete sufficientemente svelti a saltare in piedi quando suona la sveglia? Certo, sarebbe bello che il caporale di servizio vi svegliasse con delicatezza, e si informasse se volete la colazione a letto. Ma non abbiamo abbastanza caporali per farvi da balia. Così, il caporale passa di corsa, vi strappa le coperte e prosegue, e quando è il caso si spiega meglio con la punta del bastone. Anzi potrebbe benissimo pigliarvi a calci, visto che sarebbe altrettanto legale ed efficiente, ma il comandante in capo per l’istruzione e la disciplina pensa che sia più dignitoso, sia per voi sia per il caporale, strappare un dormiglione dal sonno usando il simbolo impersonale dell’autorità. E così la penso anch’io. Del resto, quello che penso io oppure tu, non ha nessuna importanza: ciò che conta è il regolamento. — Il capitano Frankel sospirò. — Vedi, Hendrick, ti ho spiegato queste cose perché è inutile punire un uomo se lui non sa perché viene punito. Tu sei stato un ragazzaccio, e dico ragazzaccio perché è evidente che non sei ancora un uomo, nonostante i tuoi sforzi. Un ragazzaccio per di più molto deludente, se si pensa che sei così avanti nel corso d’istruzione. Niente di quello che hai detto può servire a tua discolpa. Hai solo rivelato di non comprendere la situazione e di non avere ancora nessuna idea dei tuoi doveri di soldato. Comunque, spiegami con parole tue perché ti sembra di essere stato bistrattato. Voglio aiutarti a chiarirti le idee. Potresti anche avere ragione in qualcosa, sebbene io non riesca proprio a immaginare in cosa.

Mentre il capitano pronunciava la sua ramanzina, avevo dato un paio di occhiate alla faccia di Hendrick. In un certo senso, quelle parole calme e ragionevoli colpivano nel segno più di tutto il berciare di Zim. L’espressione di Hendrick era passata dall’indignazione alla sorpresa attonita.

— Parla! — ordinò brusco il capitano Frankel.

— Ecco… abbiamo ricevuto l’ordine di congelarci, mi sono buttato a terra e ho scoperto di trovarmi su un formicaio. Così mi sono messo sulle ginocchia con l’idea di spostarmi di mezzo metro, quando sono stato colpito da dietro e gettato a terra dal sergente che mi urlava di congelarmi. Io sono saltato su e gli ho allungato un pugno…

— Alt! — Il capitano Frankel era scattato in piedi e fissava Hendrick dall’alto dei suoi tre metri (in realtà è poco più alto di me). — Tu… tu hai colpito il tuo comandante di compagnia?

— Eh? Sì, è come le ho detto. Ma è stato lui a colpirmi per primo. E da dietro, tanto che non l’avevo nemmeno visto. Con questo non voglio ritirare quello che ho detto. L’ho colpito, lui ha colpito di nuovo me, poi…

— Silenzio!

Hendrick ammutolì. Ma dopo un attimo aggiunse: — Voglio solo andarmene per sempre da questo posto schifoso.

— Credo di poterti accontentare — disse Frankel, glaciale. — E presto, anche.

— Mi dia un pezzo di carta, voglio firmare le mie dimissioni.

— Un momento. Sergente Zim.

— Signorsì. — Era un pezzo che Zim non apriva bocca. Se ne stava là, rigido come una statua, e solo un muscolo della mascella sussultava leggermente.

Lo guardai di nuovo: aveva proprio un occhio nero, una meraviglia. Hendrick doveva averlo colpito in pieno. Ma lui non aveva detto una parola in proposito, e il capitano Frankel non aveva fatto domande. Forse aveva concluso che Zim avesse urtato contro uno spigolo e si riservasse di fornire spiegazioni in seguito.

— Gli articoli del Regolamento militare sono stati portati a conoscenza della vostra compagnia, come prescritto?

— Signorsì. Pubblicati e affissi, ogni domenica mattina.

— Lo so. Lo chiedevo solo in ossequio alla procedura.

Ogni domenica, prima delle funzioni religiose, ci allineavano e ci leggevano gli articoli disciplinari del Regolamento militare. Inoltre, gli stessi articoli venivano affissi sul quadrante apposito, fuori dalla tenda di ordinanza. Nessuno ci badava molto. Era un’esercitazione come un’altra. Potevi stare fermo e dormire tutto il tempo. L’unica cosa che notammo, se notammo qualcosa, fu quello che chiamavamo “i trentuno modi di schiantarsi a terra”. Dopotutto, gli istruttori facevano in modo che venissero assorbite tutte le norme che bisognava conoscere, attraverso la pelle. Nonostante noi ci scherzassimo sopra continuamente si trattava dei trentuno reati per cui era prevista la pena di morte. Ogni tanto qualcuno si vantava, o accusava qualcun altro, di avere scoperto il trentaduesimo, era sempre qualcosa di improbabile e solitamente di osceno.

Colpire un superiore, graduato o ufficiale…

All’improvviso non c’era più da scherzare, tutt’altro. Un pugno a Zim. E s’impiccava un uomo per questo? Roba da matti! Ma se quasi tutti gli uomini della compagnia avevano allungato una sventola a Zim, e qualcuno era riuscito perfino a mandarla a segno, quando lui ci istruiva personalmente nel corpo a corpo! Di solito ci prendeva dopo che gli altri istruttori ci avevano già strapazzati ben bene, quando cominciavamo a sentirci arzilli e abbastanza in forma, e ci dava il ritocco finale. Una volta, anzi, avevo visto Shujumi stenderlo a terra con un diretto. Bronski gli aveva tirato un secchio d’acqua, Zim si era rialzato, aveva sorriso, aveva scambiato una stretta di mano con Shujumi e l’aveva lanciato oltre la linea dell’orizzonte.

Il capitano Frankel si guardò attorno, poi si rivolse a me. — Tu! Chiama il quartier generale del reggimento.

Obbedii, tutto dita sui tasti, ritraendomi appena la faccia di un ufficiale apparve sullo schermo, per lasciare che il capitano facesse lui stesso la chiamata. — Sono l’aiutante — disse la faccia.

Frankel parlò in tono sbrigativo. — Il comandante del Secondo battaglione rende omaggio al comandante del reggimento. Chiedo un ufficiale per riunire la corte.

La faccia s’informò: — Quando ti serve, Ian?

— Appena puoi.

— Subito. Sono quasi certo che Jake è al comando. Articolo e nome?

Frankel diede il nome di Hendrick e citò un articolo del regolamento. La faccia sullo schermo emise un fischio e si fece seria. — Bene, Ian. Se non trovo Jake, vengo io stesso. Il tempo di avvertire il Vecchio.

Il capitano Frankel si rivolse a Zim: — Questi uomini di scorta sono stati testimoni?

— Signorsì.

— Il caposquadra di Hendrick era presente?

Zim esitò. — Signorsì, credo.

— Fatelo venire. C’è nessuno laggiù con una tuta potenziata?

— Signorsì.

Mentre Zim telefonava, Frankel si rivolse a Hendrick: — Quali testimoni vuoi chiamare in tua difesa?

— Non ho bisogno di testimoni. Lui sa benissimo com’è andata. Mi dia piuttosto un pezzo di carta, voglio andarmene da qui.

— Tutto a suo tempo.

E in un tempo rapidissimo, mi sembrò. Meno di cinque minuti dopo, il caporale Jones arrivava a grandi balzi in tuta potenziata, trasportando a braccia il caporale Mahmud. Posò a terra Mahmud e scattò via, proprio mentre il tenente Jake Spieksman faceva il suo ingresso dicendo:

— Buongiorno, capitano. L’accusato e i testimoni sono qui?

— Tutti presenti. Siediti, Jake.

— Il registratore c’è?

— È tutto pronto.

— Benissimo. Hendrick, un passo avanti. — Hendrick obbedì, con un a faccia sconcertata e l’aria di chi potrebbe scoppiare in singhiozzi da un momento all’altro. Il tenente Spieksman disse in fretta: — Corte marziale di campo, riunita per ordine del maggiore F.X. Malloy, comandante del Terzo reggimento reclute, campo Arthur Curie, ordinanza generale numero quattro, emessa dal Comando generale, Sezione addestramento e disciplina, in conformità alle leggi e norme delle Forze armate, Federazione terrestre. Ufficiale che istituisce il procedimento: capitano Ian Frankel, Fanteria spaziale mobile, assegnato al comando del Secondo battaglione, Terzo reggimento. La corte: tenente Jacques Spieksman, Fanteria spaziale mobile, assegnato al comando del Primo battaglione, Terzo reggimento. Imputato: Hendrick, Theodore C, recluta, SS7960924. Articolo 9080. Accusa: percuoteva il suo superiore, mentre la Federazione terrestre si trovava in stato di emergenza.

La cosa che mi colpì fu la rapidità della procedura. Mi trovai di colpo nominato usciere del tribunale e incaricato di rimuovere i testimoni e tenerli a disposizione. Non sapevo come avrei fatto a rimuovere Zim se lui non fosse stato d’accordo, invece il sergente radunò Mahmud e i due soldati con un solo sguardo, e tutti uscirono, fuori portata d’orecchio. Il sergente si separò dagli altri e aspettò da una parte. Mahmud si sedette per terra e si arrotolò una sigaretta, ma dovette metterla via perché venne chiamato per primo. In meno di venti minuti tutti e tre avevano testimoniato, confermando la versione di Hendrick. Zim non venne nemmeno interpellato.

Poi il tenente Spieksman si rivolse a Hendrick. — Vuoi controinterrogare i testimoni? La corte ti assisterà, se lo desideri.

— No.

— Resta sull’attenti e di’ signore, quando ti rivolgi alla corte.

— No, signore. — Poi Hendrick aggiunse: — Voglio un avvocato.

— Il codice militare non lo permette. Vuoi testimoniare in tua difesa? Non sei obbligato a farlo e, tenuto conto delle testimonianze sentite finora, la corte non assumerà alcuna pregiudiziale negativa se deciderai di non testimoniare. Ti avverto però che tutto quello che dirai potrà essere usato contro di te, e che sarai soggetto a un controinterrogatorio.

Hendrick si strinse nelle spalle. — Non ho niente da dire. A che cosa mi servirebbe?

— La corte torna a chiederti: vuoi testimoniare in tua difesa?

— Ehm… signornò.

— La corte deve rivolgerti una domanda d’ordine tecnico. L’articolo in base al quale sei accusato ti era stato letto prima di commettere il gesto del quale ora sei accusato? Puoi rispondere sì, no, oppure tacere, ma sei responsabile della tua risposta, a norma dell’articolo nove uno sei sette che si riferisce allo spergiuro.

L’accusato rimase zitto.

— Adesso la corte ti rileggerà l’articolo e poi ti ripeterà la domanda. Articolo nove zero otto zero. “Qualsiasi appartenente alle Forze armate che aggredisca o colpisca, o tenti di aggredire o colpire…”

— Sì, mi pare di sì. Ne leggono una gran quantità di quella roba, ogni domenica mattina. Una lunga lista di cose che non si possono fare.

— Ti era stato letto, o no, questo particolare articolo?

— Ehm… credo di sì, signore. Sì.

— Benissimo. Avendo rifiutato di testimoniare, hai qualche dichiarazione da fare a tua discolpa?

— Come, signore?

— Vuoi dire qualcosa alla corte? Riferire qualche circostanza che secondo te possa mitigare l’offesa? O infirmare le testimonianze rese? Per esempio che eri malato, oppure sotto l’effetto di una droga o di un farmaco? Ora non sei più sotto giuramento, puoi dire tutto quello che vuoi in tua difesa. La corte sta cercando di stabilire se in tutta questa storia c’è qualcosa che non ti sembra giusto. E in questo caso, perché?

— Come? Ma certo che c’è. Anzi, non c’è niente che sia giusto. Lui mi ha colpito per primo! Li ha sentiti, no? Mi ha colpito per primo!

— Nient’altro?

— Eh? Signornò. Non basta?

— Il processo è terminato. Soldato semplice Theodore C. Hendrick, alzati! — Il tenente Spieksman era rimasto sempre sull’attenti. Ora si alzò anche il capitano Frankel. L’atmosfera si fece d’improvviso agghiacciante.

— Soldato Hendrick, la corte ti dichiara colpevole.

Sentii lo stomaco contrarsi. Gli facevano una cosa simile! Avrebbero impiccato Ted Hendrick. E pensare che al mattino avevo fatto colazione accanto a lui.

— La corte — continuò il tenente, mentre mi venivano i sudori freddi — ti condanna a dieci frustate e all’espulsione per cattiva condotta.

Hendrick deglutì. — Voglio dare le dimissioni.

— La corte non ti permette di presentare le dimissioni. La corte desidera aggiungere di essere stata clemente solo perché non ha poteri per comminare pene più severe. Sei stato deferito a una corte marziale di campo; sulla ragione di tale scelta questa corte non avanza congetture. Se ti avessero deferito a una corte marziale generale, le accuse presentate dinanzi a questa corte ti avrebbero procurato una condanna a morte per impiccagione. Sei fortunato, soldato Hendrick, e l’autorità che ti ha deferito si è mostrata molto generosa. — Il tenente Spieksman fece una pausa, poi concluse: — La sentenza sarà eseguita appena la corte avrà rivisto e approvato la procedura, se l’approverà. La seduta è aggiornata. Tu, portalo fuori e chiudilo in cella.

L’ultima frase era diretta a me, ma in realtà non dovevo fare niente salvo telefonare alla tenda di guardia e farmi rilasciare una ricevuta quando l’avessi consegnato.

Alle sei, ora in cui si poteva marcare visita, il capitano Frankel mi congedò e mi spedì dal medico, il quale mi rispedì in servizio. Tornai alla mia compagnia in tempo per rivestirmi, prendere parte alla rivista ed… essere strapazzato da Zim per “macchie sull’uniforme”. Be’, anche lui aveva una bella macchia sul sopracciglio, ma io non feci commenti.

Qualcuno aveva rizzato un grosso palo sullo spiazzo dell’adunata, proprio dietro a dove stava l’aiutante.

Quando venne il momento in cui si pubblicavano i bollettini, invece del solito ordine del giorno o di altre sciocchezze venne affissa la sentenza della corte marziale.

Poi venne portato Hendrick, ammanettato fra due guardie armate.

Non avevo mai assistito a una fustigazione. Nella mia città, se c’era qualche fustigazione pubblica, veniva eseguita dietro il Palazzo federale, e papà mi aveva severamente proibito di assistervi. Una volta che avevo tentato di disobbedirgli, la fustigazione fu rinviata, e io non ci pensai più.

Una volta è più che sufficiente, comunque.

Le guardie fecero alzare le braccia a Hendrick e assicurarono le manette a un grosso uncino che sporgeva alla sommità del palo. Poi gli tolsero la camicia, una camicia speciale che sostituiva anche la maglia. L’aiutante ordinò, secco: — Venga eseguita la sentenza della corte.

Il caporale istruttore di un altro battaglione si fece avanti con la frusta in mano. Il sergente di guardia cominciò a contare.

Era un conteggio lento, cinque secondi tra una frustata e l’altra, ma sembravano molti di più.

Ted non emise un lamento fino alla terza sferzata, poi singhiozzò.

Tutto quello che ricordo dopo quel momento è che mi ritrovai a fissare il caporale Bronski. Lui mi stava schiaffeggiando, ma senza cattiveria. Poi smise di schiaffeggiarmi e s’informò: — Va meglio, ora? Bene, torna in fila. Scat-tare! Stiamo per essere passati in rivista.

Dopo la rivista tornammo a passo di marcia verso l’area della nostra compagnia. A cena non toccai quasi niente, ma neanche gli altri avevano appetito.

Nessuno accennò mai al mio svenimento. Scoprii in seguito che non ero stato l’unico: almeno una ventina di noi erano crollati a terra!

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