VI

Jane si accorse che qualcosa non andava per il suo verso. Non avrebbe potuto non accorgersene. Ma invece di fare domande fu particolarmente carina con lui, quella sera.

E Charlie, che era andato a trovarla con la ferma intenzione di raccontarle tutta la storia, sentì i suoi buoni propositi venir meno: come sempre capita ad un uomo che si trovi con la donna amata, quando le luci, in salotto, sono tenute basse.

Ma poi lei chiese: — Charles… tu mi vuoi proprio sposare, vero? Voglio dire che se, dentro di te, hai dei dubbi ed è questo che ti preoccupa, possiamo rimandare il matrimonio fino a quando non sarai sicuro di amarmi abbastanza…

Amarti? — Charlie era annichilito. — Ma via…

E glielo dimostrò in maniera piuttosto soddisfacente.

Tanto soddisfacente, a dir la verità, da dimenticarsi affatto della sua intenzione originaria di proporre lui stesso quel rinvio. Non certo comunque, per la ragione da lei suggerita. Tenendo Jane tra le braccia… be’, il povero ragazzo era solo un essere umano, dopo tutto.

Un uomo innamorato è un uomo ubriaco; e tu non puoi assolutamente prendertela con un ubriacone per quello che fa sotto l’influsso dell’alcool. D’accordo, puoi biasimarlo per essersi ubriacato; ma neanche questo puoi rinfacciare a un uomo innamorato. Con ogni probabilità non è per sua colpa che si è innamorato. Anzi, con ogni probabilità le sue primitive intenzioni erano rigorosamente disonorevoli; ma poi, quando queste intenzioni hanno incontrato resistenza, la sottile alchimia della sublimazione le ha tramutate nella sostanza di cui sono fatte le stelle.

Fu forse questa la ragione per cui, il giorno dopo, non andò da un alienista. Aveva un po’ paura di quello che uno psichiatra avrebbe potuto dirgli. Preso dallo scoraggiamento, decise di aspettare a vedere se gli succedeva qualche altra cosa.

Ma forse nient’altro sarebbe successo.

Esiste una confortante superstizione popolare secondo la quale le cose procedono a gruppi di tre; e tre cose erano già successe.

Certo, doveva essere così. D’ora in poi sarebbe stato benissimo. Dopo tutto, non c’era niente di fondamentalmente sbagliato in lui; non poteva esserci. Godeva di un’ottima salute: fatta eccezione per quel martedì, in due anni non aveva perso una sola giornata di lavoro alla tipografia.

E… be’, ormai era venerdì, mezzogiorno; per ben ventiquattro ore non era successo niente, e niente sarebbe più successo.

Niente, infatti, capitò il venerdì; senonché Charlie lesse qualcosa che lo costrinse brutalmente ad uscire da quello stato di precario compiacimento.

Si trattava di un resoconto sul giornale.

Al ristorante si era seduto ad un tavolo su cui uno degli avventori che lo avevano preceduto aveva lasciato un giornale del mattino. Charlie lo sfogliò mentre aspettava che venissero a prendere la sua ordinazione. Aveva già dato una scorsa alla prima pagina quando era arrivata la cameriera. Guardò i fumetti mentre mangiava la minestra, poi, meccanicamente, passò alla pagina locale.


custode del museo sospeso dal servizio

Il conservatore ordina un’inchiesta


Mentre leggeva, il punto freddo alla bocca dello stomaco diventava sempre più grande e più freddo: eccola lì — la cosa — nero su bianco.

L’anitra selvatica era stata davvero nella bacheca, e nessuno riusciva a capire come fosse stata messa là dentro. Si era dovuto smontare il tutto per poter tirare fuori l’animale, e sulla bacheca — stuccata a tenuta d’aria per impedire alla polvere di entrare — non c’erano segni che indicassero una precedente manomissione: lo stucco era intatto.

A un guardiano, per ragioni che non risultavano molto chiare dall’articolo, erano stati dati tre giorni di sospensione. Dal modo in cui la storia veniva riferita si poteva dedurre che il conservatore del museo aveva sentito la necessità di fare qualche cosa al riguardo.

Dalla bacheca non mancava niente di qualche valore. Dopo la faccenda non si era più trovata una moneta cinese d’argento con un buco nel mezzo — un haikwan tael — la quale però, non valeva molto. Si pensava che fosse stata rubata da uno degli operai che avevano smontato la bacheca, o che fosse stata buttata via accidentalmente insieme ai frammenti del vecchio stucco.

Il cronista, che raccontava la cosa in tono umoristico, avanzava l’ipotesi che, probabilmente per via di quel buco, l’anitra aveva scambiato la moneta per una ciambella e se l’era mangiata. Concludeva dicendo che la miglior vendetta da parte del conservatore sarebbe stata quella di mangiarsi l’anitra.

Avevano chiamato la polizia, la quale però sembrava propensa a considerare l’intera faccenda come un tiro mancino — da chi e come giocato, non lo sapeva.

Charlie posò il giornale e rimase a guardare, fisso e cupo, nel vuoto.

Ma allora, non si era trattato di una doppia allucinazione, di un suo immaginare sia l’anitra che il custode. Soltanto ora che gli veniva dimostrata l’infondatezza di una simile ipotesi, Charlie capì quanto intensamente avesse contato su questa possibilità.

Adesso era di nuovo al punto di partenza.

A meno che…

No, era assurdo. Naturalmente, in teoria, anche l’articolo che aveva appena letto poteva essere un’allucinazione, ma… No, questo era un po’ troppo da mandar giù. Secondo un tal modo di ragionare, se fosse andato al museo a parlare con il conservatore, il conservatore stesso sarebbe stato un’allucin…

— La sua anitra, signore.

Charlie sobbalzò: per poco non cadde dalla sedia.

Poi vide la cameriera ritta accanto al tavolo, con un piatto in mano e si rese conto che la ragazza aveva parlato perché lui aveva spiegato il giornale sulla tovaglia e non c’era posto per mettergli davanti la pietanza.

— Non ha ordinato l’anitra arrosto, signore? Io…

Charlie si alzò in fretta, distogliendo gli occhi dal piatto.

— Scusi, — disse, — ho… ho… una telefonata da fare. — Porse alla sbalordita cameriera un biglietto da un dollaro ed uscì a grandi passi. Aveva ordinato veramente… Non proprio; aveva detto di volere la specialità della casa.

Mangiare anitra? Piuttosto avrebbe mangiato… no, neanche lombrichi fritti. Rabbrividì.

Tornò di corsa in ufficio, nonostante la mezz’ora di anticipo e si sentì meglio una volta entrato tra le quattro rassicuranti mura della Società Tipografica Hapworth. Non gli era capitato niente di straordinario, là dentro.

Non ancora.

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