XIX

Aveva proprio un’aria simpaticamente famigliare, quell’ufficio così simile a quello di Charlie alla Società Tipografica Hapworth. Dietro alla traballante scrivania di legno, ingombra di carte, sedeva un piccolo capo compositore, calvo, con le mani macchiate d’inchiostro tipografico e uno sballo nero sulla fronte. Al di là della porta chiusa rombavano con secco rumore assordante le macchine compositrici e stampatrici.

— Certo, — disse Charlie. — Si presuppone che siano perfetti, questi macchinari; tanto perfetti che voi non avete nemmeno bisogno dei correttori di bozze. Ma forse, una volta tanto su tutta l’infinità, può succedere qualcosa alla perfezione, non è vero? Matematicamente, una volta tanto sull’infinità, qualsiasi cosa può succedere. Mi ascolti: per ogni persona esiste una compositrice individuale, e relativo operatore per le registrazioni; è cosi, vero?

Il capo compositore annuì. — Esatto, anche se, in certo qual modo, l’operatore e la macchina sono una cosa sola, in quanto l’operatore è una funzione della macchina e la macchina una manifestazione dell’operatore ed entrambi sono estensioni dell’ego di… Ma immagino che questo sia un po’ troppo complicato da capire, per te.

— Sì, io… be’, comunque, i canali in cui scivolano le matrici devono essere spaventosamente grandi. Con le nostre linotype, giù alla Società Tipografica Hapworth, una matrice della e impiegherebbe sessanta secondi circa per compiere un giro; e se fosse difettosa provocherebbe un errore al minuto. Ma quassù… Be’, è giusto il mio calcolo di cinquantun ore e dieci minuti?

— Lo è, — acconsentì il capo compositore. — E dal momento che non c’è altro modo per cui avresti potuto scoprire questo fatto, se non…

— Precisamente. E una volta ogni tanto, quando l’operatore batte il tasto della e, è proprio la matrice difettosa, che ha compiuto il suo giro, a cadere. Probabilmente le orecchie di questa matrice sono consumate; fatto sta che la matrice scivola nella parte anteriore del lungo distributore, ma cade troppo velocemente finendo prima del suo posto giusto all’interno della parola. È cosi che si verifica l’errore tipografico. Come l’altra settimana, domenica, quando tutto faceva supporre che io stessi tirando su un angleworm (“lombrico”), e…

— Aspetta.

Il capo compositore premette un cicalino e trasmise un ordine.

Un istante dopo un pesante volume veniva deposto sulla sua scrivania. Prima che il capo compositore lo aprisse, Charlie riuscì a scorgere il suo nome sulla copertina.

— Hai detto alle cinque e quindici della mattina?

Charlie annuì. Un fruscio di pagine.

— Che io sia… benedetto! — esclamò il capo compositore. — Angelworm (“verme angelico”)! Deve essere stato uno spettacolo da non perdere. Che io ricordi, mai sentito parlare di un angelworm prima d’ora. E la volta dopo?

— La e è scivolata al posto sbagliato nella parola hate… Stavo inseguendo un carrettiere che picchiava un cavallo, e… Be’, è saltato fuori heat (“calore”) al posto di hate (“odio”). Questa volta la e è caduta due caratteri prima. Ed io ho avuto un collasso per calore, con relativa scottatura di sole, in un giorno di pioggia. È successo martedì alle otto e venticinque; giovedì, poi, alle undici e trentacinque, al museo…

— Sì? — incitò il capo compositore.

— Un tael. Era presumibile che io stessi guardando una moneta cinese d’argento. È saltato fuori teal, invece, e poiché un teal è un’anitra, c’era un’anitra selvatica che starnazzava nella bacheca ermeticamente chiusa. Uno dei custodi ha avuto delle grane; spero che lei possa sistemare la cosa.

Il capo compositore ridacchiò. — Certo, — disse. — Mi sarebbe piaciuto vedere quell’anitra. La volta dopo deve essere stata sabato pomeriggio, alle due e quarantacinque, vero? Che cosa è successo, allora?

Lei invece di lie, signore. La mia palla da golf era finita dietro un albero, in quella che, presumibilmente, avrebbe dovuto essere una misera lie (“posizione”), e che era, invece, una misera lei: alcuni fiori appassiti, e male assortiti, su un cordino purpureo. L’episodio successivo è stato il più difficile da interpretare, anche quando possedevo ormai la chiave del rebus. Avevo un appuntamento alla gioielleria per le cinque e cinquantacinque. Che era purtroppo l’ora fatidica. Ci sono arrivato in effetti, alle cinque e cinquantacinque, ma stavolta la matrice della e è scivolata fuori posto di quattro caratteri, andando a cadere proprio all’inizio della parola, e invece di getting there (“arrivare là”), ho got ether (“preso dell’etere”).

— Oh, oh. Circostanza davvero sfortunata, questa. E la seguente?

— Con la seguente è successo proprio il contrario, signore. Perché si dà il caso che l’errore mi abbia salvato la vita. Per alcuni istanti non sono più stato nel pieno possesso delle mie facoltà mentali e ho cercato di uccidermi ingoiando della lye (“liscivia”). Ma la e guasta è slittata in lye ed è saltato fuori ley, che è una monetina rumena di rame. La conservo ancora, per ricordo. È stato infatti scoprendo il nome della moneta che ho indovinato la risposta e ho avuto la chiave per risolvere anche gli altri casi.

Il capo compositore si mise di nuovo a ridacchiare. — Hai dimostrato di essere un uomo dalle molte risorse, — disse. — Quanto al tuo metodo di arrivare fin qui a raccontarci tutta la faccenda…

— Questo è stato facile, signore. Se calcolavo i tempi in modo da entrare in Haveen al momento giusto, mi si offriva una doppia possibilità. Se fosse risultato che una qualsiasi delle due e di quella parola era la lettera guasta (che sarebbe quindi caduta — come ha poi fatto — troppo in anticipo), io sarei entrato in Heaven (“Cielo”).

— Decisamente ingegnoso. Per inciso, considera pure già corretti tutti quegli errori. Abbiamo provveduto a farlo mentre tu mi raccontavi. Tranne che per l’ultimo, naturalmente. Altrimenti, non saresti ancora qui. Quanto alla matrice difettosa, è stata rimossa dal canale.

— Intende dire che per quello che ne può sapere la gente di giù, nessuna di queste cose è mai…

— Precisamente. È ora in corso di stampa un’edizione riveduta e corretta e nessuno, sulla Terra, avrà una qualche reminiscenza di uno qualunque di questi eventi. Non sono mai avvenuti, in un certo senso. Voglio dire, sono avvenuti, ma sicuramente non ai fini pratici, ora. Quando ti faremo ritornare sulla Terra, vi troverai uno statu quo, proprio come si sarebbe avuto se non si fossero verificati quegli errori tipografici.

— Intende dire, per esempio, che Pete Johnson non si ricorderà dei miei racconti sul lombrico, che non ci sarà nessun segno della mia degenza all’ospedale, che…?

— Precisamente. Gli errori sono stati corretti.

Fiiiuuu! — fece Charlie. — Sarò… voglio dire, non dovrei essermi sposato mercoledì pomeriggio, due giorni fa? Almeno, era quanto si supponeva. Be’… lo sarò? Voglio dire, lo ero? Voglio dire…

Consultato un altro volume, il capo compositore annuì. — Sì, alle due di mercoledì pomeriggio. Con una certa Jane Pemberton. Se noi, adesso, ti facciamo ritornare sulla Terra proprio all’ora in cui l’hai lasciata, cioè alle dodici e quindici di sabato mattina, ti ritroverai in piena luna di miele, a Miami. Anzi, in quel preciso momento sarai in un taxi, in viaggio…

— Sì, ma… — Charlie deglutì.

— Ma cosa? — Il capo compositore sembrava sorpreso. — Ritenevo per certo che fosse quello che volevi, Wills. Ti siamo debitori di un grosso favore, noi, per aver messo in opera tanta ingegnosità nel richiamare alla nostra attenzione quegli errori tipografici. Ma ritenevo che l’essere sposato con Jane fosse quello che volevi, e se, tornato indietro, ti fossi ritrovato…

— Sì, ma… — ripeté Charlie. — Ma… voglio dire… Insomma, sarò sposato da due giorni. Perderò… voglio dire, non potrei…

Il capo compositore, tutto a un tratto, sorrise.

— Che stupido sono! — disse. — Ma naturalmente! Bene, l’ora non ha nessunissima importanza. Ti possiamo lasciar cadere in un punto qualsiasi della continuità spazio-tempo. Posso, altrettanto agevolmente, farti ritornare alle due di mercoledì pomeriggio, al momento della cerimonia. O anche, immediatamente prima, mercoledì mattina. Ad un’ora qualsiasi, insomma.

— Be’, — fece Charlie, esitante. — Non è precisamente che sentirei la mancanza della cerimonia nuziale. Voglio dire, ricevimenti, e cose del genere, non mi vanno a genio; dovrei starmene seduto per tutto un lunghissimo pranzo di nozze ad ascoltare brindisi, discorsi e… Be’, voglio dire. Io…

Il capo compositore si mise a ridere. — Sei pronto? — disse.

— Lo sono… Sicuro!


Le ruote del treno in corsa crepitavano sulle rotaie. Su nel cielo, al disopra della piattaforma panoramica, brillavano la luna e le stelle.

Tra le sue braccia, Jane, sua moglie (ed era mercoledì sera), la bellissima, splendida, dolce, affettuosa, tenera — tutta da baciare e da amare — Jane…

Lei gli si strinse ancora più vicino. — Sono… — stava sussurrando lui, — sono le undici, tesoro. Se ce ne…

Le loro labbra si congiunsero.

Poi, mano nella mano, Charlie e Jane si incamminarono lungo il treno oscillante. La mano di lui girò il pomolo della porta dello scompartimento riservato e mentre l’uscio si schiudeva lentamente Charlie sollevò Jane per portarla al di là della soglia.

Загрузка...