XVI

Si svegliò, la mattina del giovedì, da un sonno senza sogni, straordinariamente riposato e, stranamente, allegrissimo.

Con tutta probabilità proprio perché in quella spaventosa attesa di trentacinque minuti sperimentata la sera prima aveva toccato il fondo. E ne era rimbalzato via.

Probabilmente uno psichiatra avrebbe spiegato il fenomeno dicendo che Charlie Wills, sopraffatto da una grande emozione, aveva subìto una lesione temporanea ed era caduto in uno stato di pseudoalienazione maniaco-depressiva. Ma agli psichiatri piace complicare le cose semplici.

Il fatto era che, per alcuni minuti, il povero ragazzo aveva perso il bene dell’intelletto.

Poi l’assurdo anticlimax creato dalla monetina di rame aveva costituito il punto di svolta: ti aspetti qualche cosa di orribile, di innominabile… e ti trovi con una monetina di rame. Un trattamento profilattico, in pratica — se dentro di te hai la stoffa per riderne.

E Charlie aveva riso, la notte scorsa. Probabilmente era quello il motivo per cui la sua stanza, alla mattina, gli sembrò essere un’altra stanza. La finestra si apriva in una parete diversa ed era munita di sbarre. Spesso gli psichiatri danno un’interpretazione sbagliata a ciò che è senso dell’umorismo.

Quella mattina, comunque, Charlie si sentiva sufficientemente allegro per trascurare le implicazioni logiche delle finestre sbarrate. Era spuntato un nuovo giorno, luminoso, con il sole che fluiva attraverso le sbarre; un altro giorno; lui era ancora vivo e gli si offriva un’altra possibilità.

Sapeva — ed era la cosa più importante — di non essere pazzo.

A meno che…

Si guardò intorno: eccoli lì i suoi vestiti, appesi allo schienale di una sedia. Si tirò su a sedere, mise le gambe fuori dal letto e allungò la mano verso la tasca della giacca. Voleva vedere se la moneta era ancora dove l’aveva messa quando l’avevano acciuffato.

C’era.

Allora…

Si vestì lentamente, soprappensiero.

Adesso, alla luce del sole, cominciò a pensare che il problema poteva essere risolto. Sei — ce n’erano sei, ora — sei vicende pazzesche; che erano, però, senz’altro in relazione tra loro. Lo provava la periodicità.

Due giorni, tre ore, dieci minuti.

E poi, qualunque fosse la risposta, non era ostile, il fenomeno. Impersonale, piuttosto. Se avesse voluto uccidere, ne aveva avuto la possibilità la notte scorsa; sarebbe bastato escogitare qualcosa di diverso dalla liscivia nel pacchetto. C’era della liscivia nella scatola quando l’aveva presa in mano; lo poteva affermare dal peso. Ma poi erano scoccate le nove e cinque e al posto della liscivia c’era stata una monetina di rame.

Neanche amico, era però il fenomeno; altrimenti non l’avrebbe sottoposto al calore e all’anestesia. Doveva essere qualcosa di impersonale.

Una moneta invece della liscivia.

Erano tutte sostituzioni di una cosa con un’altra?

Ehm. Una lei invece di una palla da golf. Una moneta invece della liscivia. Un’anitra invece di una moneta. Ma il calore? L’etere? Il lombrico?

Andò alla finestra, soffermandosi a guardare fuori — la calda luce del sole inondava il prato verde — e si rese conto di come fosse piacevole la vita; di come avrebbe ancora potuto assaporarsela, se affrontava la faccenda con animo tranquillo senza lasciarsi abbattere di nuovo.

Il primo indizio era già in suo possesso.

Periodicità.

Affrontala con calma, la faccenda; pensa ad altre cose. Distogli la mente da quel carosello e forse la risposta arriverà.

Si sedette sul bordo del letto frugandosi in tasca in cerca della matita e del taccuino: erano ancora lì, insieme al pezzo di carta su cui aveva calcolato i tempi. Esaminò i suoi calcoli con attenzione.

Con calma.

Poi, annotò in fondo all’elenco “9,05”, aggiunse la parola “liscivia” e una lineetta. La liscivia si era trasformata in… che cosa? Segnò una parentesi, poi incominciò a tracciare parole che si potessero usare per indicare la moneta: moneta — soldo — danaro. Ma erano nomi generici. Doveva pur esserci un termine specifico per quella cosa.

Forse…

Premette il pulsante che avrebbe acceso la lampadina fuori dalla sua porta; un istante dopo sentì la chiave girare nella toppa e l’uscio si aprì. Era un inserviente, questa volta.

Charlie gli sorrise. — Giorno, — disse. — Servite la colazione qui, o mangio il materasso?

L’inserviente manifestò con una smorfia un certo sollievo. — Sicuro. La colazione è pronta; gliela porto.

— E…

— Sì?

— C’è qualcosa che vorrei cercare, — disse Charlie. — Ci sarebbe da qualche parte, a portata di mano, un dizionario in edizione non ridotta? E se c’è, sarebbe chiederle troppo di lasciarmelo vedere per alcuni istanti?

— Be’… Immagino che non ci sia niente in contrario. Ce n’è uno giù in ufficio e non lo usano molto spesso.

— Benissimo. Grazie.

Però, la chiave girò nella toppa quando l’uomo uscì.

La colazione giunse una mezz’ora più tardi, ma il dizionario non arrivò che a metà mattina. Charlie si chiese se ci fosse stata una riunione del personale medico dirigente per discuterne le possibilità letali. Comunque, il dizionario arrivò.

Charlie aspettò che l’inserviente se ne fosse andato, poi mise il grosso volume sul letto e lo aperse alla pagina con la tavola a colori riproducente le monete del mondo. Si tolse di tasca la moneta di rame, la mise vicino alla tavola illustrata e incominciò a confrontarla con le immagini, particolarmente con quelle delle monete dei paesi balcanici. No, niente di simile, tra le monete di rame. Cerchiamo tra quelle d’argento. Sì, c’era una moneta d’argento con sopra la stessa effigie. Una moneta rumena. La dicitura… sì, era la stessa, identica dicitura. Non così la denominazione.

Charlie ricorse allora alla tavola numismatica e sotto Romania…

Rimase senza fiato.

Non poteva essere.

Eppure lo era.

Possibile che le sei vicende successegli potessero essere state…?

Aveva il respiro grosso per l’eccitazione mentre passava alle illustrazioni in fondo al dizionario. Trovate le pagine sugli uccelli, incominciò a cercare tra le anitre. Petto screziato, collo corto, una striscia più scura che partiva proprio sopra l’occhio…

Capì di aver trovato la risposta.

Aveva trovato il coefficiente, che, in aggiunta a quello della periodicità, metteva in relazione tra loro i fatti accadutigli. Se anche questo fattore era applicabile negli altri casi, poteva esserne sicuro. Il lombrico? Certo, e sogghignò all’idea. L’ondata di calore? Ovvio. La faccenda al campo di golf? Era più ostica, questa; ma, pensandoci su un po’, riuscì a venirne a capo.

L’affare dell’etere lo sconcertò parecchio. Gli ci volle un bel po’ di passi avanti e indietro per risolvere il caso, ma alla fine ci riuscì.

E allora? Che cosa poteva fare in proposito?

Periodicità? Sì, concordava. Se…

La volta prossima sarebbe stata… ehm… alle 12,15 del sabato. Si sedette a riflettere. L’intera faccenda era assolutamente incredibile. La risposta era più dura da ingoiare dello stesso problema.

Ma… tutto quanto concordava. Sei coincidenze, scaglionate nel tempo ad intervalli regolari?

Benissimo, dunque, dimentica quanto sia incredibile e cerca di fare qualcosa. Come intendi riuscire a farglielo sapere, a quelli?

Beh, forse sfruttando il fenomeno stesso?

Il dizionario era ancora lì e Charlie, ripresolo in mano, cominciò a cercare nella sezione geografica. Sotto la “H”…

Fiiiuuu! — C’era un luogo che gli offriva una doppia possibilità. E a meno di centosettanta chilometri di distanza.

Se fosse riuscito ad andarsene da lì…

Suonò il campanello e arrivò l’inserviente. — Finito col dizionario, — gli comunicò Charlie. — E senta, potrei parlare col dottore che si occupa del mio caso?

Risultò che chi se ne occupava era tuttora il dottor Palmer, il quale stava proprio venendo da lui.

Il dottore strinse la mano a Charlie e gli sorrise. Era un buon segno, o no?

Beh, se adesso fosse riuscito a mentire in maniera abbastanza convincente…

— Dottore, mi sento in ottima forma, stamattina, — disse Charlie. — Senta… Mi sono ricordato di qualche cosa di cui vorrei parlarle. Qualche cosa che mi è capitato domenica, un paio di giorni prima che io fossi portato in ospedale la prima volta.

— Di che si tratta, Charles?

— Sono andato davvero a nuotare, e questo spiega la scottatura di sole che doveva manifestarsi martedì mattina; forse spiega anche alcune altre cose. Mi ero fatto prestare la macchina da Pete Johson… — Sarebbero andati a controllare? Forse no. — … e mi sono perso lungo la strada; ho trovato un bel laghetto, mi sono spogliato e mi ci sono buttato dentro. Adesso mi viene in mente che mi sono tuffato dalla riva: penso di aver strusciato la testa su una roccia perché la cosa successiva che ricordo è che ero ritornato in città.

— Ehm, — fece il dottor Palmer. — Così questo spiega la scottatura di sole, e forse può anche spiegare…

— Buffo che mi sia ritornato in mente soltanto questa mattina, quando mi sono svegliato, — disse Charlie. — Suppongo…

— L’ho detto, a quegli scemi, — disse il dottor Palmer, — che non poteva esserci relazione alcuna tra la scottatura di terzo grado e il tuo svenimento. C’era, naturalmente, in un certo senso. Voglio dire che l’aver battuto la testa, mentre nuotavi, spiegherebbe… Charles, sono proprio contento che ti sia tornato in mente. Almeno adesso conosciamo la causa del tuo comportamento, e possiamo curarla. Forse, in effetti, sei già guarito.

— Penso di sì, dottore. Mi sento proprio bene, adesso. Come se mi fossi appena svegliato da un incubo. Suppongo di essermi reso ridicolo in un paio di casi. Ricordo vagamente di aver comprato dell’etere, una volta, e poi, qualche cosa a proposito di liscivia… Ma sono come impressioni di cose avvenute in sogno. Ora la mia mente è limpida come l’acqua. È come se, stamattina, fosse scoppiato qualcosa. Dopo, sono stato di nuovo bene.

Il dottor Palmer sospirò. — Mi sento proprio sollevato, Charles. In tutta sincerità, ci hai davvero preoccupato. Naturalmente, dovrò parlare della cosa con gli altri medici e dovremo farti una visita piuttosto accurata, ma penso…

Arrivarono gli altri dottori, fecero delle domande, esaminarono il suo cranio… ma qualsiasi lesione avesse provocato la roccia sembrava essersi rimarginata. Loro, comunque, non riuscirono a trovarla.

Se non fosse stato per il tentativo di suicidio della sera prima, Charlie se ne sarebbe potuto andare dall’ospedale seduta stante. Ma per tale ragione i medici insistettero perché rimanesse sotto osservazione per altre ventiquattro ore. Charlie acconsenti: questo significava essere fuori venerdì pomeriggio ad ora imprecisata; la cosa non sarebbe successa prima delle 12,15 di sabato.

C’era tempo in abbondanza per un percorso di centosettanta chilometri.

Doveva solo controllare, nel frattempo, ogni parola e ogni gesto, evitando modi di parlare e di comportarsi che uno psichiatra potesse interpretare…

Si diede all’ozio e al riposo.

Alle cinque di venerdì pomeriggio tutto andava per il meglio:

Charlie strinse la mano a varia gente e fu di nuovo un uomo libero. Aveva promesso di passare regolarmente dal dottor Palmer per alcune settimane.

Ma era libero.

Загрузка...