V

Ora di colazione: Charlie stava decisamente entrando in uno stato di panico. La mano gli tremava tanto che riuscì a malapena a sollevare la tazza del caffè senza schizzarne il contenuto tutto attorno.

Un pensiero orribile si stava facendo strada nella sua mente. Se c’era qualche cosa in lui che non andava, era leale nei confronti di Jane Pemberton far finta di niente e sposarla? È giusto legare una ragazza che si ama a un marito al quale può capitare di andare a prendere una bottiglia di latte nella ghiacciaia e trovare… Dio sa che cosa?

E lui era profondamente, follemente innamorato di Jane.

Se ne stava lì, seduto, davanti a un panino ancora intatto, ora speranzoso, ora disperato, a cercare di trovare un senso alle tre cose che gli erano successe durante la scorsa settimana.

Allucinazione?

Ma anche il custode aveva visto l’anitra!

Che sollievo era stato — gli sembrava adesso — aver potuto dire a se stesso, dopo aver visto il lombrico angelico, che si era trattato di un’allucinazione.

Ma, un momento. Forse…

Non poteva darsi che anche il custode del museo facesse parte insieme all’anitra della stessa allucinazione? Ammesso che lui, Charlie, potesse aver visto un’anitra che non c’era, non poteva aver incluso nella stessa categoria anche un custode di museo che dichiarava di vedere l’anitra? Perché no? Un’anitra e un custode che vede l’anitra: l’associazione dei due poteva essere illusoria tanto quanto l’anitra da sola.

Charlie si sentì così incoraggiato da dare un morso al panino. Ma la scottatura? Di chi era l’allucinazione, quella volta? Oppure, esisteva un tipo di naturale indisposizione fisica capace di provocare un’improvvisa dermatosi, del tutto simile ad una blanda scottatura di sole? Ma se esisteva una cosa del genere, evidentemente il dottor Palmer non ne era a conoscenza.

Ad un tratto Charlie posò gli occhi sull’orologio appeso al muro. Era l’una: per poco il boccone di pane non gli andò di traverso, quando si rese conto di essere in ritardo di oltre mezz’ora e di essere rimasto seduto nel ristorante per quasi un’ora.

Si alzò e ritornò di corsa in ufficio.

Ma tutto andava nel migliore dei modi: il vecchio Hapworth non c’era e il testo urgente era arrivato, in ritardo, insieme a lui. Emise un «fiuu» di sollievo per essersela cavata di stretta misura e si concentrò tutto a mettere in macchina la circolare. In gran fretta portò il testo ai linotipisti, corresse le bozze lui stesso e segui l’impaginazione da sopra la spalla del compositore. Stava scocciando e se ne rendeva conto; ma cosi, almeno, era riuscito a far passare il pomeriggio.

E intanto pensava: «Soltanto un’altra giornata di lavoro, dopo oggi; poi la mia vacanza e mercoledì…»

Mercoledì, il matrimonio.

Ma…

Se…

La Peste, in camice verde, uscì dalla stanza dei correttori di bozze e lo guardò. — Charlie, — disse, — hai l’aspetto di un qualche cosa che nemmeno un gatto con un certo amor proprio vorrebbe toccare. Di’, cosa c’è che non va? Parla.

— Uh… niente. Ascolta, Paula, quanto torni a casa vuoi dire a Jane che forse farò un po’ tardi stasera? Devo restarmene qui fino a quando questi volantini non sono stampati.

— Certo, Charlie. Ma dimmi…

— Niente. Fila via, per piacere. Ho da fare.

Paula alzò le spalle e ritornò nel suo ufficio.

Il meccanico batté sulla spalla di Charlie. — Senta, abbiamo quel nuovo impianto Linotype. Vuole darci un’occhiata?

Charlie annuì e gli andò dietro. Ispezionata l’installazione, s’infilò nella sedia dell’operatore di fronte alla macchina. — Come va?

— Liscia come l’olio. Questi modelli della Blue Streak sono un gioiello. La provi.

Charlie lasciò correre le dita sui tasti senza badare alle parole che ne uscivano. Lasciò che si componessero tre righe nello stampo, poi tolse i blocchi dal compositore. E scoprì di aver scritto: «Poiché gli uomini sono morti e i vermi li hanno mangiati ed ascende al Cielo dove siede alla destra…»

— Uhu! — disse Charlie. Quelle parole gli avevano ricordato…

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