LA TERZA FATICA OVVERO I DRAGHI DELLA PROBABILITA’

Trurl e Klapaucius erano stati allievi del grande Cerebron di Umptor, che per quarantasette anni, nella Scuola di Nullità Nientica Superiore, aveva insegnato Teoria Generale della Draconicità.

Tutti sanno che i draghi (lat. «dràco, — ònis», da cui «draconicità») non esistono. Tuttavia, se da un lato questa affermazione semplicistica può accontentare il profano, dall’altro non è certo sufficiente ad appagare una mente scientifica. La Scuola di Nullità Nientica Superiore, anzi, a dire il vero, non si era mai occupata di ciò che esisteva, e, difatti, l’esistenza, fenomeno banale e quotidiano, è stata dimostrata così ampiamente che non c’è bisogno di spendere altre parole su di essa nella presente sede.

Il brillante Cerebron, affrontando analiticamente il problema, aveva individuato tre diversi tipi di drago; il mitico, il chimerico e il puramente ipotetico. Tutt’e tre, si potrebbe dire, erano inesistenti, ma ciascuno di essi inesisteva in modo completamente diverso dagli altri.

Inoltre c’erano i draghi immaginari, e gli a-draghi, gli anti-draghi e i draghi con segno meno (colloquialmente chiamati dagli specialisti draghinò, draghinòn, draghimenni), e il più interessante di tutti era il dragomenno, perché dava origine a un noto paradosso dracologico: quando due draghimenni erano ipercontigui (operazione dell’algebra draconica che corrisponde alla normale moltiplicazione) il prodotto era zero virgola sei draghi, un vero rebus.

Tra gli esperti infuriava a questo proposito una vecchia polemica, perché metà di loro affermava che la bestia frazionaria iniziava dalla testa e terminava a quattro decimi dall’estremità della coda, mentre l’altra metà, naturalmente, sosteneva che iniziava dalla coda e risaliva verso la testa.

Ai loro tempi, Trurl e Klapaucius avevano dato un notevole contributo alla disciplina draconologica evidenziando gli errori di entrambe le posizioni. I Nostri erano stati i primi a introdurre in quest’area la teoria delle probabilità e, così facendo, avevano creato lo studio della draconicità statistica, nel quale si afferma che i draghi sono termodinamicamente impossibili soltanto in senso probabilistico, come gli elfi, le fate, gli gnomi, le streghe, i folletti e via discorrendo.

Risolvendo l’equazione generale dell’improbabilità, i due costruttori avevano ricavato i coefficienti dell’elficità, della follettizzazione, della cobolderia eccetera. E avevano scoperto che per avere la comparsa spontanea di un singolo drago medio occorreva aspettare sedici quintoquadrilioni di eptilioni di anni. In sostanza, l’intero problema sarebbe rimasto una curiosità matematica accademica se non si fosse messa di mezzo la famosa passione per gli esperimenti di Trurl, il quale decise di affrontare empiricamente il problema dell’inesistenza fenomenica dei draghi.

Per prima cosa, giacché si occupava dell’altamente improbabile, Trurl inventò un amplificatore di probabilità e cominciò a svolgere esperimenti nella propria cantina, passando poi nel Campo Dracogenico di Prova gestito e finanziato dall’Accademia.

Ancor oggi, molti di coloro che (purtroppo) non conoscono la Teoria Generale dell’improbabilità si chiedono perché Trurl abbia probabilizzato un drago e non un elfo o un orco. La risposta è semplicemente che i draghi, in primo luogo, hanno una probabilità superiore a quella degli elfi e degli orchi.

In verità, Trurl avrebbe potuto spingere ancora più avanti i suoi esperimenti di amplificazione, se il primo non fosse stato assai scoraggiante, in quanto il drago, mentre si materializzava, aveva cercato di mangiarselo. Fortunatamente, Klapaucius era vicino e aveva subito abbassato il livello di probabilità, cosicché il mostro era sparito.

Molti altri studiosi, in seguito, ripeterono l’esperimento su un fantasmatrone, ma non disponendo del «know-how» e del «Bang froid» necessari, una certa quantità di draghi si diede alla macchia, con conseguenti sgradevoli perturbazioni. Solo allora divenne chiaro che l’esistenza di cui godevano quelle orride bestie era assai diversa da quella dei normali oggetti di tutti i giorni, come gli armadi, i tavoli e le sedie, perché i draghi sono caratterizzati dalla loro probabilità anziché dalla loro attualità, anche se, naturalmente, tale probabilità diventa massima quando sono effettivamente in esistenza.

Supponiamo per esempio che qualcuno organizzi una caccia a un simile drago, lo circondi e, battendo i cespugli, gli si faccia sempre più vicino. Tuttavia, il cerchio di cacciatori, imbracciate le armi, il colpo in canna e il cane del fucile sollevato, al momento in cui si chiuderà, troverà solo un fazzoletto di terra bruciata e un odore inconfondibile: il drago, nel vedersi messo alle corde, è passato dallo spazio reale a quello configurazionale.

Trattandosi di una bestia brutale e del tutto ottusa, il drago esegue il passaggio in modo istintivo, naturalmente. Ora, di tanto in tanto, salterà fuori qualche persona arretrata e tarda di comprendonio che vi domanderà di mostrarle lo spazio configurazionale di cui parlate tanto, senza evidentemente rendersi conto che anche gli elettroni — della cui esistenza nessuna persona sana di mente si sognerebbe mai di dubitare — si muovono esclusivamente nello spazio delle configurazioni e che la loro comparsa e scomparsa dipendono solo da curve di probabilità. Anche se per altre persone — come gli sfortunati abitanti dei pianeti ad alta probabilità draconologica — era forse più difficile credere negli elettroni che nei draghi: gli elettroni, almeno presi singolarmente, non cercavano di inghiottirli in un boccone.

Un collega di Trurl, un certo Arboriziano Cyber, fu il primo a quantizzare i draghi, scoprendo la particella nota come dracotrone, la cui energia si misurava — ovviamente — in unità draconiche con un dracometro, e riuscì a determinare anche le coordinate della sua coda, cosa che rischiò di pagare con la vita. Tuttavia, che importanza potevano avere questi risultati scientifici per la gente comune, che soffriva acerbamente la barbarie dei draghi che scorrazzavano per la campagna, riempiendo l’aria di grida, di fiamme, di passi pesanti, che giungevano talvolta, in alcuni luoghi, a pretendere un tributo sotto forma di giovani vergini?

Che rilievo poteva avere, per i poveri villici, il fatto che i draghi di Trurl, indeterministici e di conseguenza euristici, si comportassero in modo esattamente conforme alla teoria — anche se contrario a ogni decenza — o che la sua teoria riuscisse a prevedere la forma della coda che demoliva le loro stalle e distruggeva le loro colture?

Non c’è da meravigliarsi, dunque, che il vasto pubblico, lungi dall’apprezzare il valore dell’invenzione di Trurl — di per sé davvero rivoluzionaria — fosse incavolatissimo con lui, come quando un gruppo di individui del tutto oscurantisti in questioni di scienza tese un agguato al famoso costruttore e gli diede un sacco di legnate.

Non che questo e simili episodi finissero per avere un effetto deterrente su di lui e sull’amico Klapaucius e li spingessero a rinunciare a ulteriori esperimenti: nel prosieguo del loro lavoro, i Nostri poterono scoprire che la durata dell’esistenza di un drago dipendeva soprattutto dal suo capriccio, oltre che dal suo grado di sazietà, e che l’unico metodo certo per annullarlo era quello di abbassarne la probabilità a zero o a valori ancor inferiori.

Tutte queste ricerche, naturalmente, richiesero molto tempo e molta energia; intanto, i draghi che erano fuggiti dominavano incontrastati e distruggevano una grande quantità di pianeti e di satelliti. E — quel che era peggio — si moltiplicavano.

Questo permise a Klapaucius di pubblicare un eccellente articolo intitolato: «Trasformate covarianti da drago a dragonessa, nel caso particolare di passaggio da stati proibiti dalle leggi fisiche a stati proibiti delle leggi penali».

L’articolo fece sensazione nel mondo scientifico, dove si parlava ancora della stupefacente bestia poli-poliziesca impiegata dagli intrepidi costruttori contro Re Krool per vendicare la morte di tanti colleghi.

Ma assai superiore fu la sensazione causata dalla notizia che un certo costruttore, noto come Basilisco il Gorgoniano, viaggiando per la Galassia, faceva evidentemente comparire i draghi con la sua sola presenza, e in luoghi dove non se n’era mai visto uno prima di allora.

Quando la situazione era disperata e la catastrofe pareva imminente, si presentava questo Basilisco, chiedeva di essere ricevuto dal sovrano di quella particolare regione, e — pattuita una parcella spropositata dopo parecchie ore di contrattazione — si incaricava di sterminare le bestie.

In genere l’ineffabile Basilisco riusciva a eliminarle, anche se nessuno sapeva bene come facesse, dato che lavorava da solo e in segreto.

Certo, la garanzia da lui offerta che l’eliminazione dei draghi — dracolisi — fosse definitiva era solo statistica; e un sovrano lo ripagò di uguale moneta, ossia con ducati che erano buoni soltanto in percentuale statistica. Da allora in poi, l’insolente Basilisco usò sempre l’acqua regia per controllare l’onestà metallica dei pagamenti regali.

Un pomeriggio soleggiato, Trurl e Klapaucius s’incontrarono e così si dissero: «Hai sentito di quel Basilisco?» chiese Trurl.

«Sì».

«Be’, che ne pensi?»

«Non mi piace».

«Neanche a me» convenne Trurl. «Come pensi che faccia?»

«Con un amplificatore».

«Un amplificatore di probabilità?»

«O quello, o campi oscillanti».

«O un generatore paramagnetodrachico».

«Un draculatore, dici?»

«Sì».

«Ah».

«Ma allora» protestò Trurl «sarebbe da criminali! Significherebbe che porta i draghi con sé, ma in potenza, con una probabilità quasi nulla. Poi, dopo essere atterrato e aver studiato il terreno, intensifica il rischio, innalza il potenziale, rafforza la probabilità fino a farla diventare quasi una certezza. E a quel punto, naturalmente, abbiamo la virtualizzazione, la materializzazione e la piena manifestazione».

«Naturalmente» confermò Klapaucius. «Inoltre, come ormai sarà chiaro, cambia le lettere della matrice per farli più grandi».

«Sì, e la povera gente geme per il dolore, immersa nel sangue. Terribile!»

«Come credi che faccia?» chiese Klapaucius. «Credi che usi un retroectoplasmatrone antidraconico irreversibile, o che si limiti ad abbassare la probabilità e che poi se la squagli con la cassa?»

«Difficile dirlo. Ma se si limitasse a improbabilizzare, il crimine sarebbe ancor più grande, perché prima o poi le fluttuazioni accidentali daranno origine a un’iso-oscillazione draconica… e la cosa ricomincerà da capo».

«Anche se, prima di allora, lui e il denaro saranno già lontani» osservò Klapaucius.

«Non dovremmo denunciarlo alle autorità?»

«Non ancora. Può darsi che non faccia come abbiamo detto, dopotutto. Non abbiamo una vera prova. Le fluttuazioni statistiche si possono produrre anche senza un amplificatore. Una volta, come tu sai, non c’erano né amplificatori né fantasmatroni, ma i draghi comparivano lo stesso. Su una base puramente casuale».

«Certo…» rispose Trurl. «Ma quelli compaiono immediatamente dopo il suo arrivo sul pianeta!»

«Lo so. Eppure, denunciare un collega costruttore… sono cose che non si fanno. Però potremmo prendere noi qualche contromisura».

«Potremmo».

«Lieto che tu sia d’accordo con me. Ma come fare, esattamente?»

A questo punto i due famosi dracologi entrarono in una discussione così tecnica che chiunque si fosse trovato ad ascoltarla non vi avrebbe trovato né capo né coda. C’erano parole misteriose come «ortodragonalità discontinua», «grande insieme draconico», «fafnerizzazione binomiale ad alta frequenza», «distribuzione sauriana anomala», «draghi discreti», «draghi indiscreti», «controllo drasticodraco-stocastico», «semplice dominanza grendeliana», «interazione debole tra drago e diffrazione», «riluttanza aberrazionale», «figmentazione informazionale» e così via.

Il risultato di tutta questa penetrante analisi fu la terza fatica, per la quale i protagonisti si prepararono con grande cura, senza dimenticare di caricare nella stiva una grande quantità di strumenti complessi.

In particolare, portarono con sé un dispersore-confusore e un cannone speciale che sparava teste negative.

Dopo essere atterrati prima a Eenica e poi a Meenica e infine a Mynamoaca, compresero che era impossibile esaminare l’intera area contaminata e che era meglio dividersi in due.

Il modo migliore di farlo, naturalmente, consisteva nel separarsi; così, dopo un breve consiglio di guerra, ciascuno partì per conto proprio. Klapaucius lavorò per qualche tempo su Prestopondora, per l’Imperatore Maximilione, che era pronto a dargli la mano della figlia se fosse riuscito a liberarlo da quelle bestie vili e ribalde. Laggiù, infatti, i draghi di probabilità superiore s’incontravano dappertutto, perfino nelle strade della capitale, e il pianeta letteralmente pullulava di draghi virtuali.

Un drago virtuale, potrebbero dire gli ignoranti e i sempliciotti, «in realtà non c’è», non avendo una sostanza osservabile e non palesando alcuna intenzione di acquisirne; ma il calcolo di Cyber, Trurl, Klapaucius e Leech (per non parlare delle soluzioni della funzione d’onda di Dracódinger) indica chiaramente che un drago può saltare dallo spazio configurazionale a quello reale con la stessa facilità con cui salta da una rupe: perciò, in ogni stanza, cantina e soffitta, a patto che la probabilità fosse abbastanza alta, potevate imbattervi in un drago fisico, o addirittura in uno metafisico, ossia un metadragone.

Invece di dare la caccia alle bestie — sistema che avrebbe dato pochi se non zero risultati — Klapaucius, da teorico di razza, aggredì il problema con un approccio metodologico: nelle piazze e nei viali, nelle stalle e negli alberghi, installò smorzatori draconici a batteria, e di conseguenza, in brevissimo tempo, quelle bestie divennero estremamente rare.

Incassata la parcella, a cui l’imperatore volle aggiungere una pergamena onoraria e un calice con dedica, Klapaucius partì per ricongiungersi con l’amico e collega, e durante il viaggio notò che una persona, dalla superficie di un pianeta, gli faceva segni frenetici.

Pensando che fosse Trurl e che si trovasse in qualche guaio, atterrò. Ma erano gli abitanti di Truffolandia, sudditi di Re Piffus, che si sbracciavano per richiamare l’attenzione.

Fra i truffoli — gli abitanti del pianeta — Klapaucius si accorse che sopravvivevano ancora molte superstizioni e svariate credenze primitive. La loro religione, che rientrava fra le dracolatrie pneumatologiche (o adorazione dello spirito dei draghi), sosteneva che i draghi costituivano una punizione divina per i loro peccati e che s’impossessavano delle anime impure.

Compreso immediatamente che era inutile mettersi a discutere con i dracologi regali — il cui metodo consisteva soprattutto nel dondolare incensieri e nello spacciare sacre reliquie — Klapaucius cominciò a effettuare rilevazioni nella regione circostante. Queste gli rivelarono che il pianeta era infestato da una sola bestia, ma appartenente alla terribile famiglia degli Echinosauri superviperici, e di conseguenza Klapaucius offerse al Re i suoi servigi.

Il sovrano, però, gli diede risposte vaghe, prendendo l’argomento alquanto alla larga, evidentemente sotto l’influsso della ridicola dottrina che attribuiva l’origine dei draghi a eventi sovrannaturali. Più tardi, sfogliando i giornali locali, Klapaucius venne a sapere che il drago che terrorizzava il pianeta era ritenuto da alcuni un’unica entità, ma da altri una creatura multiplex, in grado di comparire in più località nello stesso tempo.

Queste notizie lo fecero riflettere, anche se non si trattava di una cosa tanto strana, dopotutto, considerato che la posizione spaziale di quegli odiosî fenomeni andava soggetta alle cosiddette dragonomalie: taluni esemplari, soprattutto se distratti, subivano un «effetto eco», che in realtà era solo un’accelerazione dello spin isotopico dei momenti quantici asincroni. Un po’ come si verifica quando una mano, uscendo dall’acqua con le dita in avanti, si presenta sotto forma di quattro oggetti separati e indipendenti: così i draghi, uscendo dalla tana del loro spazio configurazionale, a volte sembravano plurali, mentre in verità erano creature assolutamente singolari.

Verso la fine della sua seconda udienza con il Re, Klapaucius gli chiese se per caso, sul pianeta, si fosse visto Trurl, e procedette a dare una descrizione particolareggiata del collega. Con suo grande stupore venne a sapere che, sì, il costruttore era stato recentemente nel loro regno e aveva anche accettato di esorcizzare il mostro; anzi, si era fatto dare un acconto per le spese vive ed era poi partito in direzione dei vicini monti, là dove il mostro era stato avvistato con maggior frequenza.

Trurl era poi ritornato il giorno successivo, aveva preteso il saldo della parcella e aveva mostrato, come prova del suo successo, ventiquattro denti di drago. C’erano degli aspetti poco chiari, però, nella sua relazione, e si era deciso di bloccare il pagamento finché tutto non fosse stato chiarito. A quel punto, Trurl era montato in collera e si era messo a fare — ad alta voce — apprezzamenti su Sua Altezza Reale che sfioravano pericolosamente la «lèse majesté» se non il tradimento, poi se n’era andato via, sbattendo la porta e senza lasciare recapito.

Lo stesso giorno, il mostro era ricomparso, come se niente fosse successo, e — ahinoi — aveva saccheggiato e distrutto villaggi e fattorie, più feroce e crudele di prima.

Vari punti di questa storia suscitarono le perplessità di Klapaucius, che tuttavia, d’altro canto, trovò difficile credere che il buon Re mentisse. Così, fece in fretta lo zaino — mettendovi ogni sorta di strumenti sterminatori di draghi — e parti per le montagne dell’Est, dove le cime coperte di neve s’ergevano maestose.

Non dovette attendere molto, per incappare nelle prime orme di drago e cogliere un inconfondibile tanfo di zolfo. Ma proseguì senza timore, le armi pronte a colpire e l’occhio incollato al quadrante del suo contatore di draghi.

Per molto tempo la lancetta rimase sullo zero, ma a un certo punto cominciò a fare piccoli scatti nervosi, finché, lentamente, come in dissidio con se stessa, strisciò lentamente fino al numero 1. Ormai non ci potevano essere dubbi: l’Echinosauro era vicino.

Questo stupì Klapaucius, e non poco, perché gli era impossibile credere che il suo rinomato collega, teorico di vaglia, avesse commesso un errore di calcolo talmente grossolano da non riuscire a eliminare radicalmente il drago. Inoltre, era inconcepibile che Trurl se ne fosse tornato al palazzo reale e avesse preteso il pagamento per qualcosa che non aveva fatto.

Poco più tardi, Klapaucius si imbatté in un gruppo di abitanti del luogo.

Erano chiaramente terrorizzati: continuavano a guardarsi attorno e cercavano di rimanere uniti. Curvi sotto pesanti carichi tenuti in equilibrio sulle spalle e sulla testa, salivano sulla montagna, in fila indiana. Klapaucius raggiunse quella specie di processione e chiese al primo della fila che cosa stessero facendo.

«Signore!» rispose il poveretto, un piccolo funzionario governativo, che indossava una giubba piena di strappi, tenuta ferma in vita da una lunga sciarpa, «E’ il tributo che portiamo al drago».

«Tributo? Ah, certo» fece Klapaucius. «E da cosa è costituito, questo tributo?»

«Né più né meno di quello, signore, che il drago ci ha ordinato di portare: banconote, monete d’oro, pietre preziose, oggetti d’antiquariato, profumi d’importazione e altri generi di lusso».

Questo era davvero incredibile, pensò il costruttore, perché i draghi non avevano mai chiesto quel genere di tributi, soprattutto non i profumi — non c’era profumo che potesse mascherare il loro puzzo di zolfo — e anche se era tradizione che dormissero su mucchi di monete e di gemme preziose, non s’era mai visto un drago che accettasse la cartamoneta o gli assegni, al posto dell’oro.

«E non chiede di portargli giovani vergini, buon uomo?» volle sapere Klapaucius.

«Vergini? Nossignore, anche se una volta… A carrettate, gliele dovevamo portare. Ma questo prima che arrivasse il forestiero, quel signore che andava a curiosare dietro le rocce, con le sue scatole piene di strani aggeggi, tutto da solo…»

A quel punto il degno abitante del luogo s’interruppe e fissò a bocca aperta gli strumenti e le armi portate da Klapaucius, e in particolare il grosso contatore di draghi, che continuava a ticchettare piano, con la lancetta rossa che si muoveva a scatti sul quadrante bianco.

«Che mi prenda un colpo» continuò il Degno, abbassando il tono di voce «se non ne aveva uno uguale a quello di Vostra Signoria! Sì, con l’orologino e tutto il resto…»

«C’era una svendita» spiegò Klapaucius, per non destare i sospetti dell’uomo. Si rivolse agli altri: «Ma ditemi, brava gente, sapete che cosa sia successo a quello straniero?»

«Che gli è preso, chiedi? Non lo sappiamo, signore. Sarà stato la scorsa settimana, vero, Mastro Gyles? Una settimana fa, e non un giorno di più».

«Proprio così» intervenne il menzionato Mastro Gyles. «Hai proprio ragione, giusto. Una settimana fa, esattamente. Massimo due».

«Certo! Allora, è arrivato qui, Vostra Grazia, e ha diviso con noi il nostro umile pane, una persona educatissima, niente da dire, proprio un gentiluomo, e ci ha pagato bene, ha fatto tante domande, poi si è seduto per terra, ha tirato fuori un mucchio di aggeggi con sopra l’orologio, e si è messo a scrivere una serie di numeri su un libriccino che teneva in tasca, ha tirato fuori un come si chiama, un ternometro…»

«Termometro?»

«Sì, proprio un termometro! Ha detto che serviva per i draghi, e ha cominciato a cacciarlo dappertutto, e poi scriveva nel suo libro. Alla fine ha preso i suoi apparecchi, li ha messi nello zaino, ha detto addio a tutti e se n’è andato dove più gli pareva. Non l’abbiamo più visto, Vostro Onore, ma quella notte abbiamo sentito il tuono, signore, da molto lontano, fin dal Monte Mardigras… quello che sembra un falco, laggiù, signore; noi lo chiamiamo la Vetta di Piffus in onore del nostro amato sovrano, mentre il monte vicino, quello che sembra una persona che si piega per mostrarti il didietro, è il Poggio della Bambola, perché la leggenda…»

«Grazie, basta con le montagne, degno amico» lo interruppe Klapaucius. «Dicevi di aver sentito dei tuoni nella notte. Che cosa è successo, poi?»

«Poi? Proprio niente, signore. La capanna ha fatto un salto che sono perfino caduto dal letto, ma ci sono abituato, non ti spaventare, perché la bestia veniva sempre a battere contro la casa, certi colpi di coda da far volare via una persona… come quando il fratello di Mastro Gyles, qui, è finito nel buco della latrina perché la brutta bestia le è preso voglia di grattarsi la schiena contro lo spigolo del suo tetto…»

«Vieni al punto, buon uomo, vieni al punto!» esclamò Klapaucius. «Hai sentito il tuono, sei cascato dal letto, e poi?»

«E poi niente, come ho già detto, credevo di essere stato chiaro» spiegò il Degno. «Non ho sentito più niente, e se ci fosse stato qualcosa lo avrei sentito, te lo garantisco. Poi non abbiamo più sentito niente, né subito né più tardi, vero, Mastro Gyles?»

«Proprio. Hai detto proprio giusto, sì».

Con un inchino a mo’ di ringraziamento, Klapaucius si tirò indietro, e l’intera processione continuò a inerpicarsi per l’erta, china sotto il peso del tributo.

Il costruttore suppose che andassero a metterlo in qualche caverna indicata dalla bestia, ma non stette a chiedere i particolari; la testa gli girava già a sufficienza per aver ascoltato le spiegazioni del locale rappresentante del Re e di Mastro Gyles. Comunque, aveva sentito uno dei locali dire a un altro che il drago aveva scelto «un punto a metà strada tra noi e lui».

Klapaucius si rimise in marcia, orientandosi in base alle indicazioni del dragonometro che teneva al collo, appeso a una catenina. Quanto al contatore, la lancetta si era fermata su esattamente otto decimi di drago.

«Che diavolo sarà, un drago frazionario?» si chiese, durante il cammino, fra una sosta e l’altra. Di tanto in tanto, infatti, era costretto a fermarsi per riposare, perché il sole picchiava forte e l’aria era così rovente che anche le rocce finivano per abbagliare. Non c’era neppure un filo di vegetazione, neppure un arbusto, solo fango cotto dal sole, roccia e massi a perdita d’occhio.

Trascorse un’ora, il sole ormai si abbassava nel cielo, e Klapaucius camminava ancora in mezzo a distese di ciottoli, fra passi montani dirupati, stretti canaloni e pareti profonde, ai cui piedi regnavano il gelo e l’oscurità. La lancetta dell’indicatore salì lentamente a nove decimi, tremolò e si bloccò.

Klapaucius aveva posato lo zaino su una roccia e stava cercando la cintura anti-drago, quando l’indicatore parve impazzito; subito, il Nostro afferrò l’estintore di probabilità e si guardò attorno. Dato che in quel momento si trovava in cima a un’altura, poté vedere tutto il canalone sottostante, e laggiù scorse un movimento.

«Deve essere lei!» si disse (gli Echinosauri sono sempre femmine).

Era per questo che non aveva chiesto giovani vergini? Eppure, no, i locali avevano detto che in precedenza ne aveva chieste. Strano, molto strano. Ma l’importante, adesso, si disse Klapaucius, era prendere bene la mira, e tutto sarebbe andato nel modo migliore.

Per ogni evenienza, tuttavia, aprì di nuovo lo zaino e ne trasse una bomboletta di repellente per draghi e un nebulizzatore. Poi si sporse da dietro la roccia. Ai piedi della forra, lungo il greto di un ruscello asciutto, avanzava una dragonessa di colore grigio scuro e di taglia enorme, ma con i fianchi molto sottili e vizzi, come se non mangiasse da parecchio tempo.

In un attimo, nella mente di Klapaucius passò ogni genere di pensieri. Annullare la creatura invertendo il segno del suo coefficiente penta-pendragonale da positivo a negativo, portando così la probabilità della sua inesistenza a superare quella della sua esistenza? Sì, ma si trattava di una pratica rischiosa, perché la minima distrazione poteva portare a un disastro: parecchi sprovveduti che cercavano di produrre la scomparsa di un drago, avevano finito invece per ottenerne la comparsa — e si erano trovati davanti a due draghi — con insopportabile imbarazzo!

Inoltre, la deprobabilizzazione totale avrebbe impedito a chiunque di studiare l’Echinosauro. Klapaucius tentennava; già vedeva una prestigiosa pelle di drago campeggiare sulla sua parete, proprio sulla cappa del caminetto. Ma non era il momento di fare sogni a occhi aperti — anche se i dracozoologi sarebbero stati deliziati di ricevere un animale dai gusti così strani: un animale che pretendeva addirittura balocchi e profumi!

Alla fine, quando si mise in posizione, Klapaucius pensò al bell’articolo che avrebbe potuto scrivere, se fosse stato in grado di esibire un esemplare ben conservato. Così, posò l’annullatore, sollevò il tubo che lanciava teste negative e tirò il grilletto.

L’esplosione fu assordante. Klapaucius venne avvolto da una nube di fumo e per qualche istante perse di vista la bestia. Poi il fumo si diradò.

Tra le vecchie comari si raccontano un mucchio di assurde storie che riguardano i draghi. Per esempio, si dice che ci siano draghi con sette teste, ma è un’enorme assurdità. Un drago può avere solo una testa, per il semplice motivo che la presenza di due teste porta a dissensi e a dispute violente; i polihydroidi — come li chiamano gli scienziati — si sono estinti a causa dei dissidi intestini.

Testardi e ostinati per natura, i draghi non sopportano le opposizioni, e perciò due teste in un solo corpo portano sempre a una rapida morte: ogni testa, puramente per tigna nei riguardi dell’altra, si rifiuta di mangiare, trattiene malignamente il respiro, con le conseguenze che si possono immaginare.

Euforio Cloy aveva sfruttato questa osservazione per costruire il suo cannone testaceo. Nel corpo del drago viene lanciata una piccola testa ausiliaria, di materia elettronica. Immediatamente, tra le due teste si crea una differenza di opinioni, adialettica e inconciliabile, e il drago entra in condizione di stallo e non riesce più a muoversi. Spesso rimane immobile come una statua per un giorno, una settimana o addirittura un mese; a volte passa perfino un anno, prima che crolli a terra, esausto. A quel punto potete farne quello che volete.

Ma il drago colpito da Klapaucius reagì in modo alquanto anomalo, a dir poco. Certo, si inalberò sulle zampe posteriori con un urlo che fece franare un paio di colline, e sbatté la coda contro le rocce finché le scintille non volarono per tutto il canyon. Fatto questo, però, si grattò l’orecchio, si schiarì la gola e continuò tranquillamente per la propria strada, anche se trotterellava un po’ più in fretta di prima.

Incapace di credere ai propri occhi, Klapaucius corse lungo le rocce per aspettare il mostro all’imboccatura del torrente asciutto — ormai non era più questione di pubblicare un articolo, o magari due, sul «Giornale di Draconicità»; lì c’era il materiale per una bella monografia, elegantemente rilegata, con l’immagine del drago in copertina e la sua sul retro!

Alla prima curva, si nascose dietro un masso e impugnò l’automatica a improbabilità, Prese la mira e azionò i destabilizzatori possibil-balistici. Sentì l’impugnatura tremare nella mano, la canna si arrossò per il calore, il drago venne avvolto da un alone simile a quello che, quando circonda la luna, promette cattivo tempo… ma la bestia non scomparve!

Ancora una volta, Klapaucius scaricò contro la bestia la massima improbabilità; l’intensità della non-verosimiglianza fu talmente grande che una falena che volava nei pressi cominciò a suonare con le sue piccole ali il «Volo del calabrone», e qua e là, dietro i massi, si videro danzare le ombre delle streghe, delle arpie e delle baccanti, mentre un acciottolio di zoccoli annunciava che da qualche parte, nelle vicinanze, i centauri scalpitavano, evocati dalla terribile forza del proiettore di improbabilità.

Ma il drago si limitò a sedersi e a sbadigliare, a sollevare una zampa posteriore e a grattarsi l’orecchio come fanno i cani.

Klapaucius strinse ancor più forte la sua arma, arroventata dall’uso, e continuò disperatamente a premere il grilletto: non si era mai sentito così umiliato. Alcuni ciottoli sulla traiettoria si sollevarono per aria, mentre la polvere scossa dal drago, invece di cadere, rimaneva sospesa e prendeva la forma di una scritta: AGLI ORDINI, CAPO.

La luce del giorno si offuscò — il giorno era notte e viceversa, faceva freddo — anche all’inferno cominciò a nevicare, due rocce fecero una passeggiata e, camminando, si misero a spettegolare su tutti i conoscenti. Insomma, i miracoli non si contavano più, ma l’orrido mostro che sedeva a pochi metri da Klapaucius non aveva alcuna intenzione di scomparire.

Klapaucius lasciò la pistola, prese una granata anti-drago dalla tasca della giubba e — affidata la sua anima alla Matrice Universale delle Trasformazioni Transfinite — la scagliò con tutta la forza del suo braccio. Ci fu un sordo tapum e, insieme a uno spruzzo di rocce assortite, volò in aria anche la coda del mostro.

«Ehi!» gridò il drago, proprio come se fosse stato una persona, e corse verso Klapaucius. Questi, vista ormai prossima la fine, uscì dal nascondiglio e brandì selvaggiamente la sciabola antimateria, ma in quell’istante sentì un altro grido: «Fermo! Fermo! Non ammazzarmi!»

«Che cosa succede?» si domandò Klapaucius. «Un drago che parla? Devo essere impazzito».

E a voce alta domandò: «Chi ha parlato, il drago?»

«Ma che drago! Sono io!»

E quando la nube di polvere si diradò, Trurl uscì dalla pancia della bestia; non appena fu uscito, tirò una corda che la fece afflosciare sulle ginocchia, con un lungo, asmatico soffio.

«Trurl, che diavolo sta succedendo? Che cos’è questa mascherata? Dove hai trovato quel costume da drago? E il drago vero?» chiese Klapaucius, bombardando di domande l’amico.

Trurl smise di scrollarsi la polvere di dosso e tese le mani verso di lui.

«Un minuto, lasciami parlare!» esclamò. «Il drago l’ho ucciso, ma il Re non voleva pagare».

«E perché mai?»

«Perché è un micragnoso, probabilmente» spiegò Trurl. «Ha dato la colpa alla burocrazia, come c’era da aspettarsi: ha detto che occorreva un certificato di morte autenticato dal notaio, un’autopsia condotta da un medico legale, un’infinità di altri documenti da compilare in triplice copia, l’approvazione della Regia Commissione dei Pagamenti, e così via. Il Tesoriere Capo ha detto che non sapeva come effettuare il pagamento, perché non era un salario e non poteva essere addebitato sul conto delle manutenzioni.

«Sono andato avanti e indietro tra il Re, il Cassiere e la commissione, e nessuno ha voluto muovere un dito per me; alla fine, quando mi hanno suggerito di presentare un curriculum con fotografie e referenze, me ne sono andato… ma ormai era impossibile richiamare in vita il drago.

«Perciò, gli ho tolto la pelle, ho tagliato qualche ramo per tenerla tesa, un vecchio palo telefonico mi è stato sufficiente per unirli tutti. Poi, una volta tesa la pelle, mi sono bastate un po’ di corde e di carrucole per muovere il drago…»

«Tu, Trurl? Ricorrere a tattiche così umilianti? Non ci credo! Che cosa speri di ottenere? Se non ti hanno pagato la prima volta…»

«Non hai capito?» chiese Trurl, scuotendo la testa. «Travestito così, incasso il tributo! Ho già raccolto più di quanto non riuscirei a spendere».

«Oh, ma certo!» Finalmente, Klapaucius aveva capito tutto. Ma si affrettò ad aggiungere: «Però, non è giusto costringere quella povera gente a…»

«E chi la costringe?» ribatté Trurl. «Io mi sono limitato a girare qua e là per le montagne, e la sera a urlare un poco. Ma in realtà sono completamente esausto».

Così dicendo, si sedette accanto a Klapaucius. «Perché, per aver urlato?»

«Urlato? Che cosa hai capito? Ogni sera devo trascinare tutti quei sacchi d’oro, dalla caverna designata… fino a quella punta lassù!» Indicò una vetta lontana. «Ho costruito una piattaforma di decollo, è proprio su quel monte. Provaci tu, a trasportare su quelle mulattiere montane, dal tramonto all’alba, parecchi quintali di mercanzie, e capirai quello che intendevo dire! E quel drago non era una bestia ordinaria… la sola pelle peserà due tonnellate, e io devo trascinarla in giro tutto il giorno, ruggendo e pestando i piedi, poi devo trasportare pesi per tutta la notte. Non immagini quanto sia lieto di vederti. Non sarei riuscito ad andare avanti ancora per molto».

«Ma… il drago… quello falso, intendo dire… perché non è scomparso quando ho abbassato la probabilità fino al punto dei miracoli?» chiese Klapaucius.

Trurl sorrise.

«Non ho voluto correre rischi» spiegò. «Poteva arrivare qualche stupido cacciatore, o addirittura lo stesso Basilisco, e così, sotto la pelle di drago, ho inserito degli schermi a prova di probabilità. Ma vieni con me, ho ancora dei sacchi di platino… li ho lasciati per ultimi perché erano i più pesanti. E capita proprio a puntino, visto che ora puoi darmi una mano…»

Загрузка...