LA SECONDA FATICA OVVERO ALLA CACCIA DI RE KROOL

1 grande successo della loro applicazione dell’Effetto Gargantius suscitò nei due costruttori un tale appetito per l’avventura da risolverli a partire immediatamente per plaghe sconosciute.

Purtroppo, non era così facile per loro accordarsi sulla meta: Trurl, amante dei climi tropicali, aveva messo l’occhio e il cuore su Scaldonia, la terra dei Fenicotteri di Fiamma, mentre Klapaucius — carattere più algido — era altrettanto deciso a visitare il Polo Gelido Intergalattico, un continente buio e disabitato che vagava alla deriva in un ammasso di stelle spente. I due stavano per separarsi definitivamente, quando a Trurl venne all’improvviso un’idea.

«Aspetta» disse. «Possiamo fare pubblicità ai nostri servizi professionali e poi scegliere l’offerta migliore». «Ridicolo!» sbuffò Klapaucius. «Come pensi di fare la pubblicità? Negli annunci economici? Sai quanto tempo occorre perché un giornale arrivi al pianeta più vicino? Prima che ti giunga un’offerta, sarai morto e seppellito!» Ma Trurl, con un sorriso di superiorità, gli rivelò il suo piano, e Klapaucius — a malincuore — dovette ammettere che non mancava certo d’ingegno: così, si misero all’opera. Radunato in fretta l’equipaggiamento occorrente, raccolsero le stelle locali e le spostarono in modo da ottenere una grande scritta, visibile a distanze incalcolabili.

Per la prima parola — poiché intendevano richiamare l’attenzione dei lettori cosmici — vennero usate soltanto giganti azzurre; per le altre parole bastò materiale stellare di rango inferiore. La scritta diceva:

DUE RINOMATI COSTRUTTORI CERCANO LAVORI ADEGUATI ALLA LORO ABILITA’ E — SOPRATTUTTO — BEN PAGATI, PREFERIBILMENTE ALLA CORTE DI PRINCIPI CON FORTE SEGUITO (CESTINANSI NON DOTATI DI REGNO PROPRIO). TERMINI DEL CONTRATTO DA DEFINIRE.

Non passò molto tempo che, una radiosa mattina, uno scafo meraviglioso si posò sulle aiuole dinanzi alla loro casa. Gli intarsi di madreperla di cui era quasi completamente coperto scintillavano al sole, aveva tre carrelli mirabilmente scolpiti e sei addizionali supporti d’oro pieno (inutili, perché non arrivavano a terra — ma i costruttori di quella nave, evidentemente, avevano tali e tante ricchezze da non sapere che cosa farsene).

Da una magnifica scaletta con fontane e getti d’acqua a entrambi i lati, scese una figura dal portamento maestoso e solenne, accompagnata da un seguito di sei macchine deambulanti: alcune la massaggiavano, altre la reggevano e la sventagliavano, mentre le più piccole volavano attorno all’augusta fronte e, con una pompettina, la spruzzavano di eau de Cologne.

L’impressionante ambasciatore portò ai due costruttori il saluto del suo signore e sovrano, Re Krool, che desiderava ingaggiarli.

«Di che genere di lavoro si tratta?» chiese Trurl, interessato.

«I particolari, gentili signori, li saprete a tempo debito» rispose l’ambasciatore. Indossava brache di filo d’oro, stivali foderati di visone, un cappello con parecchie file di dischetti d’oro e un giustacuore, di foggia molto strana: al posto delle tasche aveva alcune piccole mensole, piene di confetti alla menta e di fruttini di marzapane. Attorno a lui volava uno sciame di api meccaniche: quando si facevano troppo invadenti, le allontanava con un cenno della mano.

«Per ora» soggiunse «posso solo dire che Sua Sfrenatezza Krool è entusiasta della caccia, impavido vincitore di ogni sorta di fauna galattica. Invero la sua abilità è ormai giunta a così superbe altezze che i più feroci predatori conosciuti non costituiscono più una cattura degna di lui. E qui sta la nostra disgrazia, perché egli anela all’emozione, al pericolo, all’eccitazione, ed è per questo…»

«Naturale» lo interruppe Trurl. «Vuole che gli costruiamo una nuova specie di bestia, sufficientemente selvaggia e rapace da costituire una sfida per lui».

O degno costruttore» si complimentò l’ambasciatore del Re «sei davvero pronto d’ingegno! Allora, siete d’accordo tutt’e due?»

Klapaucius cominciò a rivolgergli domande più particolareggiate su taluni lati pratici. Ma dopo aver sentito parlare dell’abbagliante generosità del Re, e aver leggermente approfondito l’argomento, i due costruttori si affrettarono a raccogliere l’occorrente per il viaggio, vi aggiunsero alcuni libri, saltarono a bordo e vennero immediatamente sollevati — con un grande ruggito e con uno scoppio di fiamma che annerì le auree gambe della navicella — nella notte interstellare.

Durante il viaggio, l’ambasciatore informò i costruttori delle leggi e dei costumi del Regno di Krool, parlò loro della natura del monarca — schietta e aperta come una città rasa al suolo — dei suoi maschi divertimenti e di tante altre cose. Così, quando la nave finalmente atterrò, i nostri erano in grado di parlare come i nativi del luogo.

Per prima cosa vennero portati in una splendida villa collocata sulla montagna al di sopra del villaggio — quella che doveva essere la loro abitazione.

Poi, dopo un breve riposo, il Re mandò a prenderli: il mezzo di trasporto era una carrozza tirata da sei mostri che sputavano fiamme. Questi avevano museruole con schermi anti-fiamma e filtri anti-fumo, ali accorciate per impedire loro di volare, lunghe code piene di spine e sei zampe ciascuno, con artigli di ferro che scavavano grosse buche nella strada, dovunque passassero.

Non appena i mostri scorsero i costruttori, tutto il tiro prese a ringhiare ferocemente, eruttando fuoco e vapori sulfurei, e a tirare le briglie per avventarsi su di loro. I cocchieri con corazza di amianto e i cacciatori del Re, con tubi e pompe, dovettero lanciarsi sulle creature e sottometterle a mazzate di clave laser e maser, prima che Trurl e Klapaucius potessero salire in tutta sicurezza sulla lussuosa carrozza, cosa che fecero senza proferire commenti.

Il veicolo parti a rotta di collo, ovvero — per usare un’appropriata metafora — schizzò via come un diavolo scappato dall’inferno.

«Senti» disse Trurl, parlando all’orecchio di Klapaucius mentre la carrozza viaggiava (abbattendo tutto quel che trovava sul cammino e lasciandosi alle spalle una lunga scia di fumo sulfureo). «Ho l’impressione che questo Re non si accontenti di una bazzecola qualsiasi. Voglio dire, se al posto dei cavalli usa mostri di questo genere…»

Ma il flemmatico Klapaucius non fece commenti. Ora vedevano sfilare di fianco a loro, come in un lampo, le prime case della capitale — pareti di diamante, di zaffiro e d’argento — mentre i draghi tuonavano e soffiavano e i cocchieri imprecavano e gridavano. Alla fine si stagliò davanti a loro un colossale cancello a saracinesca; si sollevò; la carrozza svoltò nel cortile, con una virata così stretta che i fiori delle aiuole si accartocciarono e appassirono tutti, e infine si fermò davanti a un castello nero come la notte più cupa.

Accolti da suoni di tromba assordanti, sopraffatti dalla magnificenza degli scaloni, delle balaustre e particolarmente dei giganti di pietra che facevano la guardia all’ingresso, Trurl e Klapaucius entrarono nel grande castello, accompagnati da una scorta imponente.

Re Krool li aspettava in un’enorme sala a forma di teschio: una vasta caverna dal soffitto a cupola, tutta in argento bulinato.

Nel pavimento si apriva un foro buio — in corrispondenza del «foramen magnum» del teschio — e dietro di quello s’ergeva il trono, su cui due fasci di luce s’incrociavano come spade. Venivano da due alte finestre collocate nelle orbite del teschio: i loro vetri avevano esattamente la sfumatura di colore occorrente per dare a tutto quel che stava nella sala un aspetto ostile e infernale.

Ora i costruttori poterono vedere lo stesso Krool: troppo impaziente per sedere sul trono ad attendere, il monarca camminava avanti e indietro, da una parete all’altra, e i suoi passi echeggiavano come cannonate, sul pavimento d’argento della cadaverica caverna. Inoltre, nel parlare, il sovrano sottolineava le parole con ampi gesti della mano, così bruschi e veloci da far fischiare l’aria.

«Benvenuti, costruttori!» esclamò, squadrandoli di sguincio. «Come avete senza dubbio saputo da Lord Protozoro, Ministro della Caccia Reale, voglio che mi costruiate nuovi e speciali generi di prede. Ora, non m’interessa, vi avverto fin dall’inizio, una banale montagna d’acciaio su cento ruote… quello è lavoro per la mia artiglieria pesante campale, non per me.

«La mia preda dovrà essere forte e feroce, ma svelta e agile, e soprattutto astuta, piena di trucchi, in modo che io sia costretto a fare ricorso a tutte le mie arti di cacciatore per abbatterla. Dovrà essere una bestia molto intelligente, e sapere tutto quel che è possibile sapere sull’arte di coprire le proprie tracce, di ritornare sui propri passi, di nascondersi nell’ombra e di tendere agguati, perché è così che la voglio!»

«Perdonatemi, Maestà» disse Klapaucius, con un cauto inchino «ma se noi dovessimo eseguire troppo bene gli ordini di Vostra Altezza, non rischieremmo di far correre un grave pericolo alla vita e alla salute regali?»

Il Re scoppiò a ridere, con tale violenza che un paio di festoni di cristallo si staccarono da un lampadario e si infransero ai piedi dei tremebondi costruttori.

«Non abbiate paura di questo, nobili costruttori!» disse, con un sorriso truce. «Non siete i primi, e neppure gli ultimi, prevedo. Sappiate che sono un sovrano giusto, ma esigente. Troppe volte un assortimento di scioperati adulatori e ciurmadori ha tentato di ingannarmi, troppe volte, vi dico, quei poltroni si sono presentati come rinomati ingegneri venatori, al solo scopo di svuotarmi i forzieri e di riempirsi di gemme preziose le saccocce, lasciandomi, in cambio, solo qualche miserabile spaventapasseri che andava in pezzi al primo colpo.

«Mi è successo troppe volte perché non prendessi adeguate misure. Ormai da dodici anni, ogni costruttore che non riesce a soddisfare le mie richieste, che promette più di quanto non riesca a dare, riceve il suo premio, certo, ma viene poi gettato — premio e tutto — in quel pozzo profondo, a meno che non sia abbastanza sportivo da partecipare di persona alla caccia, ma nella parte della preda. Nel qual caso, signori, non uso altre armi che le nude mani…»

«E… e sono stati tanti, i deprecabili impostori di quel genere?» chiese Trurl, con un groppo alla gola.

«Tanti? Non saprei dire» rispose Re Krool. «So solo che finora nessuno è riuscito a soddisfarmi, e le grida di terrore che si lasciano sfuggire mentre cadono in fondo al pozzo durano meno di una volta… senza dubbio perché i loro resti si stanno già accumulando. Vi assicuro, però, miei signori, che c’è ancora abbastanza posto… anche per voi!»

A queste minacciose parole fece seguito un silenzio mortale; i due amici non poterono far altro che guardare in direzione del foro atro e minaccioso. Il Re riprese a passeggiare nervosamente: quando colpivano il pavimento, i suoi stivali risuonavano come magli in una camera ecoica. «Ma, con il permesso di Vostra Altezza… voglio dire, noi — noi non abbiamo ancora firmato nessun contratto…» balbettò Trurl. «Non potremmo avere un paio d’ore per considerare la situazione, per soppesare esattamente quello che Vostra Altezza ha avuto la condiscendenza di dirci, e poi, naturalmente, decidere se accettare la generosa offerta, o se invece non sia il caso di…»

«Ah!» rise il Re (e fu come il tuono tra due nubi temporalesche). «O se invece non sia il caso di tornarvene a casa? Temo proprio di no, miei signori! Nel momento in cui avete messo piede sull’Infernanda, avete accettato la mia offerta! Se ogni costruttore venuto qui potesse andarsene quando meglio preferisce, dovrei aspettare in eterno, prima di veder realizzati i miei desideri. No, dovrete rimanere e costruirmi una bestia che io possa cacciare. Avete dodici giorni, e ora potete andare. Nel frattempo, qualunque piacere da voi desiderato sarà vostro. Non avrete che da chiederlo ai servitori che vi ho assegnato; non vi sarà negato nulla! Ci vediamo tra dodici giorni, allora!»

«Con il permesso di Vostra Altezza, potete tenervi i piaceri, ma — be’, ci sarebbe possibile dare un’occhiata ai, ehm, trofei di caccia, che Vostra Altezza deve aver raccolto come risultato, se così vogliamo chiamarlo, degli sforzi dei nostri predecessori?»

«Ma certo!» disse il Re, in tono indulgente, e batté le mani con una tale forza che volarono le scintille, le quali poi danzarono da una parete d’argento all’altra. Il soffio d’aria scaturito da quelle palme poderose raffreddò ancor di più il desiderio di avventura dei nostri costruttori. Comparvero sei guardie vestite di bianco e d’oro, che accompagnarono i due amici lungo un corridoio sinuoso e contorto come le budella di un gigantesco serpente. Alla fine, con grande sollievo, sbucarono in un enorme giardino aperto. Laggiù, su prati particolarmente ben curati, c’erano i trofei di caccia di Re Krool.

Il più vicino era un colosso dai denti a sciabola, praticamente tranciato in due. nonostante la pesante armatura di maglia e di piastre che — nelle intenzioni dei suoi costruttori — avrebbe dovuto proteggergli il tronco: le gambe posteriori, lunghe in modo sproporzionato (evidentemente progettate per lunghi salti), giacevano sull’erba accanto alla coda, che terminava con una mitragliatrice dal caricatore vuoto per metà, chiaro segno che la creatura non aveva ceduto senza lottare. Ne era una prova ulteriore anche la striscia di stoffa gialla che ancora le pendeva dalla mascella spalancata, perché Trurl vi riconobbe il colore dei calzoni dei cacciatori del Re.

Accanto c’era una seconda mostruosità sconfitta: un drago con una moltitudine di piccole ali, tutte deformate e annerite dal fuoco; i suoi circuiti erano fuoriusciti da un grosso squarcio, allo stato fuso, e poi si erano congelati in una specie di miscela rame-isolante.

Più avanti ancora c’era una terza creatura, in piedi sulle sue gambe larghe come colonne. La brezza del pomeriggio soffiava gentilmente tra le sue lunghe zanne (nel senso che il resto del cranio era sparito).

C’erano rottami su ruota e rottami cingolati, alcuni con artigli, altri con artiglieria, tutti spaccati fino al loro nucleo magnetico, tartarughe-carrarmato con le torrette sfondate, millepiedi militari mutilati e altre stranezze, rotte e segnate dalla battaglia, alcune munite di cervelli ausiliari (bruciati), altre appollaiate su trampoli periscopici (piegati) e piccole macchine perfide e mordaci. Queste dovevano aver attaccato in grandi sciami, per poi raggrupparsi in una sfera irta di canne da fuoco e di baionette — una buona idea, ma non abbastanza per salvare se stesse e il loro creatore.

Trurl e Klapaucius camminarono a lungo in quel sentiero di distruzione, pallidi, muti e con l’aria di chi va a un funerale, non di chi si appresta a una vigorosa sessione di invenzione. Giunti al termine dell’orrendo museo dei trionfi di Re Krool, salirono sulla carrozza che li aspettava alla porta. A quel punto, il tiro di draghi che li riportò al loro alloggio parve loro assai meno terribile che all’andata.

Non appena furono soli nel loro soggiorno, lussuosamente arredato di verde e di rosso, davanti a una tavola piena di bevande effervescenti e di cibi raffinati, Trurl sbottò in una salva di imprecazioni e insultò Klapaucius per aver accettato tanto spensieratamente l’offerta del Ministro della Caccia Reale, così attirando la sfortuna sulla loro testa, mentre avrebbero fatto bene a rimanersene a casa a riposare sugli allori.

Klapaucius non disse nulla, attese pazientemente che a Trurl passasse la rabbia, e quando vide che si era calmato, si era lasciato scivolare su una ricca sdraio di madreperla e si era preso la faccia tra le mani, disse: «Bene, faremmo meglio a metterci al lavoro».

Queste parole furono miracolose, nel ridare vitalità a Trurl; i due costruttori cominciarono evidentemente a valutare le possibilità a loro disposizione, e per farlo attinsero alla loro conoscenza dei più profondi e cupi segreti dell’arcana arte della generazione cibernetica.

Per prima cosa stabilirono che la vittoria non poteva stare né nella corazza né nella forza del mostro che avrebbero costruito, ma soltanto nel suo programma, ossia, in altre parole, in qualche algoritmo di discendenza demoniaca.

«Deve essere una creatura completamente diabolica, un essere di malvagità assoluta!» esclamarono, e anche se fino a quel momento non avevano una chiara idea di che cosa fare e di come farlo, l’osservazione sollevò notevolmente il loro spirito.

Tale era il loro entusiasmo, quando si accinsero a disegnare la bestia, che lavorarono per tutta la notte, per tutto il giorno e per una seconda notte e per un secondo giorno prima di interrompersi per fare colazione. E mentre si passavano l’un l’altro le bottiglie di Leida, erano così sicuri del successo che si strizzarono l’occhio e si sorrisero — ma solo quando i servitori non erano presenti, perché sospettavano (giustamente, del resto) che fossero spie del Re.

Per lo stesso motivo, invece di parlare del loro lavoro, i due costruttori lodarono l’elettrolito speziato portato loro, in coppe del miglior cristallo molato, dai camerieri in livrea. Solo dopo il pasto, quando si recarono nella veranda che dava sul villaggio, le cui guglie e le cui cupole riflettevano gli ultimi raggi d’oro del sole al tramonto, solo allora Trurl si girò verso Klapaucius e gli disse:

«Non siamo ancora fuori dai pasticci; lo sai».

«Che cosa intendi dire?» domandò Klapaucius, con la voce ridotta a un sussurro.

«C’è ancora una difficoltà» spiegò Trurl. «Vedi, se il Re sconfiggerà la nostra bestia meccanica, senza dubbio ci farà gettare in quel pozzo, con l’accusa di non aver rispettato i suoi ordini. Se invece la bestia… capisci quello che intendo dire?»

«Se la bestia non fosse sconfitta?»

«No, se la bestia sconfiggesse lui, caro collega. Se succedesse questo, il successore del Re potrebbe non lasciarci andar via tanto facilmente».

«Pensi che potrebbero condannarci? Di regola, gli eredi al trono sono felici di vederlo vuoto».

«Certo, ma questo è il figlio, e l’essere puniti a causa della sua autentica devozione filiale oppure soltanto perché la corte si aspetta che lo faccia… be’, non comporterebbe molta differenza per noi».

«Questo lato della cosa non mi era venuto in mente» mormorò Klapaucius, con un cenno d’assenso. «Hai ragione, le prospettive non sono incoraggianti… Hai pensato a come uscire dal dilemma?»

«Be’, potremmo costruire una bestia multimortale» propose Trurl. «Immagina questa situazione: il Re la uccide e la bestia cade; poi si alza di nuovo, risorta. E il Re le dà di nuovo la caccia, la uccide una seconda volta, e così via, finché non si stanca».

«Non gli piacerà» disse Klapaucius, dopo aver riflettuto. «Inoltre, come costruiresti una simile bestia?»

«Oh, non so… Potremmo costruirla senza organi vitali. Il Re taglia la bestia in tanti pezzetti, ma i pezzetti si riuniscono tra loro».

«In che modo?»

«Usa un campo».

«Magnetico?»

«Se vuoi».

«E come lo azioniamo?»

«Un comando a distanza, per esempio» propose Trurl. «Troppo rischioso» disse Klapaucius. «Come avere la certezza che il Re non ci faccia chiudere in qualche segreta per tutta la durata della caccia? I nostri poveri predecessore non erano degli sprovveduti, e guarda come sono finiti. Molti di loro, ne sono certo, hanno pensato a un comando a distanza, ma sono andati incontro a un insuccesso. No, non possiamo pensare di mantenere le comunicazioni con la bestia durante la lotta».

«Perché non usare un satellite?» suggerì Trurl. «Potremmo installare dei comandi automatici…»

«Un satellite, addirittura!» sbuffò Klapaucius. «E come pensi di costruirlo, per non parlare di metterlo in orbita? Nella nostra professione, Trurl, i miracoli non esistono! Dovremo nascondere i comandi in qualche altro modo».

«Ma come nasconderli, se sorvegliano ogni nostra mossa? Ti sei accorto che i servitori del Re si intrufolano dappertutto, ficcano il naso in tutto quello che facciamo? Noi stessi non siamo in grado di allontanarci: figurati far uscire un macchinario così grosso. E’ impossibile!»

«Calma» disse Klapaucius, prudentemente, guardandosi attorno. «Forse non c’è davvero bisogno di simili marchingegni».

«Ma qualcosa deve pur dirigere la bestia, e se si tratta di un cervello elettronico installato al suo interno, il Re lo ridurrà in polpette prima di potergli dire addio».

I due costruttori tacquero. Era scesa la notte e le luci del villaggio, sotto di loro, cominciavano ad accendersi a una a una. All’improvviso, Trurl disse: «Ascolta, ho un’idea. Faremo soltanto finta di costruire una bestia, ma in realtà costruiremo una nave che ci permetta di fuggire. Le metteremo le orecchie, la coda, le zampe, in modo che nessuno sospetti la sua vera natura, e al decollo le getteremo via come zavorra. Che ne pensi di questa idea? Ce la caveremo senza danni e faremo una grossa pernacchia a Re Krool».

«E se il Re avesse messo un vero costruttore in mezzo ai nostri servi — cosa abbastanza probabile — finiremmo subito in quel pozzo. Inoltre, l’idea di scappare con la coda tra le gambe… no, non mi va proprio. Si tratta della sua vita o della nostra, Trurl. Inutile cercare di nasconderlo».

«Già, penso anch’io che tra le spie possa mischiarsi un costruttore» annuì Trurl, con un sospiro. «Allora, cosa possiamo fare, in nome della Grande Cometa? Che ne diresti di un fantasma fotoelettrico?»

«Intendi dire un miraggio? Far sì che il Re dia la caccia a un miraggio? Grazie, no! Dopo un’ora o due di caccia, piomberebbe qui e trasformerebbe noi in fantasmi!»

Calò di nuovo il silenzio. Alla fine Trurl disse: «L’unica via d’uscita, per come la vedo io, è far si che la bestia rapisca il Re, e poi…»

«Non c’è bisogno che tu aggiunga altro. Sì, non è affatto una cattiva idea… poi, come riscatto, potremmo chiedere… E non hai notato, vecchîo mio, come gli usignoli di questo pianeta siano più scuri che su Maryland Quarto?» concluse Klapaucius, poiché un paio di servitori erano venuti a portare lampadari d’argento sulla veranda.

«Però, c’è ancora un problema» continuò, quando furono di nuovo soli. «Supponiamo che la bestia faccia come hai detto. Come potremmo poi negoziare con il prigioniero, se noi stessi fossimo chiusi in cella?»

«Hai ragione» rispose Trurl.

«Dobbiamo trovare il modo di superare questo ostacolo. Il nostro compito principale, dunque, consisterà nel trovare l’algoritmo della bestia».

«Lo sanno perfino i bambini!» sbuffò Klapaucius. «Che cos’è una bestia, senza un algoritmo?»

Perciò si rimboccarono le maniche e cominciarono a fare esperimenti: per simulazione, ossia con procedimento matematico, e tutto sulla carta. E i modelli matematici di Re Krool e della bestia si combattevano così ferocemente, sul tavolo coperto di equazioni, che le matite dei costruttori continuavano a spezzarsi.

Inferocita, la bestia contorceva i suoi integrali doppi e tripli per rintuzzare i polinomi con cui il Re cercava di colpirla, scivolava in una serie infinita di termini indeterminati, poi si risollevava elevandosi a potenza, ma il Re la attaccava con una tale pioggia di derivazioni parziali e totali da azzerare tutti i suoi coefficienti di Fourier (si veda il Lemma di Riemann), e nella confusione che ne seguì i costruttori persero completamente di vista il Re e la bestia.

Così, fecero una sosta, si sgranchirono le gambe, bevvero qualche sorso dalla bottiglia di Leida, per rincuorarsi, e quando si rimisero al lavoro ricominciarono dall’inizio, scatenando, questa volta, il loro intero arsenale di matrici tensoriali e di insiemi canonici, e affrontarono il problema con tale fervore che si ebbe l’impressione che la carta si mettesse a fumare. Il Re si fece avanti con tutte le sue coordinate crudeli e i suoi cerchi viziosi, incappò in una buia foresta di radici e di logaritmi, dovette indietreggiare, poi lottò con la bestia in un campo di numeri irrazionali (F con deponente «i») e la colpi con tanta furia da farla scivolare indietro di due punti dopo la virgola e da staccarle una epsilon, ma la bestia scappò per un asintoto e si nascose in uno spazio delle fasi ortogonale ed n-dimensionale, subì uno sviluppo in serie e ne uscì sotto forma di fattori, che piombarono sul Re e lo abbatterono a terra.

Il Re, per nulla intimorito, indossò una corazza di anelli markoviani e di parametri irriducibili, portò a infinito il proprio incremento DELTA K e mollò alla bestia un tale colpo booleano che la spedì dall’altra parte dell’asse delle x e la fece uscire da parecchie parentesi… ma la bestia, pronta anche a questo, abbassò la testa… e la matita volò come impazzita per trasformate trascendenti e per autotrasformazioni, e quando alla fine la bestia riuscì ad abbattere il Re, i due costruttori balzarono in piedi, si misero a ballare sul tavolo e — intonando un’antica canzonaccia goliardica — fecero a pezzi tutti i loro appunti, con grande stupore delle spie appollaiate dietro i lampadari: inutilmente appollaiate, perché non conoscevano le finezze dell’alta matematica e di conseguenza non riuscivano a capire perché Trurl e Klapaucius continuassero a gridare: «Evviva!» e «Vittoria!»

Era ormai passata da tempo la mezzanotte. La bottiglia di Leida da cui i due costruttori avevano tratto, di tanto in tanto, qualche rinfresco durante il loro lavoro, venne portata via di soppiatto e finì al quartier generale della polizia segreta del Re. Laggiù il suo doppiofondo venne aperto per estrarne un minuscolo registratore a naso. Gli esperti lo accesero e ascoltarono ansiosamente la registrazione, ma l’alba li trovò disperati e ancora ben lontani dall’illuminazione. Per esempio, una voce diceva: «Allora? Il Re è al suo posto?»

«Perfetto!»

«Dove l’hai messo? Lassù? Benissimo. Adesso — fermo, occorre tenere uniti i piedi. Non i tuoi, idiota, quelli dei Re! A posto, adesso? Uno, due, tre, cerca la derivata! Fa’ in fretta! Che valore ottieni?»

«PI greco».

«E la bestia?»

«Sotto una radice. Ma, guarda, il Re è ancora in piedi!»

«Ancora in piedi, eh? Scomponi in fattori tutt’e due le parti, dividi per due, passa ai numeri immaginari… bene! Adesso cambia variabili e sottrai… Trurl, che diavolo stai combinando? La bestia, non il Re! Così! Perfetto! Adesso, trasforma, approssima e risolvi per X. Sei riuscito a trovare la radice?»

«L’ho trovata! Klapaucius, guarda il Re, adesso!»

Una pausa, poi un’esplosione di risate selvagge.

Quella mattina, mentre tutti gli esperti e gli alti ufficiali della polizia segreta scuotevano la testa, con le borse sotto gli occhi dopo una notte senza riposo, i costruttori chiesero quarzo, vanadio, acciaio, rame, platino, zirconi, disprosio, ittrio e tulio, ma anche cerio e germanio, e gran parte degli altri elementi che costituiscono l’universo mondo, oltre a una certa quantità di macchine e di tecnici qualificati, per non parlare di una squadra di spie… perché i costruttori si erano fatti così insolenti da scrivere sfacciatamente, sull’elenco in triplice copia del materiale richiesto: «Inoltre, vogliate gentilmente aggiungere un congruo numero di agenti segreti delle varie specializzazioni, da scegliere a discrezione e con l’approvazione delle Autorità Preposte».

L’indomani chiesero un rifornimento di segatura, un’ampia tenda scorrevole di velluto rosso montata su piantane, con un grappolo di campanelline di vetro in centro e una nappa a ciascuno dei quattro angoli. Il tutto, fino alla più piccola campanella, era descritto nel foglio con la massima precisione.

Il Re aggrottò la fronte, quando venne a conoscenza delle richieste, ma ordinò di soddisfarle alla lettera, perché aveva dato la sua parola di sovrano. I costruttori, di conseguenza, ottennero tutto quello che volevano.

E «tutto quello che volevano» divenne sempre più incomprensibile. Per esempio, negli archivi della polizia segreta, sotto il numero di protocollo 48999/11K/T, c’era la copia di una richiesta di tre manichini da sartoria e di sei uniformi da poliziotto, complete di fusciacca, pistola, chepì, piuma e manette, nonché di tutti i numeri disponibili della rivista «Il poliziotto patriottico», compresi gli annuari e i supplementi; nello spazio sotto la dicitura «Commenti» i costruttori si impegnavano a restituire il materiale entro ventiquattr’ore dalla consegna in perfette condizioni.

In un altro settore, ancor più segreto, degli archivi della polizia c’era la copia di una lettera in cui Klapaucius chiedeva l’immediata consegna di: 1) un manichino, formato naturale, rappresentante il Ministro delle Poste in alta uniforme; e 2) un piccolo calesse dipinto di verde, con a sinistra un lume a petrolio e sul retro una scritta in azzurro: RIFLETTI.

Il manichino e il calesse furono la goccia che fece traboccare il vaso per il Capo della Polizia, che dovette lasciare la città per il lungo periodo di riposo cui aveva diritto da anni. Tuttavia, nei successivi tre giorni, i costruttori chiesero soltanto una bottiglia di olio di ricino tinto di rosso, e fu tutto.

Da quel momento in poi, lavorarono nella cantina del palazzo, martellando e cantando ballate dei marinai spaziali; la notte, dalle finestre della cantina, scaturivano lampi bluastri che davano forme spaventose agli alberi dei giardini circostanti. Trurl e Klapaucius, con i loro numerosi aiutanti, indaffarati a lavorare con archi voltaici e scintille, di tanto in tanto alzavano lo sguardo verso le facce premute contro i vetri; i servitori, fingendo una curiosità oziosa, fotografavano ogni loro mossa.

Quella sera, quando i due costruttori, esausti, si decisero finalmente a trascinarsi fino al letto, le varie componenti dell’apparecchiatura cui stavano lavorando vennero rapidamente caricate su un dirigibile privo di targa e trasferite al quartier generale della polizia: laggiù vennero rimontate da diciotto dei migliori roboticisti del paese — che per l’occasione avevano prestato giuramento ed erano stati messi sul libro paga della polizia segreta.

Quando i diciotto ebbero terminato la ricostruzione, la «bestia» costruita da Trurl e Klapaucius risultò essere un grosso topo grigio di latta, che soffiava bolle di sapone e mollava da sotto la coda una striscia di polvere di gesso. Il topo prese a muoversi rapidamente avanti e indietro sul bancone in modo da scrivere, con il gesso: AHIME’, NON CI AMATE PIU’ COME UNA VOLTA. Mai, nel corso dell’intera storia del regno, fu necessario sostituire con tanta rapidità il Capo della Polizia.

Le uniformi, i manichini, la carrozza verde, perfino la segatura, tutto quello che — come promesso — era stato restituito dai costruttori venne esaminato attentamente al microscopio elettronico.

Ma a parte un microscopico foglietto infilato nella segatura e contenente la scritta SEMPLICE SEGATURA, non c’era niente di anomalo. Poi venne esaminata a livello subatomico qualche elemento della carrozza e delle uniformi… con analogo risultato negativo.

Alla fine giunse il giorno in cui il lavoro fu completo. La «bestia», che pareva un grosso veicolo, montato su parecchie centinaia di rotelline — poco più di un cassone con una porta, che faceva subito pensare a un enorme frigorifero — venne spinta faticosamente fino all’ingresso principale e il portellone fu aperto alla presenza di testimoni e di funzionari; Trurl e Klapaucius presero la tenda, quella con le nappe e i campanellini, e la portarono all’interno, proprio in mezzo al vano.

Poi i due costruttori entrarono a loro volta, chiusero la porta, rimasero all’interno per qualche minuto, infine uscirono e andarono a prelevare in cantina vari barili contenenti sostanze chimiche — ogni sorta di polveri finemente macinate: grigie, argentee, bianche, gialle, verdi — e le sparsero ai piedi della tenda, dentro la tenda, tutt’in giro.

Uscirono dal veicolo, fecero chiudere la porta da uno dei presenti, consultarono l’orologio e contarono tutt’e due fino a quattordici e mezzo… e in quel momento, con grande stupore dei presenti, perché il veicolo era fermo e al suo interno, con la porta chiusa, non poteva soffiare alcuna brezza (la chiusura era ermetica) si udirono tintinnare le campanelle di vetro. I due costruttori si strizzarono l’occhio e dissero in coro ai funzionari del Re: «Potete prenderla, adesso!»

Il resto della giornata lo passarono a fare bolle di sapone appoggiati alla ringhiera della veranda. Quella sera giunse Lord Protozoro, Ministro della Caccia Reale, accompagnato da una scorta, e li informò con cortesia, ma in tono fermo, che dovevano accompagnarlo immediatamente in un luogo stabilito. Disse loro che dovevano lasciare tutto ciò che possedevano, compresi i vestiti.

In cambio, Trurl e Klapaucius ricevettero degli stracci e vennero messi in catene. Le guardie e i funzionari di polizia presenti si stupirono del loro perfetto sangue freddo. Invece di chiedere giustizia o di tremare di paura, Trurl si mise a ridere, quando il fabbro gli inchiodò i ferri alle caviglie, e disse che gli facevano il solletico. E quando vennero gettati in un carcere cupo e spaventoso, i due costruttori si misero a cantare «Dondola piano, dolce software».

Intanto il possente Re Krool uscì dal villaggio, sul suo possente carro da caccia, circondato da tutta la sua corte e seguito da un lungo corteo di cavalieri e di macchine, che comprendeva non soltanto le tradizionali catapulte e i mortai, ma anche enormi cannoni laser e bazooka a raggi beta, nonché un proiettore di catrame capace di immobilizzare qualunque manufatto che camminasse, nuotasse, volasse o rotolasse.

La grande processione si fece strada fino alla riserva reale di caccia, e durante il tragitto si udirono molte battute, varie millanterie, parecchie grandi promesse, e nessuno si degnò di pensare ai due costruttori, salvo per dire che quei due fessacchiotti erano in un bel pasticcio, ora.

Ma quando gli squilli delle trombe d’argento annunciarono l’arrivo di Sua Maestà, dalla direzione opposta si vide comparire l’enorme veicolo-frigorifero. La porta dello strano contenitore si spalancò, e per un istante si scorse all’interno della nera facce quello che sembrava un cannone da campo. Poi ci fu un’esplosione, apparve una nuvola di fumo, e qualcosa uscì a razzo dal veicolo: una forma indefinita, come un tornado, con la generica consistenza di una tempesta di sabbia; si mosse così rapidamente, nell’aria, che nessuno riuscì a vederla bene.

Qualunque cosa fosse, volò per una trentina di metri e atterrò senza fare rumore; la tenda che la avvolgeva cadde a terra, le campanelline tintinnarono in modo strano, nel silenzio assoluto, e poi rimasero a terra come fragole calpestate.

Ora tutti poterono vedere chiaramente la bestia… anche se non era affatto nitida, sembrava un rilievo del terreno, alta, lunga e del colore del bosco, come un mucchio di foglie secche. I cacciatori del Re liberarono l’intera muta di segugi automatici (in prevalenza San Cybernardi e snelli Cyberman, con qualche occasionale Terrier ad alta frequenza); questi si lanciarono, ululando e schiumando rabbia, contro la bestia pronta a colpire.

Il mostro non sollevò la testa, non ruggì, non soffiò neppure fuoco. Si limitò a spalancare neghittosamente gli occhi e a ridurre in cenere, in un solo istante, metà del branco.

«Oho! Occhi laser, vero?» esclamò il Re. «Datemi la mia fida cotta di duralluminio, il mio brocchiere a prova di proiettili, l’alabarda e l’archibugio!» ordinò, e così vestito, scintillante come una supernova, montò sul suo impavido e fedele cyber-destriero e uscì allo scoperto. Si portò a ridosso della bestia e le sferrò un tale colpo di spada che l’aria crepitò e la testa del mostro cadde a terra.

Anche se i cortigiani applaudirono doverosamente il trionfo del Re, questi non trasse alcuna soddisfazione dal proprio successo; preso da una grande furia, giurò in cuor suo di escogitare nuove e particolari torture per i due miserabili che osavano farsi chiamare costruttori. La bestia, però, produsse un’altra testa, che scaturì dal troncone del collo, aprì i nuovi occhi e proiettò a tradimento sull’armatura del Re (che però era inattaccabile da ogni genere di radiazione elettromagnetica) un raggio cauterizzante.

«Be’, quei due non sono stati una completa perdita» commentò Re Krool, parlando tra sé. «Ma non basterà a salvarli».

Spronò nuovamente il cavallo verso il mostro.

Questa volta sferrò un colpo terribile, che sezionò la bestia da cima a fondo. Quella, però, non parve preoccuparsene molto: a dire il vero, anzi, gli usò addirittura la cortesia di mettersi in posizione sotto la spada e cadde con un fremito di soddisfazione. E, meraviglia! Il Re le diede un’altra occhiata e vide che era stata gemellata invece che sezionata! C’erano due immagini speculari, ciascuna più piccola dell’originale, più una terza: una bestia formato mignon che correva in mezzo alle altre due — la testa che Re Krool aveva tagliato per prima: ora aveva messo coda e zampe e faceva capriole in mezzo ai cespugli.

«E adesso?» si chiese il Re. «Sarò costretto a ridurlo a pezzetti grossi come topi o come vermiciattoli? Bel modo di andare a caccia!» e con grande ira si scagliò sulla bestia, strisciando a dritta e a manca. Presto, attorno ai suoi piedi, si poté scorgere un’infinità di piccole bestie, ma tutte, a un certo istante, corsero via, si congiunsero tra loro, e dinanzi al Re ricomparve la bestia originaria, perfetta, nuova e nell’atto di soffocare uno sbadiglio.

«Uhm» si disse il Re. «A quanto pare, ha lo stesso meccanismo di stabilizzazione che quel tale — come si chiamava? Ah, Pumpington — che quel tale Pumpington ha cercato di usare. Sì, ricordo di averlo punito io stesso per il suo trucco idiota… Be’, mi basterà tirar fuori i cannoni antimateria».

Ne afferrò uno da due metri, lo puntò e lo caricò personalmente, prese la mira, tirò il cordino del percussore e sparò contro la bestia un proiettile del tutto silenzioso e minacciosamente luminoso, che avrebbe dovuto polverizzarla una volta per tutte. Ma non successe nulla… ossia, non successe granché. La bestia assorbì il proiettile, si abbassò di qualche centimetro sulle zampe, poi estroflesse il braccio sinistro (bianchiccio, lungo e peloso), chiuse a pugno le altre dita e mostrò al Re il solo dito medio, sollevato.

«Il cannone più grosso!» sbraitò Re Krool, fingendo di non notare il gesto ingiurioso. E varie centinaia di contadini issarono fino a lui un vero gigante da più di venti metri, che il Re caricò e puntò. Stava per sparare… quando, tutt’a un tratto, la bestia fece un balzo.

Il Re sollevò la spada per difendersi, ma non vide più la bestia. Coloro che assistettero alla scena, riferirono poi di aver avuto un miraggio, perché, mentre volava nell’aria, la bestia subì una trasformazione rapida come un lampo: il suo massiccio corpaccio grigio si suddivise in tre uomini in uniforme, tre poliziotti, che ancor prima di toccare terra si stavano già preparando a svolgere il loro compito.

Il primo poliziotto, un maresciallo, prese di tasca le manette, mentre ancora piegava le gambe per toccare terra senza farsi male; il secondo si fermò, con una mano, il chepì dall’alto pennacchio, perché non volasse via, e con l’altra estrasse di tasca un mandato d’arresto; il terzo, che doveva essere solo un allievo poliziotto, prese una posizione orizzontale sotto i piedi degli altri due, per attutire la loro caduta… poi si alzò e si rassettò con cura l’uniforme.

Per qualche minuto., l’intero gruppo degli invitati alla caccia rimase come radicato nel punto dove si trovava, senza riuscire a muoversi, poi qualcuno lanciò un grido e tutti si gettarono all’inseguimento.

Montati sui loro cyber-destrieri sbuffanti, i cortigiani avevano praticamente raggiunto i rapitori reali, e le spade e le sciabole uscivano dal fodero e già si alzavano a colpire, ma il terzo poliziotto si piegò fino a terra, si schiacciò l’ombelico e immediatamente le sue braccia divennero due stanghe, le gambe girarono su se stesse e divennero due ruote, mentre la schiena formava il sedile di un calessino da corsa.

Gli altri due poliziotti vi si accomodarono e cominciarono a schioccare la frusta per incitare il Re — che adesso era legato alle due stanghe — a correre più in fretta.

Il Re non poté che fare come gli ordinavano, e ruppe in un galoppo folle, agitando freneticamente le braccia per ripararsi dai colpi che calavano sulla sua regale cervice; ma presto gli inseguitori riguadagnarono il terreno perduto: allora i poliziotti saltarono sulla schiena del Re e uno di loro scese tra le stanghe, sollevò il calessino e lo fece girare su se stesso, come se fosse una trottola. Alla trottola spuntarono le ali: il carro, come in preda a un turbine, si allontanò lungo la collina fino a sparire in una nube di polvere.

Gli accompagnatori del Re si divisero in parecchi gruppi e cominciarono a cercare disperatamente il sovrano, con i contatori Geiger e i cani da fiuto; più tardi arrivò anche un distaccamento speciale del regio esercito, con i lanciafiamme, e bruciò tutti i morti dei cimiteri vicini — ovviamente si trattava di un errore, nato dal tremito della mano che telegrafava l’ordine dal pallone di osservazione che sorvegliava la caccia.

Varie divisioni di polizia corsero qua e là, cercarono sul terreno, frugarono ogni cespuglio e ogni ciuffo d’erba, e vennero diligentemente prese immagini ai raggi X e campioni da laboratorio di ogni immaginabile reperto. Il destriero del Re ricevette ordine di presentarsi davanti a una speciale corte marziale nominata dal Procuratore Capo dello Stato.

Un’unità di paracadutisti con aspirapolvere portatili e setacci venne lanciata sulla reale riserva di caccia per esaminarne ogni particella di polvere, e infine venne dato ordine che chiunque indossasse una divisa da poliziotto fosse arrestato e trattenuto senza possibilità di rilascio dietro cauzione, cosa che, naturalmente, causò parecchie difficoltà: metà dei poliziotti arrestò l’altra metà — come si seppe poi. Al crepuscolo, cacciatori e soldati ritornarono al villaggio storditi e laceri, e dovettero annunciare la terribile notizia che non s’era trovata, da nessuna parte, alcuna traccia del Re.

Alla luce delle torce, in piena notte, i due costruttori, in catene, vennero portati di fronte al Grande Cancelliere e Custode del Sigillo Reale, che si rivolse loro nel seguente modo: «Poiché avete falsamente cospirato e perversamente complottato contro la Corona e la Vita del nostro Amato Sovrano e Nobilissimo Re Krool e conseguentemente a ciò avete osato levare su di lui una mano sacrilega e traditrice, ne avete vilmente procurato la dipartita, oltre ad avere assunto falsamente l’identità di più agenti di polizia, la qual cosa costituisce notevole aggravante dei vostri crimini, sarete squartati senza quartiere, impalati ed esposti sulla pubblica piazza, sbudellati, sepolti vivi, crocifissi e bruciati sul rogo, e infine le vostre ceneri saranno messe in orbita come avvertimento e memento perpetuo a chiunque osi albergare in sé tentazioni di regicidio, amen».

«Non potreste aspettare un attimo?» chiese Trurl. «Vedete, attendevamo una lettera…»

«Una lettera, ridicolo e abietto poltrone?»

Proprio allora le guardie si scostarono per lasciar passare il Ministro delle Poste… del resto, come potevano sbarrare con le loro alabarde l’ingresso a un simile dignitario? Il Ministro si presentò in alta uniforme; con tutte le medaglie che tintinnavano in modo impressionante, trasse una lettera da una cartelletta adorna di zaffiri e la consegnò al Cancelliere, dicendo: «Benché io sia solo un manichino, vengo da parte di Sua Maestà».

E così dicendo si disintegrò in una massa di finissima polvere.

Il Cancelliere non voleva credere ai propri occhi, ma riconobbe immediatamente il sigillo reale impresso sulla chiusura di ceralacca rossa; aprì la lettera e lesse che Sua Maestà era costretto a negoziare con il nemico, giacché i costruttori avevano impiegato mezzi algoritmici e algebrici per catturarlo, e adesso avrebbero elencato le loro richieste, che il Grande Cancelliere avrebbe fatto bene a soddisfare, se voleva riavere tutto intero il suo Possente Sovrano. E, come firma: «Krool qui pone la sua mano e il suo sigillo, mentre è tenuto prigioniero, in una caverna di ignota posizione, da una bestia pseudopoliziesca in triplice uniforme».

Si levò un gran clamore; tutti gridavano e chiedevano a gran voce cosa significasse, e quali fossero le richieste, ma Trurl si limitò a dire: «Le nostre catene, per favore».

Venne chiamato un fabbro, che si affrettò a liberarli. Poi Trurl soggiunse: «Siamo sporchi e affamati, abbiamo bisogno di un bagno, di un rasoio, di massaggi e rinfreschi: il tutto, naturalmente, della migliore qualità, con grande pompa, e con il dessert gradiremmo un balletto acquatico con fuochi artificiali!»

La corte, naturalmente, era sconvolta, ma dovette obbedire ai due costruttori, fino all’ultimo dettaglio. Solo all’alba la coppia dei Nostri fece ritorno dalla sua residenza: ciascuno dei due era elegantemente profumato e sedeva in una portantina trasportata da valletti (i loro ex informatori); poi, degnatisi di concedere udienza, si fecero posare a terra ed elencarono le loro richieste — non a memoria, però, ma leggendole in un libriccino che avevano già preparato in precedenza e nascosto dietro una tenda della loro stanza. Lessero i seguenti articoli:


Art. 1. Sarà fornita una nave, della miglior fattura e appartenente al miglior modello disponibile, per portare a casa i costruttori.

Art. 2. Su detta nave saranno caricati i seguenti beni: diamanti, quattro secchi; monete d’oro, quaranta secchi; platino, palladio e altro materiale di valore disponibile, otto secchi ciascuno. Inoltre, tutti i souvenir e gli oggetti curiosi — tra quelli ora presenti negli Appartamenti Reali — che i firmatari di questo elenco potranno giudicare adatti.

Art. 3. Fino al momento in cui detta nave non sarà pronta per la partenza, con ogni vite ben serrata e copigliata, non avrà il pieno carico e non sarà consegnata ai costruttori, completa di passatoia rossa, banda d’addio di ottanta elementi e coro di voci bianche, e finché non si saranno svolti gli opportuni festeggiamenti, con consegna di premi e decorazioni, con folla doverosamente osannante… fino a quel momento, nisba Re.

Art. 4. Un’espressione ufficiale di imperitura gratitudine verrà coniata su un’opportuna medaglia d’oro dedicata ai Sublimi e Radianti Costruttori Trurl e Klapaucius, Delizia e l’errore dell’universo; nella medaglia sarà inciso il completo resoconto della loro vittoria, firmato in calce da ogni Ministro del Regno. Detta medaglia sarà incastonata sulla canna del cannone preferito di Sua Maestà il Re: cannone che lo stesso Lord Protozoro, Ministro della Caccia Reale, porterà a bordo, da solo e senza alcun aiuto… il Protozoro, sia ben chiaro, che ha attirato con l’inganno sul pianeta i due Sublimi e Radianti Costruttori, con l’intento di procurare loro morte dolorosa e disonorevole.

Art. 5. Il suddetto Protozoro li accompagnerà nel corso del viaggio di ritorno, a loro tutela e protezione da ogni sorta di tradimento, inseguimento e simili. A bordo occuperà una gabbia di 90 per 90 per 120 cm e riceverà come assegnazione giornaliera di cibo un panzerotto ripieno di quella stessa segatura che i Sublimi e Radianti Costruttori ritennero di dover ordinare nel periodo in cui indulgevano alle follie del Re e che venne poi portata al quartier generale della polizia per mezzo di un dirigibile senza targa.

Art. 6 e ultimo. Il Re non dovrà implorare in ginocchio perdono dai Sublimi e Radianti Costruttori perché essi gli sono troppo superiori per badare a lui.


In fede, le parti hanno qui posto la loro firma e il loro sigillo in data tale giorno del tale mese del tale anno eccetera eccetera.

Firmato: Trurl e Klapaucius, costruttori.

Controfirmato: il Grande Cancelliere, il Grande Ciambellano, il Grande Capo della Polizia Segreta, il Grande Siniscalco, i Capi Squadrone e il Ministro dei Reali Dirigibili.


Ministri e dignitari stavano per scoppiare, ma che altro potevano fare? Non avevano scelta, e perciò ordinarono subito di allestire un’astronave.

Poi, però, i due costruttori fecero inopinatamente la loro comparsa al cantiere, dopo un tranquillo petit déjeuner, per controllare il lavoro, e non c’era niente che riuscisse a soddisfarli: un certo materiale, per esempio, non valeva nulla, un certo ingegnere era un perfetto idiota, e nella sala principale volevano una lanterna magica che girasse a una data velocità, montata su quattro aggeggiacoli pneumatici e con in cima un orologio a cuccurucù con movimento atomico… e se i locali non sapevano che cos’era un aggeggiacolo, peggio per loro, dato che il Re era certo ansioso di essere liberato, e (non appena ritornato in grado di farlo) avrebbe punito con severità chiunque avesse osato prolungare la sua prigionia. Questa osservazione fu causa di un generale quasi-svenimento, di una grande debolezza alle ginocchia e di un’epidemia di tremarella, ma il lavoro proseguì in fretta.

Infine la nave fu pronta e gli stivatori reali cominciarono ad accumulare il carico nella stiva: diamanti, sacchi di perle, una tale quantità d’oro che qualche moneta continuava sempre a ruzzolare fuori dal portello.

Intanto, la polizia stava segretamente passando al pettine l’intero paese, con grande divertimento di Trurl e Klapaucius, i quali non avevano difficoltà a spiegare a un pubblico intimidito ma incantato come fosse successa ogni cosa, come avessero scartato un’idea dopo l’altra finché non si erano imbattuti in un genere di bestia del tutto diverso. Non sapendo dove mettere i comandi — ossia il cervello — della bestia senza correre rischi, i costruttori avevano fatto in modo che l’intera bestia fosse cervello, permettendole di pensare con le gambe, la coda o le mascelle (che, com’era ovvio, erano dotate unicamente di denti del giudizio).

Ma questo era stato solo l’inizio. Il vero problema aveva due aspetti: algoritmico e psicoanalitico. Innanzitutto avevano dovuto studiare qualcosa che fosse in grado di bloccare il Re, di coglierlo — per così dire — con le brache calate. A questo scopo, con una trasformata non lineare, avevano creato all’interno della bestia un sottoinsieme poliziesco, perché tutti sanno che resistere o interferire con un agente di polizia intento a effettuare un arresto «lege artis» è un reato cosmico, qualcosa di assolutamente inconcepibile. Questo per ciò che riguardava la psicologia… a parte il fatto che il Ministro delle Poste era stato scelto per lo stesso motivo: un dipendente di rango inferiore, probabilmente, non sarebbe riuscito a passare in mezzo alle guardie, la lettera non sarebbe stata recapitata e i costruttori avrebbero rischiato di perdere la testa, alla lettera.

Inoltre, il manichino-Ministro aveva con sé una somma sufficiente a corrompere le guardie, se fosse stato necessario: ogni possibilità era stata prevista e neutralizzata.

Invece, per quanto riguardava gli algoritmi: avevano dovuto semplicemente trovare nello spazio delle bestie il giusto insieme, chiuso, finito e obbediente a numerose leggi associative e distributive; poi, inserire due o tre costanti — custodi (della legge), qualche grafico grillato, equazioni squadratiche e criminalità ondulatoria. Il tutto era partito di li, una volta attivato dalla trovata di scrivere un documento programmatico (dietro la tenda dalle campanelle) con l’inchiostro all’olio di ricino, che lo rendeva sufficientemente indigesto da poter funzionare come generatore di programmi burocratici. A questo punto si potrebbe anche menzionare che i due costruttori pubblicarono, in seguito, su una primaria rivista scientifica, un articolo intitolato «Le metafunzioni beta-iterative nel caso speciale di una trasformazione pseudo-pluripoliziesca in uno Spazio Armonico Oscillante composto di campanelline di vetro, un calessino verde e una lampada a petrolio per distrarre l’attenzione, e loro risoluzione mediante incarcerazione-concatenazione da parte di una bestia», che venne riassunto dai quotidiani come «Lo stato poliziesco tenta di rialzare la testa». Naturalmente, nessuno dei protagonisti — ministri, dignitari e cacciatori — era in grado di capire una sola riga dell’articolo, ma la cosa non aveva molta importanza. Quanto ai devoti sudditi di Re Krool, non sapevano se odiare e disprezzare i due costruttori o se invece guardarli con reverenza e ammirazione.

Quando ogni cosa fu pronta per la partenza, Trurl, come prescritto dall’accordo, si recò con un grande sacco negli appartamenti privati del Re e tranquillamente requisì tutti gli oggetti che gli destavano l’uzzolo. Infine, giunse il carro che doveva portare allo spazioporto i vincitori. Laggiù la folla li salutò con interminabili applausi, la banda li accolse con inni e marcette, un coro di bambini si esibì nei pezzi migliori del suo repertorio, e infine un’incantevole bambina di pochi anni, con indosso il costume locale, fece la riverenza e porse loro un mazzo di fiori impreziosito da nastri di seta e filo d’oro.

I funzionari più importanti, a turno, vennero a porgere ai due costruttori la loro imperitura gratitudine e augurarono loro un cordiale arrivederci, la banda tornò a suonare, qualche signora svenne dalla commozione, e sulla grande pista tornò a regnare un assoluto silenzio. Klapaucius, infatti, si era tolto di bocca un dente: non uno qualsiasi, ma un trasmettitore-ricevitore, un dente bicuspidato bidirezionale. Spostò una minuscola leva, e subito, all’orizzonte, comparve una nube di tempesta, che girò su se stessa sempre più velocemente e parve dilatarsi e crescere, finché non giunse nello spazio vuoto compreso tra la folla e la nave. Laggiù s’immobilizzò all’improvviso, scagliando polvere e pezzi di ghiaia in tutte le direzioni.

Tutti trassero il fiato e fecero un passo indietro: davanti a loro c’era la bestia, che — in atteggiamento superbamente barbaro e bestiale — batteva gli occhiacci laser e frustava l’aria con la sua coda di drago!

«Il Re, per favore» ordinò Klapaucius, ma la bestia rispose, parlando con voce perfettamente normale: «Neanche morta. Adesso tocca a me fare le richieste».

«Cosa? Sei impazzita? Tu devi solo obbedire, è scritto nella tua matrice!» gridò Klapaucius. Tutti li fissavano, attoniti.

«Matrice dei miei stivali! Ascolta, bello, io non sono una bestia qualsiasi: sono algoritmica, euristica, sadistica e non masochistica, completamente automatica e autocratica, il che vuol dire non-democratica, e ho un fottio di feedback e un sacco di scappatoie sempre sottomano. Perciò; basta con le scemenze, altrimenti ti metto ai ferri, ossia in gattabuia con il Re, nel calessino verde con il lumino, capito?»

«Te lo do io, il feedback!» gridava Klapaucius, rabbioso. Ma Trurl chiese alla bestia: «Che cosa vuoi, esattamente?» Poi scivolò dietro il compagno, in modo che la bestia non lo vedesse, e si tolse a sua volta un dente molto particolare.

«Be’, prima di tutto voglio sposare…»

Non seppero mai chi la bestia volesse sposare, perché Trurl spostò una minuscola leva e recitò in fretta: «Ambarabbà, ciccì, cuccù, input, output, non-ci-sei-più!»

Il sistema di campi elettromagnetici incredibilmente complesso che manteneva al loro posto gli atomi della bestia si sfasciò sotto l’effetto di quelle parole: la creatura artificiale batté le palpebre, rizzò le orecchie, inghiottì il vuoto, cercò di rimettersi insieme, ma prima ancora che riuscisse a digrignare i denti, si levò un soffio rovente di vento, si diffuse un intenso puzzo di ozono, e poi non rimase più niente da rimettere insieme, solo un monticello di ceneri e nel bel mezzo, immobile, il Re, sano e salvo, ma in grande necessità di un bagno e di un vestito pulito, e imbarazzatissimo fino alle lacrime per quel che gli era successo.

«Questo ti farà abbassare la cresta» commentò Trurl, e nessuno capì se si riferisse alla bestia o al Re. In entrambi i casi, comunque, l’algoritmo aveva sortito perfettamente il suo effetto.

«E adesso, signori» concluse Trurl «se voleste gentilmente accompagnare il Ministro della Caccia Reale fino alla sua gabbia, noi saremmo pronti a partire…»

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