LA SESTA FATICA OVVERO COME TRURL E KLAPAUCIUS CREARONO UN DEMONE DI SECONDA CLASSE PER SCONFIGGERE IL PIRATA PUGG

Ci sono soltanto due carovaniere che portano a sud dalla Regione dei Soli Superiori. La prima, che è la più antica, va dal Quadrilatero Stellare al Grande Glossoronte, stella estremamente pericolosa, perché la sua magnitudo varia, e quando è al minimo la fa assomigliare alla Stella Nana degli Abissiri, cosicché i naviganti, sbagliando rotta, finiscono nella Grande Coltre Desertica, da cui solo una carovana su nove fa ritorno.

La seconda — e più recente — carovaniera è quella aperta dall’impero Myrapoclide, i cui turboschiavi hanno scavato una galleria di sei miliardi di miglia, attraverso il cuore del Grande Glossoronte stesso.

L’imboccatura settentrionale della galleria si può rintracciare nel modo seguente: partendo dall’ultimo dei Soli Superiori, procedere verso il Polo per il tempo occorrente a recitare sei volte l’Angelo di Dio che sei il mio custode». Poi virare a sinistra, fino a raggiungere la parete di fuoco che costituisce la corona esterna e la cromosfera di Glossoronte, e vedrete subito l’apertura, perché è un puntolino nero in mezzo all’abbagliante candore di quella gigantesca fornace spaziale.

Fate rotta verso quel puntolino, e non abbiate paura, perché la galleria è così larga che ci passano — tribordo contro babordo — fino a otto navi. Lo spettacolo che vedrete dai vostri oblò non ha davvero uguali.

Per prima incontrerete la famosa Fonte di Fiamma Flogisto, e quello che incontrerete successivamente dipende dal tempo: se gli abissi della stella sono spazzati da tempeste piromagnetiche che scoppiano a un miliardo di miglia — o più — di distanza, si vedono grandi masse tormentate di fuoco, arterie pulsanti, gonfie di macchie bianche e ardenti. Se invece la tempesta è più vicina, o è un tifone del settimo ordine, il soffitto della galleria prende a tremare, come se la bianca nube di incandescenza stesse per cadere, ma si tratta solo di un’illusione, perché il fortunale passa attorno alla galleria ma non la spezza, e il suo calore non può consumare coloro che sono all’interno: a tenere a bada la tempesta ci pensano i Fasci di Forza Faffiani che formano la fasciatura della galleria.

Eppure, quando si vede muoversi il centro della grande eruzione, e avvicinarsi le lunghissime lingue di fiamma delle sub-fonti chiamate Infernotti, è meglio tenere ben saldo il timone, e orientarsi guardando le viscere della stella, invece della carta siderale, perché occorre dare fondo a tutta la propria abilità di pilota.

In effetti, quella grande galleria non ha mai due volte lo stesso aspetto; l’intero tunnel scavato dentro Glossoronte si contorce continuamente, si agita come una serpe in lotta con una mangusta. Perciò, lustratevi bene gli occhi, e tenete a portata di mano i pacchi refrigeranti, per coprire di uno strato di ghiaccio trasparente i vostri visori, e guardate con attenzione le pareti di fiamma che si avventano contro di voi, tendete l’orecchio perché vi parrà di sentir cedere la chiglia, fidatevi soltanto dei vostri collaudati riflessi.

Dovete però ricordare che non tutte le fiammate e non tutti i sobbalzi della galleria corrispondono a un terremoto stellare o a una bonaccia nella sua materia; tenendo in mente anche questo, il marinaio esperto non griderà: «Agli idranti!» quando vede accendere un cerino, e più tardi non dovrà affrontare le irrisioni dei suoi colleghi, i quali lo paragonerebbero a quel tale che voleva spegnere la luce eterna di una stella servendosi di un termos di azoto liquido.

A chi invece volesse sapere che fare se un vero terremoto stellare piombasse sulla sua nave, i vecchi dello spazio risponderebbero che si riesce a malapena a trarre un sospiro, perché manca perfino il tempo di recitare una preghiera o di fare testamento; quanto agli occhi, si può tenerli aperti o chiusi: è indifferente, perché il fuoco li consumerebbe in qualsiasi caso.

Simili disastri, comunque, sono estremamente rari, perché gli anelli e i puntelli installati dall’impero Myrapoclide resistono mirabilmente, e in verità il volo interstellare, quando si arriva al centro di Glossoronte e si passa in mezzo al suo idrogeno metallico, scintillante come argento vivo o come uno specchio liquido, è un’esperienza affascinante.

Comunque, si dice che chi imbocca il tunnel è in grado di uscirne, mentre lo stesso non si può dire della Grande Coltre Desertica. E se la galleria trans-solare dovesse finire distrutta da un astroclasmo (o terremoto stellare), la sola rotta possibile costringerebbe i poveri marinai ad attraversare la Coltre, che è buia come la notte — come suggerisce il nome — perché la luce delle stelle ha paura di entrarvi.

Laggiù, come in un mortaio, ci sono continui scontri e collisioni — che fanno un chiasso terribile — di pezzi di metallo, lattine, frammenti di astronavi portate fuori rotta dalle insidie di Glossoronte, schiacciate nella stretta crudele di quegli infiniti vortici gravitazionali, poi abbandonate e destinate ad andare alla deriva fino alla consumazione dell’universo.

A est della Coltre c’è il regno dei Mascelli, a ovest degli Sgranocchi, e a sud ci sono strade piene di alte rocche fortificate, che portano alla più tranquilla sfera di Pigrulia, azzurra come il cielo, e dietro di essa c’è il piccolo Murdingham, dove l’arcipelago di stelle povere di ferro — noto come il Carro di Alcaronte — arde di un colore rosso sbiadito.

La Coltre stessa, come si diceva, è nera quanto il corridoio di Glossoronte è bianco. E la sua pericolosità non deriva soltanto dai vortici, dai frammenti che viaggiano a velocità incredibile, spinti dalle correnti, dalle meteore impazzite che vi si incontrano; infatti, molti riferiscono che in un luogo ignoto, in un regno di caverne cupe e crepuscolari, al fondo di un abisso insondato e insondabile, da intere epoche abita una creatura anomala e del tutto anonima, perché chiunque la incontri non sopravvive a sufficienza per poter comunicare il suo nome.

Si dice che l’Anonimoide sia un pirata e un mago, che abiti in un castello innalzato dalla forza della gravitazione nera, e che il fossato di quel castello sia una tempesta che non cessa mai di infuriare, le mura siano di non-essere, insuperabili nella loro non-esistenza, tutte le finestre cieche, e le porte mute.

L’Anonimoide giace laggiù in agguato, in attesa delle carovane, e ogni volta che sente la bramosia di oro e di scheletri, soffia sabbia nera sui soli che servono da fari, e quando li ha spenti, e qualche viaggiatore lascia il cammino sicuro, piomba dal vuoto, turbinando ferocemente, avvolge nelle proprie spire i malcapitati e li porta al suo castello dell’oblio, senza perdere neppure una spilla di rubini sintetici, perché si tratta di un mostro mostruosamente meticoloso.

Sparito l’Anonimoide, solo i poveri resti divorati lasciano il suo castello e vanno alla deriva lungo la Coltre, seguiti da lunghe file di bulloni provenienti dal fasciame della nave, che il mostro sputa come se fossero semi di cocomero. Ma negli ultimi tempi, da quando il tunnel di Glossoronte è stato aperto grazie al lavoro forzato di innumerevoli turbo-schiavi e tutta la navigazione passa per la più luminosa delle gallerie, l’Anonimoide urla di rabbia, perché non può più darsi al saccheggio, e il fuoco della sua collera si accende nell’oscurità della Coltre, e brilla di luce fosca, oltrepassando la barriera di gravitazione nera, come il teschio di un assassino che marcisce in un bozzolo fosforescente.

Ci sono degli increduli, è vero, che dicono che quel mostro non esiste e non è mai esistito… e lo dicono senza timore di venire smentiti, perché è difficile smentire parole su cui non ci sono prove, e per di più in luoghi lontani da coltri cosmiche e da conflagrazioni stellari.

Sì, è facile non credere ai mostri quando si è lontani da loro, mentre é assai più difficile sfuggire ai loro spaventosi artigli quando sono vicini. Lo stesso Gibernatoro di Murgundia, con un seguito di ottanta cortigiani su tre navi, non fu forse inghiottito dalla Coltre, e di quel magnate non rimase più nulla, tranne qualche fibbia smangiucchiata, scagliata sulle spiagge di Solara Minor da un’ondata nebulare e laggiù scoperta dagli abitanti del luogo?

E innumerevoli altre personalità non sono state forse divorate senza misericordia e senza appello? Perciò, che almeno le memorie elettroniche offrano un tacito tributo a quelle povere moltitudini insepolte, se non si può trovare un vendicatore, uno che si occupi di quel bandito come prescrivono le nostre antiche leggi siderali.


Tutto questo, Trurl lo lesse un giorno su un libro, ingiallito dal tempo, acquistato da un rigattiere di passaggio; lo portò subito a Klapaucius, e lo lesse una seconda volta ad alta voce, dall’inizio alla fine, tanto era affascinato dalle meraviglie che vi erano descritte.

Klapaucius, saggio costruttore che conosceva bene il Cosmo e aveva una buona competenza dei soli e delle nebulose di tutti i generi, si limitò a sorridere e a rivolgergli un cenno d’assenso, dicendo: «Non crederai, spero, a una sola parola di quelle sciocchezze?»

«E perché non dovrei crederci?» s’inalberò Trurl. «Guarda, c’è perfino un’incisione, ben disegnata, dell’Anonimoide che inghiotte due schooner a fotoni e nasconde il bottino nei suoi sotterranei. Del resto, esiste effettivamente una galleria che attraversa una supergigante. Betelgeuse, intendo dire. Certamente, con la tua conoscenza della cosmografia, non puoi escludere quella possibilità».

«Per quel che riguarda le illustrazioni, se ti disegnassi un drago con mille soli per occhio, accetteresti il mio disegno come prova della sua esistenza?» rispose Klapaucius. «E per le gallerie, quella che citi è lunga solo due milioni di miglia, non parecchi miliardi. Inoltre, la stella di cui parli è praticamente esaurita, e il viaggio interstellare in quelle regioni non presenta alcun pericolo, come sai perfettamente anche tu, essendoci stato di persona.

«Quanto alla cosiddetta Grande Coltre Desertica, è solo una discarica cosmica di spazzatura, larga circa dieci chiloparsec, che va alla deriva nella zona tra Meridia e Tetracidia, e non nella regione tra i Mascelli e gli Sgranocchi, che sono razze inesistenti; laggiù è buio, certo, ma solo perché c’è tutta quella spazzatura. Quanto al tuo Anonimoide, è chiaro che una simile creatura non è mai esistita! Non è neppure una rispettabile leggenda antica: è solo una storiella da niente, inventata da un pennivendolo da quattro soldi».

Trurl si morse il labbro.

«Tu dici che il tunnel è privo di rischi» disse «perché sono stato io a viaggiarci. Ma ne avresti un’altra idea, se fossi stato tu. Lasciamo perdere il tunnel, comunque. Per quanto riguarda la Coltre e l’Anonimoide, in casi come questo non mi accontento delle semplici parole. Andremo laggiù, e vedremo di persona» continuò, sollevando il pesante volume «quel che c’è di vero nel libro, e quel che c’è di falso!»

Klapaucius fece del suo meglio per dissuaderlo, ma quando vide che Trurl, ostinato come sempre, non aveva alcuna intenzione di tirarsi indietro da un’impresa nata in modo così singolare, dapprima dichiarò di non voler averci a che fare, poi si associò ai preparativi per il viaggio: non voleva che l’amico morisse da solo… insomma, in due si può guardare negli occhi la morte con maggiore serenità che da soli.

Alla fine, riempita la cambusa di una grande quantità di provviste, perché il viaggio li avrebbe portati in regioni smisurate e spoglie (non certo pittoresche come quelle descritte dal libro) partirono con la loro fida nave. Durante il viaggio si fermarono di tanto in tanto per chiedere la strada, soprattutto dopo essersi lasciati alle spalle i territori che conoscevano bene. Dai nativi del luogo, però, non si poteva apprendere molto, perché anch’essi conoscevano soltanto le loro immediate vicinanze: di quel che stava al di là, in luoghi dove non s’erano mai avventurati, davano le descrizioni più assurde, e molto particolareggiate, inventandosi i dettagli con grande piacere e insieme con un briciolo di timore. Klapaucius definì «corrose» quelle narrazioni, con riferimento alla sclerosi da corrosione che colpiva i cervelli di una certa età.

Ma quando arrivarono a cinque o sei milioni di isolatiluce dalla Coltre Nera, cominciarono a sentir parlare di un gigante-ladro che si faceva chiamare il Pirata P.H.T. Nessuno di coloro con cui parlarono i due costruttori lo aveva mai visto realmente, e nessuno sapeva dire il significato di P.H.T. Trur1 pensò che fosse un gioco di parole su ph, per indicare un pirata ionico caratterizzato da un’alta concentrazione e da un carattere molto acido, ma Klapaucius, più realista, preferì non inventarsi ipotesi. A quanto pareva, quel pirata era un bruto collerico, come stava a indicare il fatto che, anche dopo aver spogliato di tutto le sue vittime, non era ancora soddisfatto, poiché la sua crudeltà era grande e insaziabile, e le colpiva a lungo, ferocemente, prima di rimetterle in libertà.

Per qualche istante, i due costruttori si chiesero se non fosse il caso di armarsi di spade o di pistole a raggi, prima di avventurarsi nella Coltre, ma presto conclusero che l’arma migliore era la loro intelligenza, aguzzata dalla pratica della progettazione, sottile, agile e universale. Così, partirono disarmati.

Occorre osservare che Trurl, con il procedere del viaggio, era amaramente deluso: i campi di stelle, i fuochi astrali ruggenti, gli spazi vuoti come caverne, gli atolli di meteoriti e le secche traditrici non risultavano affatto incantevoli come li descriveva il vecchio libro. In giro si scorgeva solo qualche vecchia stella, ma tutt’altro che impressionante (e, a dire il vero, piuttosto male in arnese); alcune si limitavano a un luccichìo rossiccio, come braci in mezzo alla cenere, mentre altre erano completamente buie e dure in superficie, vi si vedeva ardere solo qualche vena rossa dove la crosta grinzosa e carbonizzata faceva una crepa.

Non c’era traccia di fiammeggianti giungle della combustione, né di vortici misteriosi, e nessuno ne aveva mai sentito parlare, perché il deserto era un luogo di noia estrema, essendo, appunto, deserto. Quanto poi alle meteore, ce n’erano dappertutto, ma nel loro sciame chiassoso e tintinnante c’erano assai più rifiuti volanti che oneste magnetiti, tettiti e aeroliti… per la semplice ragione che il Polo Galattico era a un tiro di pietra e le correnti nere, nella loro circolazione, scaricavano in quel punto, a sud del Polo, enormi quantità di detriti galleggianti provenienti dalle zone centrali della Galassia. Perciò, tutte le nazioni e le tribù dell’area circostante si riferivano a quella zona non come alla Coltre, ma semplicemente per quello che era: una grande distesa di spazzatura spaziale.

Trurl nascondeva come meglio poteva la sua delusione, per non suscitare i commenti sarcastici di Klapaucius, e si diresse verso la Coltre. Immediatamente sentirono la sabbia colpire la prua; ogni tipo di polveri spaziali sputate dalle esplosioni di supernove delle varie generazioni si raccoglieva e si incrostava sullo scafo della nave, formando una patina così spessa che i costruttori persero ogni speranza di riportare il vascello allo splendore iniziale.

Ormai le stelle erano svanite nella penombra generale, cosicché i Nostri erano costretti a procedere a tentoni, finché la loro nave non diede una forte sgroppata e tutto l’arredamento, le stoviglie e le padelle volarono per aria; poi la nave si precipitò in avanti, sempre più veloce, finché non si udì uno scricchiolio orribile e la nave finì progressivamente per fermarsi, come se si fosse impiantata in una massa di pasta cedevole.

I due costruttori corsero ai finestrini, ma non riuscirono a vedere nulla: fuori, l’oscurità era completa.

Poi, contro il portello d’entrata, sentirono alcuni colpi, che dovevano essere battuti da qualcuno di spaventevolmente forte, perché lo scafo tremava.

A quel punto, a Trurl e Klapaucius cominciò a sorgere qualche dubbio sulla forza della loro pura intelligenza, ma ormai era troppo tardi, e così si decisero ad aprire il portello d’uscita, perché temevano che il loro assalitore finisse per sfondarlo.

Mentre guardavano fuori, questo qualcuno accostò la faccia all’apertura: una faccia così enorme da escludere chiaramente la possibilità che il resto del corpo potesse entrare nella nave. Oltre che smisurata, era anche orribile al di là di qualsiasi immaginazione, piena in ogni lato di centinaia di occhi sporgenti, con la lama di una sega al posto del naso e un gancio d’acciaio al posto della mascella.

La faccia premuta contro l’apertura del portello non si muoveva: solo gli occhi dardeggiavano avanti e indietro, esaminando con avidità ogni particolare, come per valutare se la preda meritasse la sua attenzione. Anche una persona assai meno intelligente dei nostri costruttori avrebbe capito il significato di quell’esame, perché era inequivocabile. «Allora?» chiese infine Trurl, esasperato da una curiosità tanto sfacciata e dal fatto che il gigante non proferisse parola. «Che cosa vuoi, sudicio bifolco? Io sono Trurl, costruttore e onnipotenza generale, e con me c’è il mio amico Klapaucius, anch’egli rinomatissimo; e stavamo volando con la nostra nave, a scopo di semplice turismo.

«Perciò, sei invitato a togliere dal nostro portello il tuo brutto faccione, a lasciarci partire immediatamente da questo luogo sgradevole — che senza dubbio sarà pieno di pattume e di immondizia — e a indicarci qualche regione pulita e rispettabile, o faremo una petizione a chi di dovere, e tu verrai ridotto in tanti pezzettini. Mi hai sentito, sciacallo, stracciarolo, collezionista di rifiuti?»

Ma il faccione non disse niente; si limitò a guardare, come se continuasse a calcolare, a fare una stima di quello che aveva davanti a sé.

«Senti, fenomeno da baraccone» gridò allora Trurl, gettando al vento ogni cautela, anche se Klapaucius continuava a dargli di gomito perché non si sbilanciasse troppo «noi non abbiamo né argento né oro, né pietre preziose, perciò, lasciaci immediatamente liberi, e soprattutto, copri quella tua faccia formato gigante, perché è troppo oscena. E tu… — proseguì, rivolto a Klapaucius — …piantala con le gomitate! Con certa gente, bisogna parlar chiaro!»

«Non mi interessano» disse all’improvviso il faccione, puntando su Trurl le sue migliaia di occhi scintillanti «l’oro e l’argento, e a me dovete rivolgervi con educazione, e portare rispetto, perché sono un pirata con il dottorato di ricerca, il PH.D., assai istruito e di natura facilmente irritabile. Ho già avuto altri ospiti, ed è stato necessario addolcirli un poco… Quando avrò dato un po’ di bastonate anche a voi due, vedrete che sarete un intero galateo di buone maniere.

«Mi chiamo Pugg, misuro trenta cubiti in ogni direzione ed è vero che rubo, ma con un sistema moderno, e scientifico, perché raccolgo solo informazioni preziose, genuine verità, conoscenze inestimabili e in genere qualsiasi dato che possa avere valore. E adesso, cominciate a passarmeli, altrimenti fischio! Bene, conto fino a cinque: uno, due, tre…»

Al cinque, dato che non gli veniva passato niente, si portò due dita alla bocca e ne trasse un tale fischio che i due costruttori ebbero l’impressione di avere perso le orecchie. Klapaucius comprese che il P.H.T. di cui parlavano con terrore gli abitanti dei pianeti vicini era in realtà il PH.D. a cui aveva accennato il pirata, che doveva avere davvero studiato presso qualche istituto superiore, come l’Accademia per Criminali. Trurl si portò le mani alle orecchie e gemette — il fischio di Pugg corrispondeva pienamente alla sua taglia.

«Non ti daremo niente!» esclamò, mentre Klapaucius correva a cercare i tappi per le orecchie. «E togli di lì il tuo faccione!»

«Se non ti piace la mia faccia, forse ti potrà piacere la mia mano» rispose il pirata. «E’ una vera cannonata di mano, e pesa come il diavolo! Eccola che arriva!»

Proprio così: i tappi che Klapaucius era andato a prelevare erano ormai inutili, perché la faccia era scomparsa, e al suo posto c’era una mano. E che mano: la madre di tutte le mani, con noduli e bitorzoli e unghie grosse come zappe.

Cominciò a frugare dappertutto e ad afferrare gli oggetti, fracassando le tavole e le ante degli armadietti, cosicché tutte le stoviglie finirono per terra. La mano rincorse Trurl e Klapaucius fin nella sala dei motori: laggiù, i nostri salirono sulla pila atomica e cominciarono a colpire le nocche del gigante — pow! pow! — con un attizzatoio. Questo fece infuriare ancor di più il pirata dottorato, che accostò nuovamente la faccia al portello e disse: «Sentite, vi raccomando cordialmente di venire subito a patti con me, altrimenti vi metterò da parte per il futuro, in fondo al mio barile delle scorte, e prima vi coprirò di immondizia, poi vi bloccherò con delle grosse pietre, in modo che non possiate muovervi: voi rimarrete laggiù, fermi, a far niente, e arrugginirete pian piano. Allora, cosa decidete?»

Trurl non voleva sentir parlare di negoziati, ma Klapaucius chiese con educazione che cosa precisamente volesse Sua Diplomatezza Dottorale.

«Adesso che vi siete decisi a parlare» rispose il pirata «sappiate che io raccolgo ricche miniere di informazioni, perché questo è l’amore, la vocazione della mia vita, effetto di un’istruzione superiore e, potrei aggiungere, di un’intuizione pratica delle cose, considerato che qui, con i soliti tesori che i pirati ignoranti amano accumulare, non c’è una sola maledetta cosa che si possa comprare.

«Le informazioni, viceversa, soddisfano la nostra sete di conoscenza, ed è noto che tutto quello che esiste è informazione; così, da secoli continuo a raccoglierne, e continuerò a farlo, anche se devo confessare che un po’ di oro e di diamanti, di tanto in tanto, non mi danno fastidio, perché sono belli e decorativi… ma si tratta di una deroga alle mie abitudini, del tutto occasionale. Tenete presente, però, che le informazioni false — come le monete false — le ripago con una bella scarica di legnate, perché sono una persona raffinata e amo le cose autentiche!»

«Ma che genere di informazioni valide e autentiche chiedi?» volle sapere Klapaucius.

«Qualunque genere, purché siano vere» rispose il pirata. «Non puoi mai sapere quali potranno esserti utili. Con quelle informazioni, ho già riempito un centinaio tra grotte e cantine, ma c’è ancora posto per almeno il doppio di quelle che ho. Perciò, fuori le informazioni; ditemi tutto quello che sapete, e io lo stenograferò. Ma cercate di darvi una mossa!»

«Aspetta» sussurrò Trurl. «Ho un’idea».

E aggiunse, a voce alta: «Ascolta, brigante laureato, noi conosciamo un’informazione che vale più di qualsiasi altra, una formula per fabbricare l’oro dai normali atomi: dall’idrogeno, per esempio, la cui riserva, nell’universo, è inesauribile. Te la daremo, se ci lascerai andare».

«Ne ho un baule pieno, di quelle formule» rispose il faccione, roteando con ira gli occhi. «E nessuna efficace. Non intendo farmi turlupinare un’ennesima volta. Prima, mostrami che funziona».

«Certo, perché no?» rispose Trurl. «Hai qui un fiasco?»

«No».

«Non importa, possiamo farne a meno» continuò il costruttore. «Il metodo è semplicissimo: prendi un numero di atomi di idrogeno pari al peso di un atomo d’oro, ossia 196; prima gratti via gli elettroni, poi impasti tra loro i protoni, e lavori la tua pastella nucleare finché non compaiono i mesoni; dai una spruzzata di elettroni sul tutto e voilà, hai il tuo oro. Osserva come si fa».

E Trurl cominciò ad acchiappare gli atomi, grattò gli elettroni e mescolò i protoni con una tale destrezza che non si scorgevano le dita; appallottolò la sua pasta subatomica, tornò a mettervi gli elettroni e poi passò alla successiva molecola; ripetendo l’operazione, in meno di cinque minuti ottenne una pepita d’oro puro e la presentò al faccione; questi le diede un’annusata e disse, con un cenno d’assenso: «Sì, è oro, ma io sono troppo grosso per mettermi a dar la caccia agli atomi in quella maniera».

«Non c’è problema» garantì Trurl. «Basterà costruirti la macchina adatta. Pensa, potrai trasformare tutto in oro, non solo l’idrogeno… ti daremo le formule anche per gli altre atomi. Pensa, si potrebbe trasformare l’intero universo in oro, impegnandosi un poco!»

«Se tutto l’universo fosse d’oro, l’oro non avrebbe alcun valore» commentò Pugg. «No, la tua formula non mi interessa… l’ho scritta, ma non mi basta. Io aspiro alla ricchezza della conoscenza».

«Ma cosa vuoi sapere, esattamente, per l’amor del cielo?»

«Tutto!»

Trurl diede un’occhiata a Klapaucius; Klapaucius diede un’occhiata a Trurl e questi infine disse: «Se prima ci giuri solennemente — mano su, mano giù e croce sul petto — che poi ci lascerai liberi, ti daremo come informazione il modo di procurarti un’infinità di informazioni, ossia ti costruiremo un Demone di Seconda Classe, che è un’entità magica e termodinamica, non-classica e stocastica: da un vecchio barile o anche da una qualsiasi scatola può estrarre informazioni su tutto quel che è stato, è, e sarà. Non ci sono Demoni di classe superiore a questo, perché è della Seconda Classe, e se lo vuoi avere devi deciderti subito».

Il pirata laureato era sospettoso, e non accettò immediatamente la proposta. Infine, però, prestò il giuramento richiesto, con la clausola che il Demone, prima, doveva dare una chiara dimostrazione della sua capacità di procurargli informazioni. Trurl non ebbe difficoltà ad accettare.

«Adesso, sta’ attento, Faccione!» disse. «Hai dell’aria da qualche parte? Senza aria, il Demone non lavora».

«Ne ho un po’» ripose Pugg «ma non è molto pulita…»

«Viziata, stagnante, inquinata che sia, non ha alcuna importanza, niente paura» risposero i costruttori. «Facci avere quell’aria, e vedrai qualcosa di indimenticabile!»

Così, Pugg ritirò la faccia dal boccaporto e i due amici poterono uscire dalla nave. Seguirono il gigante fino alla sua casa, e notarono che aveva le gambe simili a torri, le spalle alte come rupi, e che non si lavava né si oliava da secoli, e di conseguenza cigolava orribilmente.

Proseguirono lungo il corridoio, sollevando echi attutiti, e Trurl guardò con una smorfia — e Klapaucius come lui — quel disordine, perché anche se c’erano molte informazioni di valore, dovunque cadesse l’occhio si scorgeva soltanto polvere e confusione. C’era anche molta aria, ma viziata e puzzolente di muffa. Quando si fermarono, Trurl disse: «Adesso, fa’ attenzione! L’aria è costituita di atomi, che saltano in tutte le direzioni e si scontrano miliardi di volte al secondo in ogni micromillimetro cubo, ed è precisamente questo eterno movimento che costituisce un gas.

«Ora, anche se il loro movimento é cieco e completamente casuale, ci sono miliardi di miliardi di atomi in ogni minuscolo interstizio, e come effetto del loro grande numero, i loro minuscoli movimenti danno origine, tra le altre cose — e in modo puramente casuale — a configurazioni significative. Sai cos’è una configurazione, vero, zucca?»

«Niente insulti, prego» rispose Pugg. «Non sono il vostro solito pirata ignorante; ma uno raffinato e con la laurea, e perciò estremamente suscettibile agli insulti».

«Bene. Allora, da tutti questi movimenti a casaccio degli atomi, noi otteniamo traiettorie significative, ossia dotate di senso, come se, per esempio, tu sparassi dei proiettili contro una parete, a occhi chiusi, e i fori di proiettile formassero una lettera dell’alfabeto. Questi casi, che sulla scala di grandezza dei comuni oggetti di tutti i giorni sono rari e improbabili, nei gas si verificano continuamente, a causa dei loro trilioni di scontri ogni centomillesimo di secondo.

«Ma ecco il problema: in ogni microscopico volume d’aria, i sobbalzi degli atomi producono verità profonde e affermazioni edificanti, ma anche espressioni che non hanno il minimo senso, e il numero di queste ultime è superiore di miliardi di volte a quello delle altre.

«Così, anche se sapessimo che proprio in questo momento e sotto il tuo naso a sega, in un milligrammo d’aria e in una frazione di secondo, sono comparsi tutti i canti di tutti i poemi epici che saranno scritti nel prossimo milione di anni, oltre che una serie di meravigliose verità — compresa la soluzione di ogni enigma dell’Esistenza e di ogni mistero dell’Essere — non sapresti come isolare le informazioni che ti interessano, anche perché, non appena si sono scontrati e hanno formato qualcosa di significativo, gli atomi si separano e la tua verità sparisce per sempre.

«Perciò, il trucco sta nel costruire un selettore, che scelga, nella confusione e nella calca degli atomi, soltanto le frasi dotate di significato. Ed è appunto questo, un Demone di Seconda Classe.

«Hai capito qualcosa, o enorme, o antipatico? Noi vogliamo che il Demone estragga dalla danza degli atomi solo informazioni veritiere, come per esempio teoremi matematici, descrizioni di oggetti, cronache storiche, o la ricetta dei crostini allo ione e il metodo per stirare una tuta d’amianto, e inoltre la poesia, le considerazioni di scienza applicata, l’almanacco delle fiere e i documenti segreti, tutto quel che è apparso sui giornali dell’universo e le guide del telefono del futuro…»

«Basta, basta!» esclamò Pugg. «Ho capito! Ma che rilevanza può avere il fatto che gli atomi si combinino in quelle configurazioni di cui mi parli, se poi si staccano immediatamente? Inoltre, non posso credere che si possano scegliere verità importanti da un mucchio di urti tra le molecole dell’aria, che avvengono completamente a caso e non hanno valore per nessuno!»

«Allora non sei stupido come sembri» commentò Trurl. «In effetti, tutta la difficoltà sta nell’operare la selezione. Non intendo dilungarmi con te sulla teoria matematica di questa selezione, ma, come ti ho promesso, posso costruirti subito — mentre tu aspetti — un Demone di Seconda Classe, e vedrai da solo la meravigliosa perfezione di quel Meta-informatore!

«Mi serve soltanto una scatola — qualunque dimensione va bene, ma deve essere ermeticamente chiusa. Noi faremo un forellino sul coperchio e poseremo il Demone sull’apertura: seduto lassù, lascerà uscire solo le informazioni corrette, trattenendo all’interno tutte le sciocchezze.

«Infatti, ogni volta che un gruppo di atomi si disporrà casualmente in un modo significativo, il Demone coglierà al balzo quel significato e lo registrerà immediatamente, con una particolare penna diamantata, su un nastro di carta di cui deve sempre avere una buona scorta, perché lavora giorno e notte, e continuerà a farlo finché l’universo non si sarà spento e non smetterà prima di allora, a una frequenza di cento miliardi di bit al secondo… Ma presto vedrai con i tuoi occhi il Demone di Seconda Classe».

Ciò detto, Trurl fece ritorno all’astronave per costruire il Demone. Il pirata, intanto, chiese a Klapaucius: «E com’è un Demone di Prima Classe?»

«Oh, niente di che: è un semplice demone termodinamico, e la sua unica attività consiste nel lasciar uscire dal buco gli atomi più veloci e nel trattenere quelli lenti. Altrimenti otterresti un «perpetuum mobile» termodinamico, che non ha niente a che vedere con l’informazione. Ma faresti meglio ad andare a cercare il contenitore, perché Trurl sarà qui da un minuto all’altro».

II pirata laureato andò in un’altra cantina, frugò qui e là in mezzo alle sue cianfrusaglie, mollò una bestemmia, inciampò in qualche oggetto che rimbombò sordamente, ma alla fine trovò un barile di lamiera, vecchio e vuoto, vi praticò un forellino e fece ritorno da Klapaucius, proprio mentre Trurl arrivava con in mano il Demone.

All’interno del barile, l’aria era così puzzolente che a passare vicino alla piccola apertura c’era da augurarsi di essere senza naso, ma il Demone non attribuì importanza alla cosa. Trurl piazzò il suo minuscolo demonietto a cavalcioni del buco, montò l’alimentatore automatico della carta, fece passare il nastro tra il piccolo leggio e il pennino diamantato, che scalpitava per il desiderio di mettersi all’opera; poi il Demone cominciò a scrivere, ticchettando come un telegrafo, rat-tat e pit-pat, ma un milione di volte più veloce. Dalla frenetica apparecchiatura prese a uscire la striscia di carta, coperta di parole, che presto cominciò ad accumularsi sul sudicio pavimento della cantina.

Pugg si sedette vicino al barile, sollevò la striscia di carta fino ai suoi cento occhi, e lesse quel che il Demone, con la sua rete cattura-informazioni, era riuscito a pescare in mezzo all’infinito movimento degli atomi; e quegli scampoli di conoscenza lo appassionarono al punto che non notò come i due costruttori avessero lasciato in gran fretta la cantina, come avessero afferrato gli alettoni posteriori della loro nave e come li avessero strattonati una volta, due e come al terzo strattone avessero liberato la nave dal fango in cui il pirata l’aveva affondata, poi fossero saliti a bordo e fossero partiti a tutta velocità, perché sapevano che il loro Demone avrebbe funzionato, certo, ma avrebbe funzionato troppo bene, producendo una quantità di informazioni assai superiore a quella prevista da Pugg.

Il gigante, intanto, si era appoggiato al barile e leggeva, mentre la penna di diamante usata dal Demone per registrare tutto quel che veniva a sapere dalle oscillazioni degli atomi correva avanti e indietro. E lesse del modo esatto in cui le danzatrici del ventre di Harlebard rimovevano il ventre, e perché la figlia di Re Petronius di Labondia si chiamava Gobbinella, e quel che mangiò a pranzo Frederick Secondo, uno dei Re visipallidi, prima di dichiarare guerra ai Guendoliti, e quanti gusci di elettroni avrebbe un atomo di termolonio se esistesse come elemento, e il diametro della cloaca di un uccelletto, chiamato la cincia dalla piuma ritta, che é dipinto sulle urne sacrificali dei Marcipani di Wabio, o anche i tre gusti stagionali dei frutti di mare di Diafana, e la storia del fiore Dybbulyk, che allontana a bastonate i cacciatori della Bassa Malfundiana se lo svegliano troppo presto, e come calcolare l’angolo diedro negli icosaedri irregolari, e il nome del gioielliere di Gufus, il macellaio mancino dei Mirmecoidi Manzi, e quanti volumi di filatelia sarebbero stati pubblicati su Marinautica nell’anno settantamila, e dove trovare la tomba di Cyberinda dal Rosso Piede, inchiodata sul suo letto da un certo Clamondro, in un accesso di gelosia causato dal vino, e come capire la differenza tra uno strozzafagotto e un normale sgorgarozzoli, chi possiede la più piccola deriva laterale in tutto l’universo, e perché le cimici dalla coda a ventaglio non si nutrono di muschio, e come vincere nel gioco dello Schiaffo del Robot, e quanti semi di dragoncello c’erano nella cacca in cui inciampò Abroquio il Phylmilinide, quando finì a terra sulla Grande Strada per Albongia, a otto miglia dalla Valle delle Visioni Armoniche… e a poco a poco le sue centinaia di occhi cominciarono a lacrimare per la fatica della lettura, e il pirata cominciò a capire che tutte quelle informazioni, benché vere in ogni particolare, erano assolutamente inutili, e gli creavano soltanto una tale confusione che la testa gli doleva in modo terribile e le gambe gli tremavano.

Ma il Demone di Seconda Classe continuava a funzionare a una velocità di trecento milioni di fatti per secondo, e chilometro dopo chilometro il nastro di carta si accumulò e seppellì gradualmente, sotto le sue spire, il pirata laureato, avvolgendolo, per così dire, in una rete di carta, mentre la piccola penna dalla punta di diamante correva come impazzita, e Pugg aveva sempre l’impressione di trovarsi sul punto di conoscere le verità più favolose e segrete, di apprendere conoscenze che gli avrebbero spalancato l’Estremo Mistero dell’Essere, e così lesse avidamente tutto quel che usciva dalla penna di diamante: i canti di bivacco dei Quaidish, le taglie di pantofole disponibili sul continente di Cob, nei due tipi con e senza pon-pon, il numero di peli che cresce sul ginocchio del flummone delle nevi, la dimensione media della fontanella nei figli adottivi, le litanie con cui i congiurati del Mott-Mahon avevano svegliato il reverendo Biotto Ben-Bee, i fescennini cantati all’incoronazione del Duca di Zilch, e sei modi per cucinare la crema di grano, e un ottimo veleno per uccidere uno zio con la barba, dodici tipi di tortura giudiziaria, l’elenco di tutti i cittadini di Amba-arabba con il cognome che cominciava per m, e i risultati di un sondaggio di preferenze su una birra al gusto di fungo…

Infine, a causa di tutte quelle letture, ebbe l’impressione che, davanti ai suoi cento occhi, tutto si fosse fatto buio: a gran voce gridò di averne abbastanza, ma le informazioni l’avevano così circondato e avvolto, con le loro migliaia di miglia di nastri di carta, che non poteva più muoversi ed era costretto a leggere di Kipling e di come avrebbe scritto l’inizio del «Secondo libro della giungla» se avesse avuto il mal di pancia, e cosa pensano le balene nubili quando gli anni cominciano ad accumularsi, e uno studio completo del corteggiamento della mosca carnaria, e come riparare un vecchio sacco a pelo militare, e cos’è un passo d’uomo, e perché ci va la maiuscola in acqua di Colonia e non in bagno turco, e il numero record di lividi contati sulla stessa persona.

Poi una lunga lista delle differenze tra àncora e ancora, lèttone e lettone, da non confondere con Roma e toma, e tutte le parole che fanno rima con spinaci, e quali insulti il Papa Um di Pendora scagliò contro l’Antipapa Malum di Forchino, e come si suona l’autopettine a otto note. Disperato, cercò di liberarsi dalle spire della carta, ma all’improvviso dovette fermarsi, perché, anche se ne stracciava quanta più poteva, aveva troppi occhi e non poteva impedire che cadesse, sotto alcuni di essi, qualche notizia o qualche fatterello, e di conseguenza era costretto a leggere limiti e doveri della Polizia dell’Indocina, e perché i Celenteridi di Fluxis dicono sempre di avere bevuto troppo, finché non fu costretto a chiudere gli occhi e rimase a sedere immobile e rigido, sopraffatto da quel grande afflusso di informazioni, mentre il Demone continuava ad avvolgerlo in nuove strisce di carta.

E ancor oggi è seduto laggiù, in fondo al suo mucchio di sacchi e di casse, sommerso da una montagna di carta, e nella penombra della cantina la penna dalla punta di diamante continua ancora a muoversi e a guizzare come una pura fiamma, per scrivere tutto quel che il Demone di Seconda Classe estrae dalla danza degli atomi, nell’aria rancida del vecchio bidone; e così il povero Pugg, schiacciato sotto la valanga di tutte quelle conoscenze, apprenderà dettagli sempre nuovi sui risciò, le pigioni e gli scarafaggi, e anche sul suo destino — quello che è stato qui raccontato — perché anch’esso è scritto in qualche parte del nastro… esattamente come le storie, le leggende e le profezie di tutte le creature dell’universo, e così sarà finché tutte le stelle non si saranno spente. E per lui non c’è speranza di sottrarsi alla lettura, perché questa è la severa condanna che gli hanno inflitto i costruttori per il suo assalto piratesco… a meno che, naturalmente, la penna di diamante che scrive le informazioni non sia costretta a fermarsi perché è finita la carta.

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