LA SETTIMA FATICA OVVERO COME TRURL, A CAUSA DELLA SUA PERFEZIONE, FINI’ PER OTTENERE IL CONTRARIO DI QUELLO CHE CERCAVA

L’universo è illimitato ma non infinito., e perciò un raggio di luce, viaggiando in qualsiasi direzione, dopo miliardi di secoli finirà per ritornare al punto di partenza, se è abbastanza intenso per farlo; e lo stesso accade per le chiacchiere, che volano da stella a stella e fanno il giro completo di tutti i pianeti.

Un giorno, Trurl sentì magnificare le virtù di due grandi costruttori-benefattori di un lontano pianeta, così saggi ed esperti da non avere uguali; colpito da questa notizia, corse subito da Klapaucius, il quale gli spiegò che non si trattava di due misteriosi rivali, ma di loro stessi, perché la loro fama aveva ormai fatto il giro dello spazio.

La fama, però., ha il difetto di non parlare mai degli insuccessi di una persona, neanche quando gli insuccessi sono dovuti alla sua grande perfezione. E per chi ne dubitasse, ecco la storia della settima e ultima fatica di Trurl — effettuata senza Klapaucius, che era rimasto a casa per certi suoi urgenti motivi di famiglia.

A quell’epoca, Trurl era divenuto estremamente vanitoso e accoglieva come cose normalissime, e addirittura a lui dovute, tutti gli onori e gli attestati di venerazione che gli venivano tributati. Faceva rotta verso nord, sulla sua nave, perché era una regione che non conosceva ancora, e vola

va nel vuoto da un certo tempo, passando accanto a sfere piene dei clamori della guerra e ad altre che avevano ormai raggiunto la pace perfetta della distruzione, quando all’improvviso scorse un minuscolo pianeta, anzi, più un frammento di materia vagante che un pianeta.

Sulla superficie di quel pezzo di roccia, qualcuno correva avanti e indietro, saltando e agitando le braccia in modo assurdo. Stupito da una così totale solitudine e preoccupato da quei selvaggi gesti di disperazione, forse di rabbia, Trurl si affrettò ad atterrare.

Venne ricevuto da una persona di tremenda alterigia, tutta ricoperta di iridio e di vanadio, e con un gran numero di decorazioni che tintinnavano e sferragliavano, la quale si presentò come Excelsius il Tartarico, signore di Pancreonia e Cyspendora; gli abitanti di quei due regni, in un accesso di follia regicida, avevano cacciato Sua Altezza dal trono e l’avevano esiliato su quell’asteroide vuoto, che andava eternamente alla deriva fra le correnti gravitazionali e le onde elettromagnetiche più flebili.

Conosciuta a sua volta l’identità del visitatore, il monarca deposto cominciò a insistere perché Trurl — che dopotutto era una specie di professionista, quando si trattava di buone azioni — lo riportasse immediatamente alla posizione precedente. Al pensiero di un simile rovesciamento, negli occhi del monarca si accese la fiamma della vendetta; con le dita di ferro, strinse l’aria, come se già pregustasse di afferrare per la gola i suoi amati sudditi.

Ora, Trurl non aveva alcuna intenzione di fare quello che gli chiedeva Excelsius, perché avrebbe portato infiniti inali e sofferenze, eppure, allo stesso tempo, desiderava confortare il Re umiliato. Dopo qualche minuto di riflessione, giunse a concludere che, nonostante l’apparente contraddizione, non tutto era perduto, perché era possibile soddisfare la richiesta del Re senza far correre rischi ai suoi ex-sudditi. Così, rimboccatosi le maniche e facendo appello a tutta la sua abilità di costruttore, Trurl fabbricò al Re un intero regno.

Un regno con città, fiumi, montagne, foreste e ruscelli, un cielo coperto di nuvole, soldati pieni di coraggio, cittadelle, castelli e alcove di dame; e c’erano anche mercati chiassosi e pieni di colori che splendevano al sole, giornate piene di lavoro che spezzava la schiena, notti piene di danze e di canti che si protraevano fino all’alba, e l’allegro clangore delle spade.

Inoltre, Trurl si ricordò di mettere, nel regno da lui costruito, una favolosa capitale, tutta marmo e alabastro, con un consiglio di saggi dalle lunghe barbe, con palazzi d’inverno e palazzi d’estate, congiure, cospiratori, fanatici religiosi e falsi testimoni, infermiere e informatori, tiri di magnifici cavalli, piume rosse che si agitavano al vento; poi rallegrò l’atmosfera con fanfare d’argento e ventun cannonate a salve in segno di saluto, vi aggiunse il giusto numero di traditori e di eroi, vi unì un pizzico di profeti e di veggenti, con un messia e un grande poeta ciascuno.

A quel punto si chinò sulla sua costruzione e la mise in moto, effettuando con molta abilità — grazie agli strumenti microscopici di cui si serviva — le ultime correzioni, e alle donne di quel regno diede la bellezza, agli uomini un temperamento cogitabondo e un’aria imbronciata quando bevevano, ai burocrati arroganza e servilismo, agli astronomi un trascinante entusiasmo per le stelle e ai bambini una grande capacità di fare chiasso. E il tutto, una volta montato e messo a punto, stava in una scatola, e neppure una scatola molto grande, ma proprio delle dimensioni giuste per spostarla senza difficoltà.

Poi la portò in dono a Excelsius, perché ne fosse il Re e signore in perpetuo, e per prima cosa gli mostrò dove fossero l’input e l’output del suo nuovo regno, e come programmarvi le guerre, spegnere le ribellioni, incassare le tasse, e gli insegnò i punti critici e gli stadi di transizione di quella società micro-miniaturizzata — in altre parole, i massimi e minimi dei golpe e delle rivoluzioni — e spiegò così bene ogni cosa, che il Re, vecchio esperto di tirannie, capì subito le istruzioni, e senza esitare, sotto gli occhi stessi del costruttore, provò a emanare qualche proclama, muovendo nel modo corretto le manopole di controllo, a forma di aquile imperiali e di leoni reali.

I proclani annunciavano lo stato di emergenza, la legge marziale, il coprifuoco, e una leva speciale. Dopo che nel regno fu passato un anno, che per il Re e per Trurl equivaleva a meno di un minuto, con un atto di grande magnanimità — ossia con pochi tocchi sulle leve di comando — Excelsius condonò una pena di morte, congedò i soldati di leva e si degnò di annullare lo stato di emergenza… e subito un enorme grido di gratitudine, simile allo squittio di un topolino preso per la coda, si levò dalla scatola, e attraverso il suo coperchio, curvo come una lente d’ingrandimento, si poté vedere, sulle strade polverose e lungo il greto dei pigri fiumi che riflettevano le poche nubi del cielo, la felicità della gente, che lodava l’insuperabile benevolenza del sovrano.

E così, anche se all’inizio il dono di Trurl gli era parso un insulto, poiché il regno era troppo piccolo, poco più di un giocattolo per bambini, il monarca vide che, grazie allo spesso coperchio-lente, tutto quello che c’era all’interno finiva per sembrare grande; forse capiva anche, confusamente, che la dimensione, in quel caso, non era importante, perché i governi non si misurano in metri e in chilogrammi, e le emozioni sono sempre le stesse, sia quando siano i giganti, sia quando siano i nani a provarle… e così ringraziò il costruttore, anche se un po’ rigidamente. Chissà, forse avrebbe preferito farlo arrestare e torturare a morte, per stare più tranquillo: così avrebbe soffocato sul nascere ogni pettegolezzo sul volgare stagnino ambulante che aveva donato un regno a un grande monarca.

Excelsius era abbastanza intelligente, comunque, per capire che sarebbe stato impossibile, perché sarebbe stato più facile per un branco di pulci impadronirsi del cane di cui erano ospiti che per l’esercito reale impadronirsi di Trurl. Così, con un altro cenno del capo e senza alcuna cordialità, prese la scatola contenente il regno e la portò nella sua umile capanna da esule.

E mentre all’esterno i giorni abbaglianti si alternavano alle notti buie, in accordo con il ritmo di rotazione dell’asteroide, il Re — riconosciuto dai suoi sudditi come il più grande del mondo — regnò diligentemente, ordinando questo, vietando quello, punendo, premiando… continuando a instillare nei suoi minuscoli sudditi la massima fedeltà per la Corona, una sorta di venerazione per il loro Re.

Quanto a Trurl, fece ritorno a casa e riferì all’amico Klapaucius, non senza orgoglio, come avesse messo a frutto le sue capacità di costruttore per soddisfare le aspirazioni autocratiche di Excelsius tutelando, al tempo stesso, le aspirazioni democratiche dei suoi ex-sudditi, ma Klapaucius, invece di complimentarsi con lui, lo guardò con aria di rimprovero.

«Ho capito bene?» chiese, infine. «Mi hai dato a quel despota brutale, a quello schiavista nato, a quel sadico torturatore, un’intera civiltà da dominare e tiranneggiare per sempre? E mi parli delle grida di gioia suscitate da una provvisoria sospensione di alcuni dei suoi crudeli decreti? Trurl, come hai potuto fare una cosa simile?»

«Tu stai scherzando!» esclamò Trurl. «Senti, l’intero regno sta in una scatola di 70 centimetri per 50 per 60… è solo un modello…»

«Un modello di che?»

«Che cosa intendi dire, ’di che’? Di una civiltà, naturalmente, a parte il fatto che è cento milioni di volte più piccolo».

«E come puoi sapere che non esistano civiltà cento milioni di volte più grandi della nostra? E se ci fossero, la nostra sarebbe solo un modello? E che importanza possono avere le dimensioni? In quel tuo regno-scatola, il viaggio dalla capitale a uno degli angoli non richiede parecchi mesi… per i suoi abitanti? E non soffrono, non conoscono la fatica del lavoro, non muoiono?»

«Un momento» obiettò Trurl. «Sai bene che tutti quei processi avvengono perché li ho programmati, e di conseguenza non sono genuini».

«Non sono genuini? Intendi dire che la scatola è vuota, e che le sfilate, le torture e le decapitazioni sono solo un’illusione?»

«Non sono un’illusione, perché sono reali, anche se unicamente come fenomeni di statura microscopica, da me prodotti lavorando sulla materia che li compone» spiegò Trurl. «Il fatto è che tutte quelle nascite, quegli amori, atti d’eroismo e tradimenti sono soltanto piccoli moti di gruppi di elettroni nei circuiti abilmente disposti da me, grazie alla mia capacità di creare sistemi non lineari…»

«Basta con queste vanterie, non un’altra parola!» ribatté Klapaucius. «Sono processi che si auto-organizzano o no?»

«Certo che si auto-organizzano!»

«E hanno luogo tra nubi infinitesimali di cariche elettriche?»

«Lo sai anche tu: è così» rispose Trurl.

«E gli eventi fenomenologici della nascita, della morte, delle battaglie sono generati dalla concatenazione di variabili reali?»

«Certo».

«E non siamo anche noi, se ci esaminiamo fisicamente, meccanicisticamente, statisticamente e meticolosamente, nient’altro che piccoli movimenti di nubi di elettroni? Cariche positive e negative disposte nello spazio? E la nostra esistenza non è il risultato di collisioni subatomiche e il gioco reciproco di particelle, anche se noi percepiamo questi movimenti molecolari come paura, desiderio o meditazione? E quando sogni a occhi aperti, che cosa c’è nel tuo cervello, se non un’algebra binaria di circuiti chiusi e aperti, un continuo spostamento di elettroni?»

«Via, Klapaucius» protestò Trurl «paragoneresti la nostra esistenza a quella di un modellino di regno chiuso in una scatola di vetro? No, davvero, la cosa è andata troppo oltre! lo ho voluto soltanto costruire una simulazione di stato, un modello cibernetico perfetto, niente di più!»

«Trurl! La nostra perfezione è la nostra maledizione, perché attira su ciascuna nostra impresa un’infinità di conseguenze imprevedibili!» disse Klapaucius, con voce ferma. «Se un imitatore imperfetto, volendo infliggere dolore, si costruisse un rozzo idolo di legno o di cera, e poi gli desse un’approssimativa somiglianza con una creatura senziente, la sua tortura della statua sarebbe una ben squallida presa in giro!

«Ma considera un’intera serie di successivi perfezionamenti! Considera il secondo scultore della serie, che costruisce una bambola con un registratore nella pancia: una bambola che geme sotto i suoi colpi; poi considera una bambola che, quando viene percossa, implora di avere pietà di lei: questa non è più una semplice statua, ma un sistema omeostatico; infine, considera una bambola che piange, una bambola che perde sangue, una bambola che teme la morte, anche se desidera la pace che solo la morte può offrire!

«Non vedi che, se l’imitatore è perfetto, lo è anche l’imitazione, e l’apparenza diventa vera, la finzione diventa realtà! Trurl, tu hai preso un numero incommensurabile di creature capaci di soffrire e le hai lasciate per sempre nelle mani di un perfido tiranno… Trurl, hai commesso un crimine orrendo!»

«Sofismi!» gridò Trurl, alzando il tono di voce perché sapeva che l’amico aveva ragione. «Gli elettroni non si muovono soltanto nel nostro cervello, ma anche nei circuiti di amplificazione di un giradischi, quando legge un disco fonografico; eppure questo non dimostra niente, e certo non offre una base per simili analogie ipostatiche! I sudditi di quel mostruoso Excelsius muoiono effettivamente, quando sono decapitati, e piangono e combattono e s’innamorano, perché è così che ho fissato i parametri, ma è impossibile dire, Klapaucius, che sentano qualcosa nel processo: gli elettroni che si muovono nelle loro teste non hanno niente da dirci a questo proposito!»

«E se dovessi guardare all’interno della tua testa, anch’io vedrei soltanto elettroni» rispose Klapaucius. «Via, adesso non fingere di non capire quello che dico; so benissimo che non sei stupido! Un disco fonografico non andrà mai a fare le commissioni per te, non implorerà pietà e non si getterà in ginocchio! Dici di non poter sapere se i sudditi di Excelsius piangono, quando sono battuti, solo perché gli elettroni, dentro di loro, seguono determinati percorsi prestabiliti — come tanti ingranaggi che, girando, originano l’imitazione di una voce — o se gemono davvero, ossia perché provano realmente l’esperienza del dolore.

«Bella differenza, questa! No, Trurl, un sofferente non è una persona che ti porge la sua sofferenza, in modo che tu possa toccarla, soppesarla, morderla come una moneta; un sofferente è una persona che si comporta da sofferente! Dimostrami qui e subito, una volta per tutte, che i sudditi di Excelsius non soffrono, non pensano, non esistono in alcun modo come esseri coscienti della loro prigionia tra due abissi di oblio — l’abisso che precede la nascita e quello che segue la morte — dimostrami questo, Trurl, e io non insisterò più. Dimostrami che hai solo imitato la sofferenza e che non l’hai creata!»

«Sai benissimo che è impossibile» rispose Trurl, tranquillamente. «Ancor prima di prendere in mano gli strumenti, quando la scatola di vetro era vuota, ho dovuto prevedere la possibilità di una simile dimostrazione… per cancellarla. Altrimenti, il monarca di quel regno, presto o tardi, avrebbe avuto l’impressione che i suoi sudditi non fossero veri sudditi, ma burattini, marionette. Cerca di capire, non c’era altro modo! Qualunque cosa capace di distruggere sia pur minimamente l’illusione di una completa realtà, avrebbe distrutto anche l’importanza, la dignità di governare, facendolo diventare un semplice gioco meccanico…»

«Ti capisco fin troppo bene!» esclamò Klapaucius. «Sei partito con le intenzioni più nobili: volevi soltanto costruire il regno più naturale possibile, un regno così simile a un regno vero che nessuno potesse notare la differenza, e in questo, temo, hai avuto un successo insperato! Sono passate poche ore dal tuo ritorno, ma per loro, per le creature nella scatola di vetro, sono passati parecchi secoli… e quante creature, quante vite sprecate, al solo scopo di appagare la vanità di Re Excelsius!»

Senza una parola, Trurl ritornò di corsa alla sua astronave, e vide che l’amico lo seguiva.

Quando si trovò nello spazio, puntò la prua tra due grandi ammassi di fiamme eterne e girò fino in fondo la manetta del carburante. Klapaucius disse: «Trurl, sei proprio un caso disperato. Ogni volta, tu prima agisci e poi pensi! E adesso cosa intendi fare, quando sarai arrivato laggiù?»

«Gli toglierò il regno!» «E che cosa ne farai?»

«Lo distruggerò!», avrebbe voluto gridare Trurl, ma si fermò alla prima sillaba quando comprese che cosa stesse dicendo. Infine mormorò: «Farò le elezioni. Che si scelgano un capo onesto, uno di loro».

«Li hai programmati per essere signori feudali o vassalli. A che servirebbe un’elezione? Prima dovresti smantellare l’intera struttura del regno, per poi ricrearla da zero…»

«E a che punto» continuò Trurl «finisce il cambiamento delle strutture e inizia l’alterazione delle coscienze?»

Ma Klapaucius non aveva una risposta; il viaggio proseguì in un silenzio carico di tensione finché non avvistarono il planetoide di Excelsius. E mentre orbitavano attorno a esso e si preparavano a scendere, scorsero qualcosa di davvero straordinario.

L’intero pianeta era coperto di innumerevoli segni di vita intelligente. Ponti microscopici, semplici linee, cavalcavano ogni fiume, mentre i laghetti, su cui si riflettevano le stelle, erano pieni di barche simili a minuscole schegge di legno… E la zona notturna del pianeta era punteggiata di città scintillanti, mentre su quella diurna si scorgevano enormi metropoli, anche se gli abitanti erano troppo piccoli per essere visti, pure con la lente d’ingrandimento. Del Re non c’era alcuna traccia, come se la terra l’avesse inghiottito.

«Non è qui» sussurrò Trurl intimorito. «Che cosa ne avranno fatto? In qualche modo devono essere riusciti a uscire dalla loro scatola e hanno occupato l’asteroide…»

«Guarda!» disse Klapaucius, indicando una nuvoletta, grossa come un cucchiaino e a forma di fingo, che si alzava rapidamente nell’atmosfera. «Hanno scoperto l’energia atomica laggiù, vedi quel pezzo di vetro? E quanto resta della scatola: l’hanno trasformato in una sorta di tempio».

«Non capisco. Dopotutto, era solo un modello. Un processo con un elevato numero di parametri, una simulazione, un’imitazione che serviva a un monarca per fare pratica di regno, con i necessari feedback, le variabili, gli stati molteplici…» mormorò Truri, confuso.

«Sì, ma hai commesso un errore imperdonabile: quello di fare troppo perfetta la tua creazione. Per evitare di costruire un semplice meccanismo a orologeria, senza volere — con la tua solita pignoleria — hai dato origine a un processo non solo possibile, ma logico e inevitabile, verso un sistema aperto, il vero contrario di un semplice meccanismo chiuso entro i suoi binari…»

«Basta, basta!» esclamò Trurl, continuando a guardare l’asteroide, in silenzio. All’improvviso, qualcosa batté contro la loro astronave, di striscio. I due costruttori si girarono in quella direzione e poterono vedere l’oggetto, perché era illuminato da una sottile corona di fiamma che usciva dalla sua coda: sembrava un’astronave, o forse un satellite artificiale, anche se era assai simile a uno degli stivali di ferro che Trurl aveva visto ai piedi del tiranno Excelsius. E quando i costruttori sollevarono lo sguardo, videro un corpo celeste che orbitava attorno al piccolo pianeta — in precedenza, non c’era — e riconobbero, nella sua palla gelida e biancastra, il severo cipiglio dello stesso Excelsius, che era diventato la luna dei Microminimi.


LE TRE MACCHINE NARRATRICI DI RE GENIUS

PREMESSA

IL CAVALIERE SFERICO.


Un giorno, a casa di Trurl si presentò uno sconosciuto, ed era chiaro, non appena uscì dalla sua feluca a fotoni, che non si trattava di una persona qualsiasi, ma venuta da luoghi lontani, perché dove noi tutti abbiamo le braccia aveva soltanto un leggero soffio d’aria, dove abbiamo le gambe un lucente arcobaleno e al posto della testa un cappello con una lunga piuma; la voce usciva dal suo centro esatto, e la sua forma era quella di una sfera perfetta, una sfera di aspetto affascinante, con una fascia di tessuto semipermeabile per cintura.

Inchinandosi a Trurl, il nuovo venuto rivelò che in realtà era costituito di due personalità, la semisfera alta e quella bassa: quella alta era chiamata Sincronico, e quella bassa Sinfonico.

A Trurl parve un ottimo sistema per costruire gli esseri intelligenti: dovette ammettere di non avere mai conosciuto una persona così ben disposta, così precisa e con un così bel riflesso sulla superficie esterna.

Lo straniero ricambiò il complimento lodando la bella presenza di Trurl, poi venne allo scopo della sua visita: si presentò come intimo amico e leale servitore del famoso Re Genius e disse che voleva ordinargli tre macchine capaci di raccontargli storie.

«Il nostro grande Re e sovrano» spiegò «da tempo si è allontanato dalle attività di regno e di governo: un’abdicazione totale, cui è stato spinto da una saggezza raggiunta con l’attento studio di questo e di altri mondi. Lasciato il suo regno, si è ritirato in una caverna asciutta e ben arieggiata, e laggiù si dedica alla meditazione. Eppure, a volte la sua disposizione di spirito lo porta alla tristezza e all’autocompatimento, e in quei casi la sola cosa in grado di consolarlo sono le storie: storie nuove e inconsuete. Ma, ahimè, i pochi di noi che sono rimasti fedelmente al suo fianco hanno finito da tempo tutte quelle che conoscevano. Ci rivolgiamo perciò a te, o grande costruttore, perché tu possa divertire il nostro Re con quelle macchine che tu sai costruire tanto bene».

«Be’, la cosa è possibile» rispose Trurl «ma perché ve ne occorrono tre?»

«Vorremmo» rispose Sincrofonico, ruotando lentamente su se stesso «che la prima raccontasse storie complesse, che però non dessero adito a preoccupazioni, la seconda storie acute e divertenti, e la terza storie profonde e commoventi».

«In altre parole, la (1) per passare il tempo, la (2) per intrattenersi e la (3) per edificare la mente» commentò Trurl. «Credo di avere capito. Parliamo del pagamento subito o alla consegna?»

«Quando avrai ultimato il lavoro, strofina questo anello» rispose la sfera «e vedrai comparire davanti a te la feluca. Sali su di essa con le tue macchine e ti porterà immediatamente alla caverna di Re Genius. Là potrai esprimere i tuoi desideri; lui farà il possibile per esaudirli».

Gli rivolse un altro inchino, consegnò a Trurl un anello, s’inchinò di nuovo e ritornò sulla feluca, che venne immediatamente avvolta da una nebbia di luce accecante; un istante più tardi, Trurl era solo davanti alla propria casa e guardava l’anello che teneva in mano. Non era granché soddisfatto di quanto era successo.

«‘Farà il possibile per esaudirli’» mormorò, ritornando al suo laboratorio. «Oh, come li odio, quando parlano così! Significa solo una cosa: quando si arriva alla questione del pagamento, gli inchini e le belle parole finiscono, e in cambio del tuo lavoro ottieni solo di passare dei guai e, spesso, ne ricavi qualche ammaccatura…»

A queste parole, l’anello che teneva sul palmo della mano si illuminò e disse: «L’espressione ’farà il possibile’ significa soltanto che Re Genius, non avendo un regno, è un sovrano dai mezzi limitati. Si è rivolto a te, o costruttore, come un filosofo a un altro filosofo, e a quanto pare non si sbaglia, perché queste parole, anche se a dirle è un anello, non ti stupiscono. Non preoccuparti per le ristrettezze di Sua Altezza e non avere paura: riceverai quanto ti spetta, anche se forse non in oro. Del resto, ci sono cose assai più desiderabili dell’oro».

«Certo, Messer Anello» rispose Trurl, seccato. «La filosofia va benissimo, ma gli ampere, gli ioni e gli atomi, per non parlare delle altre minutaglie occorrenti per costruire una macchina… costano, costano in maniera diabolica! Perciò, preferisco che i miei contratti siano chiari, che tutto sia nero su bianco, articoli, commi e codicilli, con una bella serie di firme e di bolli. E anche se non sono una persona avida e incontentabile, l’oro mi piace, soprattutto in notevoli quantità, non mi vergogno di ammetterlo! Il suo riflesso, la sua particolare coloritura tra il rosso e il giallo, il suo dolce peso sul palmo della mano… tutte queste cose, quando rovescio sul tavolo un paio di sacchetti pieni di ducati e poi mi diverto a ficcarci le mani dentro, mi scaldano il cuore e mi illuminano lo spirito, come se qualcuno accendesse dentro di me un piccolo sole. Sì, maledizione, l’oro mi piace!» gridò, trascinato dalle sue stesse parole.

«Ma perché deve essere oro che ti danno gli altri? Non sei in grado di fabbricarti tutto l’oro che vuoi?» chiese l’anello, ammiccando per la sorpresa.

«Be’, non so fin dove arrivi la saggezza del vostro Re Genius» ribatté Trurl «ma tu sei un anello di enorme ignoranza! Come, dovrei fabbricarmi da solo il mio oro? Chi ha mai sentito qualcosa di simile? Il ciabattino si fa forse le scarpe? E il cuoco cucina per sé, il soldato combatte guerre che egli stesso dichiara? Comunque, nel caso non lo sapessi, ciò che più mi piace, dopo l’oro, è lamentarmi. Ma basta con queste chiacchiere vane, c’è del lavoro da fare».

Infilò l’anello in una vecchia scatola di latta, si rimboccò le maniche e in tre giorni costruì le tre macchine, senza mai lasciare il laboratorio. Poi si chiese quale forma esterna dare loro, perché voleva qualcosa che fosse nello stesso tempo semplice e funzionale. Provò vari contenitori, uno dopo l’altro, mentre l’anello continuava a interferire con commenti e suggerimenti, tanto che Trurl fu costretto a chiudere il coperchio della scatola.

Infine Trurl dipinse le macchine — la prima bianca, la seconda di un bell’azzurro cielo, la terza nera come un lustrino — strofinò l’anello, caricò le tre macchine sulla feluca che era apparsa immediatamente, salì a bordo a sua volta e attese i nuovi sviluppi, curioso di sapere che cosa stesse per accadere. Si levarono un fischio e un sibilo, la polvere si sollevò attorno alla feluca e, quando ricadde a terra, Trurl guardò dall’oblò e vide che si trovava in un’ampia caverna, dal pavimento cosparso di sabbia bianca; poi notò varie panche di legno coperte di libri e di disegni, e infine un gruppo di sfere scintillanti. Una di queste era il forestiero che aveva ordinato le macchine, e quella centrale, che era più grande delle altre e recava su di sé i graffi dell’età, doveva essere il Re. Trurl scese dall’astronave e s’inchinò. Il Re lo salutò gentilmente e disse: «Ci sono due tipi di saggezza, la prima tende all’azione, la seconda all’inazione. Non sei d’accordo, o degno Trurl, che la seconda sia la superiore? Infatti, neanche le menti più lungimiranti possono prevedere le estreme conseguenze delle loro imprese, e l’incertezza delle conseguenze rende problematiche le imprese stesse. Perciò, la perfezione sta nell’astenersi da ogni azione. In questo la vera saggezza differisce dal semplice intelletto».

«Le parole di Vostra Maestà» rispose Trurl «si prestano a due interpretazioni. Potrebbero contenere, per prima cosa, una sottile allusione mirante a sminuire il valore del mio lavoro, ossia l’impresa che ha come conseguenza le tre macchine contenute nella qui presente feluca spaziale. E’ un’interpretazione che giudico molto sgradevole, perché indica una certa, chiamiamola così, disinclinazione verso la questione dei pagamenti. Oppure siamo semplicemente davanti a un enunciato della Dottrina del Non-Agire, di cui si può semplicemente far notare la contraddittorietà. Per astenersi dall’agire, per prima cosa bisogna essere capaci di agire. Colui che non sposta le montagne perché non ne ha i mezzi, e proclama che la saggezza gli ha ispirato di non muoverle, fa solo la figura dello sciocco, con questa sua esibizione di filosofia. L’inazione è una via sicura, e questa è la sua sola qualità positiva. L’azione è incerta, ed è proprio in questo che sta il suo fascino. Quanto alle ulteriori ramificazioni del problema, se Vostra Maestà lo desidera, posso costruire un opportuno meccanismo con cui conversare dell’argomento».

«Il problema della remunerazione rimandiamolo al termine di questa deliziosa occasione che ti ha portato sulle nostre terre» disse il Re, tradendo, con un leggero movimento su se stesso, il grande divertimento che gli aveva dato la perorazione di Trurl. «Sei nostro ospite, nobile costruttore. Perciò, vieni a sedere alla nostra umile tavola, in mezzo a questi amici fedeli, e parlaci delle imprese da te compiute, nonché di quelle a cui hai preferito rinunciare».

«Vostra Maestà è troppo gentile» rispose Trurl. «Però, temo di non disporre della necessaria eloquenza, forse queste tre macchine potranno farlo al posto mio… Una scelta che avrebbe l’ulteriore merito di fornire a Vostra Maestà l’occasione di metterle alla prova».

«Che sia come dici tu» convenne il Re.

Tutti manifestavano profondo interesse e attesa. Trurl andò a prendere nella feluca la prima macchina — quella dipinta di bianco — pigiò un pulsante e poi andò a sedere a fianco di Re Genius. La macchina disse: «Vi narrerò la storia dei Moltitudiani, del loro Re Mordileone, del Consigliere Perfetto e di Trurl il costruttore, che prima fabbricò il Consigliere e poi fece in modo di distruggerlo!»

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