LA QUARTA FATICA OVVERO COME TRURL COSTRUI’ UN FEMMEFATALATRONE PER SALVARE IL PRINCIPE PATAGONZIO DALLE PENE D’AMORE E COME SUCCESSIVAMENTE DOVETTE RICORRERE A UN CANNONEGGIAMENTO BAMBOCCESCO

Una volta, nel bel mezzo della notte, mentre Trurl dormiva saporitamente, qualcuno cominciò a battere con violenza contro la porta di casa sua, come se avesse intenzione di buttarla giù dai cardini.

Ancora intontito dal sonno, Trurl tirò il chiavistello e scorse, sullo sfondo delle stelle ormai impallidite, un’enorme astronave, che assomigliava a un immenso pan di zucchero o a una piramide volante.

Dal colosso, atterrato proprio sul giardinetto di fronte a casa sua, uscivano file di andromedari carichi di grossi pacchi, percorrevano una spaziosa rampa e venivano verso di lui. Poi, parecchi robot, vestiti col turbante e la toga e dipinti di nero, scaricavano i pacchi davanti alla sua porta.

Tra tutti, lavoravano così in fretta che Trurl, prima ancora di accorgersene, era già chiuso dietro una parete di pacchi sempre più alta. Però, tra le file di pacchi, rimase un passaggio, e da quel varco si avvicinò un cavaliere elettrico, di aspetto davvero memorabile: aveva occhi ingioiellati che brillavano come comete, antenne radar buttate all’indietro, alla spavalda, e un’elegante stola tempestata di diamanti.

L’appariscente personaggio si portò le dita al copricapo rinforzato e con voce stentorea, ma coltivata come il fruScio della seta, chiese: «Ho l’onore di parlare con sua signoria Trurl, il nobile Trurl, l’illustre costruttore Trurl?»

«Be’, sì… perché non entrate… non aspettavo visite… voglio dire, mi ero addormentato…» si scusò Trurl, tremendamente imbarazzato, e corse a mettersi un accappatoio, perché indossava soltanto una camicia da notte e neanche delle meno stazzonate. Il magnifico cavaliere elettrico, tuttavia, non parve notare alcunché di disdicevole nella tenuta di Trurl. Toccandosi di nuovo il cappello, che ronzava e vibrava sulla sua monolitica fronte, entrò con grazia in casa del costruttore. Questi si scusò, andò a fare qualche approssimativa abluzione dell’alba e poi si affrettò a ritornare in salotto.

Ormai, all’esterno, il cielo cominciava a rischiararsi, e presto i primi raggi di sole illuminarono i turbanti dei robot, che intonavano in coro l’antico e dolente canto del loro servaggio, «Banana Star Boat», fermi in triplice fila attorno alla piramidale astronave e alla casa. Trurl si sedette di fronte all’ospite, che batté un paio di volte le scintillanti palpebre e infine così parlò:

«Il pianeta da cui vengo a voi, Ser Costruttore, è oggi piombato nel più buio Medioevo. Ah, supplico Vostra Eccellenza di perdonare il nostro arrivo inopportuno, che tanto incomodo vi ha recato; ma dovete capire, a bordo non avevamo modo di sapere come — nella particolare posizione della degna sfera planetaria che la vostra casa si degna di occupare — la notte regnasse ancora suprema e contrastasse il sorgere dell’alba».

S’interruppe per schiarirsi la voce, con un rumore quasi musicale, simile a quello di un dito passato sull’orlo di un bicchiere di cristallo. Poi proseguì: «Sono stato inviato alla Vostra Sublime Persona dal mio signore e padrone, Sua Altezza Reale Protuberone Asteristico, Re e sovrano dei pianeti gemelli Afelio e Perielio, monarca ereditario di Anuria, imperatore di tutti i Monodamiti, Biprossici e Tripartigi, granduca d’Amadorinto, Gorgonzir ed Esquaccia, conte di Esculapia, Algorissimo e Flora del Fortran, Paladino Scudierato e Spadonato della Mazza Maggiore, barone di Bhm, Wrp e Clarafoncatello, oltre che reggente straordinario dell’esarcato di Ida, Pida, e Ad Infinida… sono stato da lui mandato, come dicevo, a invitare a suo munifico nome la Vostra Grazia Risplendente affinché si rechi in visita nel nostro regno, dove sarà il nostro lungamente atteso Salvatore della Corona, il solo che possa redimerci dal generale avvilimento causato dalla tre volte sventurata infatuazione di Sua Altezza Reale, l’erede al trono, il Principe Patagonzio».

«Ma in realtà non pensavo di…» lo interruppe Trurl. L’inviato reale, però, si limitò ad agitare la mano, per indicare che non aveva ancora finito, e, ripreso fiato, soggiunse: «In cambio del grazioso prestito del vostro condiscendente orecchio e del soccorso a noi fornito nel farci superare la nostra calamità nazionale, Sua Altezza Reale Protuberone qui vi promette, assicura e solennemente giura che cospargerà Vostra Costruttorezza di onori e ricchezze tali che la Vostra Celebre Fulgidità non riuscirebbe mai a consumarli tutti, neppure se dovesse continuare a scialacquarne fino all’ultimo dei suoi giorni. E adesso, come anticipo, o come si dice, come caparra, io vi nomino…»

Così parlando, il cavaliere si alzò, estrasse la spada e disse — e a ogni titolo da lui pronunciato appoggiò la spada, di piatto, prima sull’una e poi sull’altra spalla di Trurl — in tono ufficiale:

«…conte di Otte, Grotte e Finotte, margravio emerito di Trundle e Sklar, portatore a Otto Stelle del Gran Collare dell’Ordine Gramelosiniano, barone di Bondacalonda e di Cigitesimo, governatore di Mussi e Pitussi, visconte dell’Ordine dei Non Mi Piego, elemosiniere «in perpetuum» dei regni di Enica, Menica e Minemica, con tutti i relativi privilegi e diritti, compresa una salva di ventuno cannonate al risveglio mattutino e al rientro serale, uno squillo di tromba alla fine del pasto e la Croce al Merito Esponenziale, scolpita a mano, d’ebano, schisto e marzapane, autenticata e bollata. E come testimonianza del suo regale favore, il mio signore e feudatario vi manda i piccoli presenti che mi sono permesso di posare davanti alla vostra abitazione».

In effetti, i pacchi impedivano già di scorgere il cielo, e la stanza era buia anzichenò. Il cavaliere aveva terminato il suo discorso, anche se continuava a tenere sollevata la mano che aveva levato in aria, con gesto eloquente. Trurl approfittò dell’occasione per dire: «Sono molto obbligato nei confronti di Sua Altezza Reale Protuberone, ma gli affari di cuore, dovete capire, non sono esattamente la mia specialità. Anche se — aggiunse, a disagio sotto lo sguardo abbagliante del cavaliere — forse potreste spiegarmi la natura del problema…»

Il cavaliere gli rivolse un cenno d’assenso.

«Presto fatto, o Ser Costruttore!» disse. «L’erede al nostro trono si è innamorato di Amarandina Cybemella, unica figlia del sovrano del limitrofo stato di Ib. Ma i nostri regni sono divisi da un’antica inimicizia, e senza dubbio se il nostro Amato Sovrano, cedendo agli instancabili prieghi del Principe, dovesse chiedere a quell’Imperatore la mano di Amarandina, la risposta sarebbe un categorico rifiuto. In questo modo sono già trascorsi un anno e sei mesi, e il Principe della Corona deperisce davanti ai nostri occhi. Tutti i tentativi di riportarlo alla ragione sono falliti, e adesso la nostra unica speranza sta nella Vostra Eminentissima Iridescenza!»

Qui il cavaliere gli rivolse un profondo inchino. Trurl, notando come continuassero a scendere dalla nave file su file di soldati che si disponevano attorno alla casa, tossicchiò e disse con un filo di voce: «Be’, io non vedo davvero come potrei essere d’aiuto… anche se, naturalmente, se il Re lo desidera… in tal caso…»

«Meraviglioso!» esclamò il cavaliere, battendo rumorosamente le mani. Subito dodici corazzieri, neri come la notte, entrarono con grande clangore delle armature e portarono con loro Trurl fino alla nave, che salutò con ventuno scariche dei motori la sua salita a bordo, levò gli ormeggi e sparì nel cielo senza limiti.

Nel corso del viaggio, il cavaliere — che risultò essere Gran Siniscalco e Arcimagnate del Re — ragguagliò Trurl sui particolari dell’innamoramento principesco, nato sotto sì cattiva stella, e subito dopo il loro arrivo, non appena furono terminate le cerimonie di benvenuto e la parata lungo le strade della capitale in mezzo a una pioggia di stelle filanti, il costruttore si mise subito all’opera. Portò il proprio equipaggiamento nei magnifici giardini reali e in tre settimane trasformò il Tempio della Contemplazione — che sorgeva laggiù da tempi incommensurabili — in uno strano edificio pieno di metalli, cavi e schermi luminosi.

Si trattava, spiegò al Re, di un femmefatalatrone, dispositivo erotizzante stocastico, elastico e orgiastico, dotato di un grande repertorio di feedback: chiunque entrasse nell’apparecchiatura, provava istantaneamente ogni fascino, seduzione, lusinga, ammiccamento e malia esercitato nel, corso della storia dalle donne più fatali dell’universo, e il tutto in un colpo solo.

Il femmefatalatrone, spiegò Trurl, funzionava a una potenza di quaranta mega-amours, con un’efficienza massima teorica — coefficienti concupiscenziali costanti — del 96 per cento, mentre la lubricità libidica del sistema (misurata naturalmente in kilocupidi) restituiva fino a sei unità erotiche per ognuna di input.

Quel meraviglioso meccanismo, inoltre, disponeva di smorzatori d’amore reversibili, di amplificatori onnidirezionali di consumazione, filtri d’assorbimento, periferiche polpastrello-mimetiche, e circuiti di prima vista ad amplificazione forzata (dato che Trurl, a questo proposito, seguiva le idee del dottor Yenzico, creatore della famosa teoria della sensualità oculo-osculatoria).

Inoltre c’era ogni sorta di optional, come per esempio un titillatore HI-FI ad A.F., un tentatore alternante, oltre a una completa serie di libidinoni e debosciatori.

All’esterno del campo d’azione della macchina, nella cabina di cristallo, un’infinità di quadranti consentivano di seguire attentamente il corso del processo di disintossicazione amorosa. L’analisi statistica mostrava come il femmefatalatrone dava risultati permanenti e positivi in novantotto casi su cento di superfissazione amorosa indesiderata. Di conseguenza, le probabilità di salvare il Principe si potevano considerare eccellenti.

A quaranta venerabili, pari del regno, occorsero più di quattro ore per spingere il loro Principe attraverso i giardini fino al Tempio della Contemplazione, perché anche se erano risoluti a farvelo entrare, dovevano mostrare il dovuto rispetto per la sua regale persona e perché il Principe — non avendo alcun desiderio di disintossicarsi dalla sua fissazione — prendeva con grande vigore a calci e testate i suoi fedeli cortigiani.

Quando finalmente Sua Altezza Reale venne spinta — con il determinante aiuto di numerosi cuscini di piume — nella macchina e la botola venne chiusa dietro di lui, Trurl, pieno di cupi presentimenti, abbassò l’interruttore, e il computer cominciò a scandire con voce monotona il conto alla rovescia: «Cinque, quattro, tre, due, uno, zero… via!»

E subito i sincro-erotori, sussultando e gemendo, spararono poderose correnti antiseduzione che avevano il compito di scalzare gli affetti del Principe, così malamente orientati.

Dopo un’ora di quel trattamento, Trurl gettò l’occhio sugli indicatori: le lancette tremavano sotto lo spaventevole carico di concupiscenza, ma purtroppo non segnalavano alcun miglioramento. Il Nostro cominciò a nutrire seri dubbi sull’efficacia della terapia, ma ormai era troppo tardi per prendere provvedimenti: poteva solo incrociare le dita e attendere pazientemente.

Si limitò a controllare che le labbra meccaniche scendessero nelle giuste posizioni e con l’angolatura corretta, che gli amorosoldi afrodisiaci e le pandorfine satiriache non fossero in dose eccessiva, perché non voleva che il paziente subisse un transfert completo e finisse per innamorarsi della macchina invece che di Amarandina: voleva soltanto che perdesse del tutto l’amore presente.

Alla fine, la botola venne aperta nel massimo silenzio. Dalla penombra dell’interno, avvolto in una nube dei profumi più seducenti, uscì il Principe, pallidissimo, camminando su petali di rosa appassiti… e poi cadde a terra svenuto, tanto era forte in lui la passione.

I fedeli servitori corsero ad aiutarlo, e quando sollevarono le sue membra inerti, gli sentirono mormorare, con un roco bisbiglio, un’unica parola: «Amarandina».

Trurl imprecò a denti stretti, perché tutte le sue fatiche erano state inutili e il folle amore del Principe si era dimostrato più forte di tutti i mega-amours e i kilocupidi che il femmefatalatrone poteva mettere in campo.

Quando premette l’innamoramometro contro la fronte del Principe, ancora perso nel suo delirio, l’indicatore salì fino a centosette, poi il tubo di vetro si spaccò e il mercurio fuoriuscì — anch’esso fremente, come se subisse l’effetto di quelle rabbiose emozioni.

Il primo tentativo, dunque, era stato un completo fallimento.

Quando Trurl fece ritorno al suo alloggio, era più in collera che mai, e chiunque l’avesse spiato dal buco della serratura l’avrebbe visto camminare avanti e indietro per tutta la notte, in cerca di una soluzione. Intanto, dai giardini si levavano orribili rumori: un capomastro e due manovali che dovevano rifare l’intonaco di un piccolo arborium si erano introdotti per curiosità nel femmefatalatrone e per caso l’avevano messo in moto.

Fu necessario chiamare i vigili del fuoco, perché quei franchi muratori ne erano usciti così infiammati che si erano messi addirittura a fumare.

Successivamente, Trurl provò un erogenizzatore retroattivo con volutticoli rinforzati, ma anche quello — per condensare in una sola parola una lunga storia — fu un insuccesso. Il Principe non fu meno schiavo del fascino di Amarandina; anzi, lo fu più che mai.

Ancora una volta, Trurl continuò ad andare avanti e indietro nervosamente nella propria stanza, percorrendo miglia su miglia, e trascorse alla scrivania gran parte della notte successiva, impegnato a leggere manuali tecnici che poi, incollerito, scagliava contro il muro.

La mattina dopo si recò dal Gran Ciambellano e gli chiese un’udienza con il Re. Ammesso alla presenza di Sua Maestà, Trurl così gli disse: «Vostra Regale Altezza e Vostra Graziosa Maestà! I metodi di disamoramento che ho impiegato su vostro figlio sono i più potenti che si possano immaginare. Semplicemente, il Principe si rifiuta di disamorarsi, a costo della vita stessa. Vostra Maestà deve sapere come stanno le cose».

Il Re tacque, sopraffatto da questa rivelazione, ma Trurl proseguì: «Naturalmente, potrei ingannarlo, costruendo un’Amarandina artificiale sulla base delle caratteristiche a me note, ma presto o tardi il Principe lo scoprirebbe, non appena gli giungesse qualche notizia della vera Amarandina. Perciò, non vedo altra soluzione: il Principe dovrà sposare la figlia dell’Imperatore!»

«Bah» fece il Re «è proprio questo il problema, o straniero! L’Imperatore non darebbe mai il suo assenso a un simile matrimonio!»

«E se l’Imperatore, vinto e conquistato, dovesse chiedere la pace, implorare pietà?»

«Be’, in tal caso lo darebbe… ma vorresti farmi scatenare una grande guerra tra due grossi regni — cosa che, a dir poco, è sempre rischiosa — per conquistare a mio figlio la mano della figlia dell’Imperatore? No, è assolutamente inconcepibile!»

«E’ proprio la risposta che mi aspettavo dalla Vostra Altezza Reale» replicò Trurl, con calma. «Tuttavia, ci sono guerre di tanti tipi, e il tipo a cui sto pensando non comporta spargimento di sangue. Infatti, non attaccheremo con le armi i territori dell’Imperatore; non toglieremo la vita a nessuno dei suoi sudditi; anzi, faremo proprio il contrario».

«Che cosa dici? Che cosa hai in mente?» esclamò il sovrano.

Quando Trurl sussurrò all’orecchio del Re il suo piano segreto, la faccia preoccupata del monarca si rischiarò progressivamente. Alla fine gridò: «Va’, allora, e fa’ come dici, o buon forestiero, e che gli dèi siano con te!»

L’indomani stesso, nelle forge e nelle officine reali si diede inizio alla costruzione, in base alle direttive di Trurl, di un gran numero di grossi cannoni, anche se non era chiaro lo scopo a cui dovevano essere destinati.

I cannoni vennero dislocati tutt’intorno alla nazione nemica e camuffati come installazioni difensive, in modo che nessuno indovinasse i piani di Trurl. Intanto, il costruttore rimaneva giorno e notte nel laboratorio di produzione cibernetica, a controllare certe vasche segrete in cui ribollivano e filtravano misteriose sostanze chimiche. Se una spia si fosse recata da lui, non avrebbe scoperto nulla, tranne che di tanto in tanto, dietro le porte chiuse a doppia mandata, si levavano strani gemiti e miagolii; inoltre, avrebbe visto correre freneticamente, con in mano pile di pannoloni, tecnici e assistenti.

Il bombardamento ebbe inizio una settimana più tardi, a mezzanotte. I cannoni, caricati dagli artiglieri più esperti, vennero puntati verso i territori dell’Imperatore, e non spararono colpi mortali, ma colpi vitali, perché i proiettili di Trurl erano contenitori che calavano con il paracadute e contenevano un bambino di pochi giorni.

I bambini piovvero sul nemico, a miriadi: bambini che frignavano, piagnucolavano e strillavano a pieni polmoni, e che presto finirono per coprire ogni angolo del regno. Ce n’era un numero così elevato che l’aria tremava sotto i loro assordanti ma-ma, pa-pa, ca-ca e ua-ua.

L’inondazione di neonati non accennò a terminare; ben presto l’economia cominciò a tentennare sotto lo sforzo e il regno si trovò dinanzi al temuto spettro della depressione, ma dal cielo continuò a scendere una bamboccesca pioggia di infanti, frugolini, marmocchietti, bamboli, mammolini, pargoletti, fantolini e puttini, tutti rubicondi e sorridenti, tutti con il pannolone al vento.

L’Imperatore fu costretto a capitolare dinanzi a Re Protuberone, che promise di mettere fine alle ostilità se la Principessa Amarandina fosse andata in sposa a suo figlio… e l’Imperatore accettò subito.

Immediatamente i cannoni a bambini vennero fatti rientrare negli arsenali e, come ulteriore misura di sicurezza, Trurl si occupò personalmente di smontare il femmefatalatrone.

Più tardi, come testimone della sposa, con un vestito tempestato di smeraldi e in pugno il bastone di rito, il costruttore presiedette le cerimonie durante l’animatissimo banchetto di nozze. E quando anche quei festeggiamenti furono terminati, caricò sulla sua astronave i doni, i titoli, i diplomi, le citazioni al merito che Re e Imperatore avevano voluto donargli e finalmente, ormai sazio di glorie, fece ritorno a casa.

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