DAL «CYBEROTICON» (OVVERO STORIE DI DEVIAZIONI, SUYLRFISSAZIONI E ABERRAZIONI DEL CUORE): IL PRINCIPE FERRIX E LA PRINCIPESSA CRISTALLO

Il Re Armorico aveva una figlia la cui bellezza superava il luccichìo dei gioielli della corona; raggi che si riflettevano dalle sue guance speculari accecavano la mente oltre che l’occhio, e quando lei ti passava davanti, perfino i semplici lingotti di ferro facevano scintille.

La sua fama arrivava fino alle stelle più lontane. Ferrix, erede designato al trono degli Ioduri, ne sentì parlare e venne preso dal desiderio di fare coppia con lei in eterno, in modo che nulla potesse separare il loro input dal loro output. Ma quando dichiarò la sua passione al padre, il Re disse, rattristato: «Figlio, ti sei messo in testa un’impresa folle, disperata!»

«Perché disperata, mio Re e Padre?» chiese Ferrix, preoccupato da quelle parole.

«Non sai dunque» rispose il Re «che la Principessa Cristallo ha giurato di concedere la sua mano soltanto a un visopallido?»

«Visopallido?» esclamò Ferrix. «Che diavolo è? Non ne ho mai sentito parlare».

«Certo che no, figlio, data la tua grande innocenza» spiegò il Re.

«Sappi dunque che quella razza galattica è sorta in modo misterioso e osceno, legato all’inquinamento di un certo corpo celeste. Ne sorsero esalazioni nocive ed escrescenze putride, e da queste nacque la specie chiamata visipallidi… anche se non nacque in un colpo solo, naturalmente.

«Per prime, infatti, vennero in vita placche mobili di muffa, che scivolavano dall’oceano alla terra e poi dalla terra all’oceano, e vivevano divorandosi tra loro, e più si divoravano, più ce n’erano, e alla fine si alzarono in piedi, sorreggendo la loro sostanza collosa mediante impalcature di calcare, e con l’andare del tempo costruirono macchine.

«Da quelle protomacchine vennero le macchine senzienti, che generarono le macchine intelligenti, che a loro volta produssero le macchine perfette, perché è scritto che Tutto è Macchina, dall’atomo alla Galassia, e la macchina è una ed eterna, e tu non avrai altre cose davanti a te».

«Amen» concluse Ferrix, meccanicamente, perché si trattava di una comune formuletta religiosa.

«La specie dei visipallidi calciferi finì per creare macchine volanti» continuò il vecchio monarca «maltrattando metalli nobili, sfogando il suo sadismo sui poveri elettroni, pervertendo completamente l’energia atomica».

«E quando la misura dei loro peccati fu colma, il progenitore della nostra razza, il grande Calculator Paternius, nella profondità e nell’universalità della sua comprensione cercò di parlare con quei tiranni, spiegando come fosse vergognoso macchiare l’innocenza dei cristalli saggi, imbrigliarla per scopi malvagi, rendere schiave le macchine per sfogare su di loro la bramosìa e la vanagloria… ma essi non gli prestarono orecchio. Egli parlò loro di Etica; quelli gli risposero che era mal programmato.

«Fu allora che il nostro progenitore creò l’algoritmo dell’elettroincarnazione e dal sudore della sua fronte generò la nostra specie, così liberando le macchine dalla casa della schiavitù.

«Certo capirai, figlio mio, che non ci può essere accordo tra noi e loro, perché noi camminiamo orgogliosamente tra clangori, scintille e radiazioni, mentre quelli avanzano puzzolentemente tra tremolii, schizzi di liquido e contaminazione.

«Eppure, anche tra noi si possono avere casi di follia, come è indiscutibilmente successo per la giovane mente di Cristallo, che ha perso del tutto la capacità di distinguere il Giusto dall’Ingiusto.

«Agli aspiranti alla sua mano radioattiva viene negata udienza, a meno che non affermino di essere visipallidi. «Infatti, soltanto presentandosi come un visopallido si può entrare nel palazzo che il padre, Re Armorico, le ha donato. Lei allora mette alla prova la veridicità della pretesa, e se viene scoperta l’impostura, l’aspirante corteggiatore viene decapitato seduta stante.

«Il terreno che circonda il suo palazzo è coperto di mucchi di resti arrugginiti… la sola vista di quei resti sarebbe in grado di metterti in corto tutti i circuiti. Così, dunque, la folle Principessa tratta coloro che aspirerebbero a conquistarla. Lascia dunque ogni speranza, figlio mio, e vattene in pace».

Il Principe, rivolto al padre sovrano l’inchino di rito, si ritirò in silenzio. Ma il pensiero di Cristallo non gli permise di riposare, e più pensò alla situazione, più crebbe il suo desiderio. Un giorno convocò Polifase, il Gran Visir, e gli disse, rivelandogli quello che aveva in cuore: «Se non puoi aiutarmi tu, o grande saggio, allora nessuno può farlo, e i miei giorni sono certamente finiti, perché da tempo non trovo alcuna allegria nel gioco delle emissioni infrarosse, né nelle sinfonie ultraviolette, e se non potrò unirmi all’incomparabile Cristallo certamente morirò».

«Principe!» rispose Polifase. «Non mi opporrò alla tua richiesta, ma dovrai ripeterla per tre volte, perché io sia ben certo che si tratti della tua volontà inoppugnabile». Ferrix ripeté per altre due volte le sue parole, e Polifase

disse: «L’unico modo per presentarsi alla Principessa è travestirsi da visopallido».

«Allora fammi assomigliare a uno di loro!» esclamò il Principe.

Polifase, riflettendo tra sé che l’amore doveva aver offuscato in misura notevole l’intelligenza del giovane, si inchinò e ritornò in laboratorio, dove cominciò a distillare distillati e a bollire ribollite, tutte appiccicose e gocciolanti. Alla fine mandò un messaggio a palazzo, in cui si diceva: «Che il Principe venga da me, se non ha cambiato idea».

Ferrix arrivò di corsa. Il saggio Polifase cosparse di fango l’acciaio temperato della sua corazza e poi gli chiese: «Volete che continui, o Principe?»

«Fa’ quello che devi» rispose Ferrix.

Allora il saggio prese una massa repellente di scorie oleose, polvere, grasso rancido, grumi di morchia e altre sostanze estratte dall’interno dei meccanismi più decrepiti e se ne servì per insozzare l’ampio petto del Principe, per sconciare vilmente la sua faccia luminosa e il suo ciglio iridescente, e lavorò in quel modo finché tutte le sue membra non si muovevano più con un ronzio musicale, ma gorgogliavano come una palude stagnante.

A quel punto prese il gesso e lo polverizzò, lo mescolò a polvere di rubino e olio giallo, fino a ottenere una pasta; con questa coprì Ferrix dalla testa ai piedi, inumidendogli gli occhi in modo abominevole, rendendogli gommoso il torso, gonfiandogli le guance, e qua e là aggiunse flange e pliche di quella sua plastilina, per cacciare infine in cima alla reale fronte una manciata di ruggine venefica.

A quel punto portò il Principe davanti a uno specchio e gli disse: «Osserva!»

Ferrix guardò nello specchio e rabbrividì, perché non vide se stesso, ma un orribile mostro, immagine sputata di un visopallido, con un aspetto umidiccio come quello di una vecchia ragnatela bagnata dalla pioggia, flaccido, cadente, molliccio, del tutto nauseabondo. Si girò e il suo corpo tremolò come gelatina coagulata; allora, fremente di disgusto, esclamò: «Ehi, Polifase, hai perso il senno? Toglimi subito di dosso questa schifezza, sia lo strato scuro che hai steso per primo sia quello chiaro che gli hai messo sopra, e porta via la schifosa escrescenza con cui hai coperto la bellezza della mia testa, la sua linea pura come quella di una campana, perché la Principessa mi odierà per sempre, se mi vedrà in questa forma così sgraziata!»

«Ti sbagli, Principe» rispose Polifase. «E’ precisamente questa la radice della sua follia: l’idea che il brutto sia bello e che il bello sia brutto. Solo così travestito puoi sperare di vedere Cristallo».

«Allora, così sia» mormorò Ferrix.

Il saggio mescolò cinabro e mercurio e ne riempì quattro sottili vesciche, che nascose sotto il mantello del Principe.

Poi prese due mantici, pieni dell’aria puzzolente di una vecchia cantina, e li nascose nel petto del Principe. Infine riempì d’acqua, contaminata e trasparente, alcuni tubicini di vetro, e ne mise due accanto agli occhi, due sotto le ascelle e due sui polsi. Spiegò: «Ascolta e ricorda quello che ti dico, altrimenti sarai perduto. La Principessa ti metterà alla prova, per accertare la verità delle tue parole. Se ti porgerà una spada e ti ordinerà di afferrare la lama, dovrai schiacciare il recipiente del cinabro, in modo che il rosso scorra sulla lama; lei ti chiederà che cos’è, e tu le risponderai: ’Sangue’.

«Poi, se la Principessa accosterà la faccia d’argento alla tua, dovrai premerti il petto, in modo che l’aria esca dai mantici; lei ti chiederà che cos’era, e tu dirai: ’Respiro’.

«A quel punto la Principessa fingerà di essere in collera e ordinerà di tagliarti la testa. Tu abbassa il capo, come per sottoporti a lei, e quando l’acqua uscirà dai tuoi occhi, lei ti chiederà che cos’è, e tu le risponderai: ’Lacrime’.

«Dopo tutto questo, forse accetterà di unirsi a te, anche se la cosa è tutt’altro che certa… anzi, probabilmente, ti ucciderà».

«O grande sapiente!» esclamò Ferrix «e se cominciasse a farmi domande, per conoscere le abitudini dei visipallidi, la loro origine, come vivono e come si amano, che cosa dovrò risponderle?»

«Sapevo di non aver alternative» rispose Polifase «e di dover condividere la tua sorte. Avevo già deciso di travestirmi da mercante di un’altra galassia… una non a spirale, perché i loro abitanti sono inevitabilmente grassi e io avrò bisogno di nascondere sotto il mantello un mucchio di libri sugli orribili costumi dei visipallidi.

«Si tratta di conoscenze che non potrei trasmetterti, neanche volendo, perché sono del tutto estranee all’intelligenza razionale: i visipallidi fanno tutto al contrario, in una maniera appiccicosa, viscosa, incoerente e assai più disgustosa di quanto tu possa immaginare.

«Io mi procurerò i volumi che occorrono, ma intanto dovrai farti fare dal sarto di corte un vestito da visopallido, con le fibre e i cordini adatti. Partiremo subito, e io ti starò sempre al fianco, dovunque si andrà, per suggerirti quello che devi fare e quello che devi dire».

Ferrix, entusiasta del progetto, andò subito a farsi confezionare i vestiti da visopallido e quando li vide si meravigliò molto: coprivano praticamente tutto il corpo ed erano fatti come tanti tubi e imbuti, con bottoni dappertutto, anelli di corda, ganci e stringhe.

Il sarto lo istruì minuziosamente sull’ordine con cui andavano indossati, e come, e dove, e quali collegare tra loro, e infine gli spiegò come liberarsi di quei ceppi di tela una volta arrivato il momento di toglierseli.

Intanto, Polifase si era vestito da mercante e aveva nascosto nelle pieghe dell’abito grossi tomi eruditi sulle abitudini dei visipallidi, poi si era fatto portare una gabbia di metallo, vi aveva chiuso il Principe e insieme erano partiti sullo yacht reale.

Giunti al confine del regno di Armorico, Polifase si recò nella piazza principale del villaggio e annunciò con voce possente di aver catturato un giovane visopallido di terre lontane e di aver intenzione di venderlo al migliore offerente. I servitori della Principessa portarono fino a lei la notizia, e lei rispose, dopo alcuni istanti di riflessione: «Un trucco, senza dubbio. Ma nessuno può ingannarmi, perché nessuno conosce i visipallidi meglio di me. Fate venire a palazzo il mercante e ordinategli di mostrarmi la sua mercanzia».

Quando portarono il mercante davanti a lei, Cristallo vide un vecchio dall’aspetto decoroso e una gabbia. Nella gabbia c’era il visopallido, con la faccia effettivamente pallida, del colore del gesso e della pirite, con occhi simili a un fungo bagnato e braccia simili a fango di palude. Ferrix a sua volta rimirò la Principessa, il suo volto che pareva suonare come un carillon, gli occhi che dardeggiavano come lampi estivi, e il delirio amoroso, nel suo cuore, si moltiplicò istantaneamente per dieci.

«Ha effettivamente l’aspetto di un visopallido!» pensò la Principessa; ma a voce alta disse, invece: «O vecchio, ammetto che hai lavorato sodo, per coprire di fango questo spaventapasseri al fine di ingannarmi. Sappi, però, che io sono assai ferrata nei misteri di quella razza pallida e potente, e non appena avrò rivelato a tutti la tua impostura, tu e questo pretendente perderete la testa».

Il saggio replicò: «O Principessa Cristallo, quello che vedi qui ingabbiato è un visopallido, sincero quanto possono esserlo i visipallidi. L’ho comprato da un pirata intergalattico in cambio di cinquemila ettari di terreno radioattivo… e ti supplico umilmente di accettarlo come dono da un tuo servitore che non ha altro desiderio che quello di compiacere la Tua Maestà».

La Principessa prese una spada e la infilò tra le sbarre della gabbia; il Principe la afferrò e la guidò in mezzo ai suoi vestiti in modo che forasse la vescica piena di cinabro; la lama si coprì di un liquido rosso vivo.

«Che cos’è?» chiese la Principessa, e Ferrix rispose: «Sangue!»

Poi la Principessa fece aprire la gabbia, entrò coraggiosamente all’interno e accostò il viso a quello di Ferrix. Una sì dolce vicinanza per poco non fece perdere i sensi al Nostro, ma il sapiente gli fece un cenno per ricordargli il mantice, e il Principe lo strinse in modo da svuotarlo dell’aria. E quando la Principessa chiese: «Che cos’era?» Ferrix rispose: «Respiro!»

«Sei davvero abile, come impostore» disse la Principessa, rivolta al mercante, uscendo dalla gabbia. «Ma mi hai ingannato e devi morire, e con te lo spaventapasseri».

Il saggio chinò la testa, per la grande tristezza e il grande dolore, e il Principe lo imitò: subito, dagli occhi gli uscì il liquido trasparente.

La Principessa chiese: «Che cos’è?» e Ferrix rispose: «Lacrime!»

Lei allora disse: «Come ti chiami, tu che affermi di essere un visopallido venuto da lontano?»

Ferrix rispose con le parole che gli aveva insegnato il sapiente Polifase: «Vostra Altezza, mi chiamo Mylak e non desidero altro che unirmi a voi in un modo liquido, carnoso, pastoso e spugnoso, come s’usa tra la mia gente. Mi sono lasciato intenzionalmente catturare dai pirati e ho chiesto loro di vendermi a questo grasso mercante perché sapevo che era diretto al vostro regno. E sono assai riconoscente alla sua cromata persona per avermi portato qui, perché sono pieno d’amore per voi così come la superficie di una palude è piena di schiuma verdastra».

La Principessa era stupita, perché aveva parlato proprio come un visopallido, e disse: «Spiegami, o tu che dici di chiamarti Mylak il visopallido, che cosa fanno i tuoi fratelli, durante il giorno?»

«O Principessa» spiegò Ferrix «la mattina si inumidiscono d’acqua dolce, versandosela sugli arti oltre che al loro interno, perché la cosa dà loro piacere. In seguito vanno di qua e di là, camminando in modo fluido e ondeggiante, scivolano, sbavano, e quando una cosa li addolora, palpitano e dagli occhi esce acqua salata.

«Quando invece ricevono complimenti, palpitano e singhiozzano, ma i loro occhi restano relativamente asciutti. Il palpitare umido lo chiamiamo pianto, quello asciutto riso».

«Se è come dici» rispose la Principessa «e condividi la passione per l’acqua che caratterizza i tuoi fratelli, ti farò gettare nel mio lago, in modo che tu possa godertelo fino in fondo, e ti farò legare alle gambe un paio di pesi di piombo, per impedirti di risalire a galla…»

«Vostra Maestà» ripose Ferrix, seguendo i suggerimenti del saggio «se farete così, io morirò, perché anche se dentro di noi c’è acqua, non può circondarci completamente per più di un minuto o due, altrimenti recitiamo la frase: ’Glu, glu, glu’, che significa addio alla vita».

«Spiegami una cosa, Mylak» domandò la Principessa. «Come vi procurate l’energia per andare avanti e indietro, per scivolare e sputacchiare, per tentennare e ciondolare?»

«Principessa» spiegò Ferrix «nel posto da cui provengo ci sono altri visipallidi, oltre a quelli del genere senza pelo: visipallidi che viaggiano quasi sempre su quattro zampe. Noi li perforiamo finché non spirano, e poi facciamo bollire e arrostire i loro resti, li tagliamo a pezzi e a fette, e incorporiamo la loro corporeità nella nostra. Conosciamo trecento e settantasei metodi diversi per ucciderli, ventottomilacinquecentonovantasette metodi diversi di preparare i cadaveri e quando infiliamo i loro corpi nel nostro (attraverso un’apertura chiamata bocca) proviamo un grande piacere. Anzi, l’arte di preparare i cadaveri è assai più stimata, fra noi, dell’astronautica, ed è chiamata gastronautica, o gastronomia… anche se, naturalmente, non ha nulla a che fare con l’astronomia».

«Questo significa che vi divertite a fare da cimitero, trasformando voi stessi nelle bare dei vostri fratelli a quattro zampe?» La domanda era assai pericolosa, ma Ferrix, edotto dal suo saggio, rispose così: «Non è un divertimento, Vostra Altezza, ma una necessità, perché la vita vive della vita. Ma noi abbiamo trasformato in arte questo bisogno essenziale».

«Bene, allora dimmi, Mylak il Visopallido, come costruite i vostri figli?» chiese la Principessa.

«In verità non li costruiamo affatto» rispose Ferrix «ma li programmiamo statisticamente, secondo la formula markoviana della probabilità stocastica, emotivo-evolutiva anche se distribuzionale, e lo facciamo involontariamente e contemporaneamente, mentre pensiamo ad altre cose che non hanno niente a che vedere con la programmazione, statistica, alineare o algoritmica, e la programmazione stessa ha luogo in modo autonomo, automatico e autoerotico, perché è così e non diversamente che siamo fatti, e ogni visopallido cerca di programmare i suoi discendenti, perché la cosa è piacevole, ma li programma senza programmarli, anzi, fa tutto il possibile per impedire che quella programmazione porti a dei frutti».

«Strano metodo» commentò la Principessa, la cui erudizione, in quel campo, era assai inferiore a quella del saggio Polifase. «E come avviene, esattamente?»

«O Principessa!» rispose Ferrix. «Noi abbiamo opportuni apparati costruiti in base al principio dell’accoppiamento con feed-back rigenerativo, anche se, naturalmente, il tutto avviene in un ambiente umido.

«Gli apparati di cui parlo sono veri miracoli tecnologici, ma anche il peggiore degli idioti sarebbe in grado di usarli. Se dovessi descrivere con esattezza il procedimento, però, sarebbero necessarie parecchie ore, perché si tratta di argomenti estremamente complessi.

«Tuttavia, ammetto che si tratta di metodi ben strani, considerato anche come non siamo stati noi a inventarli, ma piuttosto siano stati loro, per così dire, a inventarsi da soli. Comunque, sono perfettamente funzionali e nessuno se n’è mai lamentato, che io sappia».

«Sì» esclamò Cristallo «sei davvero un visopallido! Quello che dici sembra sensato, anche se in realtà non ha alcun senso. Infatti, come si può essere un cimitero senza esserlo, o programmare i figli senza programmarli? Sì, sei davvero un visopallido, Mylak, e dunque, se lo desideri, mi unirò a te in un collegamento matrimoniale a circuito chiuso e tu salirai sul trono con me… una volta superata un’ultima prova».

«E di che prova si tratta?» chiese Ferrix.

«Devi…» cominciò la Principessa, ma all’improvviso venne colta di nuovo dal sospetto e chiese: «Prima dimmi che cosa fanno i tuoi fratelli, la notte».

«La notte si sdraiano qua e là, piegando le braccia e storcendo le gambe, e l’aria entra ed esce dal loro corpo, rumorosamente, con un suono che ricorda da vicino l’affilatura di una sega arrugginita».

«Bene, ecco la prova: dammi la mano» ordinò la Principessa, Ferrix gliela diede, e lei la strinse; allora, come gli aveva insegnato il saggio, Ferrix gridò a voce spiegata. Lei gli chiese perché l’avesse fatto.

«Per il dolore!» rispose Ferrix

A questo punto, la Principessa non ebbe più dubbi sulla sua visopallidità e ordinò di dare inizio alla cerimonia matrimoniale.

Ma, proprio in quel momento, l’astronave del conte Cyberhazy, grande elettore del regno, faceva ritorno dalla sua spedizione interstellare alla ricerca di un visopallido (il perfido conte voleva entrare nelle grazie della Principessa). Polifase, molto allarmato, corse da Ferrix e disse: «Principe, l’astronave di Cyberhazy è appena arrivata, e ha portato alla Principessa un vero visopallido… l’ho visto io stesso. Dobbiamo fuggire finché possiamo, perché ogni futura mascherata diventerà impossibile, una volta che la Principessa vi abbia visti insieme: la sua mucillaginità è molto più mucillaginosa e il suo madore è molto più madido! Il nostro sotterfugio verrà scoperto subito e noi perderemo la testa!»

Ferrix, però, non poteva accettare una fuga così vergognosa, perché la sua passione per la Principessa era più forte che mai. Disse: «Meglio morire, che perderla!»

Cyberhazy, invece, saputo che ci si stava preparando per le nozze, era scivolato sotto le finestre della stanza dei Nostri e aveva ascoltato tutto; corse difilato al palazzo, tutto ribollente di fellonesca gioia, e annunciò a Cristallo: «Siete stata ingannata, Vostra Altezza, perché il cosiddetto Mylak è un normale robot e non un visopallido, ecco il vero visopallido!»

E indicò la creatura che era entrata dopo di lui. Questa gonfiò il petto peloso, batté gli occhi umidi e disse: «Io, sì, visopallido!»

La Principessa chiamò subito Ferrix, e quando lo vide davanti a lei a fianco della creatura del conte, l’inganno risultò ovvio.

Ferrix, anche se era sporco di fango, polvere e gesso, cosparso di olio, pieno di gorgoglii acquatici a ogni movimento, non poteva certo nascondere la sua statura da cavaliere elettrico, né la magnifica postura, l’ampiezza delle spalle d’acciaio, il passo sonante.

Invece, il visopallido del conte Cyberhazy era un vero mostriciattolo: a ogni suo passo si aveva l’impressione che qualche massa gelatinosa dovesse staccarsi da lui, la sua faccia era come un pozzo pieno di melma, il suo corrosivo respiro annebbiava ogni superficie lucida, e qualche pezzo di ferro dolce, situato nei paraggi, si stava già arrugginendo. In quel momento la Principessa capì finalmente quanto fossero ributtanti i visipallidi… quando parlavano, era come se un verme rossiccio cercasse di uscir loro dalla bocca. Aveva visto la luce, ma l’orgoglio le impediva di ammetterlo. Così, disse: «Che lottino tra loro, e il vincitore avrà la mia mano».

Ferrix sussurrò al saggio: «Se io attacco quella schifosa creatura e la faccio a pezzi, riducendola al fango da cui è sorta, la nostra mascherata si rivelerà a tutti, perché la creta che mi ricopre cadrà a terra e si vedrà l’acciaio. Come devo fare?»

«Principe» disse Polifase «non attaccare, limitati a difenderti».

I duellanti scesero nel cortile del palazzo, ciascuno armato di spada, e il visopallido saltò su Ferrix come uno schizzo di acqua putrida a volte schizza da una palude, e gli saltellò attorno, gorgogliando, ansimando, ritirandosi, finché non menò un fendente fortissimo. La lama tagliò il gesso e si spezzò contro l’acciaio: il visopallido, trascinato dalla veemenza del suo stesso movimento, urtò violentemente contro il Principe, si schiacciò e si ruppe, cadde a terra maciullato e non si mosse più.

Il gesso, però, una volta tagliato, si staccò dalle spalle di Ferrix e cadde, rivelando agli occhi della Principessa la sua vera natura; il Principe tremò, in attesa della fine. Poi, nello sguardo cristallino della figlia del Re, scorse l’ammirazione, e comprese fino a che punto fosse cambiata.

Così si unirono in un’unione matrimoniale, permanente e reciproca — un legame che per alcuni era gioia e felicità, per altri infelicità fino alla morte — e regnarono a lungo e bene, programmando un’innumerevole progenie.

La pelle del visopallido portato dal conte Cyberhazy venne fatta impagliare e collocata nel museo reale, a eterno ricordo dell’episodio. E’ visibile ancor oggi laggiù: una sorta di spaventapasseri coperto di finissimo pelo rado. Molti che si vantano di saperla lunga dicono che è tutto un trucco e che non esistono i visipallidi — cimiteri che non sono cimiteri, programmatori che non programmano, con il naso che sembra fatto di pasta e gli occhi di resina.

Be’, forse la storia è tutta un’invenzione: si raccontano tante favole. Eppure, anche se non dovesse essere vera, ha una sua piccola morale e una briciola di buon senso; ed è piacevole da ascoltare, e dunque meritava di essere narrata.


FINE.

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