Senza Fontenot che individuava i problemi e gli spianava la strada, Oscar trovò difficile viaggiare. In Alabama il traffico era rallentato da manifestazioni di fanatici cristiani, che tentavano di ‘infondere nuova vita nello spirito’ organizzando rave evangelici a duecento battute al minuto sotto enormi tendoni. In Tennessee, la strada era bloccata da battaglioni di emigranti messicani che lottavano faticosamente armati di pale e picconi contro il dilagante kudzu. Oscar godeva della relativa sicurezza del suo pullman camuffato da veicolo per il trasporto di sostanze biologiche a rischio, ma vi erano situazioni in cui nemmeno questo gli era di aiuto.
Mentre Lana, Donna e Moira si annoiavano sempre di più e spesso diventavano petulanti, Oscar non restava mai in ozio. Finché aveva il suo portatile e un collegamento in rete, il mondo era la sua ostrica. Si occupò delle sue finanze. Memorizzò i dossier dei colleghi della commissione scientifica del Senato. Scambiò messaggi di posta elettronica con Greta. Greta era particolarmente brava con la posta elettronica. Per lo più parlava del proprio lavoro — il lavoro era lo scopo centrale della sua vita — ma adesso Oscar riusciva a comprendere interi paragrafi di quello che stava dicendo.
Le notizie politiche scorrevano costantemente sui finestrini posteriori del pullman. Oscar si soffermò in particolare sulle numerose implicazioni dello sciopero della fame di Bambakias.
Gli sviluppi dello scandalo furono rapidi e profondi. Quando Oscar giunse a Washington ormai la base aerea della Louisiana era sotto assedio.
La fornitura di energia elettrica della base era già stata tagliata da molto tempo per morosità. Gli aerei non avevano carburante. Le truppe federali, disperate, barattavano equipaggiamenti rubati con cibo e bevande alcoliche. La diserzione dilagava. Il comandante della base aerea aveva registrato un video in cui confessava tutto tra i singhiozzi e poi si sparava un colpo di pistola alla tempia.
Green Huey si era stufato di quello scandalo che andava avanti da troppo tempo. Si stava preparando a un’azione di forza. Attaccare e impadronirsi di una base aerea federale usando la sua leale milizia statale sarebbe stato un gesto troppo eclatante e diretto. Invece, il governatore ribelle preferì delegare quel compito a dei guerriglieri.
Huey si era conquistato il favore di gruppi di prolet nomadi fornendo loro rifugi sicuri. Gli aveva permesso di occupare molte zone della Louisiana dichiarate contaminate dal governo federale. Questi territori dimenticati erano inquinati da scarichi petrolchimici e da pesticidi in grado di alterare gli ormoni e perciò sarebbero stati dichiarati ufficialmente inadatti all’insediamento umano. Le orde dei prolet avevano un’opinione differente a riguardo.
I proletari si radunavano allegramente in qualsiasi luogo in cui l’autorità ufficiale si fosse indebolita. Ogni qual volta non erano pressati dalle autorità, i prolet, le cui comunità si basavano su reti informatiche, si radunavano e diventavano sempre più ambiziosi. Anche se venivano dispersi facilmente con giri di vite focalizzati, tornavano a raggrupparsi velocemente come sciami di moscerini.
Grazie alle loro mietitrici e alla biotecnologia, erano in grado di vivere dei prodotti della terra alla base della catena alimentare. Non godevano di alcun appoggio nell’ordine costituito, ma sfruttavano con astuzia la debolezza infrastrutturale della società. Erano nemici decisamente temibili.
I prolet nomadi non prosperavano in zone densamente popolate come il Massachusetts, dove la sorveglianza video e i motori di ricerca della polizia li rendevano relativamente facili da identificare e controllare. Ma Green Huey non era del Massachusetts, era completamente indifferente agli standard di comportamento di quello Stato. Le aree ecologicamente disastrate della Louisiana costituivano un ambiente ideale per i prolet. All’improvviso quelle zone erano diventate santuari della fauna allo stato brado, poiché gli animali selvaggi avevano scoperto che era molto più facile sopravvivere all’inquinamento chimico che alla presenza degli esseri umani. Dopo decenni di selvaggia crescita subtropicale, le discariche tossiche della Louisiana erano diventate impenetrabili quanto la foresta di Sherwood.
I prolet preferiti da Huey erano nativi della Louisiana, costretti a diventare nomadi dal livello dell’oceano sempre più alto, da uragani disastrosi e dai flutti del Mississippi che avevano rotto gli argini. Ritirandosi nell’interno del loro Stato devastato, le tribù della Louisiana erano diventate una cosa completamente diversa rispetto agli sparpagliati dissidenti della costa orientale. Quegli abitanti della Louisiana avevano costituito una potente, ambiziosa e prospera contro-società, con abiti, costumi, polizia, economia e mezzi di comunicazione propri. Erano in grado di dominare sui meno organizzati tra dissidenti, vagabondi e le associazioni per il tempo libero della nazione. Erano conosciuti come i ‘Regolatori’.
La guerriglia nelle paludi della Louisiana aveva conferito ai Regolatori nomadi di Huey il vantaggio tattico caldeggiato da Mao. Adesso Huey aveva sguinzagliato i suoi mastini della guerra di rete, e intorno alla base federale era scoppiato un inferno a bassa intensità.
Com’era tristemente scontato nelle dispute politiche americane, i servizi giornalistici più accurati venivano trasmessi sui media europei. Oscar trovò un satellite europeo che trasmetteva una conferenza stampa tenuta da una fanatica che diceva di chiamarsi ‘Subcomandante Ooney Bebbels del commando dei Regolatori’.
La comandante della guerriglia indossava una maschera nera da sci, dei jeans schizzati di fango e un dashiki dai colori vivaci. Camminava avanti e indietro davanti al pubblico di giornalisti, brandendo un vistoso bastone d’ebano decorato con delle piume e un telecomando. La conferenza di propaganda si svolgeva in una grande tenda gonfiabile.
«Osservate lo schermo» disse davanti a un muro di telecamere. Sembrava l’immagine della ragionevolezza, nella sua maschera da sci. «Avete ancora le vostre copie di quel documento? Fratello Lump-Lump, invia qualche file governativo in più a quei simpatici ragazzi francesi lì dietro! Okay! Signore e signori, questo documento che vi sto mostrando è un elenco ufficiale federale delle basi delle forze aeree americane. Se non mi credete, potete scaricare il documento del bilancio dal server della commissione. Ecco, guardate la prova ufficiale. La base aerea alla quale fate riferimento non esiste neppure.»
Un giornalista obiettò «Ma signora, proprio in questo momento stiamo trasmettendo immagini in diretta di quella base.»
«Dovete sapere che quella è un’area abbandonata. Non c’è energia elettrica, né carburante, né acqua corrente, né cibo. Dunque, non è una base aerea. Vedete un qualche aereo federale volare da queste parti? Le uniche cose che volano qui sono i vostri elicotteri della stampa. E i nostri velivoli ultraleggeri da diporto, assolutamente innocui. Dunque potreste anche smetterla di fare disinformazione su un cosiddetto assedio armato. Questa è un’incredibile distorsione dei fatti da parte dei media. Noi non siamo armati. Abbiamo solo bisogno di un riparo. Siamo un popolo intero che ha bisogno di un tetto sulla testa per l’inverno. Quella grande area abbandonata dietro il filo spinato è l’ideale per noi. E così stiamo solo aspettando qui fuori ai cancelli, fino a quando non otterremo il rispetto dei nostri diritti umani.»
«Quante truppe di nomadi avete sul campo di battaglia, signora?»
«Non sono truppe, ma gente. Siamo diciannovemilatrecentoventi. Fino a questo momento. Siamo convinti che la faccenda si risolverà presto. Il morale è molto alto. Abbiamo gente che arriva da tutte le parti.»
Fu data la parola a un giornalista britannico. «È stato riferito che siete in possesso di congegni a impulsi magnetici nei vostri campi di guerriglieri.»
Il subcomandante scosse con impazienza la testa coperta dalla maschera da sci. «Guardi, noi odiamo le armi a impulsi magnetici poiché danneggiano anche i nostri portatili. Condanniamo severamente questo tipo di armi. Qualsiasi attacco con impulsi magnetici proveniente dalle nostre linee deve essere considerato come opera di provocatori.»
Il giornalista britannico, che indossava un elegante completo color kaki, assunse un’espressione educatamente scettica. Gli inglesi avevano investito negli USA più soldi di tutte le altre nazioni. Il legame particolare esistente fra inglesi e americani suscitava ancora una profonda risonanza emotiva, specialmente quando si trattava dei profitti degli investimenti. «Che cosa può dirmi su quei congegni antiuomo che avete fatto esplodere?»
«Smettetela di chiamarli in questo modo! Servono a controllare il nostro perimetro. Servono per la sicurezza della folla. Qui intorno abbiamo moltissima gente, così abbiamo preso delle misure di sicurezza. Cosa volete sapere? Filo spinato? Sì, certo. Manganelli con l’anima di spugna, sì, li abbiamo sempre avuti. Barricate in schiuma e gas lacrimogeni, sicuro, questa è tutta roba legale, si può comprare ovunque. Che cosa? La supercolla? Diavolo, sì, abbiamo un paio di autobotti di quella roba. Anche i bambini sanno farla.»
Prese la parola un corrispondente tedesco. Aveva portato un’intera krew con sé, due intere file di scaltriti veterani europei forniti di equipaggiamenti ottici di precisione. I tedeschi erano il popolo più ricco del mondo e avevano l’abitudine molto irritante di sembrare sempre estremamente adulti e responsabili. «Perché state distruggendo le strade?» chiese il tedesco, aggiustandosi gli occhiali da sole firmati. «Non è economicamente controproducente?»
«Signore, quelle sono strade destinate alla demolizione, per ordine del Dipartimento delle autostrade statali. L’asfalto inquina l’ambiente. Perciò stiamo ripulendo queste strade come servizio pubblico. L’asfalto è a base di petrolio, dunque noi possiamo utilizzarlo al posto del carburante. Abbiamo bisogno di carburante, per non far morire di freddo i nostri bambini. D’accordo?»
Oscar tolse l’audio e i finestrini video nel pullman tacquero, poi chiese ad alta voce: «Jimmy, come stiamo a carburante?»
«Stiamo ancora bene» rispose Jimmy dal lato opposto del Pullman.
Oscar guardò le cuccette. Lana, Donna e Moira erano profondamente addormentate. Adesso il pullman sembrava vuoto in modo angoscioso, come una scatola di sardine mangiata a metà. La sua krew stava assottigliandosi un po’ alla volta. Era stato costretto a lasciare la maggior parte dei membri in Texas e ne sentiva la mancanza. Gli mancava il potersi occupare della sua gente, incitarla e infonderle fiducia, oppure il caricarla e dirigerla verso qualcosa di vulnerabile.
Moira era fermamente decisa ad andare via ed era molto amareggiata. Fontenot era ormai fuori gioco; aveva gettato il suo telefono e il portatile in un bayou e si era trasferito nella sua nuova capanna con una barca e un intero equipaggiamento da pesca. La squadra per la campagna elettorale di Bambakias era la migliore che avesse mai costituito e ora era storia, si stava disperdendo nel vento. Quel pensiero instillò in Oscar un profondo, irragionevole timore.
«Cosa ne pensi della situazione?» chiese a Jimmy.
«Guardi, sto guidando» rispose Jimmy in tono giudizioso. «Non posso seguire le notizie e guidare.»
Oscar percorse il corridoio fra i sedili fino alla parte anteriore del pullman, dove poteva parlare a voce più bassa. «Mi riferivo ai nomadi, Jimmy. So che hai avuto a che fare con loro. Ero solo curioso di sapere cosa ne pensassi di questo sviluppo. I guerriglieri dei Regolatori che stanno assediando una base dell’aeronautica americana.»
«Tutti gli altri stanno dormendo, e così è costretto a parlare con me, eh?»
«Lo sai che prendo sempre in considerazione i tuoi input. Tu hai un punto di vista unico.»
Jimmy sospirò. «Senta, amico, io non do input. Io mi limito a guidare il pullman. Sono solo il conducente del suo pullman. Mi lasci guidare.»
«Ma certo, continua pure a guidare! Mi chiedevo solo se… se tu pensavi che siano una seria minaccia.»
«Alcuni fanno sul serio… certo. Voglio dire, solo perché sei un nomade e sei su un server di reputazione con un’alta valutazione di affidabilità e mangi erba e distilli in casa ogni tipo di bizzarre sostanze biotecnologiche… Be’, questo non ti rende una persona speciale.»
«No.»
«No, ma alcuni di loro sono dei tipi molto seri, perché, bene, un giorno puoi arrestare un perdente senzatetto vestito di stracci che si comporta da pazzo, ma poi salta fuori che ha degli amici di rete molto influenti da tutte le parti, e all’improvviso cominciano a capitarti cose strane, molto brutte… Ma, al diavolo, Oscar, lei non ha bisogno che sia io a dirle queste cose. Lei sa tutto sulle reti di potere.»
«Sì.»
«Anche lei fa questo tipo di cose, è così che ha fatto eleggere quel tipo.»
«Mmmm.»
«Lei passa tutto il tempo in viaggio. Anche lei è un nomade, proprio come loro. Un nomade in doppiopetto. La maggior parte delle persone che la incontrano — se non la conoscono come noi — pensano che lei sia un tipo che incute veramente paura. Non deve preoccuparsi della sua reputazione. Forse ci sono alcuni nomadi che fanno più paura di lei, ma non sono molti, mi creda. Al diavolo, lei è ricco!»
«Il denaro non è tutto.»
«Ma andiamo! Senta, io non sono abbastanza intelligente per parlare con lei, okay?»
Jimmy scrollò le spalle con aria stizzita. «Adesso dovrebbe andare a dormire. Tutti gli altri dormono.» Jimmy diede un’occhiata a uno schermo e strinse il volante.
Oscar rimase ad aspettare, in silenzio.
«Io posso guidare diciotto ore al giorno, quando devo» disse infine Jimmy «Ma non mi stanca. Al diavolo, mi piace. Però mi stanco quando vedo all’opera lei. Solo il vederla lavorare basta a sfinirmi. Io non sono al suo livello, non sono della sua stessa pasta. Sono solo un tipo normale, okay? Io non voglio prendere il controllo di basi scientifiche federali. Sono solo un tipo di Boston che lavora, amico. Io guido pullman.»
Jimmy controllò lo scanner sulla sua testa e sospirò profondamente. «Io riporterò indietro a Boston questo pullman, lo parcheggerò in garage e poi avrò finito con lei. Okay? Dopo, mi prenderò una pausa. Intendo dire che voglio una vera pausa. Un po’ di riposo, ecco cosa voglio. Berrò un sacco di birra e andrò al bowling, poi, se sarò fortunato, riuscirò a portarmi a letto qualcuno. Ma non voglio avere mai più a che fare con i politici.»
«Veramente lasceresti la mia krew, Jim?» chiese Oscar «Di punto in bianco?»
«Lei mi ha assunto per guidare questo pullman, amico! Non può lasciare le cose come stanno? È un lavoro! Io non faccio crociate.»
«Non essere precipitoso! Sono sicuro che potremmo trovare un altro ruolo per te nell’organizzazione.»
«No, grazie. Lei non ha nessun ruolo per me. O per tipi come me. Perché, in questo momento, ci sono tre milioni di nomadi? Perché non hanno nessun lavoro, amico! Lei non si cura di loro. Non sa che farsene di loro. Non può fare nulla per loro. Non riesce neppure a capire come usarli. Per lei, non sono assolutamente necessari. Va bene? E così neppure lei è necessario per loro. Va bene? Si sono stufati di aspettare che voi diate loro una vita. E così ora si costruiscono da soli la loro vita, sfruttando qualsiasi cosa trovino in giro. E lei pensa che al governo freghi qualcosa? Il governo non riesce neppure a pagare le bollette della sua aeronautica!»
«Un paese meglio organizzato saprebbe trovare un ruolo decente per tutti i suoi cittadini.»
«Amico, questa è la parte più spaventosa: loro sono molto meglio organizzati del governo. L’organizzazione è l’unica cosa che hanno! Non hanno denaro o lavoro o un posto dove vivere, ma di certo hanno un’organizzazione fantastica. Vede, sono esattamente come lei, amico. Lei e la sua krew siete molto più organizzati di quei dinosauri federali che amministrano il Collaboratorio. Lei potrebbe assumere il controllo di quel posto in qualsiasi momento, giusto? Voglio dire, è esattamente quello che sta per fare! Prendere il controllo di quel posto. Con o senza il loro assenso. Lei vuole farlo, dunque lo farà.»
Oscar non rispose nulla.
«Questa è la parte che mi mancherà di più, amico: starla a guardare mentre fa le sue mosse. Come quella misteriosa pollastrella, la scienziata che sta reclutando. Cavolo, si è trattato di una mossa davvero brillante. Non me la sono sentita di mollare prima di vedere se sarebbe riuscito a farsi quella pollastrella. Ma lei ci è riuscito. Lei può fare tutto quello che vuole.» Jimmy rise. «Lei è un genio! Ma io non sono un genio, d’accordo? Non sono proprio fatto per queste cose. È troppo stancante.»
«Lo so.»
«Perciò, la smetta di preoccuparsi tanto. Se vuole preoccuparsi di qualcosa, si preoccupi di Washington. Saremo lì in mattinata e se questo pullman arriva in quella città tutto intero, sarò un uomo veramente felice.»
Sui cieli di Washington volavano continuamente sciami di velivoli robot.
Anche gli elicotteri erano estremamente comuni, da quando le autorità avevano praticamente rinunciato a controllare le strade. Ampie sezioni della capitale della nazione erano permanentemente bloccate. Dissidenti e contestatori avevano occupato tutte le aree pubbliche, in modo permanente.
Nella capitale la non cooperazione non violenta aveva raggiunto livelli strategici e tattici incredibili. I quartieri in cui vivevano i funzionari governativi erano stati privatizzati ed erano sorvegliati da monitor e da veri eserciti di polizia privata, ma vaste sezioni della città erano state abbandonate nelle mani degli squatter. Le forze occupanti rientravano in molti orientamenti ideologici e, pur essendo giunte a un accordo di massima con il governo, si odiavano ferocemente l’un l’altra. Dupont Circle, Adams-Morgan e l’area a est di Capitol Hill vantavano un tasso di criminalità paragonabile a quello del ventesimo secolo.
In molti quartieri di Washington, la divisione fra strade ed edifici era stata praticamente abolita. Interi isolati della città erano stati lasciati in mano ai contestatori, che avevano provveduto a installare le loro tubature, il loro sistema idrico e i loro generatori di corrente. Le strade erano permanentemente barricate, avvolte in reti mimetiche e teloni di plastica striati di pioggia.
Tra gli Autonomen di Washington, i gruppi maggiormente degni di nota erano conosciuti come i ‘marziani’. Frustrati da anni di studiata indifferenza di fronte alle loro proteste, i marziani avevano deciso di agire come se il governo federale semplicemente non esistesse. I marziani trattavano l’intera città di Washington come se fosse una fonte di materie prime.
Le loro tecniche di costruzione in origine erano state inventate da un gruppo di esaltati che intendevano colonizzare Marte.
Questi fanatici dello spazio, scomparsi da lungo tempo, avevano creato un’ampia gamma di tecniche semplici ed economiche, grazie alle quali piccoli gruppi di astronauti potevano colonizzare i deserti ghiacciati e senz’aria del pianeta rosso. L’umanità non aveva ancora raggiunto Marte, ma, con il collasso finale della NASA, i piani per la colonizzazione di Marte erano diventati di pubblico dominio.
Questi piani erano caduti nelle avide mani dei contestatori, che avevano scavato nel sottosuolo fangoso del letto del fiume Potomac, facendo asciugare il suolo, compattandolo per usarlo come mattoni e costruendo una serie infinita di passaggi, tunnel e kiva. I radicali scoprirono che anche la landa più desolata della Terra era una cornucopia, in confronto ai deserti senz’aria di Marte. Tutto quello che poteva funzionare su Marte, funzionava cento volte meglio in un vicolo deserto oppure in un’area di parcheggio.
Adesso l’ingegnosità della NASA aveva dato frutti sorprendenti e le strade di Washington pullulavano di insediamenti marziani. Baraccopoli di terra pressata, colla e intricate camere stagne, si arrampicavano lungo le pareti degli edifici, a cui aderivano come tanti nidi di vespa. Accanto alla Union Station c’era colline di materiale di risulta alte tre piani e anche a Georgetown si udivano continui rimbombi sotterranei.
La maggior parte di questi marziani erano anglo. Infatti, il sessanta per cento della popolazione di Washington apparteneva a minoranze oppresse. Il governo locale del Distretto di Columbia, un modello di corruzione urbana famoso in tutto il mondo, era dominato da anglo militanti. I boss etnici esercitavano attivamente il loro tradizionale talento per la frode, l’ozio e i crimini da colletti bianchi.
Oscar, sebbene non conoscesse Washington, non sarebbe mai entrato in città impreparato. Lasciò la sua krew nel pullman, che si affrettò a tornare nella relativa sicurezza di Alexandria. Poi Oscar percorse a piedi due isolati, attraversando una sorta di suq permanente in cui i contestatori vendevano fiori, medaglie, braccialetti, adesivi per i paraurti, bandiere, cassette e giocattoli di Natale.
Arrivò alla sua destinazione, indisturbato e tutto intero, e scoprì senza provare molta sorpresa, che l’edificio federale era caduto nelle mani degli squatter.
Oscar attraversò il corridoio di entrata, superando i metal detector e una ciclopica unità per il riconoscimento facciale. Il portiere degli occupanti, un anziano uomo di colore con i capelli rasati a zero e un papillon, consegnò a Oscar un braccialetto d’identificazione con chiusura a scatto.
Adesso il sistema registrava la presenza di Oscar e i suoi movimenti insieme a tutto quanto avesse rilievo nell’edificio: mobili, dispositivi, utensili, stoviglie, abiti, scarpe, animali domestici e naturalmente gli stessi squatter. I localizzatori erano piccoli come puntini arancioni e resistenti come chiodi da cinque centimetri, dunque potevano essere piazzati in maniera invisibile su tutti i congegni di qualche interesse.
Questo sistema di rilevamento generale rendeva gli oggetti contenuti nell’edificio a prova di ladro. Rendeva anche piuttosto semplice realizzare la proprietà comune. Non era mai difficile trovare un utensile quando la sua collocazione, le sue condizioni e la sua storia erano seguiti e monitorati in tempo reale. Era anche molto difficile per i fannulloni rubare o abusare dei beni comuni senza essere identificati. Quando funzionava, il socialismo digitale era considerevolmente più economico e più conveniente della proprietà privata.
Tuttavia, pur funzionando, quella tecnologia aveva un tremendo effetto collaterale: rivoltava la vita delle persone come un calzino. C’erano bambini che giocavano nei corridoio dell’edificio — in effetti, almeno a giudicare dal disordine, i bambini degli squatter vivevano in quelle sale. I bambini erano sorvegliati e protetti, circondati da una vera orgia di giocattoli con i colori della comunità e registrati nel sistema.
Oscar si fece strada attraverso un fitto ammasso di tricicli e animali gonfiabili, poi salì al terzo piano in un ascensore incredibilmente affollato. Quella sezione dell’edificio aveva il forte odore della cucina dell’India orientale — curry, papadam, forse del Pollo masala. Probabilmente, a giudicare dall’odore, nel palazzo c’erano allevamenti di polli sorvegliati dal computer.
Le doppie porte della stanza 358 si aprirono fiduciosamente al suo tocco. Oscar si trovò nello studio di uno scultore, un luogo spoglio e maleodorante, ricavato da una serie di piccoli uffici anneriti dal fuoco. Gli uffici federali bruciati avevano lasciato dei lugubri resti: una griglia di linee annerite sul pavimento e le stalagmiti delle workstation di plastica fusa. Però l’ufficio modificato era stato recuperato. Adesso c’era un banco da lavoro improvvisato ricavato da traversine ferroviarie, in mezzo a pile di metallo riciclato da carcasse di automobili, tubi dell’ossigeno appiattiti e tozze saldatrici. Il pavimento di calcestruzzo rimbombò sotto le scarpe di Oscar.
Era chiaro che era entrato nella stanza sbagliata.
Il suo telefono squillò. Rispose. «Pronto!»
«Sei proprio tu?» Era Greta.
«Sono io, vivo e vegeto.»
«Questa non è una linea erotica?»
«No. Uso quel centralino erotico per indirizzare le mie chiamate private. Su quelle linee c’è un intenso traffico vocale, cosa molto utile contro qualsiasi tentativo di rintracciare le chiamate. E se qualcuno sta eseguendo un’analisi del traffico, presumeranno soltanto… Be’, lasciamo stare i dettagli tecnici. Il punto è che possiamo parlare insieme in tutta sicurezza su un telefono non crittografrato.»
«Suppongo che sia okay.»
«Dài, parliamo, Greta. Dimmi come stai. Dimmi tutto.»
«Sei al sicuro a Washington?»
Oscar strinse teneramente il telefono di stoffa. Era come avere l’orecchio di Greta nella propria mano. Ora lo preoccupava molto meno il fatto di essersi perduto senza speranza nell’edificio sbagliato.
«Sto perfettamente bene. Questo, dopo tutto, è il luogo in cui svolgo la mia carriera.»
«Sono preoccupata per te, Oscar.» Una lunga pausa. «Penso… Penso che, forse, potrei venire a Boston, più in là. Lì si terrà un simposio neurologico. Forse potrei trovare un po’ di tempo.»
«Eccellente! Dovresti assolutamente venire a Boston. Ti mostrerò la mia casa.» Una lunga pausa disturbata dai crepitii.
«Sembra una prospettiva interessante…»
«Devi farlo. È quello di cui abbiamo bisogno. È una cosa buona per noi.»
«Devo dirti qualcosa d’importante…»
Oscar esaminò velocemente il livello della batteria, poi avvicinò di nuovo il telefono all’orecchio. «Va’ pure avanti, Greta.»
«È così difficile da spiegare… è solo che… mi sento così diversa ora e… Mi sento incredibilmente ispirata ed è proprio…» Un silenzio che si prolungò.
«Va’ avanti» la esortò Oscar. «Sfogati.»
La voce di lei si abbassò in un sospiro confidenziale. «Si tratta delle mie fibrille amiloidi…»
«Che cosa?»
«Le mie fibrille. In un essere vivente ci sono diverse proteine neurali che formano le fibrille amiloidi. E sebbene non abbiano sequenze collegate, polimerizzano tutte in fibrille dotate di una ultrastruttura simile. Le loro conformazioni mi hanno dato molti problemi. Un mucchio di problemi.»
«Davvero? È un peccato.»
«Ma poi, ieri, stavo facendo esperimenti con i miei adenotrasportatori GDNF e ho impiantato una nuova variante amilogenetica nel trasportatore. Ho solo calcolato la loro massa con la spettrometria gassosa. E, Oscar, funzionano. Sono tutti enzimaticamente attivi e tutti hanno i legami disulfidici intatti e corretti.»
«Sei meravigliosa quando spieghi le cose.»
«Funzionano in vivo! E questa tecnica è molto meno invasiva della stupida e antiquata terapia genetica. Questo è sempre stato il limite: trovare un metodo economico e permanente di trasmissione. E se riusciamo a fabbricare degli amiloidi come facciamo con la dopamina e altri fattori neurotrofici… Voglio dire, se riusciamo a trasferire tutti quei carichi in tessuti neurali vivi… Be’, non ho certo bisogno di spiegarti cosa significhi questo.»
«No, no» rispose prontamente Oscar, «su questo punto sono molto ferrato.»
«Bellotti e Hawkins stanno fabbricando proprio amiloidi autoreplicantisi, dunque si occupano esattamente di questo problema. E daranno una dimostrazione all’AMAC di Boston.»
«Allora, dovresti andare assolutamente a Boston» commentò Oscar. «È assurdo che un parassita come Bellotti ti possa battere sul tempo! Sistemerò tutto io per conto tuo, e immediatamente. Non preoccuparti di organizzare il viaggio. La mia krew può prenotare tutti i mezzi di trasporto fino a Boston. Sull’aereo, avrai il tempo di scrivere la tua presentazione. Ti prenderemo una suite nell’albergo in cui si svolge la conferenza e ti faremo portare i pasti in camera per non farti perdere tempo. Dovresti cogliere quest’opportunità, Greta. Quando lavori in laboratorio, non hai mai tempo per pensare veramente a te stessa.»
Greta era raggiante. «Bene…»
La porta della camera 354 si aprì e una donna di colore entrò su una cigolante sedia a rotelle a motore. Aveva una folta chioma di capelli grigi sporchi e un carico di sacchetti verdi d’immondizie.
«Capisco il tuo lavoro» disse Oscar al telefono, mentre si scostava cautamente dalla porta. «La faccenda di Boston è totalmente fattibile.»
«Salve!» lo salutò la donna sulla sedia a rotelle, agitando una mano. Oscar coprì il telefono con la mano e annuì cortesemente.
La donna di colore saltò su dalla sedia a rotelle, la richiuse e tenne la porta aperta. Tre uomini anglo entrarono nella stanza, in salopette di jeans, stivali e cappelli di paglia sfondati. Avevano i capelli tinti di blu, i volti erano striati dalle pitture di guerra dei nomadi e portavano tutti degli occhiali da sole. Uno di loro spingeva una pesante carriola piena di fili e schermi piatti, mentre gli altri due portavano delle grandi scatole color kaki contenenti materiale elettrico.
«Pensi veramente che le fibrille siano abbastanza importanti da fare tutto questo per me?» chiese Greta in tono lamentoso.
«Le fibrille sono estremamente importanti.»
La donna con la sedia a rotelle si tolse la sua orribile parrucca, rivelando un’ordinata serie di treccine, poi si tolse il suo rozzo caffettano. Sotto, indossava una gonna blu, un gilè blu, una camicetta di seta e un pantalone di seta.
I tre tecnici cominciarono ad assemblare una rete per le videoconferenze sul banco da lavoro annerito dalla saldatrice.
«Sono Oscar Valparaiso» annunciò Oscar ad alta voce. «Faccio parte della commissione.»
«È arrivato in anticipo» commentò la donna, poi prese una fascia di comando e un nuovo paio di scarpe da uno dei sacchetti della spazzatura.
«Mi piace iniziare bene.» Oscar tornò al telefono. «Okay. D’accordo. Bene. Sono contento che stia andando in porto. Lana e io ci occuperemo di tutto. Ciao.» Chiuse il telefono e lo infilò nella manica.
«Dunque,» chiese ad alta voce «come si chiama?»
«Chris» rispose la donna, raddrizzando con cura una cucitura. «Sono l’operatrice di sistema della commissione.» Sorrise. «Soltanto l’umile operatrice di sistema.»
«E questa è la sua krew?»
«Io non ho una krew. Sono solo una GS-Cinque. Questi tipi sono subappaltatori di rete, loro vivono qui, nell’edificio occupato. Vede, questa sala di riunione è molto strana… Voglio dire, per anni ci siamo riuniti nel Dirksen Senate Building. Ma il team di transizione del presidente ha requisito i nostri vecchi uffici. Così, la commissione scientifica del Senato in questo momento deve ancora ricevere una sede permanente.
«Capisco.»
«Ci hanno assegnato questa stanza in base al server dei posti liberi federali. Il problema è che, sebbene sia ancora negli elenchi del server, in realtà quest’intero edificio è occupato da tre anni. E noi non siamo un comitato di emergenza e così non possiamo ordinare di sgombrare l’edificio. Siamo troppo in basso nella catena per sfrattare chicchessia.»
«Be’, almeno è una stanza molto grande» replicò Oscar in tono disinvolto.
«È vero!» La donna gli rivolse un sorriso.
«E noi due siamo qui, il che è già qualcosa. A proposito, il suo travestimento da vagabonda su una sedia a rotelle è un’idea eccellente.»
«Mmmh, di sicuro è molto utile per i blocchi stradali locali e i controlli d’identità.»
«Vedo che lei è una vera figlia di Washington, Chris.»
«Efficienza del Sud, fascino del Nord: questa sono io.» Chris fece vagare lo sguardo e scostò con una gomitata uno dei suoi collaboratori. «No, quella è la presa per i dispositivi video! È una sedici pin, d’accordo? Lascia fare a me!» Si rivolse al secondo uomo. «Tira fuori dalla borsa il router. Un router e uno squeege. E un divot. Due divot per i dati. No, non quello là. Passami quello verde.»
Oscar era affascinato. «È lei a realizzare queste sculture di metallo, Chris?»
«Queste sono del mio ragazzo. In un certo senso, sorveglia questo posto per noi, poiché può filarsela con un breve preavviso. Questo è quello che si dice multitasking, capisce?»
«Adoro il multitasking.» Il secondo telefono di Oscar iniziò a squillare. Lo tirò fuori dalla tasca della giacca. «Cosa? Sì, Lana, riservale un posto a Boston. Alla conferenza dell’AMAC. No, non so cosa significhi l’acronimo. Fai una ricerca via rete.»
«Dov’è l’apparecchio mediatore? Prendi gli schermi» rispose Chris. Stava guardando Oscar con la coda dell’occhio.
«Prenotala per l’intera conferenza» ordinò Oscar, avvicinandosi di mezzo passo e alzando la voce per fare più effetto. «Lascia che Yosh si occupi della faccenda. E provvedi anche per i pasti. A lei piace il cibo thai. Cosa dici, il birmano? È molto buono, ma ricordati delle sue allergie.»
«Il DMAC funziona? C’è un’antenna DMAC nella Quattordicesima. Vedi se è in funzione.»
«Funziona» la informò Oscar ad alta voce. «Anche il mio telefono usa il DMAC.» Cambiò orecchio. «Lana, prenotale una suite nell’albergo dove si svolgerà la convenzione. Assicurati che ci siano i filtri per l’aria. E mandale i fiori. Mandale fiori tutti i giorni.»
«Hai messo il compressore sul DNC?» chiese Chris, fissando Oscar con crescente interesse. «Non puoi caricare il router senza prima il CMV. È quello I’EDFA? Bene, usa lo squeege di pacchetto»
«Prenotala per un giorno» proseguì Oscar. «Per due giorni. Sì. No. Sì. Grazie.»
Chiuse il telefono.
«No, muovilo un po’» ordinò Chris. «È il cavo.»
«È sempre il cavo» annuì Oscar.
Gli schermi si illuminarono mostrando una serie di test di prova. «Magnifico» esclamò Chris. «Dov’è l’abbellitore?»
«Non abbiamo un abbellitore» borbottò l’uomo. «Non ci ha detto di portarne uno.»
«Non sapevo che questo nuovo arrivato sarebbe stato qui fisicamente.»
«Me la posso cavare senza un curatore d’immagine» intervenne Oscar. «Ho portato il mio trucco personale.»
Per un istante Chris lo degnò della sua piena attenzione.
«Lei è molto tradizionalista, signor Valparaiso.»
«Il trucco è una parte vitale dell’eredità del signor Valparaiso.» Erano sulla stessa lunghezza d’onda. Stavano comunicando splendidamente a un livello non verbale. «Dove sono tutti gli altri, Chris? Avevo capito che stavamo per incontrarci fisicamente.» Chris lo informò sulla situazione in tono cauto. «Sì, le leggi sulla trasparenza prescrivono riunioni pubbliche, ma questa non è una riunione di senatori. È solo una conferenza dello staff. Non sarà presente alcun legislatore.»
«Pensavo che anche le conferenze dello staff fossero incontri fisici.»
«In effetti, questa è più una consultazione informale in linea.»
Oscar le rivolse un’espressione accigliata calcolata alla perfezione. «L’avviso che mi hanno inviato stabiliva specificamente che questa sarebbe stata una conferenza dello staff faccia a faccia.»
«Be’, durante il periodo di transizione dobbiamo fare degli strappi alla regola… Guardi, so che questo può sembrare molto maldestro. Ma lo staff odia andare in edifici occupati come questo. Le chiamano ‘conferenze’ in modo da ottenere le ore di collegamento e i rimborsi spese. Ma, in realtà, si tratta soltanto di una consultazione.» Sorrise con aria mite. «Io sono soltanto l’operatrice di sistema, lo sa. Non è colpa mia.»
«Capisco perfettamente che non è colpa sua, Chris. Ma se si tratta solo di una consultazione, non concluderemo nulla di serio. Non otterremo alcun risultato.»
«Durante una consultazione si possono ottenere dei risultati.»
«Ma io non voglio una consultazione. Se proprio dobbiamo parlare in via ufficiosa, avremmo potuto farlo anche davanti a dei martini dry.»
La porta si aprì. Entrarono tre uomini e una donna. «Ecco il signor Nakamura» annunciò Chris in tono colmo di sollievo. «Sono sicura che potrà esserle d’aiuto.» Si ritirò dietro i suoi macchinari.
Nakamura si fermò e lesse lo schermo della sua segretaria per quaranta secondi, controllando il documento d’identità e il dossier di Oscar. Poi avanzò rapidamente, con la mano tesa. «È bello incontrarla di nuovo, Oscar! Com’è andato il suo viaggio dal Texas?»
«Il viaggio è stato molto piacevole.»
«Dov’è la sua krew?» Nakamura si guardò intorno nell’ufficio annerito dal fuoco. «Non ha uno staff di supporto?»
«Dispongo di un pullman molto sicuro. E così, ho lasciato la mia krew a bordo e mi sono fatto portare qui.»
Nakamura lanciò uno sguardo alle sue due guardie del corpo, che stavano perlustrando la stanza con piccoli detector portatili in cerca di microspie. «Un pullman sicuro. Vorrei che mi avesse chiamato. Avrei potuto viaggiare con lei, mi sarei risparmiato di assumere questi gorilla.»
Oscar si sentì molto lusingato da una bugia tanto eclatante. «Ne sarei stato felice, signore.»
«Io sono un uomo all’antica» dichiarò Nakamura. «È il Congresso a pagare il mio stipendio e così mi piace fare il mio dovere.» Nakamura era il membro dello staff della commissione scientifica in servizio da più tempo. Era sopravvissuto a un numero incredibile di purghe, scandali e rimpasti e perfino ai raid dei comitati di emergenza.
Nakamura apparteneva al Blocco conservatore di destra, apparteneva al Partito per la libertà economica. Questo partito riceveva il dodici per cento dei voti, molto più dei membri di minoranza del blocco, l’Unione cristiano-democratica e il Partito delle signore, ardentemente antifemminista. Oscar pensava che il Partito per la libertà economica avesse un’idea assolutamente sbagliata della politica, ma almeno era costante nei suoi errori. Era un fattore importante.
Nakamura toccò la spalla della giacca di Oscar, un tenero, piccolo atto di sondaggio politico. «Sono curioso di sentire il suo rapporto sul Collaboratorio di Buna, Oscar. Sono sicuro che sei stato molto occupato là.
«Questi sono momenti molto difficili, signore.»
«Tutte ragioni in più per assicurare una certa stabilità durante il periodo di transizione dell’amministrazione.»
«Concordo in pieno» rispose subito Oscar. «La continuità e una mano ferma nell’amministrazione del laboratorio sarebbe estremamente utile. Bisogna agire con prudenza, senza nessuna fretta.»
Nakamura annuì riflessivamente, poi aggrottò le sopracciglia.
Per un momento, Oscar pensò di avere esagerato. Nakamura aveva venti anni di apparizioni pubbliche registrate nei file federali. Oscar si era preso la briga di fare analizzare gli schermi verbali di quell’uomo. Nakamura era specialmente prodigo di termini come ‘prudenza’ e ‘continuità’; negli ultimi tempi, usava sempre più spesso i termini ‘utile’ e ‘mano ferma’, imitare verbalmente Nakamura era un banale trucco di rete, ma, come la maggior parte di quei trucchi, di solito funzionava.
Altre otto persone entrarono nella stanza. Erano i colleghi dello staff della commissione, Namuth e Mulnier, insieme al loro entourage congiunto di sei membri della krew, che avevano portato pizza, caffè e falafel. L’odore di quel cibo da fast food riempì la stanza umida e dall’odore di ruggine di un gradevole profumo di sopravvivenza umana.
Nakamura assaggiò con piacere una pita. Adesso che la stanza si era riempita di volti familiari, il membro più anziano dello staff sembrava più rilassato. «Namuth e Mulnier sono a posto» mormorò. «I membri di uno staff che si prendono la briga di partecipare a una semplice consultazione faccia a faccia… devono essere sicuramente a posto.»
«Mi dica, signore, questa è solo una consultazione, oppure si tratta di una vera e propria conferenza?»
Nakamura assunse un’espressione sofferta mentre masticava e ingoiava. «Be’, naturalmente una vera conferenza avrebbe bisogno della presenza dei senatori, o almeno dei loro capi staff, per esempio. E naturalmente ci sono gli incontri di commissione e le udienze di sottocommissione e commissione, generalmente con testimoni giurati e piena copertura mediatica… Comunque, nella tendenza legislativa moderna, l’abbozzo dei disegni di legge e la preparazione del bilancio è toccata alle commissioni dello staff. Le attuali udienze senatoriali sono diventate eventi altamente mediatici, molto formali. Ne consegue che noi membri di uno staff dobbiamo tenere le nostre conferenze. E poi, dietro quelle conferenze formali, troviamo che sia necessario dal punto di vista procedurale avere queste consultazioni.»
Nakamura esaminò il suo panino sul punto di collassare e con la punta di un dito ricacciò dentro un mucchio di germogli di soia. «Noi abbiamo chiamato questo evento ‘conferenza’ perché, in primo luogo, è necessario per ottenere i buoni personali e i rimborsi dei viaggi. E otteniamo anche un miglior servizio di sicurezza. Quest’intero edificio, come avrà potuto notare, è tristemente insicuro.»
Oscar, una volta certo che le labbra di Nakamura avevano smesso di muoversi, proseguì con calma. «Lo so che non possiamo tenere delle udienze formali fino alla prossima sessione del Senato. In quanto membro più giovane dello staff, non sono ansioso di accogliere questa sfida fino a quando non sarò meglio informato. Francamente, io guardo a lei per ricevere un’utile guida, nel segno della continuità.»
Nakamura accolse quest’affermazione con un grazioso cenno d’assenso.
«Mi sono recato di persona al Collaboratorio, ho raccolto varie opinioni… a partire dalle sfortunate vicende del senatore Dougal, i mulini del pettegolezzo stanno facendo gli straordinari. Il morale è molto scosso.»
«Scosso?»
«Penso che la situazione potrebbe stabilizzarsi, se ricevessero qualche gesto rassicurante da Washington.»
Nakamura lanciò un’occhiata agli altri suoi colleghi. Namath e Mulnier stavano bevendo delle granite al caffè, mentre seguivano distrattamente gli schermi, senza prestare loro una vera attenzione. Oscar non ne fu sorpreso: aveva escluso sia Namuth che Mulnier, dopo avere studiato attentamente i loro dossier.
Nakamura era fatto di una pasta più dura. «E lei quale soluzione intende proporre?»
«Penso che sia utile esprimere la nostra fiducia all’attuale direttore. Una dichiarazione d’appoggio da parte della commissione del Senato potrebbe fare meraviglie per lui.»
Nakamura mise da parte il panino. «Questo non possiamo farlo.»
«Perché no? Dobbiamo agire. L’autorità del direttore si sta visibilmente indebolendo. Se la situazione sfugge di mano, il laboratorio sarà paralizzato.»
Il volto di Nakamura si rannuvolò. «Ragazzo, lei non ha mai lavorato con il senatore Dougal. Io sì. L’idea di sostenere, adesso, uno dei tirapiedi della sua krew… soprattutto visto che si tratta del primo atto di una nuova amministrazione… No, non sono d’accordo.»
«Lei ha detto di volere la continuità nella situazione.»
«Ma non ho detto che avremmo dovuto essere noi a fornire questa continuità.»
«Molto bene, allora» replicò Oscar assumendo con finto disappunto la sua posizione, preparata in anticipo. «Forse dovrei rivalutare la mia posizione. Lasci che le chieda la sua opinione. Il direttore Felzian è in una situazione molto difficile. Cosa possiamo fare esattamente per quell’uomo? Senza la sponsorizzazione di Dougal, la sua è una situazione molto pericolosa. Potrebbe essere denunciato. Potrebbe essere sottoposto a un’indagine formale. Potrebbe anche essere accusato.»
«Accusato?» Nakamura roteò gli occhi. «Non certo in Texas!»
«Potrebbe essere accusato in Louisiana. Molti animali rari sono spariti nel mercato dei collezionisti… Gli animali rari sono prove tanto fotogeniche… e il governatore della Louisiana è una delle parti interessate in questa faccenda. Controlla tutte le corti di giustizia dello stato. Non è questo il momento di mostrare divisioni e debolezze su un laboratorio federale.
«Giovanotto, lei non ha mai incontrato il governatore Huguelet…»
«Oh, sì che l’ho incontrato, signore. Ho cenato con lui la scorsa settimana.»
Nakamura assunse un’espressione sbalordita. «Hai cenato con lui.»
«È un personaggio veramente difficile da non incontrare in quell’angolo del mondo. Mi ha chiarito molto bene le sue intenzioni.»
Nakamura sospirò. «Bene, Huey non oserebbe fare nulla.»
«Perché dovrebbe progettare di impadronirsi di un laboratorio federale, quando sta già assediando una base aerea?
Il cipiglio di Nakamura divenne ancora più pronunciato.
Oscar abbassò ulteriormente il tono di voce. «Huey ha sempre appoggiato le ricerche sulla manipolazione genetica e le scienze cognitive. Quel laboratorio contiene esattamente ciò che vuole e di cui ha bisogno: il talento, i dati e i campioni. Inoltre, Huey è stato uno di quelli che ha contribuito alla creazione di quel laboratorio. Lì, ha degli alleati tra la vecchia guardia. La sua linea d’azione è ovvia.»
«Ma è sempre stato un grande sostenitore della presenza federale da quelle parti. Non è che ci siamo dimenticati del Collaboratorio. Non lo abbiamo mai chiuso. Noi non siamo come quegli imbecilli che fanno parte dei comitati di emergenza.»
Oscar lasciò che il suo silenzio si prolungasse per qualche attimo, poi scrollò le spalle. «Mi sto forse comportando in maniera irragionevole? Sto cercando di proporre l’azione meno impegnativa grazie alla quale potremo mantenere lo status quo. Forse questa commissione è insoddisfatta dello status quo?»
«No, certo che no. Be’… Alcuni lo sono. Altri no.»
Oscar mostrò uno scetticismo appropriato. «Spero che lei capisca che questo è il mio primo incarico con questa commissione. Oggi non voglio espormi.»
«No.»
«In queste situazioni non mi piace fare il mattatore. Preferisco il gioco di squadra.»
«Naturalmente.»
Oscar toccò gentilmente il braccio di Nakamura. «Spero che non stia pensando che mi piaccia il mio isolamento in questa commissione. Avrei potuto essere qui sulla Collina, al centro dell’azione, invece di essere bloccato in una cupola a tenuta stagna. Oggi farò il mio rapporto temporaneo, ma se torno in Texas senza un consenso della commissione e senza una linea d’azione coerente, la prenderò molto male. Mi dica, è un comportamento irragionevole da parte mia?»
«No. Non è irragionevole. Comprendo la tua situazione. Che lei ci creda oppure no, anch’io, un tempo, sono stato un giovane membro dello staff.»
«Signore, questo non sarà un bel rapporto, in particolare gli allegati sulla situazione finanziaria. Laggiù le cose potrebbero sfuggire di mano. Forse la linea d’azione più economica e facile per noi potrebbe essere quella di chiudere il laboratorio e lasciare che Green Huey raccolga i cocci.»
Nakamura fece una smorfia.
Oscar insistette. «Ma questa non può essere una mia decisione. E, certamente, non può essere una mia responsabilità. Se oggi trapela qualcosa del mio rapporto e succede qualcosa, io non voglio che questa commissione pensi che io, oppure il senatore Bambakias, abbiamo dei nostri piani. Io ho fatto uno sforzo onesto e obiettivo. Il mio lavoro è quello di esporre i fatti davanti alla commissione. Ma se succede qualcosa, io non voglio diventare il capro espiatorio di tutti.»
Oscar alzò una mano in un gesto di avvertimento. «Non sto certo insinuando che i miei colleghi possano comportarsi in maniera scorretta, sto soltanto sottolineando una verità lapalissiana: la cosa più facile è sempre scaricare tutte le colpe sul nuovo arrivato.»
«Sì, è vero» ammise Nakamura. «Ha letto molto bene la situazione. Ma, in realtà, lei non è il nuovo arrivato in questa commissione.»
«No?»
«No. Nella commissione scientifica ci sono tre nuovi senatori e tutti loro hanno portato membri delle loro krew. E gli altri due nuovi arrivati ancora non si sono fatti vedere di persona a una sola, dannata, consultazione. Si collegano da Arlington, dove sono occupati a leccare culi.»
Oscar si accigliò. «Questo non è un comportamento professionale.»
«Loro non sono dei professionisti. Non si può contare su di loro. Si può contare su di me, e si può contare su Mulnier. Be’, Mulnier non è più l’uomo che era dieci anni fa, ma se lei è corretto, si comporta bene e dà il cento per cento a questa commissione, bene, allora è coperto. E coperto, su questo ha la mia parola.»
«Questo è tutto ciò che chiedevo.» Oscar fece mezzo passo indietro. «Sono contento che siamo giunti a un’intesa.»
Nakamura diede uno sguardo al suo orologio. «E prima di iniziare, voglio farle sapere che il suo problema personale non salterà fuori qui dentro. Fino a quando presiederò questa commissione, quella questione non verrà mai sollevata.»
La casa in città di Bambakias era sulla New Jersey Avenue, a sud di Capitol Hill. Oscar arrivò nel momento esatto in cui una krew televisiva stava andando via. La New Jersey Avenue era una zona molto ben sorvegliata. In quel quartiere le sommosse erano rare e le infrastrutture urbane erano ancora in buono stato. La casa era una struttura storica, vecchia più di duecento anni. La casa era troppo piccola per i coniugi Bambakias e la loro numerosa krew, ma Lorena era un’arredatrice d’interni in un mondo affollato e si era data da fare con ciò che aveva a disposizione.
Da professionista di campagne elettorali, Oscar aveva stabilito di non contraddire mai la persona che dormiva con il candidato. La sposa del candidato era per necessità una protagonista della campagna. Lorena era una protagonista nata, ma di solito era gestibile, almeno fino a quando le sue istruzioni venivano eseguite con attenzione leale e senza battere ciglio e fin quando sapeva di avere buone carte. Tutti quelli che conoscevano il problema di Oscar presumevano sempre di avere un asso vincente contro di lui. Era tutto vero e così non aveva mai messo Lorena in una situazione in cui lei avrebbe sentito il bisogno di calare una carta vincente.
Lo sciopero della fame aveva reso luminosi gli occhi di Lorena e la sua pelle olivastra era così sottile e liscia da sembrare quasi laminata. Lorena non era un’aristocratica — in fin dei conti, era la figlia del direttore di una catena di negozi specializzati in alimentazione naturale — ma la magrezza e l’esperto trucco televisivo le donavano l’aristocratico splendore di un ritratto di Gainsborough.
Debole per il digiuno, era adagiata su un divano foderato di seta gialla.
«È bello che tu abbia trovato il tempo per farmi visita, Oscar» lo salutò Lorena, muovendosi languidamente. «Tu e io abbiamo raramente la possibilità di parlare veramente.»
«Questo posto sembra meraviglioso» si complimentò Oscar. «Sono ansioso di vederlo quando l’avrai terminato.»
«Oh, è solo il mio lavoro» si schermì Lorena. «Mi piacerebbe dire che è eccitante, ma è stato solo un altro dannato lavoro di arredamento. Sento veramente la mancanza della campagna.»
«Davvero? È molto bello sentirtelo dire.»
«Era così eccitante stare con la gente. Almeno allora mangiavamo bene. Ora… be’, ora dovremo pensare a come intrattenere gli ospiti. Noi saremo il signor senatore e signora e vivremo in questa vecchia discarica per sei lunghi anni e progettiamo di fare strada nell’alta società.» Fissò la sua stanza da disegno, soffermandosi con uno sguardo assorto da meccanico sulle pareti color pesca dipinte di recente. «Io preferisco lo stile contemporaneo trascendentale, ma sto realizzando questo posto in stile federale. Molto Hepplewhite… noce nera… scrittoio, scaffali per i libri e sedie con schienale… C’era del buon materiale in quel periodo, se ti tieni lontano da tutto quel cattivo gusto neoclassico.»
«Un’ottima scelta.»
«Ho bisogno di creare un’atmosfera seria, ma accogliente. Molto misurata, molto repubblica americana, ma non kitsch o coloniale. Molto Boston, capisci? — ma non troppo. Non tutto ‘identità politica’, non tutto Paul Revere. Con un insieme come questo, bisogna rinunciare a qualcosa, si devono fare dei sacrifici. Non si può avere tutto. L’eleganza è misura.»
«Sì, naturalmente.»
«Sto per restituire il mio binturong.»
«Oh, no, non Stickley il binturong.»
«Lo so che hai avuto un sacco di fastidi per farmi avere Stickley ed è veramente un piacevole argomento di conversazione. Ma qui a Washington non ho proprio spazio per esporre un animale raro. Un terrarium aperto, ecco, sarebbe stata una scelta ideale e io ho delle idee interessanti per il progetto. Ma un clone di animale proprio non va. Cozza con l’arredamento. È una distrazione.»
«Bene, penso che nessuno abbia mai restituito un animale al Collaboratorio. Sarebbe un bel gesto.»
«Un piccolo clone avrei potuto anche tenerlo. Che so, un pipistrello o una talpa oppure un… Non che non mi piaccia Stickley. Si comporta bene. Ma, sai, c’è qualcosa di strano in lui.»
«E quell’impianto neurale che innestano in tutti gli animali del Collaboratorio» spiegò Oscar. «Riguarda l’aggressività, il cibo e la defecazione. Se si controllano questi tre fattori, si può vivere in pace con gli animali selvaggi. Fortunatamente, la struttura neurale profonda è simile in gran parte dei mammiferi.»
«Inclusi gli umani, immagino.»
«Naturalmente.» Il telefono di Oscar squillò, ma lui, educatamente, lo spense senza rispondere.
«Sicuramente il controllo neurale dell’appetito ha fatto molti progressi» commentò Lorena. «Proprio in questo momento, sono sotto l’effetto di sostanze anoressizzanti. Tutta roba molto neurale.»
«La tecnologia neurale va forte adesso.»
«Sì. La parola ‘neurale’ va molto di moda.»
Lorena gli stava dicendo che sapeva di Greta, ma questo era ovvio. Lorena aveva saputo tutto anche di Clare, poiché questa aveva preparato per Lorena alcuni servizi giornalistici molto interessanti. E così Lorena propendeva dalla parte di Clare. Ma sicuramente Lorena doveva capire la situazione. Dopo tutto, era stata Clare a lasciarlo… Il telefono di Lorena squillò; lei rispose immediatamente. «Sì? Cosa? Oh, cielo. Oh, santo cielo. E Alcott come sta prendendo le novità? Oh povero caro! Oh, questo è molto triste. Ne sei proprio sicuro? Davvero? D’accordo. Grazie molte.» Lorena fece una pausa. «Vuole parlare a Oscar Valparaiso di questo? Lui resta qui per il tè. No? Molto bene.» Riattaccò.
«Era Leon Sosik, il nostro capo staff» annunciò facendo scivolare il telefono nella sua ampia manica. «C’è stato un importante sviluppo nel nostro sciopero della fame.»
«Oh?»
«Si tratta della base aerea. È scoppiato un incendio. C’è stata la fuoriuscita di alcune sostanze tossiche. L’intera base sta per essere evacuata.» Oscar si drizzò sulla sedia di mogano dallo schienale a forma di lira. «Evacuata? Si tratta di questo?»
«Le truppe federali stanno andando via. Scappano per salvarsi la vita. Così, naturalmente, quell’orribile gentaglia proletaria si sta riversando dietro di loro; proprio adesso stanno sciamando sulle recinzioni.» Lorena sospirò. «Questo significa che è finita. Sta finendo proprio in questo momento. Finalmente.» Poggiò le gambe sul pavimento, si drizzò a sedere sul divano e portò un polso sottile alla fronte. «Grazie a Dio.»
Oscar fece correre la sua mano fra i capelli tagliati da poco. «Buon Dio, cosa succederà adesso?»
«Stai scherzando? Gesù, io mangio.» Lorena suonò un campanello posto sul suo carrello del tè. Arrivò un membro della krew — una persona nuova, qualcuno che Oscar non aveva mai visto prima. «Elma, portami dei dolci per il tè. No, portami dei petit four e delle fragole al cioccolato. Portami… al diavolo, portami un panino al roast beef gigante.» Sollevò lo sguardo. «Tu vuoi qualcosa, Oscar?»
«Mi basterebbe una tazza di caffè nero e qualche servizio giornalistico.»
«Buona idea.» Lorena alzò la voce. «Sistema?»
«Sì, Lorena» rispose il sistema della casa.
«Vorresti abbassare lo schermo, per favore?
«Sì, Lorena, subito.»
«In questo spazio ristretto non posso impiegare una krew completa per il servizio» si scusò Lorena. «E così ho dovuto installare un sistema automatico. Per il momento, è un sistema giovane, perciò è ancora troppo ingenuo e stupido. Non esiste una casa veramente intelligente, non importa quanto la addestri.»
Un televisore in un armadietto di noce scese giù dalle scale coperte di tappeti.
«È davvero un bell’armadietto» si complimentò Oscar. «Non ho mai visto dei mobili intelligenti in uno stile del periodo federale.»
Il televisore scese lentamente le scale e si fermò, esaminando la disposizione della stanza. Dopo un momento di riflessione, due sedie dalle gambe curve si piegarono come ragni di legno e si spostarono dalla sua traiettoria. Il divano di Lorena abbozzò qualche passo di tango e si spostò. Il carrello del tè rotolò da un lato con un allegro motivetto. Il televisore si piazzò davanti ai due e si posizionò nell’angolazione migliore.
«Dio mio, sono tutti mobili intelligenti» si stupì Oscar. «Avrei giurato che quelle fossero gambe di legno.»
«Infatti sono di legno. Be’… sono di lignina trattata per essere resa flessibile.» Lorena scosse le spalle. «I mobili in stile sono molto belli, lo sai, ma non possiamo certo vivere come dei barbari.» Sollevò un braccio nella sua manica di seta a strisce e un telecomando dai bordi dorati saltò dal muro e volò nelle sue mani. Lorena lo passò a Oscar. «Fa’ tu lo zapping. Trova qualche servizio giornalistico decente. Non sono mai stata brava a farlo.»
«Chiama Sosik di nuovo e chiedi cosa sta guardando lui.»
«Oh, ma naturale.» Lorena sorrise lievemente. «È inutile vagare quando c’è un pilota.»
La squadra di Huey addetta alle pubbliche relazioni era già al lavoro. Un funzionario addetto alla sicurezza ambientale della Louisiana stava fornendo il resoconto ufficiale del ‘disastro’. Secondo lui, le procedure di sicurezza nella ‘base dell’area abbandonata’ erano state trascurate. Era divampato un piccolo incendio che aveva fatto scoppiare una scorta militare di aerosol non letale, usata per il controllo della folla. Erano sostanze che creavano disorientamento e inducevano panico. Atossiche e inodori, servivano semplicemente per sgombrare le strade delle città del Terzo Mondo. Poi le immagini si trasferirono in una tenda ospedale, dove giovani avieri tremavano e farfugliavano sotto l’effetto dell’aerosol che induceva stati paranoici. Gli abitanti del luogo stavano dando loro brandine, coperte e tranquillanti. Il patetico personale federale veniva chiaramente curato nel modo migliore.
Oscar sorseggiò il suo caffè. «Incredibile.»
Lorena parlò masticando voracemente un pasticcino. «Immagino che questo discorsetto non abbia nessuna connessione con la realtà.»
«Oh, ma qualche connessione ci deve essere. Huey è abbastanza intelligente da avere organizzato tutto. Aveva degli agenti all’interno della base, qualcuno che appiccasse un incendio e colpisse la base con le sue stesse armi. È stato un atto di sabotaggio. Huey era impaziente, e così ha deciso di avvelenarli.»
«Ha deliberatamente gassato delle truppe federali.»
«Be’, sì, ma non troveremo mai le sue impronte digitali.»
«Posso anche capire la gente che ti pugnala alla schiena» commentò Lorena, ingoiando una fragola al cioccolato. «Quello che non riesco a capire è la gente tanto pazza da pugnalarti in petto. È un’azione davvero medievale.»
Seguirono con estrema attenzione le notizie, cambiando canale seguendo Sosik. Gli europei stavano mandando in onda splendide riprese aeree di prolet che invadevano la base, le teste coperte da maschere da sci. I Regolatori, stranamente, non sembravano particolarmente disturbati dagli aerosol.
I nomadi non stavano perdendo tempo. Stavano facendo entrare nella base un corteo infinito di camion; a giudicare dal loro aspetto, erano enormi autocisterne, un tempo adibite al trasporto di petrolio, modificate dai nomadi. Le stavano caricando a braccia, in squadre di lavoro perfettamente coordinate. I prolet stavano saccheggiando la base aerea con l’efficienza decentralizzata di formiche che divorano un toporagno morto.
«Permettimi di farti una piccola previsione» affermò Oscar. «Domani il governatore pretenderà di essere molto allarmato da tutta questa situazione. Manderà le truppe statali per ‘riportare l’ordine’. La milizia chiuderà ermeticamente quel posto, dopo che i prolet l’hanno smantellato per benino. Quando Washington chiederà che cosa è successo agli equipaggiamenti militari, saranno spariti da molto tempo e la colpa verrà attribuita a qualcun altro.»
«Ma perché Huey sta facendo questa pazzia?»
«Per lui la cosa ha un senso. Voleva la base aerea per i soldi. Per creare posti di lavoro, per i fondi federali. Ma i responsabili del bilancio di emergenza hanno cancellato quei fondi. Gli hanno giocato un brutto scherzo e glieli hanno sottratti. Huey non può tollerare una mancanza di rispetto, così ha deciso di dare il via a un’escalation. Per prima cosa, i blocchi stradali. Poi l’elettricità tagliata. Poi l’assedio per procura. Ha intensificato la pressione metodicamente, un passo alla volta. Ma non avendo ancora ottenuto quello che voleva, ora si è impadronito dell’intera base aerea.»
«Ma è impossibile che i suoi sudici prolet possano mandare avanti una base aerea federale. Non ci riuscirebbe neppure la sua intera piccola milizia statale.»
«È vero, ma adesso lui ha i dati. Avionica avanzata, microprocessori, software, gli ordini di battaglia e cose del genere… Si tratta di un equipaggiamento militare di primordine. Se i federali reagiscono, adesso lui ha a disposizione una nuova gamma di opzioni.»
«Ah, ora capisco.»
«Credimi, ha organizzato tutto lui, fin nei minimi dettagli. Huey è fatto così.»
Arrivò un panino al roast beef con mostarda, e purea di patate. Lorena sorrise gentilmente mentre la ragazza in grembiule della sua krew si ritirava in cucina. Prese una fetta di pane di segale senza crosta, la esaminò, poi la posò con mani tremanti. «Ad Alcott questa situazione non piacerà. Abbiamo lottato strenuamente per evitare che ciò avvenisse.»
«So che l’avete fatto.»
«Ma non siamo riusciti a suscitare abbastanza attenzione. Abbiamo utilizzato la trovata pubblicitaria più clamorosa che siamo riusciti a escogitare, tranne riunire il partito e assediare noi stessi quel posto. Solo che Huey si muove troppo velocemente per noi. Alcott non si è neppure ancora insediato! E anche dopo il suo insediamento, dobbiamo ancora affrontare i comitati di emergenza. Senza parlare dell’opposizione. Inoltre, il governo federale è in bancarotta… È una brutta situazione, Oscar. Davvero brutta.»
«Domani andrò a Boston. Penseremo a qualcosa di nuovo. Ormai lo sciopero della fame è finito, ma devo confessare che quella mossa non mi è mai piaciuta veramente. Comunque, tu non preoccuparti. Pensa soltanto a recuperare le forze. Questa partita è ben lungi dall’essere finita.»
Lorena gli rivolse uno sguardo colmo di gratitudine. Oscar guardò altri servizi mentre lei divorava il panino.
Finalmente Lorena mise da parte il piatto e si appoggiò allo schienale del divano giallo con gli occhi che brillavano. «Com’è andata la tua prima riunione con la commissione, Oscar? Non te l’ho ancora chiesto. Sei stato brillante?»
«Oh, cielo, no! Loro ti odiano se sei brillante. Diventano ancora più ostinati. Mi sono limitato a snocciolare fatti e cifre fino a quando non si sono stufati e si sono scollegati. Ma a quel punto avevano affidato tutte le deleghe al presidente. E così gli ho chiesto un miglio e lui mi ha offerto cento iarde. Ma cento iarde erano quello che volevo dall’inizio. Dunque, l’incontro è stato un vero successo. Le mie mani adesso sono molto più libere.»
Lorena rise. «Sei così scaltro!»
«È inutile essere brillanti, a meno che questo non serva a migliorare la situazione. Iniziando lo sciopero della fame, il senatore ha avuto una trovata molto brillante, ma ora Alcott dovrebbe imparare a essere stupido. Le persone romantiche sono brillanti, gli artisti sono brillanti, ma i politici sanno quando è utile essere stupidi.»
Lorena annuì con aria pensierosa. «Sono sicura che hai ragione. Sarai buono con Alcott, vero? Tu lo capisci. Tu riesci sempre a parlargli nel modo migliore. Tu riesci a tirarlo su quando è giù.»
«Lorena, tu non sei giù, vero?»
«No, non sono giù, mi sono imbottita di pillole per la dieta. Ma Alcott non è come me. Lui è molto serio. Diventa depresso. Io non posso stare con lui in questo momento. E quando diventa depresso, diventa così irragionevole riguardo al sesso!»
Oscar rimase in ascolto, con estrema attenzione.
«Leon Sosik è stato sciocco a lasciare che Alcott lo convincesse a iniziare lo sciopero della fame. Alcott ha mille idee, ma un capo di staff migliore dovrebbe fargli dimenticare quelle sciocche. E Oscar, se riporti a Boston quella puttanella di Moira quando io non ci sono, allora anche tu sarai molto sciocco.»
Oscar conosceva come le sue tasche la città di Boston, poiché aveva studiato accuratamente ogni circoscrizione elettorale per la campagna per l’elezione del consiglio municipale. Boston era pulita, civilizzata e dotata di buon senso, se confrontata con le altre città americane. Boston aveva molto da insegnare. Un quartiere finanziario pienamente funzionante. Verde, quiete, parchi modello. Veri musei, allestiti e gestiti da persone dotate del senso della continuità culturale. Molti secoli di statuaria pubblica estremamente affascinante. Un teatro commerciale vivace e attivo. Ristoranti con l’obbligo dell’abito da sera. Veri quartieri con autentici bar di quartiere.
Ovviamente, Boston aveva le sue aree meno felici: la Zona di Guerra, il fronte del porto mezzo sommerso… ma, essere a casa, anche se per breve tempo, diede a Oscar un senso di grazia vitale. Non aveva mai sentito la mancanza della vita frenetica di Los Angeles; e quanto alla vecchia, triste Washington, combinava il grigiore di Bruxelles con la follia di Città del Messico. Il Texas orientale, naturalmente, era completamente assurdo. Il pensiero di ritornare laggiù lo faceva piombare in una vera e propria angoscia.
«Mi mancherà il nostro pullman» affermò Oscar. «Perdere quella risorsa mi ha limitato. È come perdere un intero gruppo di pietre mentre si gioca a go.»
«Non puoi comprare un tuo pullman?» chiese Moira, mentre sistemava il fotogenico collo della sua giacca con unghie smaltate da poco.
«Sicuro, potrei permettermi un pullman da campagna elettorale, se li fabbricassero con mattoni e manodopera non specializzata» replicò Oscar. «Ma, finora, questo non succede. E ho perso anche il buon, vecchio Jim.»
«Sai che catastrofe! Jimmy è un perdente. Uno zotico del Sud… al mondo ci sono miliardi di Jimmy.»
«Si, è esattamente per questo che Jimmy era tanto importante per me.»
Moira infilò le mani nude nelle tasche della giacca e inspirò l’aria frizzante. «Ho passato troppo tempo con te, Oscar. Ho vissuto per mesi a stretto contatto con te. Non riesco a capire come io possa ancora permetterti di farmi sentire colpevole.»
Oscar non aveva alcuna intenzione di permetterle di provocarlo. Avevano lasciato il pullman alla sede del Partito democratico federale e stavano facendo una tranquilla passeggiata invernale verso la sua casa di città nella Back Bay e lui se la stava godendo davvero. «Io non ti sto dicendo di sentirti colpevole. Sono forse uno che giudica? Ti ho sempre sostenuta, mi sono sempre occupato di te. Non è vero? Non ho mai detto una parola su te e Bambakias.»
«Sì che l’hai fatto! Continuavi a fissarmi con aria accigliata.»
Oscar inarcò le sopracciglia, se ne accorse, riportò le sopracciglia al loro posto. Odiava quel tipo di discussioni: riuscivano sempre a fare affiorare il suo lato peggiore. «Sta’ a sentire, non è colpa mia. È stato lui ad assumerti, non io. Stavo solo cercando di farti capire, dando prova di un certo tatto, che stavi facendo una mossa che avrebbe potuto avere effetti devastanti. Tu questo dovevi capirlo.»
«Sì, lo sapevo.»
«Be’, ma questo è ovvio! La portavoce di una campagna elettorale che fa sesso con un senatore sposato! Ma come diavolo poteva funzionare una cosa del genere?»
«Ma non si trattava veramente di sesso…» Moira fece una smorfia. «E a quell’epoca non era nemmeno senatore! Quando ho iniziato la relazione con Alcott, lui era un candidato con poche speranze di vittoria e il cinque per cento nei sondaggi. I membri del suo staff erano una massa di perfetti perdenti e il suo organizzatore era solo un giovane principiante che non sarebbe mai riuscito a dirigere una campagna federale. Era un’impresa disperata. Ma io ho puntato comunque su di lui. Mi piaceva davvero, ecco tutto. Mi ha affascinata. Pensavo che fosse un uomo ingenuo, brillante, affascinante. Lui è di buon cuore, sul serio. È troppo una brava persona per diventare un dannato senatore.»
«E così pensavi che avrebbe perso la partita, è così?»
«Sì, pensavo che avrebbe perso e che poi quella puttana l’avrebbe piantato. E immagino di essere stata convinta che sarei stata lì, ad aspettarlo.» Moira rabbrividì. «Senti, io lo amo, va bene? Mi sono innamorata di lui. Ho lavorato veramente duro per lui. Gli ho dato tutto. Non avrei mai pensato che sarebbe finita così.»
«Mi dispiace molto» replicò Oscar. «In fondo è tutta colpa mia. Non ti ho mai spiegato che volevo davvero che lui diventasse un senatore.»
Moira tacque quando passarono attraverso la folla di pedoni di Commercial Avenue. Gli alberi erano spogli e senza foglie, ma le persone erano impegnate nello shopping natalizio, tutti cappelli, giacconi e stivali da neve, in un turbinio di luci scintillanti.
Infine Moira parlò di nuovo. «Questo è un lato di te che non lasci trasparire quasi mai, non è vero? Sotto quell’abito e quel taglio di capelli sei un vero, sarcastico bastardo.»
«Moira, con te sono sempre stato franco. Non avrei potuto esserlo di più. Sei tu quella che sta mollando. Non stai lasciando lui. Non l’hai mai avuto. Non l’avrai mai. Lui non ti appartiene. È me che stai lasciando. Tu stai lasciando la mia krew. Stai defezionando.»
«Ma tu cosa sei, un paese? Dimentica un attimo te stesso! Io non sto ‘defezionando’.»
Moira lo fissò con occhi ardenti di rabbia. «Lasciami andare! Lascia che io sia un normale essere umano! Questa tua smania di controllare tutti è una vera e propria ossessione. Tu hai bisogno di aiuto.»
«Smettila di cercare di provocarmi. Ti stai comportando in maniera infantile.»
Girarono l’angolo e si ritrovarono in Marlborough Street. Era la strada di casa sua, era dove lui viveva. Era giunto il momento di cercare una linea di attacco più efficace. «Guarda, Moira, sono veramente dispiaciuto per i sentimenti che provi nei confronti del senatore. Le campagne elettorali sono molto intense, a volte fanno fare cose folli alle persone. Ma ormai la campagna è alle nostre spalle e tu devi riconsiderare la tua posizione. Tu e io siamo stati dei buoni amici, abbiamo partecipato a una grande campagna insieme, non dovremmo diventare nemici. Sii ragionevole.»
«Io non sono ragionevole. Io sono innamorata.»
«Pensaci. So che sei fuori dalla mia krew, lo accetto, ma posso ancora facilitarti le cose. Ti ho offerto di ospitarti a casa mia, senza pagare l’affitto. Questo non è forse il gesto di un amico? Se sei preoccupata per il lavoro, possiamo trovare qualcosa presso la sede locale dei democratici federali. Puoi ottenere un posto nel partito durante la bassa stagione. E quando inizierà la prossima campagna, ehi, tu sei stata la portavoce di Bambakias! La prossima volta godrai di un’ottima reputazione, avrai molta influenza. Devi soltanto tenere addosso la gonna.»
«Ti odio per quello che hai appena detto.»
«Dai, non stai dicendo sul serio.»
«Ma certo che dico sul serio. Sei disgustoso. Questa volta sei andato troppo oltre. Ti odio davvero.»
«Te lo sto dicendo per il tuo bene! Lorena sa tutto. Se volevi farti dei nemici, bene, te ne sei fatto uno bello importante. Hai pestato i piedi alla donna sbagliata.»
«E allora? Lo so che lei sa.»
«Adesso Lorena è la moglie di un senatore e sa di te. Se le capiti di nuovo tra i piedi, ti schiaccerà come un insetto!»
Moira scoppiò in una rabbiosa risata latrante. «E cosa conta di fare? Spararmi, per caso?»
Oscar sospirò. «Farà saltare fuori quell’affare del lesbismo al college.»
Moira lo fissò a bocca aperta, con un’espressione di stupore ferito. «Ma non viviamo mica nel ventesimo secolo! Una cosa del genere non frega più a nessuno!»
«Lei farà trapelare la notizia… manipolandola. Nessuno sa fare trapelare le notizie come Lorena. Divulgherà la notizia alla stampa della capitale durante qualche ballo dell’alta società e tu sarai finita come un vampiro sorpreso dalla luce del giorno.»
«Ah, sì? Bene, anch’io ho degli agganci nella stampa e se lei fa fuori me, io farò fuori te. Faccio fuori te e quel genio della tua ragazza!» Gli puntò contro un dito laccato di rosso. «Tu non puoi minacciarmi, stronzo manipolatore. Non mi importa di quello che mi accadrà! Ma posso mandare all’aria i tuoi piani, questo è certo. Non sei neppure umano! Non hai neanche un compleanno! Sputtanerò te e quella brutta racchia della scienziata e quando l’avrò fatto, lei giornerà il rimpianto…. Oh, al diavolo… lei rimpiangerà il giorno in cui ti ha incontrato.»
«Tutto questo è patetico» replicò Oscar. «Hai veramente perso il senno!»
«Io sono forte.» Moira sollevò il mento. «Il mio amore mi ha resa forte.»
«Ma poi su cosa ti stai scaldando tanto? Sono sei settimane che non lo vedi.»
Gli occhi di Moira traboccarono di lacrime trionfanti. «Ci scambiamo messaggi di posta elettronica!»
Oscar emise un gemito. «Adesso basta. Dobbiamo mettere fine a tutta questa faccenda. Tu sei completamente irrazionale! Non ti posso permettere di ricattarmi, in modo da rovinare la carriera dell’uomo che io ho fatto eleggere. È inconcepibile! Va’ all’inferno! Fa’ pure del tuo peggio.»
«Lo farò! Lo farò, contaci pure! Ti annienterò.»
Oscar si fermò di botto sul marciapiede. Moira fece ancora qualche passo, poi si girò di scatto, con gli occhi di una furia.
«Questa è casa mia» indicò Oscar.
«Oh.»
«Senti, perché non entri? Beviamo una tazza di caffè. Lo so che una brutta storia d’amore fa soffrire. Ma tu puoi superarla. Devi semplicemente concentrarti su qualcos’altro.»
«Ma cosa credi, che io sia un manichino di cera?» Moira gli diede una spinta. «Sei un verme.»
Dall’altro lato della strada si udì una forte detonazione. Oscar la ignorò. Aveva un’ultima carta da giocare e pensava che avrebbe funzionato. Se fosse riuscito a portarla dentro casa con lui, Moira si sarebbe seduta e avrebbe pianto. E se avesse pianto, avrebbe confessato tutto. Avrebbe superato la crisi. Avrebbe dato un taglio.
Un’altra forte detonazione. Un grosso frammento di mattone si staccò dall’arco di ingresso della casa. «Diavolo!» esclamò. «Guarda la mia casa!»
Un altro colpo. «Ahi!» gridò Moira. La borsa le era caduta dalle spalle. La alzò e la guardò: era comparso un buco. Moira si girò e fissò l’altro lato della strada. «Mi ha sparato!» si rese conto ad alta voce. «Mi ha sparato nella borsa.»
Un uomo anziano, con i capelli grigi e con un bastone di metallo era immobile sull’altro lato della strada e stava sparando contro di loro con una pistola. Ora era perfettamente visibile, perché i lampioni stradali, messi allerta dal suono altamente illegale delle armi da fuoco, erano ruotati tutti sui loro pali di metallo e lo avevano inquadrato in un torrente di luce.
Due robot della polizia, simili a pipistrelli, si staccarono da un palo di servizio, piombarono verso di lui e quando lo superarono, l’uomo cadde.
Oscar aprì la porta. Entrò subito in casa, allungò un braccio, afferrò un polso di Moira e la tirò dentro, poi sbatté la porta alle loro spalle.
«Sei ferita?» le chiese.
«Ha sparato alla mia borsa!»
Moira tremava come una foglia. Oscar la esaminò attentamente. I collant, la gonna, il cappello, la giacca. Nessun foro, né sangue da nessuna parte.
Le ginocchia di Moira si piegarono d’un tratto e lei cadde sul pavimento. La strada fuori dalla porta si riempì improvvisamente dell’ululato delle sirene.
Oscar appese con cura il suo cappello e si sedette, poggiando i gomiti sulle ginocchia. Era bello essere a casa; era fredda e sporca, ma aveva l’odore di casa sua, era confortante. «Va tutto bene, adesso è tutto finito» cercò di tranquillizzare Moira. «Questa è una strada molto sicura. Quei robot della polizia l’hanno preso. Lasciami accendere il sistema casalingo e potremo dare uno sguardo fuori.»
Moira era diventata verde.
«Moira, adesso è tutto a posto. Sono sicuro che l’hanno preso. Non ti preoccupare, starò qui con te.»
Nessuna risposta. Moira era completamente terrorizzata. Sul labbro inferiore era comparsa una piccola bolla di saliva.
«Mi dispiace molto per l’accaduto» proseguì Oscar. «Si tratta di un nuovo atto di guerra di rete. Vedi, è proprio com’era al Collaboratorio. Avrei dovuto immaginare che uno di quei lunatici avrebbe tenuto sotto sorveglianza casa mia. Se avessi avuto con me Fontenot, questo non sarebbe mai accaduto.»
Moira cadde all’indietro, urtando il rivestimento di legno con un tonfo. Oscar stese il braccio e batté con le nocche sulla solida porta d’entrata.
«Antiproiettile» spiegò. «Adesso siamo perfettamente al sicuro. Ho bisogno di un nuovo direttore della sicurezza, questo è tutto. Avrei dovuto assumerne uno immediatamente. Ho fissato male le mie priorità. Mi dispiace…»
«Hanno cercato di uccidermi…»
«No, Moira, non hanno cercato di uccidere te, ma me. Non te, va bene? Solo me.»
«Sto male!» gemette la donna. «Sto per svenire!»
«Ti do qualcosa. Del brandy? Un compressa di digestivo?»
Qualcuno bussò più volte alla porta. Moira indietreggiò, perdendo una scarpa. «Oh, mio Dio! No! Non aprire!»
Oscar attivò la telecamera della porta. Una losanga del video all’esterno si illuminò, mostrando una bicicletta della polizia e una poliziotta di Boston, con il distintivo, l’elmetto e una giacca di lana blu. Oscar schiacciò il tasto del citofono. «Posso esserle d’aiuto, agente?»
La poliziotta esaminò lo schermo illuminato del suo taccuino elettronico. «È lei il signor Oscar Valparaiso?»
«Sì, agente.»
«Apra la porta, per favore. Polizia.»
«Posso vedere un documento d’identità, per favore?»
L’ufficiale esaudì la richiesta con una carta d’identità olografica che la identificava come il sergente Mary Elizabeth O’ Reilly.
Oscar aprì la porta che andò a sbattere contro il ginocchio di Moira. Moira sussultò con violenza, poi si mise faticosamente in piedi, serrando i pugni.
«Prego, entri pure, sergente O’Reilly. La ringrazio per essere intervenuta con tanta celerità.»
«Ero nel quartiere» spiegò la poliziotta entrando. Girò la testa coperta dall’elmetto, esaminando metodicamente l’atrio della casa con i sistemi video.
«Ci sono dei feriti?»
«No.»
«Il sistema ha calcolato la traiettoria di quei proiettili. Sembra che fossero diretti contro di voi. Mi sono presa la libertà di rivedere le registrazioni più recenti. Lei e questa donna eravate impegnati in una lite.»
«In effetti, non è così. Io sono un funzionario del Senato federale e si è trattato di un tentativo di assassinio politico.» Oscar indicò Moira. «Il nostro cosiddetto litigio era una questione strettamente privata.»
«Per favore, sarebbe così gentile da mostrarmi un documento d’identità?»
«Ma certo.» Oscar cercò il suo portafogli.
«No, non lei, signor Valparaiso. Mi riferivo a questa donna di razza bianca non residente.»
Istintivamente Moira strinse la sua borsa. «Ha sparato alla mia borsa…»
Oscar tentò di farla ragionare in tono gentile. «Ma il tuo documento d’identità è ancora dentro, non è vero? Questa è una richiesta legittima da parte di un ufficiale di pubblica sicurezza. Devi mostrarle un documento d’identità.»
Moira lo fissò con gli occhi cerchiati di rosso. «Tu sei completamente pazzo. Tu sei completamente pazzo!»
Oscar si rivolse alla poliziotta. «Posso garantire io per lei, agente. Si chiama Moira Matarazzo, è una mia ospite.»
«Tu non puoi reagire in questo modo!» urlò Moira. Improvvisamente gli diede una forte spinta. «Quello ha cercato di ucciderti!»
«Be’, mi ha mancato.»
Moira fece roteare la borsa a due mani e la usò per colpire Oscar. «Tu devi avere paura, stupido! Devi avere paura, come me! Comportati in maniera normale!»
«Non faccia così» ordinò la poliziotta «La smetta immediatamente.»
«Sei fatto di ghiaccio? Non puoi comportarti così! Nessuno pensa con tanta freddezza.» Lo colpì di nuovo con la borsa. Oscar schivò il colpo e sollevò le braccia per proteggere il volto.
«La smetta» ordinò la poliziotta in tono tranquillo ma mortalmente serio. «Smetta di colpirlo.»
«È isterica» spiegò ansimando Oscar. Evitò un altro colpo.
La poliziotta prese la sua pistola a spruzzo e sparò. Si udì un sibilo di gas ad alta velocità. Le palpebre di Moira si abbassarono di colpo, come saracinesche elettriche, poi la donna crollò sul pavimento.
«Era davvero sconvolta» commentò Oscar toccandosi un gomito. «Avrebbe dovuto essere più indulgente.»
«Signor Valparaiso, capisco cosa prova» replicò l’agente O’Reilly. «Ma la telecamera nel mio casco registra tutto. Quella donna non ha obbedito a due ordini diretti di smetterla di colpirla. Questo non è accettabile. Le leggi cittadine sono molto severe per quanto riguarda i litigi domestici. Se dobbiamo intervenire per porre fine a un uno scontro fisico, il colpevole passa la notte al fresco. Mi capisce, signore? Questa è la legge. Non ci sono se, e o ma. Questa donna è in arresto.»
«Le hanno sparato pochi minuti fa. Era sconvolta.»
«Ne sono consapevole, ma lei dovrà sollevare questa questione con quelli della SWAT. IO faccio parte del servizio di pattuglia in bici.» Fece una pausa. «Non si preoccupi, la SWAT sta arrivando. Intervengono rapidamente quando capitano incidenti con armi da fuoco.»
«Oh, va tutto bene» replicò Oscar. «La prego, non pensi che io sia un ingrato. Lei ha avuto molto coraggio a gettarsi a capofitto in una sparatoria. È un’azione assolutamente commendevole.»
L’agente O’Reilly accennò un sorriso. «Oh, i dispositivi teleguidati hanno abbattuto l’esecutore del crimine non appena eseguita la triangolazione dei colpi. È già in custodia.»
«Un lavoro eccellente.»
L’agente lo fissò con aria pensierosa. «È veramente sicuro che vada tutto bene?»
«Perché dice questo?» Oscar fece una pausa. «Oh, sì, naturalmente. Sì, sono molto sconvolto da tutto ciò. È il quarto attentato alla mia vita nelle ultime tre settimane. Ho bisogno di chiarire la mia situazione con le autorità locali, ma sono arrivato in città solo un’ora fa. Ho perso la cognizione del tempo.»
Moira iniziò ad agitarsi sul pavimento, gemendo flebilmente.
«Vuole una mano per portarla nel cellulare?»
«Non ci sono problemi, signor Valparaiso. Penso di potermela cavare.»
Alla centrale di polizia furono molto cortesi con lui. Cortesi, ma inflessibili. Una volta che ebbe ripetuto tre volte di seguito, senza contraddirsi, la sua storia, Oscar si rilassò.
Era piombato in un leggero stato di assenza. Non si trattava della prima volta, naturalmente: cose del genere gli accadevano fin dall’infanzia. Nessun pericolo di vita, ma non era il tipo di risposta normale per un normale essere umano.
A volte, a Oscar piaceva credere di comportarsi in modo brillante quando si trovava sotto pressione, ma questa era una vera bugia. Lui non era brillante. Era solo estremamente veloce. Non era un genio. Semplicemente, il suo metabolismo accelerava, il suo microprocessore interno funzionava a una frequenza più alta. Ora, una volta uscito da quello stato, si sentiva molto scosso, nonostante la polizia gli avesse promesso solennemente che avrebbe intensificato la sorveglianza davanti alla sua casa.
Il suo aggressore, una vittima della paranoia senile, era quasi riuscito a ucciderlo. Ma Oscar sembrava non rendersene conto. Era come se la sua mente, intorpidita, non riuscisse a registrare i fatti.
Salì di sopra, al suo ufficio al terzo piano. Aprì la scrivania e ritrovò il suo blocco di appunti speciale, quello dei momenti di crisi. Prese anche una penna stilografica Waterman di antiquariato. In situazioni come quella, gli era sempre stato d’aiuto stilare un elenco. Non su uno schermo, ma a mano. Poggiò il diario sul ripiano della sua scrivania di Eero Saarinen e iniziò a scrivere.
A. Diventare il capo dello staff di Bambakias.
B. Avviare la riforma del Collaboratorio. Golpe interno. Purga. Rimuovere l’intera vecchia guardia. Tagliare drasticamente il bilancio, riformare le finanze. Nota: con un po’ di fortuna, un successo in questo senso eviterà che la commissione mi affidi un secondo incarico.
C. Huey. È possibile un accordo? Prendere in considerazione l’intera gamma di contromisure.
D. Aumentare la krew personale. Frenare le diserzioni. Nota: l’albergo di Buna deve produrre un profitto. Nota: assumere subito un nuovo direttore della sicurezza. Ovviamente deve trattarsi di una persona fidata.
E. Restituire il pullman ai democratici federali, pagare la riverniciatura.
F. Greta. Più sesso, meno posta elettronica. Nota: la sua visita a Boston è imminente!!! Usare i membri della krew come sostegno alla conferenza, preparare una trasformazione completa. Nota: usare TUTTI i giorni in più, insistere su questo. Nota: preparare il terreno a Buna mentre lei è via dal laboratorio — mossa della finta malattia. P.S.: penso di amarla.
G. Trovare qualcuno che tenga d’occhio la casa.
H. Restituire quello stupido animale a Buna, trovare una giustificazione accettabile. Nota: evitare accenni alla corruzione.
I. Devo rimanere vivo durante le azioni della guerra di rete. Nota: devo assegnare a questo problema una priorità più alta.
J. Chi diavolo ha mandato quella banda di prolet a demolire la banca di Worcester? Nota: è impossibile applicare una strategia di gioco razionale quando i pezzi sono invisibili, intangibili o immateriali.
Κ. Ι comitati di emergenza devono sparire. Sono stati la causa principale dello scontro Bambakias-Huguelet. La situazione politica americana è diventata impossibile quando irresponsabili usurpatori si sono impadroniti dell’autorità costituzionale. Nota: anche la posizione di capo dello staff è fatalmente soggetta al loro capriccio.
L. Sen. Bambakias: stato di depressione fisica causato dallo sciopero della fame?
Oscar rilesse l’elenco. Aveva già utilizzato metà delle lettere dell’alfabeto ma sentiva l’aria intorno a sé ribollire di infinite incertezza. Era troppo. Era il caos, la follia, un ammasso di anguille.
La situazione era troppo complessa, era completamente ingestibile. A meno che… a meno che, in qualche modo, il processo fosse automatizzato. Con obiettivi più specifici. Una ristrutturazione. Un’analisi critica degli avvenimenti. Decentramento. Cooperazione. Pensare in maniera nuova. Ma in ballo c’erano così tante persone. Dipendevano tutte da lui. Doveva deputare…
Era bloccato. Era circondato. Era arrivato, finito, annientato. Non aveva alcuna speranza di successo. Non sarebbe riuscito a smuovere nulla.
Doveva fare qualcosa. Doveva riuscire a fare almeno una cosa, ad accantonare finalmente un problema.
Alzò il telefono da tavolo. Il segretario di Lorena ricevette la chiamata. Lui lottò per farsela passare subito.
«Mi dispiace, Oscar» si scusò Lorena. «Ho Alcott sull’altra linea. Posso richiamarti?»
«Non ci vorrà molto tempo. È importante.»
«Sì?»
«Ci sono delle novità. Moira è in prigione, qui a Boston. Ho cercato di ragionare con lei sulla situazione, ma ha perso il controllo, è diventata violenta. Per mia fortuna, è passato per caso un poliziotto. I poliziotti di Boston hanno messo in prigione Moira per percosse.»
«Oh, cielo, Oscar.»
«Non ho intenzione di muovere delle accuse contro di lei, ma non voglio dirglielo io. Voglio che sia tu a gestire la faccenda. Questo è il momento giusto per intervenire. Moira è in gattabuia, io faccio finta di essere davvero furioso, mentre tu sei l’angelo custode disposto al perdono. Capisci? Tu appiani la faccenda, metti tutto a tacere. Questo è il modo in cui dobbiamo giocare con lei, perché così funzionerà.»
«Stai scherzando? Piuttosto, lasciala marcire dietro le sbarre!»
«No, non sto scherzando. Ti sto offrendo una soluzione permanente. Pensaci.»
Una lunga pausa di riflessione. «Sì, hai ragione, naturalmente. Questo è il modo migliore di gestire la cosa.»
«Sono contento che tu la veda alla mia stessa maniera.»
«Dovrò stringere i denti, ma ne vale la pena.» Un silenzio meditativo. «Sei veramente incredibile.»
«Fa solo parte del mio lavoro, signora.»
«C’è qualcos’altro?»
«No. Sì. Dimmi una cosa. Ti sembra che la mia voce vada bene?»
«Per essere una linea crittografata, si sente benissimo.»
«No, voglio dire, non è che parlo troppo veloce? Per caso la mia voce non somiglia a uno strillo acuto?»
Lorena abbassò la voce, assumendo un tono carezzevole. «No, Oscar, la tua voce è assolutamente a posto. Sei un uomo meraviglioso. Sei bello, affascinante e completamente affidabile; sei Mr. Realpolitik. Io mi fido completamente di te. Non mi hai mai deluso, mai, e se fossi stata la proprietaria di quel dannato laboratorio in Colombia, avrei clonato una dozzina di uomini come te. Tu sei l’uomo migliore del mondo.»