Ora Oscar lavorava per il presidente degli Stati Uniti. La sua nuova posizione gli fu di grande aiuto nell’avere a che fare con duemila ingenui scienziati che vivevano all’interno di una cupola geodesica nel Texas orientale. Dal punto di vista pratico, però, aggiunse un nuovo livello di complessità alla sua vita.
Oscar, infatti, scoprì ben presto che non era il consigliere scientifico ufficiale del consiglio per la sicurezza nazionale. Un controllo di sicurezza di routine da parte della krew della Casa Bianca aveva rapidamente rivelato il problema di Oscar. Era un problema serio, perché il presidente non poteva assumere il prodotto di una manipolazione genetica illegale avvenuta in America del sud. Date le circostanze, assumere una persona del genere avrebbe rischiato di creare un pessimo precedente.
E così, sebbene Oscar si fosse obbedientemente dimesso dal suo incarico senatoriale, non riuscì a ottenere un incarico ufficiale presso il consiglio per la sicurezza nazionale. Rimase un semplice ‘consigliere informale’. Non aveva un rango gerarchico nel governo e non riceveva neppure lo stipendio.
Nonostante l’affermazione del presidente, a Buna non arrivò nessun ‘corpo d’élite di paracadutisti’. Sembrava che l’ordine presidenziale fosse stato emesso, ma lo spiegamento dell’esercito era stato rimandato sine die a causa di problemi di personale e di bilancio. Era molto probabile che quei ‘problemi di personale e di bilancio’ fossero veri — nell’esercito erano addirittura cronici — ma i problemi più profondi erano, ovviamente, politici. L’esercito degli Stati Uniti era sempre molto restio a eseguire ordini che avrebbero potuto costringerlo a ingaggiare un combattimento contro civili americani. L’esercito non era stato coinvolto nel sanguinoso e segreto scontro a fuoco sulle rive del fiume Sabine e dunque non era particolarmente ansioso di vedersi affibbiare la responsabilità di quell’atto, compiuto da agenti segreti dal grilletto facile del consiglio per la sicurezza nazionale.
Tanto per salvare le apparenze, a Oscar venne comunicato che presto sarebbe arrivato un tenente colonnello del consiglio, con una squadra d’élite di marines dell’aeronautica. Ma poi anche l’arrivo del tenente colonnello venne procrastinato, a causa di inaspettati sviluppi di politica internazionale.
Una multinazionale di fast-food di proprietà americana aveva accidentalmente intossicato numerosi cittadini olandesi, servendo loro hamburger la cui carne non era stata sterilizzata in maniera corretta. Per rappresaglia, alcuni fanatici olandesi avevano attaccato e bruciato numerosi ristoranti. Date le relazioni tese tra l’America e l’Olanda, si trattava di un grave scandalo, molto vicino a un casus belli. Il presidente, di fronte a questa crisi di politica estera, aveva alzato la voce e aveva preteso riparazioni e scuse formali. In circostanze del genere, il disordine militare all’interno degli Stati Uniti era un problema che l’amministrazione preferiva non sottolineare.
Queste erano tutte delusioni. Tuttavia, Oscar le sopportò stoicamente. Era piccato di non avere ricevuto un incarico ufficiale, ma non era sorpreso. Certamente non nutriva alcuna illusione che la presidenza funzionasse meglio di qualsiasi altro organismo del governo americano contemporaneo. E poi il suo status incerto offriva anche dei vantaggi innegabili. Nonostante le umiliazioni, adesso Oscar era molto più potente di quanto lo fosse mai stato. Oscar era diventato uno del servizio segreto. E questo era utile.
Oscar divenne rapidamente un fattore importante per i nuovi potenti in attesa nel sotterraneo sotto la Stanza Ovale. Studiò i loro dossier, memorizzò i loro nomi e gli organigrammi dell’ufficio, e si inserì nell’organizzazione chiedendo umilmente qualche favore. Erano favori piccoli, che venivano accordati facilmente, ma erano accuratamente predisposti in modo che il fatto di non esaudirli provocasse una guerra di influenza nello staff della Casa Bianca. Di conseguenza, Oscar iniziò a fare strada.
Risolse un problema spinoso cancellando le forze di polizia locali. Fece trasportare i poliziotti del Collaboratorio prigionieri fuori del Texas, in un elicottero da trasporto privo di contrassegni. Furono trasferiti in un centro per l’addestramento delle forze di polizia nella Virginia occidentale. I poliziotti del Collaboratorio non vennero licenziati, né processati per abuso di pubblici poteri o per corruzione; ma il bilancio della loro piccola stazione venne cancellato e il personale svanì semplicemente per sempre, nei labirinti dei trasferimenti federali.
Questo lasciò il Collaboratorio senza un bilancio utilizzabile per creare una nuova forza di polizia. Ma questo non era certo un problema. Al momento, nel Collaboratorio non c’erano bilanci di sorta. Tutti stavano lavorando gratis. Sopravvivevano con il baratto, con la coltivazione di piccoli orti, con la vendita dell’equipaggiamento in più e con varie forme di traffici non sempre perfettamente legali.
I giorni che seguirono furono i più intensi e produttivi della vita politica di Oscar. La situazione del laboratorio era un caos assoluto. Soltanto le capacità organizzative di un genio avrebbero potuto porre rimedio a quella confusione. Oscar non possedeva quel tipo di genialità. Tuttavia, poteva sostituire efficacemente il genio con il semplice espediente di rinunciare al sonno e di lavorare più di chiunque altro.
La prima vera sfida fu di addolcire gli effetti della gigantesca invasione di Moderatori. Bisognava dissuaderli dal distruggere e saccheggiare la struttura. Oscar ci riuscì con una mossa molto semplice ma estremamente abile: informò i Moderatori che loro adesso possedevano la struttura. Ovviamente, avrebbero potuto distruggerla, se lo avessero voluto, ma se avessero fatto una cosa del genere, i sistemi di supporto vitale avrebbero smesso di funzionare e tutti gli affascinanti animali rari sarebbero morti. I Moderatori sarebbero soffocati come tutti gli altri, prigionieri in un inabitabile ghetto di vetro. Tuttavia, se fossero riusciti a trovare un accordo accettabile con gli scienziati, i Moderatori avrebbero posseduto un gigantesco Eden genetico in cui avrebbero potuto vivere all’esterno senza bisogno di tende.
L’argomento di Oscar sortì il suo effetto. Naturalmente avvennero alcuni incresciosi incidenti: i prolet catturarono e arrostirono alcuni animali particolarmente gustosi. Ma il puzzo tremendo fece capire che accendere fuochi all’aperto all’interno della cupola era controproducente per tutti. La situazione non divenne esplosiva. Anzi, con il passare dei giorni, cominciò a dare molti segni di essere in via di consolidamento.
Venne formato un nuovo comitato per negoziare i termini della coesistenza locale tra gli scienziati e gli emarginati invasori. I suoi membri erano Greta, i capi di divisione del consiglio, Kevin, Oscar stesso, occasionali consulenti che facevano parte della krew di Oscar e arroganti pezzi grossi del contingente nomade di Burningboy. Questo nuovo corpo governativo aveva bisogno di un nome. Non poteva essere chiamato ‘comitato di sciopero’ perché quella definizione era stata già utilizzata. Quasi subito divenne noto come il ‘comitato di emergenza’.»
A Oscar non piaceva quella definizione, poiché odiava e disprezzava tutte le commissioni di emergenza, ma quel nome aveva un grande vantaggio. Non c’era bisogno di spiegarlo a nessuno. La popolazione americana era già abituata allo spettacolo delle sue istituzioni politiche che crollavano, venendo sostituite da comitati di emergenza. Dunque, che il Collaboratorio venisse governato da un ‘comitato di emergenza’ era molto facile da capire. Poteva perfino essere interpretato come un prestigioso passo avanti: era come se il piccolo Collaboratorio fosse crollato in maniera grandiosa, come aveva fatto il Congresso degli Stati Uniti.
Oscar cancellò la sua campagna di manifesti per le relazioni pubbliche. Lo sciopero ormai era bello e finito, e il nuovo regime aveva bisogno di un nuovo look grafico e di un nuovo ambiente mediatico. Dopo una sessione di brainstorming con la sua krew, Oscar decise di utilizzare degli altoparlanti. I continui negoziati del comitato di emergenza sarebbero stati trasmessi in diretta da una mezza dozzina di altoparlanti, situati in varie aree pubbliche all’interno della cupola.
Questa si dimostrò una scelta molto saggia. Gli altoparlanti trasmettevano una piacevole sensazione di familiarità, di politica alla buona. Le persone poteva entrare e uscire tranquillamente dal flusso dell’agitazione politica. Quell’antiquata tecnologia fornì un ambiente mediatico calmante e non oppressivo. Le persone potevano informarsi sugli sviluppi della crisi fino al punto in cui reputavano fosse necessario farlo.
Grazie all’utilizzo degli altoparlanti, il personale del Collaboratorio e gli invasori nomadi disponevano dello stesso ambiente mediatico. Come mossa aggiuntiva, qua e là nella cupola vennero messe delle ‘cassette di sapone’ di plastica azzurra, dove persone particolarmente stupide oppure furiose potevano dare sfogo al loro scontento senza creare troppi problemi. Non solo questo stratagemma fornì una valvola di sfogo e un metodo per sondare l’umore popolare, ma, per contrasto, diede l’impressione che il rabberciato comitato di emergenza fosse un organismo maturo e responsabile.
Questa campagna mediatica fu particolarmente utile per risolvere il problema costituito dal capitano (ex generale, ex caporale) Burningboy. In persona o in video, il capo dei prolet aveva un aspetto eccessivamente folle e trasgressivo. Però aveva una profonda voce paterna. Se lo si sentiva parlare attraverso gli altoparlanti, Burningboy irradiava la tranquilla allegria di un Babbo Natale piromane.
Immaginare che i Moderatori fossero semplicemente dei derelitti violenti era un grosso errore. Le strade dell’America erano percorse da molte persone disperate, ma i Mediatori non erano un branco di vagabondi. I Moderatori non erano più neppure una ‘banda’ oppure una ‘tribù’. Fondamentalmente il modo migliore di concepire i Moderatori era considerarli una rete organizzativa non governativa. I Moderatori vestivano e parlavano volutamente come dei selvaggi, ma non mancavano certo di sottigliezza. Erano organizzati secondo linee profondamente agli antipodi rispetto a quelle della tradizionale cultura americana.
Non era mai venuto in mente ai padroni della società consumista che il consumismo come filosofia politica un giorno avrebbe potuto manifestare gli stessi squilibri strutturali del comunismo. Ma quando quegli squilibri si erano moltiplicati, il paese era andato in pezzi. La società civile si era ridotta all’impietoso regno del denaro. E mentre gli ultimi spazi pubblici venivano privatizzati, era diventato sempre più difficile per la cultura americana sopravvivere. Non solo la gente era senza un soldo, ma veniva anche stuzzicata fino alla follia dagli avvisi pubblicitari e sorvegliata continuamente da agenzie che non si facevano alcuno scrupolo di invadere la privacy di chiunque. Un apparato pubblicitario sempre più aggressivo aveva spinto larghi strati di popolazione ad abbandonare semplicemente le loro identità ufficiali.
Essere un cittadino americano non era più divertente. I fallimenti si erano moltiplicati in modo folle, trasformandosi in una sorta di apostasia commerciale. L’evasione fiscale era diventata uno sport diffuso. La popolazione americana aveva semplicemente smesso di comportarsi bene. I cittadini si riunivano per bruciare le loro patenti, fare a pezzi le carte di credito e per iniziare a viaggiare. I prolet si consideravano come gli unici americani liberi.
Un tempo, il nomadismo era stata la condizione comune dell’umanità; era la vita stanziale a costituire una novità tecnologica. Adesso la tecnologia era mutata di nuovo. I nomadi erano una società completamente alternativa, a cui non era più possibile applicare i vecchi criteri economici e politici.
O così ragionava Oscar. Poiché era un ricco abitante del New England, non aveva mai avuto alcun motivo politico per preoccuparsi dei prolet. Loro votavano di rado. Ma non nutriva alcun pregiudizio contro i prolet come gruppo sociale. Senza alcun dubbio non erano più estranei alla sua sensibilità di quanto non lo fossero gli scienziati. Adesso aveva capito che i prolet costituivano una fonte di vero potere e, per quanto ne sapeva lui, c’era soltanto un politico americano che si era sforzato deliberatamente di reclutarli e mantenerli. Quel politico era Green Huey.
Dopo avere pacificato i Moderatori, la seconda priorità di Oscar era quella di fare abituare gli scienziati del Collaboratorio alla loro presenza. L’argomento più solido a disposizione di Oscar era che non avevano molta scelta.
Gli scienziati del Collaboratorio avevano sempre goduto del pieno appoggio federale; non avevano mai avuto bisogno di altri mezzi di sostentamento. Ma adesso non c’erano più sostanziosi fondi federali. Questo era grave, ma la situazione di base era ancora peggiore. I libri contabili del laboratorio erano stati rovinati da un attacco informatico. Il Collaboratorio non solo era in bancarotta, ma i suoi abitanti non erano neppure in grado di stimare fino a che punto fosse in deficit, né avrebbero potuto prevedere le circostanze per salvarsi dal dissesto.
Il morale nel laboratorio era salito alle stelle non appena si era diffusa la notizia che il presidente si era interessato della loro situazione. Il presidente si era spinto tanto in là da inviare un discorso per il direttore del laboratorio, che era stato coscienziosamente letto da Greta. Tuttavia nel discorso c’era un’unica, evidente omissione: il denaro. Il comunicato stampa era praticamente un lungo peana di ringraziamento al talento del presidente nel ristabilire la legge e l’ordine. Finanziare il Collaboratorio non era un problema del presidente. Era il Congresso a reggere i cordoni della borsa della nazione ma, nonostante frenetici sforzi, non era ancora riuscito ad approvare il bilancio.
Per un laboratorio scientifico federale, si trattava di un disastro di grandezza epica, ma, per i prolet, non era nulla di speciale.
E così — come spiegò Oscar al comitato di emergenza — era una questione di simbiosi. E la simbiosi era fattibile. Avendo audacemente tagliato i suoi legami con le regole convenzionali della realtà politica, la nuova popolazione ibrida del Collaboratorio poteva vivere per un periodo indefinito all’interno della sua bolla di vetro. Non avevano denaro, ma avevano calore, energia, aria, cibo e riparo; erano perfettamente in grado di sopravvivere. Avrebbero potuto attendere che la turbolenza al di fuori dei loro confini si calmasse e, poiché stavano ignorando la supervisione federale, potevano concentrarsi sui loro progetti preferiti. Una volta tanto, avrebbero potuto portare a termine qualche vera ricerca scientifica. Era un risultato eccezionale, quasi un vero paradiso, ed era alla loro portata. Tutto quello che dovevano fare era fare i conti con le proprie contraddizioni.
Dopo la presentazione di Oscar vi fu un lungo silenzio. La commissione di emergenza lo fissò con assoluto stupore. Al momento, il comitato consisteva in Greta, il suo confidente e principale sostenitore Albert Gazzaniga, Oscar stesso, Yosh Pelicanos, il capitano Burningboy e un altro rappresentante dei Moderatori — un ragazzo chiamato Ombahway Tuddy Flagboy.
«Oscar tu sei incredibile» commentò infine Greta. «Hai un talento grandioso per fare sembrare plausibili anche le cose impossibili.»
«E cosa c’è di impossibile in questo?»
«Tutto. Questa è una struttura federale! I Moderatori l’hanno invasa con la forza. La stanno occupando. Sono qui illegalmente. Non possiamo aiutarli, non possiamo permetterlo! Una volta che il presidente avrà inviato qui le sue truppe, saremo tutti smascherati come collaborazionisti. Saremo arrestati. Saremo licenziati. No, anche peggio. Saremo purgati.»
«Questo non è mai successo in Louisiana» le fece notare Oscar. «Perché dovrebbe accadere qui?»
Gazzaniga intervenne: «Perché il Congresso e i comitati di emergenza non hanno mai voluto quella base aerea in Louisiana e dunque non si sono mai preoccupati di agire.»
«E a loro non importa neppure di noi» gli assicurò Oscar. «È vero che il presidente ha manifestato il suo interesse, ma adesso è passata un’intera settimana. Una settimana, durante una crisi militare, è un’eternità. E qui non ci sono truppe federali. Perché qui non c’è alcuna crisi militare. La crisi militare del presidente è in Olanda, non nel Texas orientale. Non manderà truppe all’interno del paese quando la guerra fredda con gli olandesi rischia di scaldarsi. Se avessimo un po’ più di buon senso, ci renderemmo conto che i Moderatori sono le nostre truppe. Loro sono meglio delle truppe federali. Sono veri soldati e, inoltre, possono nutrirci.»
«Non possiamo permetterci migliaia di ospiti non paganti» replicò Pelicanos.
«Yosh, dimentica per un attimo le questioni contabili. Noi non dobbiamo ‘permetterceli’. Sono loro che si stanno permettendo noi. Loro possono nutrirci e vestirci; quanto a noi, dobbiamo soltanto condividere con loro il nostro rifugio e dare loro una copertura politica. Questa è la vera bellezza dello stato di emergenza, capisci? Qui dentro possiamo andare avanti per sempre! Questa è l’apoteosi del nostro sciopero. Durante lo sciopero, ci siamo rifiutati di fare qualsiasi cosa che non riguardasse il proseguimento dei nostri esperimenti scientifici. Adesso che abbiamo proclamato lo stato di emergenza, gli scienziati possono continuare a svolgere il lavoro, mentre i Moderatori assumeranno il ruolo di una popolazione che li appoggia e li mantiene. Ignoreremo qualsiasi altra cosa! Tutto quello che ci ha irritato in passato uscirà fuori dai nostri radar. Tutte quelle assurde richieste commerciali, la supervisione governativa e gli appaltatori corrotti… adesso è tutto finito. Non hanno più alcuna importanza.»
«Ma i nomadi non capiscono la scienza» commentò Gazzaniga. «Perché dovrebbero sfamare degli scienziati, quando potrebbero semplicemente saccheggiare questo posto e andarsene?»
«Ehi!» esclamò Burningboy. «Io capisco la scienza, amico! Wernher Von Braun! Un esempio perfetto. Il dottor Von Braun ebbe la fortuna di trovare un mucchio di carne da macello, come avete fatto voi! ‘Se non li uso io, finiranno a Dachau in ogni caso, dunque posso anche tritarne qualcuno, mentre costruisco i miei razzi V-2!»
«Ma di cosa diavolo sta parlando?» si stupì Gazzaniga. «Ma perché parla sempre in questo modo?»
«Perché la scienza è questo!» esclamò Burningboy. «Io posso darne una definizione. La scienza consiste nel dimostrare una relazione matematica tra un fenomeno A e un fenomeno B. Era tanto difficile? Pensate davvero che io non ci sarei arrivato? Be’, vi darò qualcosa a cui voi sicuramente non arrivereste mai da soli, figlioli: sopravvivere in prigione. Voi tizi dai capelli biondi avreste, diciamo, un brusco impatto con una realtà non quantica, se qualcuno piantasse un coltello fatto in casa nei vostri libri di fisica.»
«Questa faccenda non funzionerà mai» affermò Greta. «Non parliamo neppure la stessa lingua. Non abbiamo nulla in comune.» Indicò Burningboy con un gesto drammatico. «Guardate il suo portatile! È fatto di paglia.»
«Ma perché qui dentro io sono l’unico ad accorgermi dell’ovvio?» si domandò Oscar. «Voi avete una serie di sorprendenti caratteristiche comuni. Osservate tutto quell’equipaggiamento nomade — quei tritafoglie, quegli alambicchi, quelle unità di separazione catalitica. Stanno usando la biotecnologia. E anche le reti informatiche. Loro vivono di queste cose, per amor del cielo!»
Sul viso di Greta comparve un’espressione dura. «Sì, ma non… in maniera scientifica.»
«Ma loro vivono esattamente come voi — basandosi sulle loro reputazioni. Voi siete due delle comunità americane più profondamente non commerciali. Entrambe le vostre comunità si basano sulla reputazione, sul rispetto e sul prestigio.»
Gazzaniga si accigliò. «Ma cos’è, una lezione di sociologia? La sociologia non è una scienza esatta.»
«Ma è vera! Tutti voi scienziati volete diventare il ricercatore maggiormente citato e vincere tutti i premi e i riconoscimenti. Mentre i Moderatori, come il generale qui presente, vogliono essere i guru di una rete. Inoltre, nessuna delle vostre due comunità ha la più pallida idea su come vestirsi! E poi, anche se sono direttamente responsabili della catastrofe che ha colpito la nostra società, le vostre comunità sono entrambe incredibilmente abili nell’autorappresentarsi come vittime perennemente incomprese. Entrambe si lamentano continuamente perché nessun altro è tanto ganzo o tanto intelligente da capirle. Ed entrambe non hanno raccolto i loro cocci. E, infine, entrambe non si assumono mai alcuna responsabilità. Ecco perché vengono trattate come bambini dalle persone che dirigono davvero questo paese!»
Lo fissarono tutti, intimoriti.
«Sto cercando di fare entrare un po’ di buon senso nelle vostre teste» insistette Oscar, poi la sua voce divenne alta e irata. «Io non sto delirando. Io ho una prospettiva che voi, chiusi nelle torri d’avorio delle vostre rispettive subculture, semplicemente non possedete. È inutile che vi faccia capire la verità un po’ alla volta. Siete in una crisi. Questo è un nodo cruciale. Entrambe le vostre comunità hanno tagliato i loro legami con il resto della società. Dovete superare i vostri stupidi pregiudizi e unirvi in una potente coalizione. Se soltanto riusciste a farlo, il mondo sarebbe vostro!»
Oscar si protese in avanti. Dentro di lui l’ispirazione ardeva come la luce al di fuori della caverna platonica. «Possiamo sopravvivere a questa emergenza. Potremmo perfino vincere. Potremmo crescere. Se riuscissimo a gestirlo nel modo migliore, il nostro esperimento potrebbe attecchire!»
«Molto bene» intervenne Greta. «Adesso calmati. Ho una domanda da farti. Loro sono nomadi, vero? Cosa succederà dopo che ne saranno andati?»
«Lei pensa che noi ce la daremo a gambe levate» commentò Burningboy.
Greta lo guardò con espressione offesa. «E non è così che fate sempre? Pensavo che la vostra gente sopravvivesse in questo modo.»
«No, siete voi quelli senza fegato!» gridò Burningboy. «E voi dovreste essere degli intellettuali! Voi dovreste essere dei visionari! Voi dovreste dare alle persone un barlume di vita, dovreste essere un esempio a cui guardare; il potere, la conoscenza, una realtà più alta. Ma cosa siete davvero? Non siete certo dei titani dell’intelletto. Siete un mucchio di poveri idioti, portate dei vestiti buffi che vi ha comprato la vostra mammina. Siete soltanto un branco di piagnoni parassiti che muore dalla voglia di essere aiutato dal governo. Adesso vi state lamentando con me che sporchi idioti come noi non possono apprezzarvi — be’, ma cosa diavolo avete fatto per noi di recente? Cosa volete dalla vita, a parte una possibilità di bighellonare nel vostro laboratorio e di guardarci dall’alto in basso? Smettetela di comportarvi come un branco di fottuti furetti — fate qualcosa di grosso, perdenti! Rischiate, per amor di Dio. Agite come se contaste qualcosa!»
«È davvero andato» mormorò Gazzaniga, osservando il nomade a occhi sbarrati per lo stupore. «Questo tizio non ha la minima nozione di come funziona la vita vera.»
Il telefono di Flagboy squillò. Parlò brevemente, poi passò il telefono al suo capo.
Burningboy rimase in ascolto. «Devo andare» annunciò improvvisamente. «C’è stato un nuovo sviluppo. I ragazzi hanno portato un prigioniero.»
«Cosa?» esclamò Kevin. In quanto nuovo capo della polizia, Kevin assunse immediatamente un’espressione sospettosa. «Ci eravamo messi d’accordo che voi non avevate alcuna autorità di fare prigionieri.»
Burningboy arricciò il naso grosso e carnoso. «Lo hanno catturato nei boschi di pini a est della città, signor capo della sicurezza. A molti chilometri dalla sua giurisdizione.»
«E così è un Regolatore» affermò Oscar. «È una spia.»
Burningboy mise in ordine i suoi appunti e il portatile e annuì con riluttanza. «Sì.»
«Ma cosa farete a questa persona catturata?» chiese Greta.
Burningboy scrollò le spalle con espressione cupa.
«Penso che la commissione debba incontrare il prigioniero» propose Oscar.
«Oscar ha ragione» intervenne Kevin in tono serio. «Burningboy, non posso permettere che lei introduca liberamente prigionieri in questa struttura. Interroghiamolo noi!»
«Ma cosa siamo, la Santa Inquisizione?» replicò Gazzaniga con espressione scandalizzata. «Non possiamo iniziare a interrogare le persone!»
Kevin gli rivolse una risatina ironica. «Okay, va bene! Albert, sei scusato. Va’ a comprarti un gelato. Nel frattempo, noi adulti dobbiamo dare un’occhiata a questo guerrigliero terrorista.»
Greta annunciò una pausa di cinque minuti. Allertati dalla trasmissione dal vivo attraverso gli altoparlanti, giunsero numerosi altri membri della commissione. La pausa si protrasse per oltre mezz’ora. La vista dell’equipaggiamento confiscato al prigioniero generò una certa inquietudine nella commissione.
Il Regolatore aveva finto di essere un cacciatore di frodo. Aveva un arco composito pieno di rotelle che avrebbe confuso Guglielmo Tell. Le frecce di grafite contenevano freccette giroscopiche autopropellenti e unità di localizzazione GPS. LO scout possedeva anche stivali chiodati e una cintura da alpinista, ideale per spiare dalla cima degli alberi. Aveva anche un pugnale in ceramica.
Quegli aggeggi mortali avrebbero anche potuto essere posseduti da un vero cacciatore, ma c’erano altre prove che smentivano questa ipotesi: il Regolatore aveva anche un martello e alcuni cunei da inserire negli alberi per compiere azioni di sabotaggio. I cunei, in grado di rovinare le lame delle seghe a motore, erano abbastanza comuni tra i Verdi più estremisti, ma quelli in possesso del prigioniero contenevano anche microspie audio, e ripetitori per telefoni cellulari. Potevano essere piantati in profondità negli alberi, sarebbero rimasti lì per sempre, avrebbero intercettato qualsiasi conversazione e avrebbero permesso perfino di ricevere telefonate. In essi erano stati praticati minuscoli fori, in modo che potessero assorbire la linfa degli alberi per alimentare le loro batterie.
I membri del comitato si passarono quei dispositivi di mano in mano, studiandoli con cupa attenzione, come se fossero abituati a catturare ogni giorno dei sabotatori. Prendendo un coltello multiuso dalla tasca, Gazzaniga riuscì ad aprire uno dei cunei. «Aspettate un attimo!» esclamò. «Questo affare è dotato di una batteria mitocondriale.»
«Nessuno possiede batterie mitocondriali» obiettò il nuovo capo della divisione Strumenti. «Neppure noi possediamo batterie mitocondriali e quei dannati affari sono state inventati qui.»
«Allora voglio che tu mi spieghi in che modo un telefono funziona con una gelatina umida» replicò Gazzaniga. «Sai una cosa? Questi cunei somigliano molto ai nostri monitor per la vegetazione.»
«È stato tutto inventato qui» commentò Oscar. «Questo è tutto equipaggiamento del Collaboratorio. Solo che voi non lo avete mai visto utilizzato per scopi diversi.»
Gazzaniga depose il cuneo. Poi prese un uovo di latta ammaccato. «E ora questo affare — vedete, è il tipo di oggetto che viene di solito associato alla tecnologia nomade. Metallo riciclato, tutto saldato insieme, ovviamente di fabbricazione artigianale… Ma cos’è?» L’avvicinò all’orecchio e lo scosse. «C’è qualcosa dentro.»
«È una bomba al piscio» spiegò Burningboy.
«Cosa?»
«Vede quei fori sul fianco? Quello è il timer. Si tratta di chicchi di grano manipolati geneticamente. Una volta che vengono immersi in acqua calda, i semi germogliano. Rompono una membrana interna e poi la carica esplode.»
Oscar esaminò una di quelle rozze bombe incendiarie. Era stata fabbricata a mano da un artigiano con una perforatrice, un martello e un’enorme riserva di rabbia accumulata. La bomba era un dispositivo incendiario stupido e semplice senza parti mobili, ma avrebbe potuto facilmente ridurre in cenere un intero edificio. I semi di mais alterati geneticamente costavano pochissimo ed erano assolutamente affidabili. Quel tipo di grano possedeva proprietà tanto uniformi che poteva perfino essere usato come timer. Era davvero un aggeggio inquietante. Già dal punto di vista militare, era abbastanza micidiale. Dal punto di vista di un manufatto di arte primitiva, la bomba al piscio era sorprendentemente efficace. Mentre la teneva in mano, Oscar sentì che da essa si irradiavano disprezzo e odio.
Poi arrivò il prigioniero, ammanettato e scortato da quattro Moderatori. Il prigioniero indossava una tuta da cacciatore mimetica, compreso un berretto con la visiera. I suoi stivali con i lacci erano incrostati di fango secco. Aveva un naso largo, grandi orecchie pelose, folte sopracciglia, occhi neri e lucenti. Era un uomo dal fisico tarchiato, sulla trentina, con mani simili a callose zampe d’orso. Aveva un livido gonfio lungo la mascella non rasata e un altro grande livido sul collo.
«Cosa gli è successo? Perché è ferito?» chiese Greta.
«È caduto dalla bicicletta» rispose in tono piatto Burningboy.
Il prigioniero rimase in silenzio. Divenne immediatamente ovvio, con grande imbarazzo dei presenti, che non avrebbe detto loro nulla. Rimase immobile al centro della sala riunioni con aria stolida, puzzando di fumo di legna e di sudore e irradiando un totale disprezzo nei loro confronti, nei confronti di tutto quello che rappresentavano, di tutto quello che sapevano. Oscar studiò il Regolatore con profondo interesse professionale. Quell’uomo era incredibilmente fuori posto. Era come se un ciocco di cipresso duro come pietra fosse stato estratto dai recessi più oscuri di una palude infestata di pipistrelli e scaricato sul tappeto davanti a loro.
«Tu pensi davvero di essere un duro, eh?» gli chiese Kevin in tono acuto.
Il Regolatore lo ignorò ostentatamente.
«Noi possiamo farti parlare» ringhiò Kevin. «Aspetta fino a quando avrò caricato i miei file anarchici su come improvvisare un interrogatorio! Ti faremo delle cose tremende, spaventose! Con cavi, fiammiferi e tutto il resto.»
«Mi scusi, signore» intervenne Oscar in tono educato. «Parla inglese? Parlez-vouz français?»
Nessuna risposta.
«Noi non la tortureremo, signore. Qui si trova tra persone civili. Vogliamo soltanto che ci dica perché stava esplorando il nostro vicinato con tutti questi dispositivi incendiari e di sorveglianza. Se ci dirà cosa stava facendo e chi glielo ha ordinato, la lasceremo andare a casa.»
Nessuna risposta.
«Signore, riconosco che lei è fedele alla sua causa, qualsiasi essa sia, ma adesso è nostro prigioniero, lo sa. Non deve rimanere assolutamente muto in circostanze del genere. È considerato assolutamente etico fornire il suo nome, il suo numero di matricola e il suo indirizzo di rete. Se lo facesse, noi potremmo avvertire i suoi amici — sua moglie, i suoi figli — che lei è sano e salvo.»
Nessuna risposta. Oscar sospirò in tono paziente. «Okay, lei non vuole parlare. Vedo che la sto stancando. E così, se soltanto volesse indicarmi che non è sordo…»
Le folte sopracciglia del Regolatore vibrarono leggermente. Squadrò Oscar come se stesse calcolando in che parte del corpo piantargli una freccia. Alla fine, parlò: «Un bell’orologio. Davvero bello.»
«Okay» mormorò Oscar. «Suggerisco di prendere il nostro amico e di scaricarlo nell’edificio Ricadute industriali, insieme agli altri uomini di Huey. Sono sicuro che ha un sacco di notizie da comunicargli.»
Gazzaniga rimase scandalizzato. «Cosa? Non possiamo mettere questo tizio insieme a quelle persone! È molto pericoloso! È un selvaggio nomade criminale!»
Oscar sorrise. «E allora? Noi abbiamo centinaia di selvaggi nomadi criminali. E inutile parlare con questo tizio. Non abbiamo bisogno di lui. Dobbiamo parlare seriamente con i nostri nomadi. Loro sanno tutto quello che sa lui, e anche di più. Inoltre, i nostri amici sono disposti a difenderci. Dunque, adesso possiamo iniziare a fare sul serio? Ragazzi, portate via il prigioniero.»
Dopo quel confronto, i negoziati di emergenza raggiunsero un terreno più solido: equipaggiamento e strumentazione. In questo campo i nomadi e gli scienziati scoprirono di avere pressanti interessi comuni. Il loro mutuo bisogno di mangiare era particolarmente pressante. Burningboy presentò tre dei suoi esperti tecnici. Greta requisì il tempo dei suoi biotecnici migliori. I colloqui proseguirono fino al tramonto.
Oscar lasciò l’edificio, si cambiò d’abito per evitare qualsiasi microspia, poi andò in uno dei giardini per fare una tranquilla chiacchierata con il capitano Burningboy.
«Diamine, lei è un vero diavolo astuto!» borbottò Burningboy, masticando una manciata di lunghi spaghetti azzurri. «Il tono di quella riunione è cambiato in maniera radicale quando ha fatto portare dentro quel tizio. Mi chiedo come avrebbero reagito, se avessi detto loro che lo avevamo catturato già due giorni fa.»
«Oh, sapevamo entrambi che il Regolatore non avrebbe parlato» replicò Oscar. «Lo stavo conservando per il momento politico adatto. Non c’è nulla di disonesto nel rivelare i fatti nel loro contesto appropriato. Dopo tutto, siete stati voi a catturarlo e lui era un commando.» Abbassarono la voce e aggirarono in punta di piedi una lince addormentata. «Vede, è inutile fare entrare un po’ di buon senso nella testa degli scienziati. Gli scienziati disprezzano il buon senso, pensano che sia irrazionale. Per smuoverli, c’è bisogno di esercitare una forte pressione morale, di qualcosa che vada al di là delle loro aspettative. Vivono circondati da alte pareti intellettuali — il giudizio dei loro colleghi, la costruzione passiva, l’uso costante della terza persona plurale…»
«Glielo concedo, Oscar. Il trucco ha funzionato alla grande. Ma ancora non capisco perché.»
Oscar fece una pausa di riflessione. Gli piacevano quelle conversazioni private con Burningboy, che stava dimostrando di essere un pubblico molto ricettivo. Il Moderatore texano era un fuorilegge male in arnese, sulle soglie della vecchiaia e con una fedina penale lunga un miglio, ma era anche un vero politico, un protagonista regionale dotato di una spiccata intuizione. Oscar provò un forte bisogno di spiegare tutto a quell’uomo.
«Ha funzionato perché… be’, mi permetta di farle il quadro generale della situazione. Si è mai chiesto perché non ho fatto alcuna mossa contro gli uomini di Huey nel laboratorio? Perché sono ancora asserragliati lì dentro, perché hanno ancora il controllo di un intero edificio? Perché siamo coinvolti in una guerra di rete. Siamo come un gruppo di pietre per il go. Per sopravvivere a una guerra di rete, un gruppo circondato ha bisogno di occhi. È una questione di collegamenti, di percezione e di spazio di manovra. Noi siamo circondati all’interno di questa cupola, ma non completamente, perché all’interno di essa c’è una piccola cupola di nemici. Io ho mandato deliberatamente quel Regolatore tra loro, in modo che adesso anche quel sottogruppo avrà il suo contingente nomade, come noi. Capisce, le persone intuiscono istintivamente questo tipo di simmetria. Agisce su di loro a livello inconscio. Per loro acquista un significato, modifica la percezione che hanno del mondo. Avere dei nemici all’interno della cupola sembrerebbe danneggiarci, ma il fatto che possiamo tollerare il nostro nucleo di dissenso — in effetti è questo che ci rafforza. Perché noi non siamo totalitari. Non siamo monolitici. Non siamo fragili, siamo cedevoli. Al nostro interno abbiamo molto spazio.»
«Davvero?» replicò Burningboy in tono scettico.
«Lì c’è una frattalità vitale. Sostanzialmente si tratta di valutare correttamente i problemi. Noi siamo qui, all’interno di questa cupola. All’esterno delle nostre mura, è in agguato Green Huey, animato da un sinistro intento. Ma il presidente sta tenendo d’occhio Huey — e il nostro nuovo presidente è, nel suo modo peculiare, una persona molto più sinistra del governatore della Louisiana. Il presidente governa gli USA, una nazione che adesso è ferita e rivolta verso l’interno, un piccolo mondo, circondato da un mondo più grande pieno di gente che si è stufata di noi. Non pagano più l’America per sentirsi dire che noi siamo il loro futuro. E poi, oltre quel mondo… be’, immagino che ci sia il mondo di Greta. Un cosmo razionale, einsteniano-newtoniano. Il cosmo dei fatti oggettivi, osservabili. E oltre la comprensione scientifica… tutti quegli oscuri fenomeni. La metafisica, la volontà, le idee. La storia, forse.»
«E lei crede davvero in tutte queste sciocchezze?»
«No, non ci credo nello stesso modo in cui credo che due più due fa quattro, però si tratta di una metafora funzionale, accettabile. Ma cosa possono davvero ‘sapere’ i politici su qualsiasi cosa? La storia non è un laboratorio. Non ci si bagna mai due volte nello stesso fiume. Però alcune persone hanno un’ottima intuizione politica, altre no.»
Burningboy annuì lentamente. «Lei ci osserva da lontano, da molto lontano, vero, Oscar?»
«Be’, non sono mai stato un nomade — almeno non ancora. E non diventerò mai neppure uno scienziato. Posso riconoscere la mia ignoranza, ma non posso permettere che mi paralizzi — sono al potere, devo agire. La conoscenza è soltanto conoscenza. Ma il controllo della conoscenza — ecco cos’è la politica.»
«Questo non era il tipo di estraneità che avevo in mente.»
«Oh.» Oscar si rese conto della verità. «Lei si riferisce al mio problema personale.»
«Certo.»
«Lei vuole dire che io sono avvantaggiato perché non faccio parte della razza umana.»
Burningboy annuì. «Non ho potuto fare a meno di notarlo. Per lei è sempre stato così?»
«Sì, quasi sempre.»
«E lei è il futuro?»
«No, non ci conterei troppo. Mi mancano troppi pezzi.»
Oscar capì che la situazione si era stabilizzata quando scoppiò un clamoroso scandalo a sfondo sessuale. Una delle soldatesse adolescenti dei nomadi accusò uno scienziato di mezza età di averla palpata in maniera indecente. Questo incidente causò un vero e proprio scompiglio.
Oscar trovò che quello scandalo era uno sviluppo positivo. Significava che il conflitto tra le due popolazioni del Collaboratorio si era trasferito su un livello simbolico, psicosessuale, ma privo di significato dal punto di vista politico. Lo scontro pubblico riguardava risentimenti profondi e deprivazioni psichiche che non avrebbero mai potuto essere curati e che, di conseguenza, erano sostanzialmente irrilevanti. Ma tutto quel chiasso fu molto utile, poiché significò che adesso era possibile compiere silenziosi progressi su ogni altro fronte. Lo psicodramma pubblico assorbì l’attenzione di vasta parte dell’opinione pubblica, mentre i veri problemi del Collaboratorio erano diventati un semplice rumore di fondo. I veri problemi vennero lasciati nelle mani di persone a cui stavano abbastanza a cuore da intraprendere azioni costruttive.
Oscar colse l’opportunità di imparare a usare un computer portatile dei Moderatori. Gliene era stato donato uno, e lui riconobbe quel gesto, correttamente, come un alto onore tribale. Il computer dei Moderatori aveva una custodia verde flessibile di paglia plastificata. Pesava più o meno quanto un sacchetto di pop-corn. E la tastiera, invece della vecchia disposizione dei tasti secondo lo schema QWERTY, vantava una facile e ragionevole, per quanto leggermente minacciosa, disposizione DHIATENSOR.
A Oscar era stato assicurato numerose volte che la venerabile disposizione QWERTY della tastiera non sarebbe mai stata sostituita. In teoria, questo era dovuto a un fenomeno chiamato ‘blocco tecnologico’. Lo schema QWERTY era il modo peggiore di progettare una tastiera — in effetti, era stato adottato per rallentare deliberatamente la velocità di chi batteva a macchina — ma lo sforzo necessario per apprenderlo era così grande che le persone non vi avrebbero mai rinunciato. Era come lo spelling inglese, oppure le unità di misura americane, o la ridicola progettazione dei bagni; era pessima, ma ormai si trattava di un fatto sociale naturale. L’universalità dello schema QWERTY rendeva impossibile l’adozione di altre alternative.
O così a Oscar avevano sempre detto. Eppure lì, davanti a lui, c’era un’alternativa impossibile: DHIATENSOR. Era ragionevole, era efficiente. Funzionava molto meglio di QWERTY.
Pelicanos entrò nella stanza d’albergo. «Ancora sveglio?»
«Certo.»
«Su cosa stai lavorando?»
«Sui comunicati stampa di Greta. È presto dovrò parlare con Bambakias, sto trascurando troppo il senatore. Prendo appunti e, per la prima volta in vita mia, sto imparando come digitare nel modo più corretto.» Oscar fece una pausa. Era ansioso di informare Pelicanos sulle affascinanti differenze sociali che aveva scoperto tra i Regolatori e i Moderatori. A un occhio distratto, i sudici e truculenti nomadi non avrebbero potuto essere distinti neppure con l’aiuto di un microscopio elettronico — tutte le loro differenze erano inerenti all’architettura del loro software di rete.
Nei campi di battaglia invisibili delle reti, divampavano scontri di dimensioni epiche. Tribù e comunità virtuali avevano sperimentato letteralmente migliaia di configurazioni diverse, mettendole alla prova, usandole a fondo, osservandole morire…
«Oscar, dobbiamo parlare seriamente.»
«Magnifico.» Oscar spinse da parte il portatile. «Dimmi come stanno le cose.»
«Oscar, ti stai facendo coinvolgere troppo in questa faccenda. Tutti i negoziati con il comitato di emergenza, tutto il tempo che passi a trattare con quei tizi della sicurezza nazionale, che non sono disposti a concederti nulla… dobbiamo fare il punto della situazione.»
«Okay. Magnifico.»
«Di recente sei uscito dal laboratorio? Il cielo è pieno di ‘aerei per le consegne’ che non consegnano nulla a nessuno. Ci sono poliziotti e blocchi stradali in tutto il Texas orientale.»
«Sì, stiamo generando un mucchio di interesse all’esterno. Siamo un grande fenomeno popolare. I giornalisti amano la società ibrida che si è formata qui, la trovano estremamente stimolante.»
«Sono d’accordo con te che è molto interessante. Ma non ha nulla a che fare con il nostro programma. Questa situazione non è mai rientrata nei nostri piani. Noi avremmo dovuto aiutare Bambaleas con la commissione scientifica del Senato. In teoria, la krew è venuta qui in vacanza. Tu non avresti dovuto diventare un agente segreto, che lavora part-time per il presidente, mentre si impadronisce di strutture federali con l’aiuto di una banda di gangster.»
«Hmmm. Su questo hai assolutamente ragione, Yosh. Non era prevedibile. Ma era fattibile.»
Pelicanos si sedette e serrò le mani. «Sai qual è il tuo problema? Ogni volta che perdi di vista il tuo obiettivo, raddoppi i tuoi sforzi.»
«Non ho mai perso di vista il mio obiettivo! Il mio obiettivo è di quello di riformare l’intera ricerca scientifica americana.»
«Oscar, ho riflettuto molto su questa faccenda. Io odio davvero questa situazione. Tanto per dirne una, non mi piace molto il presidente. Io sono un democratico federale. Non stavo scherzando quando facevamo tutto quel lavoro per Bambakias e il Blocco riformista. Non voglio lavorare per questo presidente. Non sono d’accordo con la sua linea politica. È un comunista, per amor del cielo!»
«Il presidente non è un comunista. È un miliardario magnate del legname con un passato nel business dei casinò nelle riserve indiane.»
«Be’, i comunisti fanno parte del Blocco tradizionale di sinistra. Non mi fido di lui, non mi piacciono i suoi discorsi. Non mi piace il fatto che litighi con gli olandesi, quando dovremmo impegnarci a mettere ordine nei nostri affari domestici. Non è il nostro tipo di politico. È crudele, è scaltro, aggressivo.»
Oscar sorrise. «Almeno non dorme sul lavoro, come faceva quello vecchio.»
«Meglio vivere sotto Re Travicello che sotto Re Cicogna, amico.»
«Yosh, so che non sei di sinistra, ma devi ammettere che il Blocco tradizionale di sinistra è molto meglio di quei pazzi furiosi dei progressisti di sinistra.»
«Questo non migliora la situazione! Bambakias si sarebbe fidato di te a occhi chiusi — il presidente non ti darà neppure un vero incarico. Non ci ha mai dato nulla, tranne vuote promesse. Ti ha lasciato in brache di tela. E così, nel frattempo, dobbiamo appoggiarci su quei Moderatori. E per noi non ci sarà futuro, se ci facciamo proteggere da dei gangster.»
«Ma certo che ci sarà.»
«No, non è così. I prolet sono perfino peggiori dei progressisti di sinistra. Hanno uno slang buffo, e vestiti buffi, e computer portatili, e biotecnologia, sono pittoreschi, ma rimangono pur sempre una mafia. Quel bravo vecchio ragazzo, il generale Burningboy… adesso ti tratta con i guanti, ma non è quello che tu credi. Tu pensi che sia un vecchietto affascinante, un diamante grezzo, il tipo di uomo che ti piacerebbe avere nella tua krew. Non è così. È un ultraradicale settario e senza dubbio ha i suoi piani.»
Oscar annuì. «Questo lo so.»
«E poi c’è Kevin. Tu non hai fatto abbastanza attenzione a Kevin. Hai messo un bandito a capo della polizia. Adesso quel tizio è diventato una specie di Mussolini in miniatura. Ha messo sotto controllo i telefoni, i computer, i video di sicurezza, questo posto è pieno di sue microspie. Adesso si è formato un branco di informatori, una banda di strambe vecchiette nomadi in rete in un parcheggio di case mobili, da qualche parte in quel che rimane dello Wyoming… Quel ragazzo è fuori di testa. Tutto questo è una follia.»
«Ma Kevin viene da Boston, come noi» ribatté Oscar. «Una sorveglianza molto stretta produce bassi tassi di violenza. Kevin fa il lavoro al posto nostro e non esita mai quando aggiriamo le regole. È stata davvero un’ottima scelta.»
«Oscar, tu sei ossessionato. Lascia stare gli esperimenti sociali utopistici e tutte le chiacchiere sul quadro generale. Scendi quaggiù, torna alla realtà. Kevin lavora qui perché tu gli paghi lo stipendio. Sei tu che paghi gli stipendi di tutta la tua krew, e sono i membri della tua krew che mandano avanti questo posto. Nessun altro percepisce uno stipendio — tutto quello che fanno è mangiare il cibo dei prolet e lavorare nei loro laboratori. Io sono il tuo contabile e, lascia che te lo dica, non puoi permetterti tutto questo ancora per molto. Non puoi pagare un numero di persone sufficienti per dare il via a una rivoluzione.»
«Non c’è modo di pagare un numero di persone sufficiente per fare qualcosa del genere.»
«Ti sta dimostrando ingiusto nei confronti della tua krew. La tua krew ha organizzato la campagna mediatica in Massachusetts, ma non può fare miracoli. Non hai mai spiegato loro che sono diventati una specie di giunta rivoluzionaria. Questo posto non ha nessuna risorsa finanziaria. Neppure tu hai uno stipendio. Non hai neppure un incarico ufficiale nel governo. Il Collaboratorio va avanti sul tuo capitale.»
«Yosh, ci sono sempre altri fondi. Quello che è davvero interessante è amministrare questo posto facendone a meno! Un governo basato sul puro prestigio. Prendi i Moderatori, per esempio. Hanno una vera economia basata sul prestigio, pienamente funzionale. È stato tutto elaborato fin nei minimi dettagli; per esempio, hanno un sistema di votazione elettronico a schede che…»
«Oscar, ma tu dormi? Mangi bene? Sai cosa stai facendo qui?»
«Sì, lo so. Non è quello che avevamo previsto all’inizio, ma è quello che deve essere fatto. Sto rubando la marmellata di Huey.»
«Tu sei impegolato in una faida personale con il governatore della Louisiana.»
«No, non è così. La verità è che io sto conducendo una lotta su vasta scala con il più grande visionario politico nell’America contemporanea. E Huey è in vantaggio di anni su di me. Sono anni che si sta coltivando i suoi nomadi, guadagnandosi la loro fedeltà, costruendo la loro infrastruttura. Ha fatto in modo che un branco di vagabondi senzatetto siano diventati il gruppo sociale tecnologicamente più avanzato nel suo Stato. Ha trasformato se stesso nel leader di un movimento di massa sotterraneo e sta promettendo di diffondere tutte queste conoscenze tecnologiche e di trasformare ogni uomo in un mago. E loro lo adorano per questo, perché l’intera struttura della loro economia di rete è stata regolata in questo modo, in modo deliberato e surrettizio. Si tratta di corruzione su scala fantastica — è un’impresa tanto titanica che ormai è anche assurdo definirla ‘corruzione’. Huey ha creato una nuova società alternativa, con una struttura di potere alternativa, che ruota intorno a lui: Green Huey, il re delle paludi. Io qui sto lavorando il più in fretta possibile, perché Huey mi ha già dimostrato che il suo metodo funziona — in effetti, funziona tanto bene che è pericoloso. L’America è alle corde e Huey è un dittatore sorridente che sta creando una dittatura basata sulle neuroscienze!»
«Oscar, ma ti rendi conto che quello che stai dicendo è una vera follia? Sai che diventi pallido come un morto quando parli così?»
«Io ti sto dicendo la verità. Tu sai che io dico sempre la verità, Yosh.»
«Okay, mi stai dicendo la verità. Ma non posso farlo, non posso vivere in questo modo. Non ci credo. Mi dispiace.»
Oscar lo fissò.
«Oscar, ormai con te è come andare a sbattere contro un muro. Io voglio del cibo vero, un tetto vero sopra la testa. Non posso chiudere gli occhi, saltare alla cieca e correre questo tipo di rischi. Io ho una persona che dipende da me. Mia moglie ha bisogno di me, ha bisogno di cure. Ma tu… tu non hai più bisogno di me. Perché io sono un contabile! Tu stai mettendo in piedi una situazione in cui io non ho alcuna funzione. Nessun ruolo. Nessun lavoro. Non ci sono conti da tenere.»
«Sai una cosa? Non ci avevo mai pensato. Ma aspetta; dovrà esserci per forza qualche tipo di trasferimento del reddito. Un po’ di denaro continuerà sicuramente a circolare, avremo bisogno di pezzi di equipaggiamento e cose del genere…»
«Qui hai stabilito uno strano regime alieno. Non è una società di mercato. È una società basata sul culto. Si basa esclusivamente su persone che si guardano negli occhi e si abbracciano a vicenda. In teoria è tutto molto interessante, ma quando l’esperimento fallirà e qui andrà tutto in pezzi, arriveranno i gulag e le purghe, proprio come nell’era comunista. Se sei davvero deciso a farlo, Oscar, io non posso salvarti. Nessuno può farlo. Non voglio essere con te quando tutto il castello di carte verrà giù. Perché finirai in prigione. Nell’ipotesi migliore.»
Oscar gli rivolse un sorriso stentato. «E così non credi che dichiararmi ‘incapace di intendere e di volere’ basterà a salvarmi?»
«Questo non è un gioco. E che ne dici della tua krew, Oscar? Cosa accadrà a tutti noi? Tu sei un grande organizzatore di campagne elettorali. Sei davvero dotato. Ma questa non è una campagna elettorale. E non è più neppure uno sciopero o una protesta. Questo è un piccolo colpo di stato e tu ti stai comportando come il guru di qualche milizia in un villaggio secessionista. Anche se gli altri della krew vorranno rimanere con te, come puoi fare loro correre questo rischio? Tu non glielo hai mai chiesto, Oscar. Non hanno mai avuto la possibilità di votare.»
Oscar si raddrizzò sulla panchina. «Yosh, tu hai ragione. È un’analisi solida, non posso fare una cosa del genere alla mia krew; non è etico, è un comportamento scorretto. Dovrò informarli. Se mi lasciano, è un sacrificio che dovrò accettare.»
«Ho avuto un’offerta di lavoro dall’ufficio del governatore di Boston» annunciò Pelicanos.
«Il governatore? Andiamo! Ma è un vecchio pallone gonfiato del partito di Forza America.»
«Forza America è un partito riformista. Il governatore sta organizzando una coalizione contro la guerra e mi ha chiesto di fungere da tesoriere.»
«Non stai scherzando, vero? Tesoriere, eh? Per te si tratta di un ottimo incarico.»
«La tradizione pacifista è molto forte in Massachusetts. Va al di là dei partiti e dei blocchi. E poi, bisogna davvero fare qualcosa. Il presidente fa sul serio. Non sta bluffando. Vuole davvero una guerra. Invierà delle navi da guerra dall’altra parte dell’Atlantico. Sta pressando quel piccolo paese solo per potere applicare il pugno di ferro qui.»
«E tu credi che le cose stiano davvero così, Yosh? Questa è davvero la tua valutazione?»
«Oscar, tu ormai sei tagliato fuori da tutto il resto. Tu stai qui giorno e notte, lambiccandoti il cervello su differenze trascurabili tra le varie tribù nomadi. Stai tirando tutti i fili dentro questa piccola palla di vetro. Ma stai perdendo di vista la realtà nazionale. Sì, il presidente Two Feathers è sul sentiero di guerra! Vuole una dichiarazione di guerra del Congresso! Vuole la legge marziale! Vuole un bilancio di guerra sotto il suo controllo. Vuole che i comitati di emergenza vengano scavalcati e aboliti, così, di botto. Diventerà praticamente un dittatore.»
Immediatamente Oscar pensò che se il presidente fosse riuscito a raggiungere almeno la metà di quei commendevoli obiettivi, la perdita dell’Olanda sarebbe stato un piccolo prezzo da pagare. Ma pronunciò la sua risposta in tono duro. «Yosh, io lavoro per questo presidente. Lui è il mio capo, il mio comandante. Se tu la pensi davvero così su di lui e sui suoi programmi, allora non possiamo più essere colleghi di lavoro.»
Pelicanos assunse un’espressione sofferta. «È proprio per questo che sono venuto qui.»
«Sono felice che tu sia venuto. Tu sei il mio più vecchio e migliore amico, il mio confidente più intimo. Ma i nostri rapporti personali non possono farci trascurare il fatto che le nostre visioni politiche sono profondamente divergenti. Se mi stai dicendo la verità, allora le nostre strade devono davvero separarsi. Tu dovrai tornare a Boston e accettare quel posto da tesoriere.»
«Non mi piace doverlo fare, Oscar. So che questa è la tua ora del bisogno. E il tuo patrimonio privato ha bisogno di qualcuno che se ne prenda cura; devi tenere d’occhio quegli investimenti. Prevedo forti turbolenze sui mercati.»
«Ci sono sempre turbolenze sui mercati. Io sono in grado di gestirle. Mi dispiace soltanto perderti. Tu mi hai seguito fin dall’inizio della mia carriera politica.»
«Hic et non ultra, amico.»
«Forse, se mi mettono in prigione a Boston, potrai mettere una buona parola con il tuo amico governatore quando gli invierò la mia richiesta di grazia.»
«Ti manderò dei messaggi di posta elettronica» rispose Yosh. Si asciugò gli occhi dalle lacrime. «Adesso devo andare a sgombrare la scrivania.»
Oscar fu profondamente scosso dalla defezione di Pelicanos. Date le circostanze, era stato impossibile evitarla. Era triste ma necessario, come la sua defezione forzata da Bambakias quando era entrato a far parte dello staff presidenziale. C’erano dei problemi che semplicemente non potevano venire risolti. Un professionista molto abile poteva danzare su due sgabelli, ma rimanere in equilibrio su sette od otto andava al di là delle capacità di chiunque.
Era trascorso un po’ di tempo dall’ultima volta che Oscar aveva parlato con Bambakias. Si era tenuto aggiornato sulla copertura mediatica del senatore. La popolarità del senatore pazzo era più alta che mai. Aveva ripreso tutto il peso perduto; forse era addirittura leggermente ingrassato. Gli inservienti della sua krew lo portavano in pubblico su una sedia a rotelle; osavano fare lo stesso perfino in Senato. Ma il fuoco era svanito. Adesso la vita di Bambakias era fatta di nastri da tagliare e di teleprompter.
Usando il suo telefono satellitare della sicurezza nazionale installato di recente, Oscar organizzò una videoconferenza con Washington. Bambakias aveva una nuova segretaria, una donna che Oscar non aveva mai visto prima. Oscar riuscì a farsi concedere una mezz’ora.
Quando la chiamata venne finalmente passata, si trovò di fronte a Lorena Bambakias.
Lorena aveva un bell’aspetto. Ma Lorena, essendo Lorena, non poteva che avere un bell’aspetto. Però aveva un’aria fragile, pallida. Lorena aveva conosciuto il dolore.
Vedendola, Oscar provò una stretta al cuore. Rimase sorpreso di quanto gli fosse sinceramente mancata. Con Lorena era sempre stato molto attento, perfettamente consapevole delle sue inesauribili riserve di minaccia femminile; ma si era dimenticato di quanto gli piacesse, di quanto fosse importante per lui nella vita che aveva abbandonato. Cara, vecchia Lorena: ricca, colta, amorale e dai gusti raffinati — davvero il suo tipo di donna; una creatura delle classi superiori, una classica donna curatissima, una donna che era stata davvero messa insieme. Vedere Lorena in quel modo — consumata dal dolore — gli provocò una fitta al cuore. Lei era come un bel paio di forbici che erano state usate per tagliare del filo spinato.
«È bello che tu abbia chiamato, Oscar» lo salutò Lorena. «Non ci chiami mai abbastanza.»
«Sei un vero tesoro. Come vanno le cose? Dimmi la verità.»
«Oh, viviamo alla giornata. Alla giornata, ecco tutto. I dottori mi dicono che sta facendo dei grandi progressi.»
«Davvero?»
«Oh, è incredibile cosa possano fare milioni di dollari nel sistema sanitario americano. Nel segmento alto del mercato, adesso possono fare un sacco di strani trucchi neurali. Lui è allegro.»
«Davvero.»
«È molto allegro. È stabile. La maggior parte delle volte, è perfino lucido.»
«Lorena, ti ho mai detto di quanto mi sia dispiaciuto per tutto quello che è successo?»
Lei sorrise. «Buon vecchio Oscar. Adesso mi sono abituata, sai? Lo accetto. Non avrei mai pensato che fosse possibile — e forse non lo è davvero — ma può essere fatto. Sai però quello che mi preoccupa di più? Non sono tutti gli attestati di simpatia, o la copertura mediatica o i fan club o cose del genere… Sono quegli imbecilli che credono che la malattia mentale sia una cosa romantica, affascinante. Pensano che diventare pazzi sia qualche tipo di avventura spirituale. Non lo è. Assolutamente. È orribile. È banale. Io ho a che fare con qualcuno che è diventato banale. Il mio caro marito, che era l’uomo meno banale che avessi mai incontrato. Aveva tanti interessi, un’immaginazione sfrenata, era così energico, brillante, affascinante! Adesso è come un bambino cresciuto. Ed è un bambino non troppo sveglio, che può essere ingannato e manipolato, ma con cui non si può ragionare.»
«Sei molto coraggiosa. Ti ammiro molto per quello che hai detto.»
Lorena iniziò a piangere. Si massaggiò gli occhi con la punta delle dita curate alla perfezione. «Adesso sto piangendo ma… Be’, non preoccuparti, va bene? Tu sei una di quelle persone che sa come eravamo, un tempo.»
«Non mi importa.»
Dopo qualche istante Lorena sollevò lo sguardo; sul volto sottile c’era un’espressione compostamente allegra. «Be’, non mi hai detto come ti vanno le cose.»
«A me, Lorena? Non potrebbero andare meglio! Qui sto realizzando delle cose incredibili. Sì, ci sono sviluppi incredibili, assolutamente affascinanti.»
«Sei molto dimagrito» commentò lei. «Hai l’aria stanca.»
«Ho avuto qualche problema con le mie nuove allergie. Sto bene, fino a quando ci sono dei filtri dell’aria.»
«Come vai il tuo nuovo lavoro per il presidente? Deve essere eccitante fare parte del consiglio per la sicurezza nazionale quando sta per scoppiare una guerra.»
Oscar aprì la bocca. Era vero: lui faceva parte del consiglio per la sicurezza nazionale e c’era una guerra sul punto di scoppiare e, nonostante il suo status incerto e il suo profondo disinteresse per gli affari esteri, sapeva molte cose sulla guerra imminente. Sapeva che il presidente aveva intenzione di inviare una flotta di vecchie navi da guerra dall’altra parte dell’Atlantico, senza nessuna copertura aerea. Sapeva che il presidente era assolutamente deciso a provocare una guerra, che riuscisse o no a convincere il Congresso a dichiararla. Sapeva che in un mondo di missili a basso prezzo in grado di centrare sempre il bersaglio e di un numero infinito di aerei robot disponibili, la flotta americana era una facile vittoria.
Sapeva anche che avrebbe perso il lavoro e magari sarebbe stato accusato di spionaggio se avesse rivelato quelle informazioni alla moglie di un senatore su un telefono cellulare del consiglio per la sicurezza nazionale. Oscar chiuse la bocca.
«Sono soltanto un consigliere scientifico» spiegò infine. «Il senatore deve avere molte più informazioni di quante ne abbia io.»
«Ti piacerebbe parlare con lui?»
«Sarebbe magnifico.»
Lorena andò via. Oscar aprì il computer portatile donatogli dai nomadi, studiò lo schermo per un istante, poi lo chiuse di nuovo.
Il senatore venne inquadrato dalla telecamera. Indossava un pigiama e una vestaglia in velluto blu. Il volto sembrava gonfio, lucido e stranamente informe, come se la personalità di Bambakias avesse perso il controllo dei muscoli facciali.
«Oscar!» esclamò Bambakias in tono roboante. «Il buon vecchio Oscar! Penso a te ogni giorno.»
«È bello saperlo, senatore.»
«Stai facendo delle cose meravigliose laggiù, in quella struttura scientifica. Cose meravigliose. Vorrei davvero poterti dare una mano. Forse potremmo venire in volo lì domani. Sarebbe bello. Otterremmo grandi risultati.»
La voce di Lorena si udì al di fuori dell’inquadratura. «Domani c’è una seduta, Alcott.»
«Sedute, sempre sedute. Va bene. Però io mi tengo aggiornato. Davvero. So cosa sta succedendo, sul serio! Lì stai facendo davvero grandi cose. Mi dicono che non hai più un bilancio. Riempire quel posto di disoccupati! Una manovra geniale! È proprio come dicevi sempre, Oscar — bisogna sempre spingere una questione politica fino a quando dovranno accorgersene per forza. Si tratta di una tattica grandiosa… davvero grandiosa.»
Oscar fu commosso da quelle parole. Ovviamente il senatore era in uno stato maniacale, ma quando era così in ebollizione, parlare con lui era più facile — era come una versione distorta del suo vecchio carisma.
«Senatore, lei ha già fatto molto per noi. Qui abbiamo costruito un albergo seguendo i suoi progetti. Gli abitanti del luogo sono rimasti notevolmente impressionati.»
«Oh, ma non è nulla.»
«No, sul serio, il suo progetto ha suscitato numerosi commenti favorevoli.»
«E io sono altrettanto serio quando ti dico che si tratta di una sciocchezza. Dovresti vedere i progetti che facevo quando ero all’università. Gigantesche cupole geodesiche intelligenti. Enormi strutture reattive fatte di membrane e di aste. Si possono trasportare su dei dirigibili e lanciarle su gente che sta morendo di fame, nel deserto. Le progettai per un concorso, sai, riguardava la progettazione di strutture di assistenza da utilizzare in caso di disastri ecologici, organizzato dalle Nazioni Unite — quando l’America faceva ancora parte delle Nazioni Unite.»
Oscar ammiccò. «Strutture per l’assistenza in caso di disastri?»
«Non furono mai costruite. Erano troppo sofisticate e hi-tech per gli affamati e arretrati abitanti del Terzo Mondo, o così dissero. Burocrati! Mi sono fatto un culo così su quel progetto.» Bambakias rise. «Vedi, non ci sono soldi nel campo. In seguito, ho utilizzato lo stesso concetto, ma in piccolo, come nel caso di quelle sedie. Ma anche in quel campo non ho avuto fortuna. Gli altri sembrano non apprezzare un’architettura del genere.»
«In effetti, senatore, qui in laboratorio abbiamo una di quelle sedie nell’ufficio del direttore. Sta provocando una serie di reazioni molto favorevoli. La gente del posto ama sul serio quella sedia.»
«Non dirmelo. È un vero peccato che gli scienziati non possano permettersi di comprare nessun pezzo di arredamento di fascia alta.»
«Alcott, mi chiedo se lei abbia ancora da qualche parte i progetti di quegli edifici. Mi piacerebbe vederli.»
«Vederli? Al diavolo, ma puoi averli, se vuoi. È il minimo che posso fare per te, dopo tutto quello che ti ho fatto passare.»
«Spero che lo farà davvero, senatore. Parlo sul serio.»
«Ma sicuro, prendili pure! Prendi tutto quello che vuoi! Una specie di svendita dei prodotti del mio ingegno. Sai, se invadiamo l’Europa, Oscar, probabilmente questo significherà uno scambio nucleare.»
Oscar abbassò la voce e replicò in tono tranquillo, «Non penso proprio che succederà, Al.»
«Quei piccoli bastardi olandesi stanno stuzzicando i grandi, vecchi USA. Loro e i loro zoccoli di legno e i tulipani. Noi siamo una superpotenza! Noi possiamo polverizzarli.»
Lorena si fece sentire. «Penso che sia tempo di prendere la tua medicina, Alcott.»
«Ho bisogno di sapere quale sia la vera opinione di Oscar sulla guerra! Io sono completamene a favore. Io sono un falco! Siamo stati lo zimbello di questi signor nessuno europei comunisti ed ecologisti per troppo tempo. Tu non credi, Oscar?»
Arrivò un’infermiera. «Riferisci al presidente la mia opinione!» insistette il senatore mentre l’infermiera lo conduceva via. «Di’ a Two Feathers che io sono con lui su tutta la linea.»
Lorena venne di nuovo inquadrata dalla telecamera. Aveva un’espressione cupa, scossa.
«Adesso ci sono molte facce nuove nella krew, Lorena.»
«Ah, sì.» Fissò lo sguardo nella telecamera. «Non ti ho mai informato della situazione di Moira, vero?»
«Moira? Pensavo che avessimo risolto quel problema da un bel po’ di tempo.»
«Oh, dopo la prigione, Moira si è comportata in modo perfetto. Fino a quando Huey non è venuto a cercarla. Adesso Moira lavora per lui, a Baton Rouge.»
«Oh, no.»
«Dopodiché, per la krew la situazione è precipitata. Il loro morale aveva subito un duro colpo con la malattia del senatore, e una volta che Huey è riuscito ad attirare il nostro precedente portavoce nella sua corte… be’, puoi immaginare come siano andate le cose.»
«Avete perso molte persone?»
«Ne abbiamo assunte semplicemente della altre, ecco tutto.» Sollevò lo sguardo. «Forse, qualche giorno, tu tornerai da noi.»
«Sarebbe bello. Magari per la campagna per la rielezione di Alcott.»
«Quella sarebbe una vera sfida… Sei così bravo con lui. Lo sei sempre stato. Per esempio, quella storia assurda dei suoi vecchi progetti. Lo ha davvero commosso, per un minuto è stato davvero lucido. Quando parla con te, sembra tornare in sé.»
«Io non stavo semplicemente tentando di tenerlo su, Lorena. Voglio davvero quei progetti. E voglio che tu mi assicuri che mi vengano inviati. Penso di poterli utilizzare.»
«Oscar, ma cosa stai facendo davvero laggiù? Sembra una cosa molto strana, non penso che faccia gli interessi dei democratici federali. Non è una riforma ragionevole, non è quello che avevamo in mente.»
«È vero… non è precisamente quello che avevamo in mente.»
«Si tratta di quella donna… Penninger, vero? Lei non va bene per te. Non è il tuo tipo. Tu sai che Moira sa tutto su te e lei, vero? E anche Huey lo sa.»
«Lo so e sto cercando di rimediare, anche se si tratta di una grossa sfida.»
«Hai un’aria così pallida. Avresti dovuto rimanere con Clare Emerson. È una anglo, certo, ma aveva un carattere dolce, per te era perfetta. Quando eri con lei, sembravi sempre felice.»
«Clare è in Olanda.»
«Clare sta tornando. Sai, la guerra e tutto il resto.»
«Lorena…» Oscar sospirò. «Tu frequenti un sacco di giornalisti. Io faccio lo stesso, va bene? Andavo a letto con Clare, ma Clare è una giornalista, lo è sempre stata e continuerà a esserlo. Solo perché ti dà una buona copertura mediatica, non significa che vada bene per me. Non mandare Clare qui. Dico sul serio. Mandami i vecchi progetti di Alcott, quando era un brillante studente di design che non aveva mai guadagnato un soldo. Quelli potrebbero essermi utili. Ma non mandarmi Clare.»
«Io non voglio vederti distrutto dall’ambizione, Oscar. Adesso ho visto quello che significa ed è terribile, è molto peggio di quanto tu possa immaginare. Io voglio soltanto vederti felice.»
«In questo momento non posso permettermi questo tipo di felicità.»
Improvvisamente Lorena scoppiò a ridere. «Va bene. Stai bene. E anch’io sto bene. Sopravviveremo a tutto questo. Qualche giorno saremo okay. Io ci credo ancora, e tu? Non innervosirti troppo. Sii buono con te stesso. Va bene?»
«Va bene.»
Lorena riappese. Oscar si alzò e si stiracchiò. Lorena aveva scherzato su Clare. Lo stava semplicemente provocando. Per qualche istante, lui era uscito a scuoterla dalla sua infelicità; Lorena rimaneva sempre una donna attiva, le piaceva immaginare che lui fosse la sua krew e che lei si stesse prendendo cura di lui. Era riuscito a regalarle qualche istante di distrazione. Fare quella telefonata era stata una buona idea. Aveva fatto una gentilezza a due vecchi amici.
Oscar iniziò la liquidazione del proprio patrimonio. Senza Pelicanos a gestire i conti e gli investimenti, lui non aveva più il tempo per occuparsene. E, a un livello molto profondo, sapeva che adesso il denaro era uno svantaggio. Stava incoraggiando migliaia di persone ad abbandonare l’economia convenzionale e ad adottare un sistema di vita profondamente alieno, mentre lui conservava un solida corazza contro gli imprevisti. Huey aveva già fatto alcuni commenti taglienti su quell’argomento; il fatto che Huey stesso fosse un multimilionario sembrava non addolcire i suoi attacchi pubblici.
E poi, Oscar non stava gettando via il proprio denaro. Lo avrebbe devoluto interamente alla causa della scienza — fino a quando non fosse finito.
Le dimissioni e la partenza di Pelicanos ebbero un effetto profondo sulla krew. In quanto factotum, Pelicanos era stato l’elemento fondamentale del gruppo, fungendo sempre da voce della ragione quando Oscar si lasciava trascinare dalla emozioni.
Oscar radunò la krew nell’albergo, per risollevare l’atmosfera e mettere in chiaro alcune faccende. Comunicò che avrebbe raddoppiato lo stipendio di ognuno. La krew avrebbe dovuto considerarla come un’indennità di rischio. Stavano inoltrandosi in un territorio sconosciuto, le probabilità erano tutte a loro sfavore.
Ma se avessero vinto, sarebbe stata la vittoria politica più importante a cui Oscar avesse mai assistito. Terminò il suo discorso con un gesto elegante.
Subito dopo arrivarono le dimissioni. Presero la liquidazione e lasciarono il suo servizio. Audrey Avizienis andò via; lei faceva ricerche sugli avversari politici, era troppo scettica e indurita per rimanere in circostanze tanto incerte. Anche Bob Argow lasciò il posto. Era un amministratore di sistema ed elencò le sue lamentele: assurdità che riguardavano la sicurezza dei computer da parte di Kevin Hamilton e orde di presunti dèi della rete dei Moderatori che creavano codice nel modo in cui facevano vestiti: a mano, e un punto alla volta. Anche Negi Estabrook preferì andare via. Era inutile cucinare per una krew tanto piccola, e poi la cucina dei prolet era sostanzialmente basata su verdure modificate geneticamente, era vero mangime per topi. Rebecca Pataki seguì il suo esempio. Si sentiva fuori posto, abbandonata, aveva nostalgia di Boston.
Questo lasciò Oscar con un nucleo duro composto da quattro persone. Fred Dillen, il custode, Corky Shoeki, l’assistente e il nuovo factotum, e la sua segretaria, Lana Ramachandran. E inoltre la sua consulente per l’immagine, Donna Nunez, che dichiarò che sarebbe rimasta perché, dal punto di vista dell’immagine, il Collaboratorio stava iniziando a diventare interessante. Molto bene, pensò cupamente Oscar. Si era ridotto a quattro persone, avrebbe dovuto iniziare semplicemente da capo. E poi, c’era ancora Kevin. E nel Collaboratorio c’erano un sacco di persone utili. E lui lavorava per il presidente.
Avrebbe chiesto aiuto al consiglio per la sicurezza nazionale.
Due giorno dopo, il consiglio gli mandò davvero un aiuto. Gli agenti segreti del presidente inviarono finalmente rinforzi militari al Collaboratorio. L’aiuto militare consisteva in un giovane tenente colonnello dell’aviazione del Colorado. Era lo stesso uomo che aveva fatto l’ultimo turno di notte quando Oscar era stato rapito, e quando Kevin aveva fatto la sua disperata chiamata telefonica, in effetti, era stato lui a ordinare di salvare Oscar facendo intervenire un reparto armato.
Il tenente colonnello era dritto come un tronco d’albero, con un’uniforme assolutamente impeccabile e occhi d’acciaio. Indossava un’uniforme con un berretto scarlatto. Con sé aveva portato tre veicoli. Il primo trasportava una squadrone di fanteria a dispiegamento rapido; i soldati indossavano un equipaggiamento da combattimento tanto pesante e complesso che sembrava avessero grosse difficoltà a camminare. Il secondo e il terzo veicolo ospitavano i giornalisti al seguito del tenente colonnello.
Il colonnello si godette uno splendido giro guidato del Collaboratorio, ufficialmente per controllarne la sicurezza, ma sostanzialmente per pavoneggiarsi davanti agli abitanti del luogo, ammutoliti davanti alla sua autorità. Oscar tentò di rendersi utile. Presentò il colonnello ai suoi esperti di sicurezza: Kevin e il colonnello Burningboy.
Durante la conferenza, Kevin parlò poco — sembrava piuttosto imbarazzato. Burningboy si mostrò più espansivo. Il colonnello dei Moderatori si lanciò in una descrizione dettagliata e inquietante della situazione tattica del Collaboratorio. Buna distava soltanto venti chilometri dal confine con la Louisiana. Le paludi nebbiose della valle del fiume Sabine pullulavano di Regolatori assetati di vendetta. Anche se l’attacco degli elicotteri armati contro i commando dei Regolatori non era mai diventato una notizia ufficiale, l’assalto li aveva fatti infuriare.
La minaccia su Buna era seria e incombente. I Regolatori avevano sciami di aerei robot che sorvegliavano il laboratorio ventiquattr’ore su ventiquattro. Huey aveva rinunciato ai suoi piani di impadronirsi con le buone del laboratorio. Adesso voleva che venisse abbandonato, che cadesse in rovina, che venisse distrutto. I Regolatori erano più che disposti a mettere in atto i piani di Huey. L’idea che il Collaboratorio ospitasse i Moderatori li faceva infuriare terribilmente.
Quella conferenza affascinò il tenente colonnello. Disgustato dal suo lavoro di scrivania e imbarazzato dall’insabbiamento dei suo glorioso attacco, quell’uomo bruciava visibilmente dal desiderio di combattere. Era venuto pienamente preparato. La sua squadra di ninja della foresta, tutti rigorosamente volontari, indossava interi arsenali di equipaggiamento professionale: corazze antiproiettile, fucili da cecchino con il silenziatore, sensori di odori umani, stivali con suole a prova di mina, elmetti dotati di dispositivi per la visione notturna, perfino speciali razioni liofilizzate e autoriscaldanti per missioni di pattuglia a largo raggio.
Il tenente colonnello, dopo aver ascoltato la gente del luogo, annunciò che era giunto il momento di eseguire una ricognizione in forze delle paludi. Non avrebbe trascurato la sua krew dei media; i loro elicotteri avrebbero funto da ripetitore e da appoggio aereo improvvisato.
Oscar si era fatto un’idea abbastanza precisa del colonnello mediante le sue conoscenze nel consiglio per la sicurezza nazionale. Dopo avere finalmente conosciuto quell’uomo di persona, si rese immediatamente conto che quel tizio costituiva un tremendo pericolo per se stesso e per chiunque lo circondasse. Era giovane, zelante e stupido come un mulo; era una creatura atavica, uscita dritta dritta dai recessi inzuppati di sangue del ventesimo secolo.
Tuttavia Oscar fece del proprio meglio.
«Signor colonnello, quei boschi allagati nella valle del fiume Sabine sono più infidi di quel che crede. Qui non stiamo soltanto parlando di paludi — ma di aree disastrate permanenti. Il Sabine è straripato numerose volte da quando lo schema delle piogge è mutato, e un mucchio di terra coltivata è ritornata allo stato naturale. Lì fuori non c’è la foresta primitiva. Si tratta di ecoambienti deserti, tossici e privi di interesse economico, dove il legname decente è ormai stato tagliato da molto tempo e ci sono piante e arbusti velenosi alti la metà di un albero. Sarebbe un errore sottovalutare quei Regolatori quando si trovano nel loro territorio d’origine. Questi nomadi cajun non sono soltanto cacciatori e pescatori che vivono nelle paludi; sono anche molto esperti nella sorveglianza audio dagli alberi.»
Ovviamente, fu tutto inutile. Il tenente colonnello, i suoi uomini e i suoi impressionabili corrispondenti di guerra partirono di pattuglia all’alba del mattino seguente. Neppure uno di loro fu mai visto tornare a Buna.
Tre giorni dopo quella silenziosa sconfitta, Burningboy annunciò la propria partenza. Adesso era di nuovo il ‘generale’ Burningboy e, poiché era riuscito a riconquistare la sua reputazione, sentiva che era il momento di andarsene.
Kevin organizzò una festa d’addio per il generale, sul terreno della stazione di polizia. Greta e Oscar parteciparono vestiti di tutto punto e, per la prima volta, come una coppia agli occhi dell’opinione pubblica. Ovviamente erano stati rapiti tutti e due nello stesso momento, e salvati nello stesso momento, e così la loro apparizione era perfettamente ragionevole. Servì anche a sollevare il morale degli altri.
Ma, cosa molto triste, Greta e Oscar ebbero ben poco da dirsi o da fare insieme alla festa d’addio in onore di Burningboy. Erano entrambi preoccupati dalle esigenze del potere. E poi, la festa di Kevin aveva un splendido buffet di cibo genuino. Dopo giorni e giorni di razioni biotecnologiche dei nomadi, gli scienziati e i prolet lo assaltarono come un branco di orsetti lavoratori affamati.
A Oscar dispiaceva vedere andare via Burningboy. Gli sembrava una cosa assolutamente non necessaria. Burningboy, che aveva bevuto parecchio, prese da parte Oscar e gli spiegò i suoi motivi fin nei minimi dettagli. Aveva tutto a che fare con la struttura sociale dei nomadi.
«Un tempo in queste faccende ci comportavamo come i Regolatori» gli confidò Burningboy. «Promuovi i migliori, opprimi il resto. Ma loro finirono per creare un’aristocrazia — i Signori del Sole, i Nobili, i Rispettati e, giù in fondo, tutti i pidocchiosi nuovi arrivati. Nei Moderatori, usiamo le votazioni. E così abbiamo un ricambio costante; le persone possono spendere le loro reputazioni, perderle, riconquistarle. E poi — e questa è la nostra caratteristica migliore — il nostro sistema rende impossibili attacchi volti a decapitare la nostra struttura. Vedi, i federali cercano sempre ‘i capi criminali’. Vogliono sempre il ‘boss’, il cosiddetto ‘cervello’.»
«Mi mancheranno davvero le tue spiegazioni» replicò Oscar. Era passato molto tempo da quando era comparso in pubblico indossando le ghette, la fascia di seta e un cappello appropriato. Si sentiva lontano un milione di miglia da Burningboy, come se stesse ricevendo dei segnali da un pianeta molto distante.
«Senta, Oscar, dopo trenta anni di guerra informatica imperialista americana, tutti nel maledetto mondo capiscono i concetti di insurrezione e di sovversione politica. Noi tutti sappiamo come farlo adesso, noi tutti sappiamo come rovesciare il paradigma dominante. Siamo dei geni nel fotterci da soli e nel decostruire le nostre istituzioni. Non ne è rimasta più una che funzioni.» Bumingboy fece una pausa. «Sto diventando troppo radicale? La sto spaventando?»
«No. Sta dicendo la verità.»
«Bene, ecco perché adesso sto per andare in prigione. Noi Moderatori abbiamo una sorta di accordo con un giudice in New Mexico. È disposto a sbattermi dentro per un’accusa assolutamente irrilevante. E così trascorrerò due o tre anni in un penitenziario statale di minima sicurezza. Penso che, una volta al sicuro in gattabuia, forse riuscirò a sopravvivere a quello che hai fatto qui.»
«Burningboy, non mi starà dicendo che finirà davvero in prigione.»
«Dovrebbe provarci anche lei, amigo. È la comunità americana più invisibile di tutte. Le prigioni possono darti tutto quello che ti interessa. Persone con un mucchio di tempo libero. Strane economie, basate su droghe e tatuaggi artigianali. C’è un mucchio di tempo per pensare seriamente. Quando sei in un penitenziario, ti penti sul serio dei tuoi vecchi errori.» Adesso Bumingboy assunse un’espressione incredibilmente remota. Oscar lo stava perdendo; era come se fosse a bordo di una nave delle valchirie coperta di fiori, diretta verso le sponde di Avalon. «E poi, alcuni di quei bastardi sono così conciati male che hanno ancora le carie. Quando ne ho voglia, so ancora fare il dentista. Ti ho detto che un tempo ero un dentista? Prima che il vaccino anticarie mandasse in malora la mia professione.»
Oscar aveva dimenticato che, un tempo, Burningboy era stato un dentista. Quell’uomo aveva preso una laurea in medicina. Oscar fu allarmato da questo, non tanto perché il completo annichilimento dell’arte odontoiatrica era un triste indicatore delle catastrofi sociali che avevano colpito l’America, quanto perché stava dimenticando cose importanti su persone importanti. Ormai era diventato troppo vecchio, a ventinove anni? Stava perdendo le sue capacità? Si era sforzato troppo? Forse era il modo in cui Burningboy si vestiva e parlava. Era un emarginato, un prolet. Era impossibile prenderlo sul serio per più di qualche istante.
«Io non ho rimpianti» annunciò Burningboy, vuotando il suo bicchiere da cocktail con un gesto elegante. «Qui ho condotto la mia gente in un bel mucchio di problemi. Questa non è stata una mia idea — è stata una tua dannata idea — ma non lo avrebbero fatto, se io non avessi dato il mio assenso. Se cambi le vite di centinaia di persone, devi pagare un prezzo molto alto. Solo per — capisci — evitare che chiunque possa farlo. E così adesso faccio la cosa più onorevole. La mia gente sa com’è la prigione.»
«Allora è questa la cosa più onorevole? Scontare una pena. Pagare i debiti.»
«Giusto. Io ho comandato la carica, e adesso mi faccio da parte. Almeno non finirò come Green Huey.»
«Cosa vuol dire con questo?»
«Voglio dire che Huey non può mollare tutto, ragazzo. Non può scendere dalla croce e togliersi la corona di spine. Non può sgattaiolare via dal palco e andarsi a sedere in un angolino. Lui si è autoproclamato il supersalvatore dei deboli e degli oppressi, e non puoi usare quel trucco in America senza che qualcuno ti spari addosso. È proprio il tipo di cosa che facciamo in questo paese. Adesso Huey può sembrare in paradiso, ma è fatto soltanto di carne. Qualcuno ucciderà Huey. Un cecchino pazzo, una squadra di agenti segreti durante un corteo…» Guardò Oscar con occhi divenuti improvvisamente opachi. «Spero soltanto che non verrà fatto fuori da qualcuno che conosco di persona.»
«Sarebbe un vero peccato se il governatore subisse qualche attentato.»
«Sì, certo.»
Oscar si schiarì la gola. «Se ci sta lasciando, generale, chi subentrerà al comando qui?»
«Lei. Lo è sempre stato. Non l’ha ancora capito? Deve svegliarsi un po’, figliolo.»
«Senta, io non do ordini. Io mi limito a discutere con le parti coinvolte.»
Burningboy emise uno sbuffo ironico.
«Okay, mi permetta di riformulare la domanda. Con chi parlo, quando ho bisogno di parlare con i Moderatori?»
«Molto bene.» Burningboy scrollò le spalle. «La presenterò al mio successore.»
Burningboy lo condusse all’interno della stazione di polizia. Da dietro la porta chiusa a chiave dell’ufficio del capo provenne una sonora serie di gemiti. Burningboy prese una tessera magnetica dalla sua borsa della medicina e la usò per aprire la porta. Kevin aveva i piedi nudi poggiati sulla scrivania e stava ricevendo un doppio massaggio ai piedi da un paio di donne nomadi. Era molto ubriaco e indossava un buffo cappellino da festa.
«Molto bene, signore» gorgogliò Kevin. «Per adesso basta. Molte grazie. Davvero.»
«I tuoi metatarsi sono davvero in cattive condizioni» commentò la prima massaggiatrice in tono dignitoso.
«Possiamo segnarti un’ora intera?» chiese la seconda.
«Oh, fate pure!» acconsentì Kevin in tono regale. «Chi lo verrà mai a sapere?»
«Questo è il mio successore» annunciò Burningboy. «Il nostro nuovo capo della sicurezza. ‘Capitano Scubbly Bee’.»
«Ma è magnifico!» esclamò Oscar. «È una bella notizia. Incredibile. È così bello che non so neppure cosa dire.»
Kevin abbassò i piedi coperti di olio dalla scrivania. «Diavolo, mi sono arruolato. Ho firmato con la banda. Adesso sono un ragazzo che ce l’ha fatta, sono con i Moderatori.»
«Questo lo capisco» replicò Oscar. «Una nuova identità e tutto il resto. ‘Scubbly Bee’, se non mi sbaglio. Non ‘Stubbly’?»
«No, Scubbly. Scubbly Bee.» Kevin indicò un tritadocumenti lì vicino. «Ho appena distrutto tutti i miei documenti di identità ufficiali. Non riesco neppure a dirti come mi sono sentito bene nel farlo. Questa è la festa più bella che abbia mai avuto.»
«Qual è il significato di ‘Scubbly Bee’? Deve significare qualcosa di molto importante per te, visto che ha un suono così buffo.»
Kevin sogghignò. «Io lo so; sei tu che devi scoprirlo, sciocco.»
Burningboy strinse la mano a Kevin. «Presto me ne andrò» annunciò. «Tu tieni il becco all’asciutto, va bene, capitano? Questa è l’ultima volta che voglio vederti così ubriaco.»
«Io non sono così ubriaco» mentì Kevin. «Più che altro è l’effetto dell’endorfina stimolata dal massaggio ai piedi.»
Burningboy lasciò l’ufficio, gettando le braccia sulle spalle consenzienti delle due donne nomadi. Oscar si sedette. «Spero che tu non abbia distrutto i tuoi certificati elettorali.»
«Come se un voto dato a Boston potesse aiutarci in qualche modo qui.»
«Ti ha davvero messo al comando della sua gente all’interno del laboratorio?»
Kevin sbadigliò. «Sai, quando la festa sarà finita, tu e io dovremo fare un discorsetto molto serio. Nel frattempo, devi mangiare qualcosa. Forse bere perfino un drink. Dopo tutto, sei tu quello che sta pagando per tutto questo.»
«Non ti farò perdere il tuo tempo prezioso, capitano Bee. Questa è solo una chiacchierata amichevole in stile krew.»
«Se vogliamo essere amici, farai meglio a chiamarmi ‘Scubbly’.» Kevin infilò le calze sui piedi arrossati e odorosi di linimento con una serie di smorfie teatrali. «Tu devi per forza sapere perché l’ha fatto, vero? Tu devi essere sempre aggiornato sugli sviluppi, non puoi aspettare domani mattina per saperlo. Be’, perché mi ha fregato, ecco perché. Mi ha appena passato la patata bollente. Vedi, pensa che i Regolatori attraverseranno il confine e ci attaccheranno in forze. Perché è questo che vuole, è questo il suo scopo. I Regolatori faranno a pezzi questo posto e poi subiranno una durissima rappresaglia dai federali.»
«Sembra una mossa azzardata, vero?»
«Ma lui ha organizzato le cose in questo modo. Non è venuto qui perché voleva aiutare i tuoi amichetti scienziati. Tu sei troppo normale, tu non comprendi le priorità di queste persone. Loro vi hanno abbandonato molto, molto tempo fa. Loro non si aspettano né giustizia né ordine dal governo degli Stati Uniti. Non si aspettano neppure che il governo sia sano di mente. L’intero sistema federale si è staccato dalla realtà, è andato alla deriva nello spazio profondo. Loro pensano che il governo sia qualcosa di molto simile al brutto tempo. Bisogna semplicemente sopportarlo.»
«Ti sbagli, Kevin — lo capisco perfettamente.»
«Quando vogliono agire, agiscono per i loro motivi. Gli altri prolet, ecco chi conta veramente. Sono come tribù che vagano in un immenso deserto ostile creato dalle vostri leggi e dal vostro denaro. Ma i Moderatori odiano i Regolatori. Adesso i Regolatori sono forti, fanno paura. Hanno un governatore come loro Grande Capo Segreto. Si sono impadroniti di una base aerea. I Moderatori… tutto quello che hanno sono qualche dozzina di città fantasma e di parchi nazionali.»
Oscar annuì per incoraggiarlo a proseguire.
«E poi sei arrivato tu. All’improvviso c’era la possibilità di impadronirsi del Collaboratorio. È un laboratorio federale, una struttura molto migliore di una base dell’aviazione. Ha grande prestigio. Impadronirsene è un insulto intollerabile al prestigio dei Regolatori, perché è stato il loro grande uomo a costruirlo e lui pensa che sia suo di diritto. Perché lui va pazzo per il gumbo genetico verde e per tutte quelle strane stronzate sulla cognizione. E così è per questo che Burningboy ti ha aiutato. Ed è per questo che adesso se la fila, finché è in tempo. Ha messo una trappola e, ai suoi occhi, noi siamo soltanto un’esca avvelenata.»
«Come fai a sapere tutto questo?»
Kevin aprì un cassetto della scrivania. Ne estrasse un enorme revolver, altamente illegale, e una bottiglia di whiskey. Bevve un sorso di whiskey e poi iniziò a disporre delle scatole di sigari sul ripiano levigato della scrivania. «Perché me l’ha detto lui, è ovvio. Da’ un’occhiata a queste, ti dispiace?»
Kevin aprì la prima scatola di sigari. Era piena di microspie, ognuna dotata di un’etichetta scritta a mano in bella calligrafia. «Sai quanto sia difficile ripulire completamente una struttura? È tecnicamente impossibile, ecco quanto è difficile! Non ci sono dispositivi efficaci contro le microspie — è tutta una stronzata! Ogni microspia di qualità decente semplicemente non può essere individuata, a meno che non si proceda con una perquisizione fisica. E così è quello che ho fatto. Raduno grandi gruppi di Moderatori che non hanno niente da fare e passiamo al pettine ogni superficie concepibile. Queste microspie sono come piattole, sono una maledetta malattia sociale. Qui dentro ne ho trovate alcune vecchie di quattordici o quindici anni. Mi sono fatto una collezione davvero speciale! Da’ un’occhiata!»
«Molto impressionante.»
Kevin aprì la scatola di sigari e la indicò con aria solenne. «Sai cos’è? È il male, ecco cos’è. Ed è un male che noi infliggiamo a noi stessi. Non abbiamo alcuna vergogna, come popolo e come nazione, Oscar. Siamo andati troppo oltre con questa tecnologia, abbiamo perso il rispetto per noi stessi. Perché questi sono i media, cazzo. Sono media malvagi, che servono a spiare. Ma noi li vogliamo e li usiamo lo stesso, perché pensiamo che dobbiamo essere informati. Siamo obbligati a prestare attenzione a tutto. Perfino a cose a cui non avremmo alcun diritto di fare attenzione.»
Oscar non disse nulla. Non era disposto a fermare Kevin quando era in vena di confessioni.
«E così mi sono sbarazzato delle microspie di tutti gli altri. E ho installato le mie. Perché io sono il pirata informatico che è finalmente diventato un super-utente. Qui dentro non ho semplicemente messo sotto sorveglianza i computer, ma l’intero ambiente. Posso accedere a qualsiasi cosa succeda qui, ogni volta che voglio. Sono un poliziotto. Ma sono più di questo. Voglio dire, essere un poliziotto significa tradizionalmente un tizio anglo di razza bianca che impone la sua idea di ordine ai nativi turbolenti; al diavolo, un tempo ogni città americana era così. E, cavolo, mi piace un sacco. Mi piaceva, pensavo che fosse un magia. È incredibilmente interessante, come guardare altre persone che fanno sesso. Ma sai, se lo fai sessanta o settanta volte, ti stufi. Sì, proprio così.»
«Davvero?»
«Oh, si. E c’è un prezzo da pagare. Non sono andato a letto con qualcuno da quando ti ho conosciuto! Perché io sono il Supremo Poliziotto Segreto. Io spavento a morte ogni donna onesta. Quelle disoneste hanno i loro scopi quando fanno sesso con la polizia segreta. E poi, non ho più tempo per le mie esigenze! L’Inquisitore Supremo è troppo impegnato con quelle di tutti gli altri. Devo eseguire controlli verbali su tutti i miei nastri audio. Ogni volta che da qualche parte c’è un incidente, devo visionare tutti i video. Ho delle microspie con le batterie che si stanno scaricando, la gente le trova, le calpesta. Ci sono degli spiriti del male in agguato nei boschi. Sopra le nostre teste volano gli aerei spia del governo. Ci sono ubriachi, bambini smarriti, piccoli furti. Ci sono la sicurezza antincendio e gli incidenti d’auto. E ognuna di queste cose è un mio problema. Tutto. Tutto!»
«Kevin, non è che hai intenzioni di lasciarmi?»
«Lasciarti! Cazzo, io sono nato per questo. Ho realizzato ogni mio desiderio. È solo che mi sto trasformando in un mostro. Ecco tutto.»
«Kevin, per me non sei tanto male. E qui le cose non vanno poi tanto male. Questo non è il caos. La situazione sta reggendo.»
«Certo, sto mantenendo l’ordine per te. Ma non si tratta di legge e ordine, Oscar. C’è ordine, ma non legge. Noi lasciamo che le cose sfuggano al controllo. Lasciamo che divengano imprevedibili Siamo costretti a prendere decisioni ad hoc. Io mantengo l’ordine qui perché sono un tiranno segreto. Ho tutto, tranne la legittimità. Sono una spia, un usurpatore, non ho regole. Non ho freni. Non ho onore.»
«Ma io non posso darti nulla di tutto questo.»
«Tu sei un politico, Oscar. Ma devi diventare qualcosa di meglio. Devi diventare un uomo di stato. Tu devi trovare qualche modo per rendermi un po’ di onore.»
Un telefono squillò nell’ufficio. Kevin emise un gemito, prese un portatile e attivò una funzione di traccia premendo un tasto. «Nessuno dovrebbe avere questo numero» si lamentò.
«Pensavo che ormai avessi sistemato tutto.»
«Il tipico commento di un politico. Quello che ho sono una serie di scorciatoie, server finti e firewall, e non ci crederesti quanti attacchi informatici vengono assorbiti da queste cose.» Esaminò il rapporto sul computer portatile. «Ma cosa diavolo succede?» Rispose a telefono. «Sì?»
Fece una pausa e rimase attentamente in ascolto per quarantacinque secondi. Oscar colse quell’opportunità per esaminare l’ufficio di Kevin. Era l’ufficio di polizia più improbabile che avesse mai visto. Pinup appese alle pareti, tazze piene di fondi di caffè, maschere rituali, hardware telefonico messo a nudo e inchiodato alle pareti con chiodi da dieci penny…
«È per te» annunciò infine Kevin, poi passò il telefono a Oscar.
Era stato Jules Fontenot a chiamare. Fontenot era infuriato, Non era riuscito a mettersi in contatto con Oscar mediante nessun telefono convenzionale. Alla fine si era ridotto a chiamare il quartiere generale della polizia servendosi di un ufficio del servizio segreto a Baton Rouge. Tutto quel giro lo aveva irritato oltremisura.
«Mi scuso per i sistemi di comunicazione locale, Jules. Da quando sei andato via, sono avvenuti molti cambiamenti. Però è bello avere tue notizie. Apprezzo la tua tenacia. Cosa posso fare per te?»
«Sei ancora furioso con Green Huey?» raspò Fontenot.
«Io non sono mai stato ‘furioso’ con Huey. I professionisti non si arrabbiano mai. Avevo a che fare con lui.»
«Oscar, sono in pensione. E voglio rimanerci. Non avrei mai voluto fare questa telefonata. Ma ho dovuto farla.»
Cosa c’era che non andava in Fontenot? Certo, era il solito Fontenot, ma il suo accento era diventato ancora più pesante. Era come se stesse parlando attraverso un vocoder digitale per il ‘dialetto cajun’.
«Jules, sai che rispetto sempre i tuoi consigli. Il fatto che tu abbia lasciato il lavoro non ha cambiato nulla per me. Dimmi cosa ti preoccupa.»
«I profughi haitiani. Mi capisci? Un campo per gli haitiani?»
«Hai detto ‘haitiani’? Intendi dire a persone di pelle nera, francofone e che vivono nei Caraibi?»
«Sicuro! È gente che fa parte di una setta religiosa di Haiti. Huey ha loro concesso asilo politico e ha costruito un piccolo villaggio modello, nei boschi. Adesso vivono al centro della mia palude.»
«Ti seguo, Jules. Evacuazioni di emergenza, profughi haitiani, asilo politico, lingua francese, è tutto molto tipico di Huey. E allora qual è il problema?»
«Be’, c’è qualcosa. Non è solo il fatto che sono stranieri; stranieri religiosi, rifugiati stranieri, di pelle scura, seguaci del voodoo che parlano creolo. Si tratta di qualcosa di molto più bizzarro di questo. Huey ha fatto qualcosa di strano a quelle persone. Droghe, credo. Forse roba genetica. Si comportano in modo strano… molto strano.»
«Jules, perdonami, ma devo essere sicuro di avere capito bene tutta la faccenda.» Oscar sollevò la mano in silenzio e iniziò a rivolgere gesti frenetici a Kevin — Registra questa conversazione! Apri il tuo portatile! Prendi appunti! «Jules, mi stai dicendo che il governatore della Louisiana sta usando dei profughi haitiani come cavie umane per esperimenti sul comportamento?»
«Non lo giurerei in tribunale — perché non riesco a far venire nessuno quaggiù a dare un’occhiata! Nessuno si lamenta, questo è il problema. Sono i maledetti haitiani più felici di questo mondo.»
«Allora deve trattarsi di qualcosa di neurale. Di qualche tipo di trattamento che altera la mente.»
«Forse. Ma non è simile a nessuna droga che abbia visto o di cui abbia sentito parlare. Non ho le parole per descrivere propriamente la situazione. Semplicemente mi mancano le parole.»
«E tu vuoi che venga e dia un’occhiata con te.»
«Non sto dicendo questo, Oscar. Sto solo dicendo… be’, la polizia di qui è corrotta, la milizia dello Stato è corrotta, il servizio segreto non mi sta più a sentire, e a nessuno importa di questa faccenda. Sono haitiani, vengono da un’isola spoglia, che sta affondando; della loro sorte non importa a nessuno. A nessuno!»
«Oh, credimi, a me importa, Jules. Fidati di me.»
«È più di quello che posso sopportare, ecco tutto. Non riesco a dormire la notte, pensandoci.»
«Sta’ calmo. Hai fatto la cosa più giusta. Sicuramente farò qualcosa. C’è un modo per contattarti? In modo sicuro e confidenziale?»
«No. Non più. Mi sono sbarazzato di tutti i miei telefoni.»
«E allora come posso seguire questa faccenda?»
«Io sono in pensione! All’inferno, Oscar, non fare sapere a nessuno che ho scoperto questa cosa! Adesso vivo qui. Io amo questo posto. Io voglio morire qui.»
«Senti, Jules, lo sai che questo non è giusto. Questa è una faccenda molto seria. O sei dentro, o sei fuori. Non puoi sederti su un muretto e stare a guardare.»
«Okay. Sono fuori.» La linea telefonica divenne morta.
Oscar si girò verso Kevin. «Hai seguito il succo della faccenda?»
«Chi è quel tizio? È pazzo?»
«È il mio ex capo della sicurezza della krew, Jules Fontenot. Si occupava della sicurezza della campagna elettorale di Bambakias. Per caso è un cajun. È andato in pensione poco prima che ti conoscessi, e da allora non ha fatto altro che pescare nei bayou.»
«E adesso ti sta chiamando con una storia incredibile su uno scandalo, e sta tentando di attirarti nei boschi della Louisiana?»
«È così. E io ci andrò.»
«Aspetta un attimo, cowboy. Rifletti. Qual è la cosa più probabile? Che Huey stia mandando avanti dei campi di concentramento nei bayou, o che il tuo ex amico, il cajun, ti ha appena tratto? Questa è una trappola, cazzo. In modo che possano rapirti proprio come hanno provato a fare in precedenza. Ti faranno a pezzi e ti daranno in pasto agli alligatori.»
«Kevin, apprezzo la tua ipotesi. È uno stile di pensiero da guardia del corpo competente, che conosce tutti i trucchi. Ma lascia che ti spieghi la valenza politica della faccenda. Io conosco Fontenot. Era un agente speciale del servizio segreto. Ho affidato a quell’uomo la mia vita — oltre quelle del senatore e dei membri dell’intera krew. Forse adesso sta davvero complottando per rapirmi e assassinarmi. Ma se Huey può trasformare Jules Fontenot, allora l’America come la conosco io ha smesso di esistere. Significherebbe che siamo condannati.»
«E così andrai in Louisiana per investigare su queste panzane che ti ha raccontato.»
«Ma certo. L’unica questione è: come e in quali circostanze. Dovrò riflettere molto seriamente su questo progetto.»
«Okay, allora verrò con te.»
Oscar lo fissò a occhi socchiusi. «Perché dici questo?»
«Per un mucchio di ragioni. Si suppone che io sia la tua guardia del corpo. Io faccio parte della tua krew. Sei tu che paghi il mio stipendio. Io sono il successore di quel tizio, di Fontenot, verso cui provi tanto rispetto. Ma principalmente — perché sono così stufo che tu sia sempre quattro passi avanti a me.» Kevin diede un pugno sulla scrivania. «Guardami, cazzo. Sono un tizio intelligente, furbo, scaltro. Sono un pirata informatico. E sono bravo! Sono una tale leggenda delle rete che riesco a impadronirmi di laboratori scientifici federali. Sono entrato nei Moderatori. Vado perfino in giro con agenti del Consiglio nazionale per la sicurezza. Ma non importa quello che faccio, tu fai sempre qualcosa di ancora più folle. Tu sei sempre almeno un passo avanti a me. Io sono un tecnico, e tu un politico, ma tu pensi sempre meglio di me. Non mi prendi neppure sul serio.»
«Questo non è vero. Io so che tu sei importante! Io ti prendo assolutamente sul serio, capitano Scubbly Bee.»
Kevin sospirò. «Allora, fa’ un po’ di spazio nel retro del pullman della tua campagna, va bene? È tutto quello che ti chiedo.»
«Devo parlare con Greta di questo sviluppo. Lei è la mia esperta di scienza neurale.»
«Giusto. Non c’è problema. Solo un secondo.» Kevin si alzò e zoppicò a piedi nudi fino a un computer da scrivania. Inserì dei parametri. Apparve una mappa schematica del Collaboratorio. La studiò. «Okay. Troverai la dottoressa Penninger nel suo laboratorio supersegreto al quarto piano della divisione Risorse umane.»
«Cosa? Greta dovrebbe essere qui, alla festa.»
«La dottoressa Penninger non ama le feste. Si annoia molto facilmente. Non lo sapevi? Mi piace fare dei favori alla dottoressa Penninger. Lei non è come la maggior parte delle altre donne — con lei si può parlare seriamente di faccende importanti. Aveva bisogno di un luogo sicuro in caso di attacchi, e così le ho costruito un piccolo laboratorio segreto nell’edificio Risorse umane. Tanto aveva liquidato tutti i pagliacci che ci lavoravano, e così adesso lì dentro c’è un mucchio di spazio.»
«Ma come fai a sapere che lei è lì in questo momento?»
«Tu vuoi scherzare! Io sono il capo della sicurezza, e lei è il direttore. Io so sempre dov’è il direttore.»
Dopo una lunga serie di strette di mano, Oscar andò via dalla festa per trovare Greta. Grazie al capillare sistema di sorveglianza di Kevin, non fu molto difficile.
Kevin e i prolet della sua banda avevano approntato un piccolo spazio di lavoro per Greta. Oscar digitò un codice a quattro cifre, e la porta si aprì. La stanza era buia, e vide Greta piegata sul suo microscopio di dissezione, le cui luci costituivano l’unica illuminazione nella stanza. Entrambi gli occhi di Greta erano premuti contro gli oculari ed entrambe le mani erano infilate in guanti di dissezione AFM. Si era gettata un camice da laboratorio sul vestito da sera. La stanza era spoglia come la cella di un monaco, e Greta era assolutamente concentrata, impegnata a separare silenziosamente e metodicamente qualche piccolo granello di tessuto dell’universo.
«Sono io» annunciò lui.
«Oh» esclamò Greta. Sollevò lo sguardo, annuì, poi avvicinò di nuovo gli occhi alle lenti.
«Perché hai lasciato la festa?»
«Perché non avrei dovuto? Non mi stavi prestando alcuna attenzione.»
Oscar fu sorpreso, perfino lievemente allarmato, di vedere Greta comportarsi con irritazione. «Facciamo parte del comitato di emergenza. Mi vedi ogni giorno per ore e ore.»
«Non stiamo mai insieme. Io non ti interesso più, ecco perché mi trascuri.»
Oscar fece una pausa. In quel momento era sicuramente interessato a Greta. Improvvisamente si rese conto che gli piaceva profondamente quella parte della loro relazione. Per lui le donne sembravano sempre più interessanti come oggetti di trattativa che come amanti o compagne. Fu una sinistra autorivelazione. Se ne pentì amaramente.
«Greta, non mi piace ammetterlo, ma hai ragione. Adesso che tutti sanno che siamo amanti, non abbiamo mai tempo per noi stessi. Stasera siamo apparsi insieme in un’occasione pubblica e io, dando prova di una terribile mancanza di tatto, ti ho abbandonato. Lo ammetto. Me ne dispiace. Sappi che saprò farmi perdonare.»
«Ma sentiti! È come se ti stessi rivolgendo a una commissione. Adesso siamo soltanto due politici. Mi parli come se fossi un diplomatico. Devo leggere dei discorsi del presidente pieni zeppi di bugie. Non riesco a lavorare a nulla che mi interessi. Passo tutto il mio tempo immersa in un’interminabile crisi politica. Io odio l’amministrazione. Oh, Dio, mi sento così colpevole.»
«Perché? È un lavoro molto importante. Qualcuno deve pur farlo. E tu sei brava. Le persone ti rispettano.»
«Non mi sono mai sentita tanto colpevole quando andavamo negli alberghi sulla spiaggia per fare sesso sfrenato, quasi violento. Non era il centro della mia vita o qualcosa di fondamentale, ma era davvero interessante. Un uomo attraente e affascinante con un calore corporeo tremendo, be’, è una cosa affascinante. Molto più interessante che stare a guardare le mie ricerche che languono.»
«Oh, no, non tu» gemette Oscar. «Non dirmi che adesso mi stai voltando le spalle, dopo che ho investito tanti sforzi in questa faccenda. Molti membri della mia krew mi hanno lasciato: semplicemente non credono che tutto questo possa funzionare.»
Greta lo fissò con improvvisa pietà. «Povero Oscar. Hai capito esattamente il contrario della verità. Non è per questo che mi sento colpevole, ma perché so che funzionerà. Parlare con quei Moderatori per tutto quel tempo… Adesso lo capisco veramente. La scienza cambierà veramente. Sarà ancora la ‘Scienza’. Avrà la stessa struttura intellettuale, ma la sua struttura politica sarà completamente diversa. Invece di essere impiegati pubblici con stipendi da fame, saremo intellettuali dissidenti d’avanguardia per gli oppressi. E questo funzionerà. Perché adesso possiamo ricevere un trattamento migliore da loro che dal governo. I prolet non sono poi così alieni; sono molto simili a studenti universitari grossi, pelosi e puzzolenti. Noi sappiamo trattare con persone del genere. Lo facciamo continuamente.»
Oscar si illuminò. «Ne sei sicura?»
«Sarà come una nuova accademia, con alcuni elementi feudali, come le krew. Sarà molto simile alle epoche oscure, in cui le università erano piccoli territori indipendenti e gli studiosi portavano mazze e piccoli tocchi quadrati e, ogni volta che qualcuno dava fastidio all’università, sguinzagliavano branchi di studenti nelle strade a fare a pezzi tutto fino a quando non avevano via libera. Solo che adesso non viviamo più nelle epoche oscure. Questa è l’Età del Rumore. Abbiamo distrutto la nostra società con le nostre conoscenze, con la velocità e l’imprevedibilità dei nostri spostamenti. Viviamo nell’Età del Rumore, e questo è il modo in cui impariamo a essere scienziati nell’Età del Rumore. Non possiamo diventare funzionari governativi che possono avere tutti i soldi che vogliono solo perché diamo al governo un mucchio di conoscenze militari-industriali. Adesso è tutto finito. Da ora in poi diventeremo un altro tipo di intellettuali creativi. Diventeremo artisti, oppure liutai, con le nostre piccole krew di fan che ci prestano attenzione e ci permettono di vivere.»
«Meraviglioso, Greta. Sembra una prospettiva magnifica!»
«Faremo scienza attraente, sexy, con un equipaggiamento ridotto all’osso. È questo che la scienza deve diventare nell’America contemporanea. Non possiamo comportarci come gli europei, loro hanno sempre una marea di preoccupazioni morali sull’impatto che le nuove tecnologie possono avere sulla gente; non è divertente, non è americano. D’ora in poi saremo come Orville Wright nella rimessa delle biciclette. Per noi non sarà facile. Anzi, sarà ancora più difficile. Ma avremo la nostra libertà. La nostra libertà americana. È un gesto di fiducia nell’immaginazione umana.»
«Tu sei davvero un politico, Greta! Hai fatto una grande scoperta. Sono assolutamente d’accordo con te.» Oscar si sentì così orgoglioso di Greta.
«Sicuro — potrebbe essere meraviglioso, se fosse qualcun altro a farlo. Io odio fare questo alla scienza. Mi dispiace terribilmente di stare facendo una cosa del genere. Ma sono in ballo e non ho scelta.»
«E cosa preferiresti fare?»
«Cosa?» domandò Greta in tono amaro. «Preferirei terminare il mio saggio sull’inibizione del rilascio dell’acetilcolina nell’ippocampo. È tutto quello che ho sempre voluto fare! Io vivo sognando che, un bel giorno, tutta questa terribile confusione finisca e che qualcuno mi lascerà fare quello che voglio.»
«So che è questo che vuoi. Adesso lo capisco davvero. E so anche cosa significa, Greta: significa che io ti ho deluso.»
«No. Sì. Be’, questo non importa. Il quadro generale funzionerà.»
«Non vedo come.»
«Posso mostrartelo.» Greta trovò la borsetta e uscì dalla stanza. Accese una luce. Oscar sentì scorrere dell’acqua. Gli venne in mente che aveva completamente dimenticato lo scopo della sua visita. Huey. Huey, e il suo teorico campo di profughi pieno di haitiani. Era assolutamente sicuro che Huey, ossessionato dall’idea che la scienza cognitiva fosse la prossima grande scoperta dell’umanità, aveva fatto qualcosa di estatico, e di terribile. Sapeva che doveva avere qualcosa a che fare con il lavoro di Greta. Il particolare più irritante è che Greta non nutriva alcun interesse nelle implicazioni pratiche delle sue ricerche. Non riusciva a tollerare le implicazioni politiche e morali della ricerca scientifica pura. La tediavano terribilmente. Non erano ‘scienza’. In esse non c’era nulla di scientifico. Le reazioni della società ormai erano diventate prive di senso. L’innovazione aveva travolto ogni freno. Cosa sarebbero diventati gli scienziati in un mondo del genere? Cosa diavolo si poteva fare con loro?
Greta entrò nella stanza. Si era rimessa un po’ in ordine. I suoi occhi erano bordati di nero, le guance striate da pitture di guerra.
Oscar rimase sbalordito.
«Non sono stata io a inventarmi questa pagliacciata» replicò Greta in tono difensivo. «È stata la tua consulente per l’immagine — per la festa di stasera. Volevo truccarmi per te, ma mi è sembrato troppo ridicolo. E così mi sono lavata via tutto all’ultimo minuto.»
«Oh, ma è stato un grosso errore!» commentò Oscar, poi rise per lo stupore. «È bellissimo. È davvero una cosa fantastica. Assolutamente incredibile. E così trasgressiva. Non riesco a credere ai miei occhi.»
«Stai vedendo una donna ebrea di trentasei anni che si è conciata come una pazza derelitta.»
«Oh, no. È proprio il fatto che tu sia Greta Penninger che lo fa funzionare. E il fatto che il direttore di un laboratorio federale, la vincitrice di un premio Nobel, ancora con indosso il camice, ha appena rivelato di essere un guerrigliero urbano.» Oscar si morse il labbro. «Voltati. Fatti ammirare.»
Greta allargò le braccia e ruotò su se stessa. Sulla nuca i capelli erano fermati da una spilla di pietre multicolori. «Ti piace, vero? Immagino che non sia tanto male. Non sembro molto più strana del presidente, vero?»
«Greta…» Oscar si schiarì la gola. «Non capisci quanto bene funzioni. Per me funziona davvero. Sto eccitandomi sul serio.»
Greta lo fissò con sorpresa. «Uhu. Mia madre diceva sempre che un bel trucco avrebbe attirato l’attenzione di un ragazzo.»
«Togliti il camice. Anzi, togliti anche la camicetta.»
«Aspetta un minuto. Ehi, giù le mani!»
«Sai quanto tempo è passato? Una vera eternità. Non riesco a ricordare neppure qual è stata l’ultima volta.»
«Okay! Più tardi! In un letto! E quando la tua faccia non avrà quel colore.»
Oscar portò la mano alla guancia. Aveva la pelle in fiamme. Sorpreso, si toccò le orecchie: erano tanto calde che sembravano due frittelle. «Wow» mormorò. «Sono eccitato da morire.»
«È solo il trucco.»
«No, non è così. Adesso so perché Donna voleva rimanere qui — adesso so perché Donna ha detto che le cose si stavano facendo interessanti. Quella è un piccolo genio. Non puoi dire che si tratta di qualcosa di superficiale. È una bugia, è come dire che un voto di castità e il velo di una suora sono soltanto delle parole e una pezza di tessuto nero. Certo, sono dei simboli, ma ti conducono in un universo morale completamente diverse Mi sta venendo una grande idea.»
«No, Oscar. Io penso che ti stia venendo un qualche tipo di attacco.»
«Questa cosa funzionerà. Questa cosa è massiccia. Abbiamo pensato troppo in piccolo. Dobbiamo uscire dalla scatola. Dobbiamo portare la guerra in casa del nemico. Ascolta. Io devo andare in Louisiana.»
«Cosa? Perché?»
«Andremo lì tutti e due. Lì ci troviamo sempre benissimo. La Louisiana è perfetta per noi. Faremo un giro trionfale dello stato. Costringeremo Huey e i Regolatori completamente sulla difensiva. Andremo in una flotta di limousine, con la massima copertura mediatica possibile. Noleggeremo dei pullman, faremo un giro elettorale. Porteremo camion con altoparlanti ed elicotteri. Satureremo l’intero stato. Sarà una cosa incredibilmente romantica. Daremo interviste scandalose, provocanti. Tu diventerai una pop-star sexy della scienza. Venderemo fotografie, magliette, adesivi per i paraurti, il tuo profumo, la tua biancheria intima. Costruiremo piccoli Collaboratori ovunque andremo. Io ho a disposizione dei progetti incredibili di Bambakias che possiamo utilizzare a partire da questo momento. Condurremo una marcia popolare su Baton Rouge. Picchetteremo la residenza del governatore. Andremo a stanare Huey nel suo covo. Lo inchioderemo e lo cancelleremo dalla faccia della terra.»
«Oscar, stai avendo una crisi. Stai delirando.»
«Davvero?»
«Non possiamo andare in Louisiana. È troppo pericoloso. Non possiamo lasciare il Collaboratorio adesso. Qui siamo in un’emergenza. Le persone hanno paura, stanno disertando ogni giorno.»
«Assumine altre.»
«Possiamo attirare tutti i Moderatori che vogliamo, ma qui non c’è è più spazio.»
«Costruisci estensioni del laboratorio. Utilizza la città di Buna.»
«Oscar, quando ti comporti così, ti spaventi.»
Lui abbassò la voce. «Davvero?»
«Un po’.» Sotto le pitture di guerra, il volto di Greta era arrossito.
Il cuore di Oscar batteva a martello. Fece alcuni respiri profondi. Adesso si era calmato. Adesso viaggiava a un livello più alto; era esaltato. «Tesoro, io sto andando in una missione segreta. Penso che possa essere la soluzione a tutti i nostri problemi, ma potrei anche non tornare. Questo può essere l’ultimo momento di intimità che avremo. So che ti ho fatto arrabbiare. So che non sono stato tutto quello che ti aspettavi. Forse non ti vedrò mai più, ma ti lascio con animo lieto. Voglio ricordarti così come sei adesso, per sempre. Tu mi sei tanto cara, per me sei così speciale, che non riesco neppure a dirtelo a parole. Tu sei una creatura brillante, irradi luce.»
Greta si portò una mano alla fronte. «Oh, mio Dio. Quando mi parli così, non so proprio controllarmi… Sei così persuasivo! Oh, be’, non importa, vieni con me, togliti i vestiti. Sul tavolo da laboratorio c’è spazio per tutti e due.»