Sette

La vita nel Collaboratorio mancava delle molte e attraenti comodità della Back Bay a Boston.

Oscar e Greta si incontrarono in un’auto guasta nel parcheggio buio alle spalle dell’officina del laboratorio. Quella era stata un’idea di Kevin Hamilton. A Kevin piacevano molto gli incontri sicuri in automobili anonime. Kevin non era un agente del servizio segreto, ma conosceva un sacco di regole empiriche.

«Ho paura» confessò Greta.

Oscar si aggiustò la giacca, cercando un po’ di spazio per muovere il gomito. L’auto era così piccola che quasi sedevano uno in grembo all’altro. «Ma come fai ad avere paura di una cosa tanto semplice? Una volta hai pronunciato il discorso di accettazione del Nobel a Stoccolma!»

«Ma in quell’occasione stavo parlando del mio lavoro. Questo posso farlo tranquillamente. Ma adesso la situazione è diversa. Tu vuoi che parli davanti al consiglio dei direttori e che faccia una sfuriata in loro presenza, davanti a una folla di amici e colleghi. Non sono tagliata per queste cose.»

«In effetti, è il contrario, Greta. Tu sei assolutamente perfetta per questo ruolo. L’ho saputo dal primo momento in cui ti ho visto.»

Greta studiò lo schermo del suo portatile. Era l’unica luce all’interno del veicolo e illuminava i loro volti dal basso con un delicato bagliore. Avevano deciso di incontrarsi alle due del mattino. «Se qui la situazione è tanto grave quanto affermi tu, allora è inutile lottare, no? Dovrei semplicemente rassegnare le dimissioni.»

«No, non devi fare una cosa del genere. Il punto di questo discorso è che saranno loro a doversi dimettere.» Oscar le sfiorò la mano. «Tu non devi dire nulla di falso.»

«Be’, io so che alcune di queste cose sono vere, perché sono stata io stessa a rivelartele. Ma non le avrei mai dette ad alta voce. E non le avrei dette in questo modo. Questo discorso, o meglio, questo sfogo, o di qualsiasi cosa si tratti — è un violento attacco politico! Non è scientifico, non è oggettivo.»

«Allora parliamo del modo in cui dovrai pronunciarlo. Dopo tutto sei tu che parlerai — sei tu quella che deve rivolgersi al pubblico, non io. Ripassiamo i punti fondamentali.»

Greta fece scorrere avanti e indietro il testo, poi sospirò. «Va bene. Penso che questa sia la parte peggiore. La faccenda degli scienziati che sarebbero una classe oppressa. ‘Un gruppo il cui sfruttamento dovrebbe essere riconosciuto e fatto cessare’. Gli scienziati che si sollevano, solidali, per chiedere giustizia — buon Dio, non posso dire una cosa del genere! È troppo radicale, sembra una follia!»

«Ma voi siete davvero una classe oppressa. È la verità, è la bruciante verità al centro della vostra esistenza. A un certo punto la scienza ha imboccato la strada sbagliata ed è andata in malora. Avete perso il vostro posto nella società. Avete perso prestigio, il rispetto per voi stessi e l’alta stima di cui, un tempo, gli scienziati godevano agli occhi del pubblico. Vi si fanno delle richieste che non sarete mai in grado di soddisfare. Non avete più libertà intellettuale. Vivete in una sorta di bondage intellettuale.»

«Ma questo non ci rende una ‘classe oppressa’. Siamo un’elite formata da esperti nei nostri campi.»

«E allora? La vostra situazione fa schifo lo stesso! Non avete alcun potere per prendere decisioni sulle vostre ricerche. Non controllate i cordoni della borsa. Non avete la sicurezza del vostro lavoro, né alcuna garanzia di impiego continuativo. Siete stati defraudati della possibilità che il vostro lavoro venga giudicato da persone del vostro stesso campo. La vostra tradizionale preparazione intellettuale è stata calpestata da ignoranti e artisti del dollaro facile. Va bene, siete l’intellighenzia tecnica, ma venite presi in giro da politici corrotti che si riempiono le tasche a vostre spese.»

«Ma come fai a dire una cosa del genere? Guarda il posto meraviglioso in cui viviamo!»

«Tesoro, voi credete soltanto che questa sia la torre d’avorio. In realtà, abitate nei bassifondi.»

«Ma nessuno la pensa così!»

«Perché sono anni che continuate a illudervi. Tu sei intelligente, Greta. Hai occhi e orecchie. Pensa a quello che hai dovuto subire. Pensa al modo in cui i tuoi colleghi devono davvero vivere. Sforzati di pensare meglio.»

Greta rimase in silenzio.

«Avanti» la esortò Oscar. «Prenditi tutto il tempo che vuoi, pensa con calma.»

«È vero. È la verità, ed è orribile, me ne vergogno, la odio. Ma si tratta di politica. Nessuno può farci niente.»

«Questo lo vedremo» replicò Oscar. «Passiamo a un altro punto del discorso.»

«Okay.» Greta si asciugò gli occhi. «Be’, questa è la parte davvero disgustosa e dolorosa. Riguarda il senatore Dougal. Io conosco quell’uomo, l’ho incontrato molte volte. Beve troppo, ma al giorno d’oggi è quello che facciamo tutti. Non è così cattivo come viene dipinto in questo discorso.»

«Le persone non possono unirsi contro le astrazioni. Bisogna dare un volto ai problemi. È in questo modo che si uniscono le persone dal punto di vista elettorale. Bisogna scegliere il bersaglio e orientare contro di lui l’opinione pubblica. Dougal non è l’unico nemico che hai, ma tu di questo non devi preoccuparti. Ci occuperemo degli altri non appena lo avrai inchiodato al muro.»

«Ma è stato lui a costruire tutto, ha costruito questo intero laboratorio!»

«È un politico corrotto. Adesso lo conosciamo come le nostre tasche. Mentre era al potere, nessuno osava sbarrargli la strada. Ma adesso che sta imbarcando acqua e affondando in fretta, gli salteranno tutti addosso. Le tangenti, il riciclaggio di denaro… Tu ti occupi della sezione strumenti. Dougal e i suoi amici hanno fatto la cresta per anni. Tu hai un obbligo legale e morale di attaccarlo. E la cosa migliore di tutte è che, da un punto di vista politico, scagliarsi contro Dougal è una passeggiata. Lui non può più farci nulla. Dougal è la parte più facile.» Oscar fece una pausa. «No, è Huey che mi preoccupa davvero.»

«Non capisco perché devo essere così spietata.»

«Tu hai bisogno di sollevare una questione politica, ma non esistono questioni politiche che non siano controverse. E poi il ridicolo è l’arma migliore dei radicali. I poteri costituiti sopportano tutto tranne la derisione.»

«È solo che io non sono adatta a fare cose del genere.»

«Datti una possibilità. Mettiti alla prova. Pronuncia un paio di quei commetti taglienti e vediamo come reagisce il pubblico.»

Greta tirò su con il naso. «Sono scienziati. Non reagiranno a un attacco tanto fazioso.»

«Ma certo che lo faranno. Gli scienziati lottano come furetti impazziti. Pensa alla tua storia qui nel laboratorio! Quando Dougal fece costruire questo posto, ebbe bisogno di incassare un mucchio di favori. Aveva bisogno dei voti dei fondamentalisti cristiani prima di potere costruire un gigantesco laboratorio di genetica nella Bible Belt del Texas orientale. Ecco perché il Collaboratorio aveva il suo dipartimento di Scienza creazionista. Ma questa sistemazione durò sei settimane! Vi furono risse, rivolte e incendi dolosi! Dovettero chiamare i Texas Ranger per ristabilire l’ordine.»

«Oh, ma il problema della scienza creazionista non era poi così grave.»

«E invece lo era! La tua piccola società ne ha rimosso il ricordo perché era troppo imbarazzante. Ma questo fu solo l’inizio. L’anno seguente vi fu una contesa con gli abitanti di Buna, si giunse a veri scontri tra abitanti e corpo docente… E la situazione degenerò sul serio durante la guerra economica. Vi furono cacce alle streghe federali in cerca di spie straniere, iperinflazione e ricercatori di laboratorio che vivevano di briciole… Senti, io non sono uno scienziato come te. Io non devo per forza convincermi che la scienza sia sempre una nobile impresa. In effetti, io guardo sempre dietro le apparenze.»

«Be’, io non sono un politico come te. E così non devo passare la mia vita a far venire alla luce scandali disgustosi.»

«Cara, una volta o l’altra faremo una bella chiacchierata sulla tua Età dell’Oro del ventesimo secolo: Lysenko, spie atomiche, dottori nazisti ed esperimenti con le radiazioni. Nel frattempo, però, dobbiamo concentrarci sul tuo discorso.»

Greta fissò il computer portatile. «Va sempre peggio. Tu vuoi che io tagli il nostro bilancio e che licenzi molte persone.»

«Il bilancio deve essere tagliato, e anche in modo drastico. Alcune persone devono essere licenziate. Un bel po’ di persone, a dire il vero. Il laboratorio ha sedici anni ed è pieno di rami secchi della burocrazia. Liberiamoci dei rami secchi. Licenzia tutti quelli che lavorano nel dipartimento Ricadute industriali, sono tutti amici di Dougal e sono tutti corrotti. Licenzia i parassiti che si occupano delle forniture del laboratorio e affida i bilanci nuovamente nelle mani dei ricercatori. E, soprattutto, liberati dei poliziotti.»

«Ma non posso fare una cosa del genere. Sarebbe una vera pazzia!»

«I poliziotti dovranno andarsene il più presto possibile. Assumi tu stessa le tue nuove forze di polizia. Se non controlli la polizia, la tua autorità sarà costantemente in pericolo. Le forze di polizia costituiscono il nucleo di qualsiasi società e, se non le hai dalla tua parte, non riuscirai a mantenere il potere. Huey questo lo sa. Ecco perché ha comprato i poliziotti di qui. Ufficialmente possono essere anche dei dipendenti federali, ma sono tutti stipendiati da Huey.»

L’auto sussultò con tonfo e un cigolio. Oscar lanciò un grido. Un animale nero e dalla sagoma confusa stava battendo sul cofano con gli artigli.

«È un lemure» spiegò Greta. «Sono animali notturni.»

Il lemure li fissò attraverso il parabrezza con occhi gialli delle dimensioni e della forma di palle da golf. Premute contro il vetro, le sue fattezze protoumane fecero saltare i nervi a Oscar. «Ne ho abbastanza di questi animali!» gridò Oscar. «Sono come il fantasma di Banquo, non ci lasciano mai in pace! E chi è che ha avuto questa idea brillante? Animali selvaggi liberi di girare in un laboratorio scientifico? È una vera assurdità!»

«Sono davvero fantasmi» replicò Greta in tono tranquillo. «Ma siamo stati noi a evocarli dalla tomba. Abbiamo imparato a farlo qui.» Aprì la porta e mise un piede a terra, agitando un braccio. «Va’ via. Sciò.»

Il lemure si allontanò con riluttanza.

Oscar stava sudando freddo. Gli si erano rizzati i peli di tutto il corpo e gli tremavano le mani. Poté letteralmente annusare l’odore della propria paura: un intenso odore feromonico. Incrociò le braccia e venne scosso da violenti brividi. La sua reazione era stata spropositata, ma non era riuscito a controllarsi: quella sera era decisamente ispirato, carico come una molla. «Dammi un minuto… Mi dispiace… Dove eravamo rimasti?»

«Non posso alzarmi in pubblico e iniziare a gridare che bisogna licenziare delle persone.»

«Non giudicare in anticipo la cosa. Prima provaci. Suggerisci soltanto che alcuni di quei parassiti dovrebbero essere licenziati e poi vedi in che modo reagisce il tuo pubblico.» Respirò a fondo. «Ricorda il climax — hai un asso finale da giocare.»

«Il punto in cui comunico che rinuncio al mio stipendio.»

«Sì, ho pensato che sarebbe stato sufficiente ridurlo della metà — mi piacerebbe vedere il bilancio del Collaboratorio ridotto della stessa percentuale — ma se rifiuti di percepire uno stipendio si tratterà di un gesto molto più eclatante ed efficace. Ti rifiuterai di ricevere uno stipendio governativo fino a quando il laboratorio non sarà di nuovo in ordine. E una grande conclusione, dimostra che fai davvero sul serio, costituisce una chiusura perfetta del tuo discorso, perfetta per essere trasmessa dai notiziari. Poi ti siedi di nuovo e stai a guardare i fuochi artificiali.»

«Io mi rimetto a sedere e il direttore mi licenzia in tronco.»

«No, non lo farà. Non oserà. Non è mai stato un uomo indipendente e non è così brillante da reagire tanto in fretta. Cercherà di guadagnare tempo, senza sapere che lui di tempo non ne ha più. Il passo successivo sarà quello di farti nominare direttore. E la vera sfida sarà quella di farti mantenere la carica abbastanza a lungo da dare il via a una vera riforma.»

Greta sospirò. «E poi, quando tutta questa faccenda si sarà finalmente conclusa, potrò tornare di nuovo al mio lavoro di laboratorio?»

«Probabilmente sì.» Oscar fece una pausa. «No, sicuramente sì, se è questo che vuoi davvero.»

«E come farò a mangiare senza stipendio?»

«Hai l’assegno del tuo premio Nobel, Greta. Hai tutte quelle alte pile di corone svedesi che non hai mai toccato.»

Lei si accigliò. «Ho sempre pensato che avrei utilizzato quel denaro per comprare nuovi strumenti, ma i tizi della sezione acquisti del laboratorio non mi hanno mai permesso di compilare tutte le scartoffie necessarie.»

«Okay, ecco il tuo problema in un guscio di noce: come prima cosa, licenzia tutti quei fottuti bastardi.»

Greta chiuse il computer portatile. «Questa è una faccenda seria. Quando pronuncerò questo discorso, si scatenerà l’inferno. Succederà qualcosa.»

«Noi vogliamo esattamente questo. Ecco perché ci stiamo dando tanto da fare.»

Greta si girò di scatto sul sedile, urtandolo con un ginocchio. «Io voglio soltanto dire la verità. Non voglio fare politica. Voglio soltanto dire la verità.»

«Questo è un discorso politico assolutamente onesto! Ogni tua affermazione può essere documentata.»

«È onesto su tutto tranne te e me.»

Oscar espirò lentamente. Si era aspettato quello sviluppo. «Be’, questo è il prezzo che dobbiamo pagare. A partire da dopodomani, sarai in campagna elettorale. Anche con le migliori intenzioni e tutta la buona volontà, non avremo più tempo per noi stessi. Quando riuscivamo a trovare un po’ di tempo, potevamo incontrarci a Boston, oppure in Louisiana. Era bello e potevamo farlo senza rischi. Ma d’ora in avanti perderemo questo privilegio. Questa è l’ultima volta che tu e io possiamo incontraci in privato. Domani, quando pronuncerai il tuo discorso, non sarò neppure tra il pubblico. Non dobbiamo assolutamente dare l’impressione che io ti stia suggerendo cosa fare.»

«Ma le persone sanno di noi. Lo sa un mucchio di persone. Io voglio che la gente lo sappia.»

«Tutti i leader politici conducono delle doppie vite. Pubbliche, e private. Non si tratta di ipocrisia, ma semplicemente della realtà delle cose.»

«E cosa succederà se saremo scoperti?»

«Be’, ci sono due modi di affrontare questo sviluppo. Potremmo negare tutto. È la cosa più semplice, e più facile. Possiamo negare tutto e lasciare che siano loro a tentare di provare le loro accuse. Oppure potremmo stuzzicarli, magari affermando di essere lusingati dalle loro accuse. Potremmo sviarli per un po’, potremmo essere sexy e affascinanti. Sai, potremmo condurre il gioco nel vecchio stile hollywoodiano. Si tratta di un gioco pericoloso, ma io lo conosco molto bene e lo preferisco, se proprio vuoi sapere la verità.»

Greta rimase in silenzio per un istante. «E non ti mancherò?»

«Ma come potresti mancarmi? Io sto gestendo la tua campagna elettorale. Adesso sei tu il vero centro della mia vita. Tu sei il mio candidato.»


Oscar e Yosh Pelicanos si stavano godendo una salutare passeggiata intorno alle torre di porcellana della Zona Calda. Pelicanos indossava un berretto con la visiera, pantaloni kaki e un maglione senza maniche. Due mesi all’interno della cupola avevano spinto quasi tutti i membri della krew di Oscar ad assumere i costumi del luogo. Oscar, in netto contrasto, indossava il suo vestito più elegante e un cappello nuovo di zecca. Oscar provava di rado il bisogno di fare esercizio fisico, poiché il suo tasso metabolico era dell’otto per cento superiore a quello di un normale essere umano.

La loro passeggiata serviva a farsi vedere in pubblico. Il consiglio direttivo del Collaboratorio si era riunito, Greta era in procinto di parlare e Oscar voleva che fosse ben chiaro che lui era il più lontano possibile dalla scena del dramma. In effetti, era abbastanza difficile non notare Oscar quando era seguito dalla sua guardia del corpo: lo spettrale Kevin Hamilton, che avanzava sulla sua sedia a rotelle motorizzata.

«Insomma, vuoi dirmi che ci fa qui quel tizio, Hamilton?» borbottò Pelicanos, voltandosi a lanciare un’occhiata dietro una spalla. «Ma perché diavolo hai sentito il bisogno di assumere un criminale anglo? La sua unica credenziale è che zoppica perfino più di Fontenot.»

«Kevin è molto dotato. È riuscito a schiodarmi dalla schiena quel programma di guerra di rete. E poi, si accontenta di poco.»

«Si veste come uno strozzino. Riceve diciotto pacchi al giorno. E quella cuffia e tutti i suoi scanner — al diavolo, non se li toglie di dosso neppure quando dorme! Sta dando sui nervi a tutti.»

«Imparerete ad apprezzare Kevin. So che non si tratta del solito giocatore di squadra. Sii tollerante.»

«Sono nervoso» ammise Pelicanos.

«Non ne hai alcun motivo. Abbiamo preparato il terreno in modo perfetto» replicò Oscar. «Devo riconoscerlo a tutta la krew: sono davvero fiero di voi.» Oscar era di umore raggiante. Una tensione personale insopportabile, uno stress e una suspence terribile facevano sempre uscire fuori il suo lato infantile, desideroso di riconoscimenti. «Yosh, tu hai svolto un lavoro di prima classe su quei controlli. E la gestione dei sondaggi pilotati è stata superba, te la sei cavata magnificamente. Sono bastate una dozzina di domande scottanti su carta intestata della commissione scientifica e gli abitanti del luogo stanno saltando come marionette; adesso sono sul chi vive, sono pronti a tutto. È stato un vero tour de force. Perfino l’albergo sta guadagnando soldi! Specialmente adesso che siamo riusciti ad attirare quei revisori di conti provenienti da fuori.»

«Sì, ci hai fatto lavorare tutti come muli — questo non hai bisogno di dirmelo. La questione è: sarà sufficiente?»

«Be’, nulla è mai sufficiente… La politica non è un meccanismo di precisione, è teatro. È magia del palcoscenico. E adesso lo spettacolo sta per iniziare. Abbiamo la nostra claque nel pubblico, abbiamo sciarpe e nastri nella manica, abbiamo saturato il campo da gioco di cappelli a cilindro e conigli…»

«Ma ci sono troppi cappelli a cilindro e troppi conigli.»

«No, non è così! Non saranno mai troppi! Useremo soltanto quelli che ci servono, se e quando ci serviranno. Questa è la bellezza del multitasking. Sai, quell’aspetto frattalico, la somiglianza di livelli politici multipli…»

Pelicanos emise uno sbuffo ironico. «Smettila di parlare come Bambakias. Questo pretenzioso gergo di rete con me non attacca.»

«Ma funziona! Se i federali non ci appoggiano, abbiamo i nostri contatti nell’ufficio del controllore dei conti del Texas. Il consiglio comunale di Buna è con noi! So che dal punto di vista politico non conta molto, ma — ehi! — abbiamo prestato loro più attenzione nelle scorse sei settimane di quanto abbia mai fatto il Collaboratorio in quindici anni.»

«E così stai tenendo aperte tutte le porte.»

«Esatto.»

«Hai sempre detto che era una cosa che odi fare.»

«Cosa? lo non ho mai detto nulla del genere. Sei tu che vedi tutto nero. Sono davvero ottimista su questa faccenda, Yosh — abbiamo avuto qualche difficoltà, ma accettare questo incarico è stata una decisione molto saggia. Ha ampliato i miei orizzonti professionali.»

Si fermarono per permettere a uno yak asiatico di attraversare la strada. «Vuoi sapere cosa mi piace di più di questa campagna?» chiese Oscar. «È così piccola. Duemila analfabeti politici, rinchiusi in una cupola stagna. Abbiamo profili dei votanti e dossier completi su ogni singola persona del Collaboratorio! È così isolato, staccato dal mondo! Dal punto di vista politico, una situazione del genere ha qualcosa di perfetto, perfino di magico.»

«Sono felice che ti stia divertendo.»

«Io sono deciso a divertirmi, Yosh. Qui potremmo essere schiacciati, oppure ascendere alle vette della gloria, ma non avremo mai la possibilità di fare di nuovo qualcosa del genere.»

Un camion li superò a bassa velocità, carico di semi mutanti. «Vuoi sapere una cosa?» replicò Pelicanos. «Sono stato così impegnato a organizzare tutto che non ho mai avuto la possibilità di capire cosa fanno qui.»

«Io penso che tu lo capisca molto meglio di me.»

«Non mi riferivo alle loro finanze, ma alla ricerca scientifica vera e propria. Riesco a capire abbastanza bene la biotecnologia commerciale — eravamo in affari insieme in questo campo, a Boston. Ma questo laboratorio all’avanguardia, questa genie che lavora sul cervello, sulla cognizione… So che qui mi sta sfuggendo qualcosa di importante.»

«Si? Personalmente, ho tentato di aggiornarmi sulle ‘fibrille amiloidi’ Greta è addirittura ossessionata da questa roba.»

«Non si tratta soltanto del fatto che il loro campo è tecnicamente difficile da comprendere. Certo, lo è, ma ho la sensazione che stiano nascondendo qualcosa.»

«Sicuro: che la scienza è in piena decadenza. Non possono più ottenere i brevetti delle loro scoperte, oppure proteggerle con il copyright, e così, qualche volta, tentano di tenere segrete le scoperte che possono avere un valore commerciale.» Oscar rise.

«Come se, al giorno d’oggi, una cosa del genere fosse ancora possibile.»

«Forse in questo posto stanno studiando qualcosa che potrebbe aiutare Sandra.»

Oscar fu commosso da quelle parole. Adesso era chiaro perché il suo amico era di umore tanto cupo; Pelicanos si era aperto come un origami. «Finché c’è vita, c’è speranza, Yosh.»

«Se avessi più tempo per pensare, se non ci fossero tante distrazioni… Adesso ci sono solo cappelli a cilindro e conigli… Nulla è prevedibile, nulla ha più senso. La nostra società non ha più radici. Non abbiamo più un posto in cui rimanere. Oscar, siamo tutti trascinati da un’oscura inerzia. A volte penso davvero che questo paese sia impazzito.»

«Perché dici questo?»

«Be’, prendi noi, per esempio. Cioè, pensa a cosa dobbiamo affrontare.» Pelicanos chinò il capo e iniziò a contare sulle dita. «Mia moglie è schizofrenica. Bambakias soffre di un grave caso di depressione. La povera Moira è finalmente andata in pezzi in pubblico e ha avuto una crisi. Dougal è un alcolizzato. Green Huey è un megalomane. E quei poveri svitati che tentano di ucciderti… be’, di quelli ce n’è una scorta inesauribile.»

Oscar continuò a camminare in silenzio.

«Sto esagerando? Oppure ci troviamo di fronte a una vera e propria tendenza della nostra società?»

«Io la definirei piuttosto un’ondata» rispose Oscar in tono pensoso. «Questo spiegherebbe i sondaggi alle stelle da quando Bambakias ha avuto il suo attacco. È il classico politico dotato di carisma. E così anche i suoi difetti personali non fanno che amplificare i suoi pregi. Le persone percepiscono semplicemente la sua autenticità, riconoscono che lui è davvero un uomo del nostro tempo. Lui rappresenta il popolo americano. È un leader nato.»

«Ma sta abbastanza bene da agire in nostro favore a Washington?»

«Be’, è un nome che possiamo ancora sfruttare… Ma in pratica, no, non può aiutarci. Ho un buon canale riservato, Lorena, e, per essere franchi, adesso il senatore vive davvero in un mondo di fantasia. Ha sviluppato una sorta di bizzarra fissazione sul presidente, continua a delirare su una guerra calda con l’Europa… Vede agenti olandesi nascosti sotto ogni letto… Stanno tentando di calmarlo con ogni tipo di antidepressivi.»

«E funzioneranno? Riusciranno a stabilizzare le sue condizioni?»

«Be’, le cure suscitano un grande interesse dei media. Fin dall’inizio del suo sciopero della fame si sta sviluppando un enorme fandom medico di Bambakias, dico sul serio… Hanno i loro siti, le loro trasmissioni… Inviano un mucchio di messaggi di posta elettronica: auguri, rimedi casalinghi per riacquistare la salute mentale, scommesse su quando e se morirà… È un classico fenomeno sviluppatosi dal basso. Sai, magliette, cartelli nel cortile, tazze di caffè, calamite per i frigoriferi… Non lo so, ho l’impressione che l’intera faccenda stia sfuggendo al controllo.»

Pelicanos si carezzò il mento. «È come una specie di giornalismo spazzatura da pop star.»

«Esatto. Una definizione perfetta, hai centrato perfettamente il punto.»

«E noi come dovremmo sentirci, Oscar? Voglio dire, praticamente tutta questa situazione è colpa nostra, vero?»

«Lo credi davvero?» replicò Oscar in tono sorpreso. «Sai, ormai sono così coinvolto dall’intera situazione che non riesco più a giudicare.»

Un corriere in bicicletta si fermò accanto a loro. «Ho un pacco da consegnare a al signor Hamilton.»

«Allora devi rivolgerti a quel tizio sulla sedia a rotelle» lo informò Oscar.

Il corriere esaminò il suo lettore satellitare portatile. «Oh, sì. Giusto. Grazie.» Si allontanò pedalando di gran lena.

«Be’, tu non sei mai stato il suo capo dello staff» affermò Pelicanos.

«Si, è vero. Questo, per me, è un vero conforto.» Oscar rimase a guardare mentre il corriere era impegnato in una transazione con il suo capo della sicurezza. Kevin firmò le ricevute di due pacchi cellofanati. Esaminò gli indirizzi del mittente e iniziò a parlare nel microfono fissato alla cuffia.

«Sai che quei pacchi contengono roba da mangiare?» chiese Pelicanos. «Bastoncini di roba bianca, sembra paglia mescolata con gesso. Li mastica continuamente. È quasi un ruminante.»

«Almeno lui mangia» replicò Oscar. Il suo telefono squillò. Lo estrasse dalla manica e rispose. «Pronto?»

Udì una voce lontana e gracchiante. «Sono io, Kevin, passo.»

Oscar si girò verso Kevin, che li seguiva a dieci passi di distanza. «Sì, Kevin? Cosa c’è?»

«Penso che stia per succedere qualcosa. Qualcuno ha appena attivato un allarme antincendio nel Collaboratorio, passo.»

«E questo è un problema?»

Oscar osservò la bocca di Kevin che si muoveva, ma la voce dell’uomo giunse al suo orecchio almeno dieci secondi dopo. «Be’, questa è una cupola a tenuta stagna. Gli abitanti del luogo prendono molto sul serio gli incendi qui dentro, passo.»

Oscar esaminò la torreggiante struttura a griglia sopra la sua testa. Era un pomeriggio invernale; il cielo era di un azzurro trasparente. «Non vedo nessun filo di fumo. Kevin, cosa c’è che non va con il tuo telefono?»

«Contromisure per evitare l’analisi del traffico — questa chiamata ha fatto il giro del mondo per otto volte, passo.»

«Ma siamo a soli dieci metri di distanza. Perché non mi hai raggiunto e non hai parlato direttamente con me?»

«Dobbiamo agire con freddezza, Oscar. Smettila di guardarmi e continua a passeggiare. Non guardare adesso, ma ci sono dei poliziotti che ci pedinano. Un veicolo davanti e uno dietro; penso che abbiano dei microfoni direzionali. Passo.»

Oscar si girò e passò un braccio sulla spalla di Pelicanos, spingendolo ad accelerare il passo. In effetti, erano visibili alcuni poliziotti del laboratorio. Di solito utilizzavano i loro fuoristrada con la scritta ‘Autorità di sicurezza del Collaboratorio nazionale di Buna’: veicoli macho con sigilli ufficiali da operetta sulle portiere. Però quei poliziotti avevano requisito un paio di taxi del Collaboratorio, di quelli che venivano chiamati per telefono. I poliziotti stavano tentando di non farsi notare.

«Kevin dice che i poliziotti ci stanno seguendo» Oscar avvertì Pelicanos.

«Sono felice di sentirlo» rispose in tono tranquillo Pelicanos. «Qui dentro hanno tentato tre volte di ucciderti. Tu devi essere la cosa più eccitante che sia capitata a questi poliziotti da anni.»

«Dice anche che è scattato un allarme antincendio.»

«E come fa a saperlo?»

Un’autopompa di colore giallo vivo emerse dalla viscere dell’edificio che ospitava il dipartimento Antinfortunistica. Accese le sirene lampeggianti, emise uno squillo di clacson e si diresse verso sud, lungo la circonvallazione del laboratorio.

Oscar provò una strana sensazione di formicolio sulla pelle, poi udì un violento sibilo di pressione atmosferica. Una porta invisibile si chiuse di scatto nella sua testa. Il Collaboratorio aveva appena chiuso le sue camere stagne. L’intera massiccia struttura si era appena tesa come un tamburo.

«Gesù, è scoppiato davvero un incendio!» esclamò Pelicanos. Agendo d’istinto, si girò e iniziò a correre inseguendo l’autopompa.

Oscar pensò che fosse più ragionevole rimanere con la sua guardia del corpo. Infilò il telefono nella manica e raggiunse Kevin.

«E allora, Kevin, ma che cosa c’è in quei pacchetti che ti arrivano di continuo?»

«Abbronzante con il massimo fattore di protezione» mentì spudoratamente Kevin, sbadigliando per sturarsi le orecchie. «Sai, è una vecchia abitudine anglo.»

Oscar e Kevin lasciarono la strada ad anello, dirigendosi a sud e superando il Centro di calcolo. I poliziotti li stavano ancora seguendo coscienziosamente, ma presto i veicoli furono ostacolati dalla folla di pedoni curiosi che stavano sciamando dai vari edifici.

L’autopompa si fermò all’esterno del centro media del Collaboratorio. L’edificio era il luogo in cui si teneva la riunione in cui aveva parlato Greta. Il pubblico accuratamente selezionato da Oscar si riversava dalle uscite, agitando le braccia e urlando in prenda alla confusione.

Sulla scalinata dell’uscita est era scoppiata una rissa. Un uomo dai capelli grigi e dal naso insanguinato cercava di ripararsi sotto il corrimano metallico mentre un giovane duro con un cappello da cowboy e dei pantaloncini stava cercando di prenderlo a calci. Quattro uomini stavano tentando di trattenerlo per le braccia e le spalle.

Kevin fece fermare la sedia a rotelle. Oscar attese a fianco di Kevin e controllò l’orologio. Se tutto fosse andato come previsto — ed era chiaro che non era così — ormai Greta doveva avere finito di pronunciare il suo discorso. Sollevò lo sguardo in tempo per vedere il cowboy perdere il cappello. Con sua grande stupore, riconobbe l’aggressore come un membro della sua krew, Norman il Volontario.

«Vieni con me, Kevin. Qui non c’è nulla di interessante da vedere.» Oscar si girò in fretta e tornò da dove era venuto. Una volta si girò a guardare da sopra la spalla. I poliziotti che lo avevano seguito in precedenza adesso erano occupati ad arrestare il giovane Norman.


Oscar attese fino a quando non ricevette una comunicazione ufficiale della polizia sull’arresto di Norman. Poi si recò alla stazione di polizia, situata nel lato centro-orientale della cupola. Il quartiere generale della polizia del Collaboratorio faceva parte di un basso complesso di edifici con l’aspetto di una fortezza, che ospitava la caserma dei pompieri, i generatori di energia, i servizi telefonici e le forniture di acqua interne.

Oscar aveva una certa dimestichezza con le procedure del quartiere generale della polizia, poiché aveva visitato tre dei suoi presunti aggressori tenuti in custodia lì. Si presentò al poliziotto di servizio. Fu informato che il giovane Norman era stato accusato di aggressione e di disturbo della quiete pubblica.

Norman indossava una tuta arancione e un paio di manette. In quell’uniforme immacolata sembrava sorprendentemente elegante; era vestito molto meglio della maggior parte del personale del Collaboratorio. Le manette erano costituite da un braccialetto infrangibile dotato di minuscoli microfoni e di lenti di sorveglianza.

«Avrebbe dovuto portare un avvocato» commentò Norman da dietro il tavolo di compensato. «Non disattivano mai il braccialetto, a meno che non si tratti di un colloquio tra il difensore e il suo cliente.»

«Lo so» rispose Oscar. Aprì il computer portatile e lo poggiò sul tavolo.

«Non mi ero mai reso conto di quanto fosse orribile questo affare» si lamentò Norman, strofinando il braccialetto. «Cioè, vedevo i tizi che lo portavano in libertà vigilata e mi chiedevo, sa, ma di cosa si lamenta questo stronzo di un criminale… Ma adesso che ne porto uno anch’io… È una cosa davvero umiliante.»

«Mi dispiace sentirti dire una cosa del genere» rispose Oscar in tono tranquillo. Iniziò a digitare qualcosa.

«A scuola conoscevo questo tipo che finì nei guai e lo sentivo sfottere il suo braccialetto… Sa, si sedeva durante l’ora di matematica borbottando, ‘spaccio rapina omicidio aggressione…’ Questo perché i poliziotti eseguono sondaggi di riconoscimento vocale. È in questo modo che questi braccialetti ti sorvegliano. Noi pensavamo che fosse completamente pazzo. Ma adesso comincio a capire perché lo facesse.»

Oscar girò lo schermo del portatile verso Norman, mostrando un tipo di caratteri a 36 punti, CONTINUEREMO A CHIACCHIERARE E IO TI SPIEGHERÒ CON FRANCHEZZA COME STANNO LE COSE.

«Non devi preoccuparti dei poliziotti locali. Qui possiamo parlare liberamente» affermò Oscar ad alta voce. «Quel dispositivo serve a proteggere te quanto gli altri.» TIENI SOLTANTO IL BRACCIO IN GREMBO IN MODO CHE LE TELECAMERE NON POSSANO LEGGERE LO SCHERMO. Cancellò la schermata con una combinazione di tasti rapida.

«Sono nei guai, Oscar?»

«Sì, lo sei.» NO, NON LO SEI. «Raccontami soltanto quello che è successo.» DIMMI QUELLO CHE HAI RACCONTATO ALLA POLIZIA.

«Be’, lei stava facendo un discorso magnifico» esordì Norman. «Voglio dire, in un primo momento la si sentiva a stento, era molto nervosa, ma una volta che il pubblico ha iniziato a urlare, lei si è davvero scatenata. Tutti sono diventati molto eccitati… Senta, Oscar, quando i poliziotti mi hanno arrestato, ho perso la testa. Ho raccontato loro un mucchio di cose. Ho detto loro quasi tutto. Mi dispiace.»

«Ma davvero» commentò Oscar in tono blando.

«Sì, ho detto loro anche perché mi ha mandato lì. Perché sapevamo dai profili che ci sarebbero stati dei problemi e che a causarli probabilmente sarebbe stato quel tizio, Skopelitis. Era lui che stavo picchiando. Ero seduto subito dietro di lui in quinta fila… E così ogni volta che si prepara ad alzarsi per interrompere la dottoressa, io glielo impedisco. Gli chiedo di spiegarmi una determinata parola, gli faccio togliere il cappello, gli chiedo dove sia la toilette…»

«Tutti comportamenti perfettamente legali» commentò Oscar.

«Alla fine mi ha gridato di stare zitto.»

«E tu hai obbedito all’ordine del dottor Skopelitis?»

«Be’, ho iniziato a mangiare la mia busta di patatine. Erano buone, molto croccanti.» Norman fece un sorriso triste. «Allora ha perso la testa, stava tentando di trovare degli indizi nel suo computer portatile. E io sbirciavo da sopra la sua spalla e, sa, lì dentro aveva un intero elenco di dichiarazioni che si era preparato in anticipo. Aveva pensato proprio a tutto. Ma ormai lei ci stava dando dentro e il pubblico applaudiva, lanciava perfino degli urrà… La dottoressa ha fatto un mucchio di battute divertentissime. Non riuscivano a credere quanto fosse divertente. Alla fine il tizio salta su e urla qualcosa di assolutamente stupido su come osa fare questo, e come osa fare quello, e il pubblico impazzisce. Gli hanno gridato di chiudere il becco. E così lui se ne va, davvero arrabbiato. E così io l’ho seguito.»

«E perché l’hai fatto?»

«Più che altro per distrarlo un altro po’. Mi stavo davvero divertendo.»

«Oh.»

«Sì, sono uno studente universitario e lui somigliava moltissimo a uno dei miei professori, un tizio che mi stava davvero sulle scatole. Volevo soltanto fargli sapere che avevo il suo numero. Ma dopo essere uscito dalla sala, ha iniziato a correre. E così ho capito che stava per fare qualcosa di brutto. Allora l’ho seguito e l’ho visto attivare un allarme antincendio.»

Oscar si tolse il cappello e lo poggiò sul tavolo. «Tu affermi di averlo visto fare una cosa del genere?»

«Accidenti, ma certo che lo affermo! Allora ho deciso di smascherarlo. Sono corso verso di lui e gli ho detto, ‘Mi stia a sentire, Skopelitis, non può fare uno sporco trucco del genere! Non è da professionisti’.»

«E poi?»

«E poi lui mi ha negato tutto in faccia. Io gli ho detto, ‘Ti ho visto mentre lo facevi’. Lui va in panico e fugge. Io lo inseguo. La gente sta uscendo dalla sala a causa dell’allarme. La situazione si scalda. Tento di bloccarlo. Iniziamo a lottare. Io sono più forte di lui e così lo concio per le feste. Lo inseguo lungo il corridoio, saltando i gradini, lui ha il naso insanguinato, la gente ci urla di fermarci. Ho perso la calma.»

Oscar sospirò. «Norman, sei licenziato.» Norman annuì con aria abbattuta. «Davvero?»

«Questo non è un comportamento accettabile, Norman. I membri della mia krew sono operatori politici. Tu non sei un vigilante. Non puoi andare in giro a prendere a pugni le persone.»

«E allora cosa avrei dovuto fare?»

«Avresti dovuto informare la polizia che avevi visto il dottor Skopelitis commettere un crimine.» È FINITO! UN BUON LAVORO! È UN PECCATO CHE ADESSO IO SIA COSTRETTO A LICENZIARTI.

«Mi licenzierà davvero, Oscar?»

«Sì, Norman, sei licenziato. Andrò in clinica a trovare il dottor Skopelitis gli porgerò le mie scuse di persona. Spero di riuscire a convincerlo a lasciare cadere le accuse contro di te. Poi ti rimanderò a casa, a Cambridge.»


Oscar andò a fare visita a Skopelitis nella clinica del Collaboratorio. Gli portò dei fiori: un simbolico mazzo di garofani gialli e lattuga. Skopelitis aveva una camera singola e, all’improvviso arrivo di Oscar, si era affrettato a rimettersi a letto. Aveva un occhio nero e il naso avvolto in un bel po’ di bende.

«Spero che non stia prendendo male tutta questa faccenda, dottor Skopelitis. Mi permetta di chiamare un’infermiera per farmi portare un vaso.»

«Non credo che sarà necessario» replicò Skopelitis in tono nasale.

«Oh, ma io insisto» affermò Oscar. Eseguì il tremendo rituale, facendo entrare l’infermiera, accettando i suoi complimenti per i fiori, chiacchierando dell’acqua e della luce del sole, valutando con attenzione il disagio sempre più evidente del paziente, che si venò di una sfumatura di terrore quando Skopelitis scorse Kevin nella sua sedia a rotelle, immobile all’esterno del corridoio.

«C’è qualcosa che posso fare per aiutare la sua convalescenza? Magari potrei leggerle qualcosa di leggero, che ne dice?»

«La smetta!» esclamò Skopelitis. «La smetta di essere così educato, non lo sopporto.»

«Come, scusi?»

«Stia a sentire, io so esattamente perché lei è qui. Andiamo al sodo. Lei vuole che io faccia uscire il ragazzo. Giusto? Lui mi ha aggredito. Be’, lo farò, ma a una condizione: deve smettere di raccontare quelle bugie su di me.»

«E quali sarebbero queste bugie?»

«Senta, non inizi a fare i suoi giochetti con me. So come vanno queste cose. Lì dentro lei aveva la sua squadra addetta agli sporchi trucchi. È stato lei a organizzare tutta la faccenda fin dall’inizio, è stato lei a scriverle quel discorso, quegli attacchi contro il senatore, è stato lei a organizzare tutto. Lei è entrato a passo di danza in questo laboratorio con la sua potente macchina da campagna elettorale, scavando nel fango per tirarne fuori vecchie storie, tentando di distruggere le carriere delle persone, le loro vite… Lei mi ripugna! E così le darò una possibilità: faccia stare zitto quel ragazzo e io lascerò cadere tutte le accuse. Questa è la mia ultima offerta. Dunque, prendere o lasciare.»

«Oh, cielo» sospirò Oscar. «Temo che lei sia stato informato male. Noi non vogliamo che ritiri le sue accuse. Intendiamo contestarle in tribunale.»

«Cosa?»

«Lei rimarrà sotto i riflettori per settimane. Organizzeremo un vero e proprio processo spettacolo. Le strapperemo la verità sotto giuramento, un pezzo per volta. Lei non è nella situazione di negoziare con me. Lei è finito. Non può avere architettato una mossa del genere seguendo un impulso improvviso! Ha lasciato delle tracce di DNA sull’interruttore. Ha lasciato le sue impronte. Quell’interruttore era dotato di una videocamera incorporata. Huey non l’ha avvertita che tutti gli allarmi del laboratorio sono sorvegliati?»

«Huey non ha nulla a che fare con questa faccenda.»

«Questo avrei potuto anche indovinarlo da solo. Lui voleva che lei disturbasse il discorso, non che perdesse il controllo e facesse scendere in strada tutto il personale del laboratorio. Questo è un laboratorio scientifico, non un’accademia di ninja. Lei si è fatto cogliere sul fatto come un merlo.»

Il volto di Skopelitis aveva assunto una leggera sfumatura verdastra. «Voglio un avvocato.»

«Allora se ne procuri uno. Ma non sta parlando con un poliziotto. Sta soltanto facendo una chiacchierata amichevole con un uomo che fa parte dello staff di un senatore degli Stati Uniti. Ovviamente, una volta che sarà interrogato dal Senato, allora sì che avrà sicuramente bisogno di un avvocato. E di un avvocato molto caro. Cospirazione, ostruzione di giustizia… sarà davvero un processo sensazionale.»

«È stato soltanto un falso allarme! Un falso allarme. Capitano continuamente.»

«Lei ha letto troppi manuali sul sabotaggio. I prolet possono anche darsi alla guerra di rete perché a loro non dà fastidio farsi qualche anno di galera. I prolet non hanno molto da perdere, ma lei sì. Lei è andato lì dentro per zittire la dottoressa e pararsi il culo, ma ha perso la calma e ha distrutto la sua carriera. Ha perso venti anni di lavoro in un istante. E ha anche il coraggio di pormi delle condizioni? Stupido bastardo, io la crocefiggerò. Lei ha appena commesso la mossa più stupida della sua vita. Io la trasformerò nello zimbello dell’opinione pubblica, da una costa all’altra.»

«La prego, non mi faccia questo.»

«Come?»

«Non mi faccia questo. Non mi rovini. La prego. Lui mi ha rotto il naso, okay? Lui mi ha rotto il naso! Stia a sentire, ho perso la testa.» Skopelitis si asciugò le lacrime che scorrevano dal suo occhio pesto. «Lei non si era mai comportata così prima, si è rivoltata contro di noi, era come se fosse impazzita! Io dovevo fare qualcosa… era così… era così…» Scoppiò in singhiozzi. «Gesù…»

«Bene, vedo che la sto facendo innervosire» affermò Oscar, alzandosi. «Ho apprezzato molto la nostra chiacchierata, ma il tempo stringe. Ora andrò via.»

«Senta, lei non può farmi questo! Ho fatto soltanto una sciocchezza.»

«Mi ascolti.» Oscar si sedette di nuovo e indicò. «Lì c’è un computer portatile. Vuole evitare di finire sulla graticola? Mi scriva un breve messaggio di posta elettronica. Mi dica tutto su quello che ha fatto. Mi racconti ogni minimo dettaglio. Rimarrà inter nos, una faccenda privata. E se lei sarà sincero con me… Be’, accidenti. Lui le ha rotto il naso. Per questo le porgo le mie scuse. È stata un’azione assolutamente sbagliata.»


* * *

Oscar stava studiando le minute dell’ultima riunione della commissione scientifica del Senato quando Kevin entrò nella stanza.

«Ma tu non dormi mai?» chiese Kevin con uno sbadiglio.

«No, non di solito.»

«Me ne sto accorgendo.» Kevin fece cadere il bastone e si stravaccò su una sedia. Oscar occupava un appartamento alquanto spartano nell’albergo. Era costretto a spostarsi quotidianamente per ragioni di sicurezza e poi le suite migliori erano tutte occupate da clienti paganti.

Oscar chiuse il computer portatile. Era un rapporto decisamente affascinante — un laboratorio federale a Davis, California, era pericolosamente infestato da topi di laboratorio superintelligenti, e aveva scatenato un’ondata di panico e un mare di querele da parte dei furiosi abitanti del luogo — ma lui trovava Kevin altrettanto affascinante.

«E adesso, cosa succede?» chiese Kevin.

«Tu cosa pensi che succederà, Kevin?»

«Be’, se ti rispondessi, barerei» rispose Kevin. «Perché ho già visto situazioni del genere.»

«Non mi dire.»

«Sì. Ecco come stanno le cose. Qui tu hai un gruppo di persone che stanno per perdere il loro lavoro. E così tu li organizzi per una resistenza politica. Ottieni un mucchio di eccitazione e di solidarietà per circa sei settimane, poi vengono tutti licenziati. Chiuderanno l’intera baracca e ti sbatteranno le porte in faccia. Allora diventerete tutti dei prolet.»

«Pensi davvero che le cose andranno così?»

«Be’, forse no. Forse gli scienziati di questo posto sono più furbi dei programmatori di computer, degli agenti di borsa, degli addetti alle catene di montaggio, oppure degli agricoltori tradizionali… Sai, tutte le altre persone che hanno perso il lavoro e sono state cancellate dalla storia. Ma questo è ciò che pensano tutti quelli che si trovano in questa situazione. ‘Sì, adesso i lavori che fanno gli altri sono diventati obsoleti, ma la gente avrà sempre bisogno di noi’.»

Oscar tamburellò con le dita sul computer portatile. «È bello che tu nutra un interesse tanto intenso per questa faccenda, Kevin. Apprezzo molto il tuo contributo. Che tu ci creda o no, quello che mi hai detto non mi giunge completamente nuovo. Sono consapevole che un numero consistente di persone sono state espulse dall’economia convenzionale e costrette a trasformarsi in organizzazioni criminali di rete. Voglio dire, loro non votano, dunque è raro che attraggano la mia attenzione professionale ma, nel corso degli anni, stanno diventando sempre più bravi nel rovinare la vita al resto di noi.»

«Oscar, i prolet sono il ‘resto di noi’. Sono le persone come te che non sono il resto di noi.»

«Io non sono mai stato il resto di nessuno» ribatté Oscar. «Perfino gente come me non è come me. Vuoi un caffè?»

«Okay.»

Oscar ne versò due tazze. Kevin frugò nella sua tasca posteriore e tirò fuori un bastoncino bianco di proteine vegetali compresse. «Vuoi assaggiare?»

«Certo.» Oscar masticò con aria meditabonda un pezzo del bastoncino. Il sapore era un misto di carote e polistirolo.

«Sai,» ruminò Oscar «io ho la mia buona dose di pregiudizi — e chi non li ha? — ma non ne ho mai avuti contro i prolet in sé e per sé. Sono solo stufo di vivere in una società in perenne disgregazione. Ho sempre sperato che qualcuno desse il via a una riforma nazionale, federale, democratica. Così potremo avere un sistema in cui ognuno possa trovare un ruolo decente.»

«Ma l’economia è fuori controllo. Il denaro non ha più bisogno degli esseri umani. La maggior parte sono semplicemente d’impiccio.»

«Be’, il denaro non è tutto, ma prova soltanto a vivere senza.»

Kevin scrollò le spalle. «La gente viveva prima ancora che il denaro fosse inventato. Il denaro non è una legge di natura. Il denaro è un mezzo. E possibile vivere senza denaro, se lo si sostituisce con il tipo giusto di calcolo. I prolet questo lo sanno. Hanno provato a cavarsela ricorrendo a un milione di strani trucchi: blocchi stradali, mezzi illegali, contrabbando, raccolta di rifiuti metallici, spettacoli ambulanti… Dio solo sa che non hanno mai avuto molto con cui lavorare. Ma adesso i prolet ci sono quasi arrivati. Tu sai come funzionano i server di reputazione, vero?»

«Ovviamente li conosco, ma so anche che non funzionano.»

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