Quattro

All’interno della Zona Calda del Collaboratorio Oscar era al sicuro da qualsiasi aggressione, ma il rischio che uno svitato qualsiasi gli piombasse addosso all’improvviso aveva reso impossibile la sua vita politica. Le voci si erano diffuse tra i ricercatori con la velocità di un incendio in un’astronave. Le persone lo evitavano; era diventato un problema, su di lui era stata scagliata una maledizione. Considerate le circostanze decisamente sfavorevoli, Oscar pensò che la tattica più saggia fosse quella di sparire dalla circolazione ed elaborò un piano per coprire la propria ritirata.

Ordinò di portare il pullman che aveva utilizzato durante la campagna elettorale nell’officina del Collaboratorio, dove venne ridipinto con i colori e i contrassegni di un veicolo adibito al trasporto di materiali pericolosi. Si trattava di un suggerimento di Fontenot, poiché lo scaltro ex federale era un maestro del travestimento. Fontenot aveva fatto notare che ben poche persone, comprese quelle che ponevano in atto i blocchi stradali, avrebbero volutamente interferito con la mole malaugurante di un pullman dipinto di un colore giallo vivido. I poliziotti del Collaboratorio furono più che lieti della prospettiva che ben presto Oscar avrebbe lasciato la loro giurisdizione e dunque fin troppo solleciti nel fornire la vernice e i contrassegni necessari.

Oscar partì prima dell’alba nel pullman ridipinto, uscendo da una delle porte stagne senza alcun annuncio pubblico o squillo di trombe. Fuggiva praticamente da solo. Aveva portato con sé soltanto una krew ridotta all’osso: Jimmy De Paulo, il suo autista, Donna Nunez, la sua stilista, Lana Ramachandran, la sua segretaria e, come zavorra, Moira Matarazzo.

Moira era stata il primo membro della krew di Oscar a gettare la spugna. Il suo mestiere era quello di portavoce, ossia un lavoro malauguratamente e interamente basato sulla comunicazione verbale e visuale. Moira non era mai riuscita ad apprezzare i piaceri trascendentali offerti dalla costruzione di interi alberghi con le sole mani. Era anche profondamente disgustata dal mondo ermeticamente sigillato del Collaboratorio, i cui peculiari abitanti trovavano irrilevanti i suoi interessi. Vista la situazione, Moira aveva deciso di licenziarsi e di tornare a casa, a Boston.

Oscar non aveva fatto alcun vero sforzo per convincere Moira a rimanere con la krew. Aveva riflettuto con attenzione sulla questione e aveva concluso che non poteva correre il rischio di farla rimanere. Moira si stava annoiando a morte e lui sapeva che non poteva più fidarsi di lei: le persone annoiate diventavano semplicemente troppo vulnerabili.

L’itinerario di Oscar era stato tracciato per permettergli di raggiungere i suoi obiettivi politici, evitando, nello stesso tempo, la persecuzione e le aggressioni da parte di pazzi armati. Il pullman avrebbe descritto un arco; Oscar avrebbe viaggiato in incognito attraverso la Louisiana, si sarebbe fermato a Washington, DC e poi sarebbe tornato a casa, a Boston, in tempo per Natale; nel frattempo si sarebbe tenuto costantemente in contatto via rete con la propria krew a Buna.

La prima fermata prevista da Oscar fu a Holly Beach, Louisiana. Holly Beach era una cittadina di case malconce, montate su palafitte, lungo la Gulf Coast, una regione devastata dagli uragani, ma che aveva l’ardire di definirsi ‘Riviera Cajun’. Fontenot si era occupato dei preparativi per la visita di Oscar, passando al setaccio la piccola città e affittando una casa sulla spiaggia con un’identità di copertura. Secondo Fontenot, che li stava aspettando lì per unirsi a loro, quella improbabile località turistica era il luogo perfetto per un incontro clandestino. Holly Beach era tanto povera e primitiva che non disponeva di alcun collegamento via rete; sopravviveva utilizzando telefoni cellulari, antenne satellitari e generatori a metano. A metà dicembre — adesso era il 19 il villaggio costiero era quasi deserto. A Holly Beach le probabilità di essere spiati da paparazzi o aggrediti da maniaci omicidi erano molto basse.

Era lì che Oscar aveva organizzato un incontro riservato con la dottoressa Greta Penninger.

Dopo quell’idillio marino, Oscar si sarebbe diretto a tutta velocità a Washington: ormai era in ritardo per il suo faccia a faccia con gli altri membri della commissione scientifica del Senato. Dopo avere fatto le necessarie riverenze ai pezzi grossi, Oscar avrebbe viaggiato con il pullman verso Cambridge, dove avrebbe finalmente consegnato il veicolo al quartiere generale del Partito democratico federale in Massachusetts. Bambakias aveva deciso di donarlo al partito. Il senatore, da sempre uno dei finanziatori più importanti del partito, avrebbe potuto finalmente sbarazzarsi del suo investimento.

Una volta tornato a Boston, Oscar avrebbe riallacciato i suoi legami con il senatore. Avrebbe anche avuto una gradita possibilità di tornare a casa e di mettere un po’ d’ordine nei suoi affari domestici. Oscar era molto preoccupato per la sua casa. Clare se n’era andata in Europa e non era giusto, e neppure sicuro, che la casa rimanesse vuota. Oscar pensava che Moira avrebbe potuto tenerla d’occhio mentre cercava un altro lavoro a Boston. Era tutt’altro che soddisfatto della faccenda della casa e della questione di Moira, erano due dei problemi irrisolti più importanti che doveva affrontare. La soluzione migliore gli era sembrata quella di unirli.

Il tempo passò velocemente durante la prima parte del viaggio, mentre il pullman si dirigeva verso la Louisiana sud-occidentale. Oscar disse a Jimmy di alzare il volume della musica e mentre Moira leggeva, con aria mesta, un romanzo rosa sdraiata sulla sua cuccetta, Oscar, Lana e Donna iniziarono a discutere sulle numerose potenzialità di Greta Penninger.

Oscar non fu particolarmente discreto su quell’argomento: sarebbe stato decisamente assurdo. Era inutile tentare di nascondere le sue storie sentimentali alla krew. Ovviamente avevano saputo di Clare fin dall’inizio; forse non erano particolarmente contenti dell’avvento di Greta, ma non avrebbero certo protestato.

E la loro discussione aveva anche un motivo politico. Greta Penninger era un candidato, per quanto sfavorito, alla carica di direttore del Collaboratorio. Molto stranamente, gli scienziati del Collaboratorio sembravano ignorare la nuda verità: il loro direttore rischiava il posto. Gli scienziati non si rendevano pienamente conto della situazione: si riferivano alla loro struttura di potere parlando di ‘decisione collegiale’, o magari di ‘processo di successione’; usavano qualsiasi eufemismo, tranne la parola ‘politica’. Eppure si trattava decisamente di politica. Il Collaboratorio ribolliva di un tipo di attività politica che non osava pronunciare il proprio nome ad alta voce.

Ciò non significava affermare che, in se stessa, la scienza fosse uguale alla politica. La conoscenza scientifica era profondamente diversa dall’ideologia politica. La scienza era un sistema intellettuale che produceva dati oggettivi sulla natura dell’universo. La scienza si basava su ipotesi falsificabili, risultati riproducibili e una rigorosa verifica sperimentale. In se stessa, la conoscenza scientifica non era un costrutto politico, non più di quanto lo fosse l’elemento 79 nella tavola periodica.

Ma le cose che la gente faceva con la scienza erano altrettanto politiche di quelle fatte con l’oro. Oscar aveva dedicato molte ore allo studio della comunità scientifica e alla sua struttura di potere stranamente ortogonale. Era convinto che il vero e proprio lavoro scientifico fosse noioso, buono soltanto per degli sgobboni, ma rimaneva sempre affascinato da un’organizzazione politica il cui funzionamento gli era sconosciuto.

Uno scienziato con al suo attivo numerose scoperte e il cui nome veniva citato spesso nelle pubblicazioni di altri colleghi possedeva potere politico. Aveva una reputazione accademica, un seguito, godeva di una notevole influenza. Poteva levare la propria voce nella comunità scientifica con la certezza di essere udito. Poteva stabilire i programmi di ricerca, scegliere i partecipanti alle conferenze, concedere promozioni e viaggi a spese del contribuente, fungere da consulente. Poteva essere sempre un passo davanti agli altri poiché riceveva gli studi prima della loro pubblicazione ufficiale. Uno scienziato in questa posizione non disponeva di un esercito, di un corpo di polizia o di fondi neri, però, in quel modo silenzioso ma mortale, tipico del mondo scientifico, era in grado di esercitare un controllo ferreo sulle risorse principali della comunità in cui viveva: poteva interrompere il flusso dei finanziamenti diretto verso gli esseri inferiori. Insomma, era un pezzo grosso.

In campo scientifico il denaro in se stesso ricopriva un’importanza secondaria. Gli scienziati che dimostravano troppo apertamente di essere alla caccia di fondi pubblici o che erano troppo servili nel tentativo di ricevere cospicue sovvenzioni acquistavano una sorta di macchia, come politici che avessero deciso di giocare in modo subdolo la carta della propria origine razziale.

Era chiaro che si trattava di un sistema funzionale. Certo, era molto vecchio e aveva molte idiosincrasie, ma queste ultime potevano essere sfruttate. E il Collaboratorio non aveva mai goduto delle attenzioni di una squadra d’élite di organizzatori di campagne politiche come quella di Oscar.

L’attuale direttore del laboratorio, il dottor Arno Felzian, era in una situazione disperata. Un tempo Felzian aveva intrapreso una carriera nella ricerca genetica con modesto successo, ma era riuscito a ottenere il suo importante incarico nel Collaboratorio soltanto scattando sull’attenti a ogni ordine del senatore Dougal. I regimi fantoccio possono prosperare fino a quando l’impero è saldo, ma una volta che gli oppressori stranieri se ne siano andati, presto i loro alleati locali vengono disprezzati in quanto collaborazionisti. Il senatore Dougal, ormai da molto tempo il protettore e il burattinaio ufficiale del Collaboratorio, era caduto in disgrazia. Adesso, abbandonato a se stesso, Felzian non sapeva più cosa fare. Era uno yes-man sulle spine, insicuro: non c’era più nessuno a cui dire sì.

Ovviamente il primo passo logico era quello di sbarazzarsi dell’attuale direttore. Ma anche questa mossa si sarebbe rivelata inutile senza un piano di successione efficace. Nel piccolo mondo del Collaboratorio, le dimissioni del direttore avrebbero creato un vuoto abbastanza potente da risucchiare qualsiasi cosa non fosse stata fissata saldamente al suolo. Chi avrebbe preso il posto del direttore? I membri anziani del comitato erano i candidati più ovvi per ricevere quella promozione, ma, come il loro direttore, erano dei burattini screditati da tutte le tangenti che avevano intascato. O meglio, sarebbe stato molto facile farli apparire in questo modo per chiunque avesse deciso di dedicare un po’ del suo tempo alla faccenda.

Oscar e i consiglieri della sua krew erano d’accordo che esisteva una linea di frattura fondamentale nell’attuale struttura di potere: Greta Penninger. Lei faceva già parte del comitato, il che le conferiva legittimità e una certa di base di potere. E disponeva anche di un serbatoio di voti non ancora sfruttato: gli scienziati veri e propri che lavoravano nel Collaboratorio. Questi ultimi erano i ricercatori oppressi da molto tempo, "che facevano del proprio meglio per produrre autentici risultati di laboratorio mentre ignoravano cordialmente il mondo esterno. Gli scienziati si erano chiamati fuori dalla mischia per anni, mentre la corruzione dei dirigenti divorava lentamente il loro morale, il loro onore e il loro stipendio. Ma se esisteva la speranza di avviare una vera riforma all’interno del Collaboratorio, sarebbe venuta proprio da loro.

Oscar era ottimista. Lui apparteneva al Partito democratico federale, un partito riformista con un programma altrettanto riformista e credeva fermamente che la riforma avrebbe potuto funzionare. Come categoria politica, gli scienziati non erano mai stati sfruttati: trasudavano potenziale politico grezzo. Erano un gruppo molto strano, ma all’interno del Collaboratorio erano molto più numerosi di quanto Oscar avrebbe mai immaginato; erano un vero e proprio esercito. Era come se la scienza avesse risucchiato chiunque sul pianeta fosse troppo brillante per dedicarsi a un mestiere pratico. Per Oscar la loro dedizione disinteressata al lavoro costituiva una fonte di inesauribile meraviglia.

Ma Oscar si era ripreso rapidamente dalla meraviglia e dallo stupore iniziali. Dopo un mese di attento studio, si era reso conto che la situazione era perfettamente razionale: al mondo non c’era denaro sufficiente a pagare persone normali per farle lavorare come facevano gli scienziati. Senza quella piccola nicchia demografica, animata da un idealismo folle ed euforizzante, l’intera impresa scientifica sarebbe crollata già da molti secoli.

Oscar si era aspettato che gli scienziati federali si comportassero più o meno come tutti gli altri burocrati. Invece aveva scoperto un mondo perduto, un’Isola di Pasqua ad alta tecnologia, dove una razza di garbati marginali creava enormi statue intellettuali apparentemente inutili.

Greta Penninger faceva parte di quelle persone, del proletariato del Collaboratorio: un quoziente di intelligenza altissimo e la testa tra le nuvole. Sfortunatamente, vestiva e parlava anche come loro. Però Greta era un soggetto molto promettente. In quella donna non c’era nulla di sbagliato che non potesse essere corretto con un cambiamento totale del suo aspetto: Greta avrebbe dovuto avere dei vestiti adeguati, delle migliori capacità retoriche, uno scopo, un agenda, alcuni trucchi dialettici e delle persone che la consigliassero abilmente da dietro le quinte.

Di questo ne era convinta tutta la krew di Oscar. Mentre discutevano sulla loro situazione, Oscar, Lana e Donna giocavano a poker. Il poker era un gioco perfetto per Oscar; era raro che non perdesse e ai suoi avversari non sembrava mai venire in mente che, poiché era abbastanza ricco, poteva permettersi tranquillamente di perdere un po’ di soldi. Oscar giocava in modo volutamente aggressivo, poi osava troppo, perdeva rovinosamente e fingeva un profondo dispiacere. Gli altri, deliziati, incassavano le loro vincite e sembravano tanto convinti della sua commovente mancanza di intelligenza e di astuzia che erano disposti a perdonargli qualsiasi cosa.

«Però c’è un problema» affermò Donna, mescolando abilmente il mazzo.

«E quale sarebbe?» chiese Lana, masticando un pistacchio.

«Il direttore della campagna non dovrebbe mai andare a letto con il candidato.»

«Ma Greta non è un vero candidato» ribatté Lana.

«E io non sto andando davvero a letto con lei» rincarò Oscar.

«Però lo farai» ribatté Donna in tono saggio.

«Dai, servi» insistette Oscar.

Donna distribuì le carte. «Forse ci stiamo preoccupando per nulla. Si tratta soltanto di un’infatuazione passeggera. Lui non può rimanere lì, lei non può andarsene. Un po’ come Romeo e Giulietta, senza quella brutta faccenda del doppio suicidio.»

Oscar la ignorò. «Sei scoperta, Lana.» Lana gettò nel piatto un mezzo euro. La krew giocava sempre a poker con valuta europea. Circolava anche valuta americana, roba di plastica dall’aria fragile, ma la maggior parte delle persone non la accettava più. Era difficile prenderla sul serio quando non era più convertibile all’esterno dei confini degli Stati Uniti. E poi tutte le banconote di taglio maggiore erano imbottite di microspie.


* * *

Corky, Fred, Rebecca Pataki e Fontenot li stavano già aspettando a Holly Beach. Aiutati dalla krew con i loro cataloghi in linea, avevano fatto uno sforzo commovente per migliorare le condizioni della casa sulla spiaggia presa in affitto. Avevano avuto novantasei ore per mettere in ordine quel disastro. All’esterno la casa era rimasta immutata: una ammasso disordinato di scalini scricchiolanti, pali di legno incatramati e portici inclinati e rosi dalla salsedine. Una scatola di gruviera con il tetto piatto.

All’interno, però, la cadente catapecchia di legno era adesso arredata con folti tappeti, tende scelte con gusto, confortevoli termosifoni a petrolio, veri cuscini e lenzuola a fiori. C’erano numerose piccole comodità per riprendersi dal viaggio: cuffie per la doccia, sapone, asciugamani, rose, accappatoi, pantofole. Lorena Bambakias avrebbe avuto comunque da ridire, ma la krew di Oscar aveva lavorato con abilità, riuscendo a cancellare l’impressione di squallore trasmessa dalla casa.

Oscar si infilò nel letto e dormì cinque ore filate; per lui si trattava di un sonno molto lungo. Si svegliò sentendosi rinfrescato e pieno di potenziale non ancora sfruttato. All’alba mangiò una mela che aveva preso dal piccolo frigorifero e andò a fare una lunga passeggiata sulla spiaggia.

Tirava vento e faceva freddo, ma il sole stava sorgendo sulle acque color grigio-ferro del Golfo del Messico, conferendo al mondo una chiarezza invernale. La spiaggia non era certo granché. Poiché il livello dell’oceano era salito di un metro negli ultimi cinquanta anni, la linea costiera marrone era cosparsa di cianfrusaglie che le conferivano un aspetto disordinato, triste. Il sito originario della cittadina di Holly Beach adesso era a molti metri di profondità sotto il livello del mare. Gli edifici erano stati spostati più in alto, in quello che, un tempo, era stato un pascolo per le mucche, lasciando una rete di vecchi marciapiedi pieni di crepe che svanivano tristemente tra le onde.

Ovviamente molti edifici sorti sul bordo del continente non erano stati così fortunati. Capitava spesso di trovare sulle spiagge americane passerelle, intere sezioni di moli, perfino intere case.

Oscar superò un ammasso scintillante di alluminio contorto. I numerosi detriti lo riempirono di una piacevole malinconia. Ogni spiaggia in cui si era recato aveva posseduto la sua ricca collezione di biciclette arrugginite, divani fradici d’acqua, rifiuti medici che affioravano dalla sabbia in modo pittoresco. A suo parere, gli ecologisti fanatici come gli olandesi facevano troppo baccano sugli inconvenienti causati dell’alzarsi del livello delle acque. Come tutti gli europei, gli olandesi vivevano nel passato, non riuscivano ad accettare le nuove realtà globali in maniera pragmatica, sfruttabile.

Sfortunatamente, molte di quelle stesse accuse potevano essere rivolte anche agli Stati Uniti. Oscar meditò cupamente sui sentimenti ambigui che provava mentre evitava accuratamente che la spuma delle onde bagnasse le sue scarpe lucide. Oscar si considerava davvero un patriota americano. Nella parte più riposta della sua personalità, era tanto devoto alla politica americana quanto glielo permettevano la sua professione e i suoi colleghi. Oscar rispettava e apprezzava davvero l’arcaica cortesia del Senato degli Stati Uniti. Gli piaceva il suo aspetto da vecchio club. I lunghi dibattiti, le anticamere, i regolamenti, il senso della dignità e della gravitas personalizzato e pre-industriale… Oscar era convinto che un mondo perfetto avrebbe funzionato come il Senato: un solido regno di antichi vessilli e di pareti rivestite di pannelli di legno scuro, in cui si svolgevano dibattiti intelligenti e razionali all’interno di quella fortezza di valori condivisi. Oscar considerava il Senato degli Stati Uniti come una struttura resistente ed elegante, costruita per durare da architetti della politica che amavano il loro lavoro. Se le circostanze fossero state migliori, era un sistema di cui si sarebbe servito con piacere.

Ma Oscar era un figlio della propria epoca e sapeva di non potersi concedere quel lusso. Sapeva che il proprio dovere era quello di confrontarsi, nel tentativo di padroneggiarla, con la moderna realtà politica. E la verità sulla situazione politica in quell’America era che le reti elettroniche avevano svuotato di significato il vecchio ordinamento, senza essere mai riuscite a creare un altro. L’incredibile velocità della comunicazione digitale, il conseguente appiattimento delle gerarchie, il sorgere di una società civile basata sulle reti e il declino della base industriale si erano rivelati fenomeni troppo esplosivi per potere essere gestiti e controllati dal governo.

Adesso esistevano sedici grandi partiti politici, divisi in fazioni sempre in guerra fra loro e impegnate in incessanti purghe intestine, defezioni e contropurghe. Esistevano città di proprietà privata con milioni di ‘clienti’ in cui le leggi nazionali venivano cordialmente ignorate. Esistevano mafie che stabilivano i prezzi, luoghi di riciclaggio per il denaro sporco e borse valori fuori legge. Esistevano reti nere, grigie e verdi per il superbaratto. Esistevano cliniche gestite da cricche di maniaci dediti alla condivisione degli organi, dove avanzate tecniche mediche erano nelle mani di qualsiasi ciarlatano in grado di scaricare dalla rete un programma di chirurgia. Fiorivano le milizie della rete, che non avevano bisogno di alcuna base fisica. Nell’Ovest del paese c’erano contee in cui intere città si erano vendute a tribù di nomadi, scomparendo semplicemente dalla cartina geografica.

Nel New England c’erano consigli comunali che avevano a disposizione computer più potenti di quelli posseduti un tempo dal governo degli Stati Uniti. Gli staff dei membri del Congresso erano cresciuti a dismisura, fino a trasformarsi in feudi indipendenti. Il ramo esecutivo arrancava in infinite guerre di posizione in un brodo primordiale di acronimi di agenzie, ognuna di esse incredibilmente informata e ansiosa di connettersi e dunque completamente incapace di impostare un programma realistico e di concentrarsi sui propri doveri. La nazione aveva la mania dei sondaggi, che venivano manipolati cinicamente fino ad avere raggiunto il massimo livello tossico di tutti i tempi — i problemi meno importanti creavano furiose coalizioni su un solo argomento e una tempesta di querele automatiche. Il sistema fiscale, mandato in rovina dall’avvento delle reti, aveva perso qualsiasi collegamento con la realtà fisica ed era solitamente aggirato dal commercio elettronico e stancamente sopportato dai cittadini.

Con il consenso domestico frantumato, la sconfitta subita durante la guerra economica contro la Cina aveva consentito ai comitati di emergenza di provocare un caos ancora peggiore. Con la dichiarazione ufficiale che istituiva lo stato di emergenza, il Congresso aveva ceduto il proprio diritto di primogenitura a una sovrastruttura di commissioni esecutive che, in teoria, avrebbero dovuto agire con maggiore celerità. Ma questo atto disperato aveva semplicemente sovrapposto un altro sistema operativo su quello vecchio. Adesso il paese aveva due governi nazionali: quello originale, il governo legale, lento ma non ancora completamente scavalcato, e le decisioni frettolose e sempre più isteriche delle cricche di politicanti che si erano impadronite dei comitati di emergenza.

Oscar nutriva forti dubbi su alcune delle politiche dei democratici federali, ma era convinto che i programmi del suo partito fossero buoni. Per prima cosa, era necessario mettere sotto controllo e smantellare i comitati di emergenza. Non avevano alcuna legittimità costituzionale, non avevano il mandato diretto degli elettori, violavano il principio fondamentale della separazione dei poteri, era impossibile controllare con efficacia il loro bilancio e, cosa peggiore di tutte, si erano trasformati rapidamente in centri di corruzione. Ormai era chiaro che neppure i comitati di emergenza riuscivano a governare la nazione con efficacia. Talvolta erano molto popolari, grazie all’assidua attenzione che riservavano a determinati gruppi di pressione, ma più durava l’emergenza, più i comitati somigliavano a un colpo di stato al rallentatore, a un’aperta usurpazione degli organismi direttivi della repubblica.

Una volta resi innocui i comitati e revocato lo stato di emergenza, sarebbe giunto il momento di riformare i rapporti tra gli stati e il governo federale. Il decentramento dei poteri si era semplicemente spinto troppo oltre. Una politica scelta per la sua flessibilità e perché consentiva di dare una risposta immediata ed efficace ai problemi si era trasformata in un terribile caos. Sarebbe stato necessario convocare una convenzione costituzionale e abolire l’approccio irrimediabilmente datato che legava la rappresentanza dei cittadini a una base territoriale. Avrebbe dovuto essere creato un nuovo quarto ramo del governo, costituito di reti non geografiche.

Una volta portate a termine queste grandi riforme, il palcoscenico sarebbe finalmente stato pronto per risolvere i veri problemi della nazione. Ma questo compito doveva essere portato a termine senza malizia, senza cattiveria e senza attacchi repellenti scagliati da istrioni di partito. Oscar credeva che sarebbe stato possibile. La situazione appariva grave… molto grave… A un osservatore esterno sarebbe potuta sembrare addirittura disperata.

Però la politica americana possedeva ancora molte riserve di creatività, se fosse stato possibile unire il paese e indirizzarlo nella giusta direzione. Sì, la nazione aveva dichiarato bancarotta, ma altri paesi avevano visto le loro valute annichilite e le loro maggiori industrie diventare obsolete. Si trattava di una condizione umiliante, ma soltanto temporanea, era possibile sopravviverle. Esaminata a mente fredda, la tremenda sconfitta subita dall’America nella guerra economica era ben poca cosa se paragonata, per esempio, ai bombardamenti a tappeto e alle invasioni armate del ventesimo secolo.

Il popolo americano avrebbe dovuto accettare la dura realtà che il software non aveva più alcun valore economico. Non era giusto, non era corretto, ma era un fatto compiuto. Oscar era costretto ad ammirare, sotto molti punti di vista, l’astuzia dei cinesi, che avevano reso disponibili sulle reti, gratis, tutte le proprietà intellettuali in lingua inglese. I cinesi non avevano avuto neppure bisogno di superare i loro confini per tagliare le gambe dell’economia americana.

Sotto alcuni punti di vista, quello scontro brutale tra gli Stati Uniti e la Cina poteva essere considerato come una benedizione. A parere di Oscar, l’America non era adatta per ricoprire il ruolo, lungo e stancante, di Ultima Superpotenza, di Gendarme del Mondo. In quanto patriota americano, Oscar era più che disposto a vedere, una volta tanto, i soldati di altre nazioni che tornavano a casa nelle bare. Il carattere nazionale americano non era adatto ai compiti della polizia globale; non lo era mai stato. Gli svizzeri e gli svedesi, puliti, meticolosi… ecco, loro sì che erano dei tipi perfetti per fare i poliziotti. L’America era molto più adatta a ricoprire il ruolo della stella cinematografica di fama mondiale, del giocatore di football professionista e alcolizzato, del comico schizzato e bipolare del mondo. L’America poteva essere tutto… tranne una triste e noiosa nazione di centurioni preoccupati della pace mondiale.

Oscar girò sui tacchi nella sabbia marrone della spiaggia e iniziò a tornare sui propri passi. Gli piaceva essere isolato da tutto e da tutti, come in quel momento; aveva lasciato il portatile nel pullman della krew, si era tolto perfino tutti i telefoni dalle maniche e dalle tasche. Pensò che avrebbe dovuto farlo più spesso.

Era importante per un operatore politico professionista fare un passo indietro di tanto in tanto, prendersi il tempo necessario per riordinare i propri pensieri, le proprie intuizioni. Oscar si concedeva di rado quei brevi momenti vitali: aveva intuito che avrebbe avuto molto tempo per sviluppare la sua filosofia personale, se mai fosse finito dietro le sbarre. Ma adesso si era concesso un po’ di tempo per riflettere, in quel mondo dimenticato di sabbia, vento, onde e di fredda luce del sole, e sentiva che gli stava facendo un gran bene.

All’interno di Oscar si stava accumulando una forte pressione. Negli ultimi trenta giorni aveva imparato molto, digerendo un’enorme mole di dati sconosciuti per pensare più velocemente, ma non era ancora riuscito a inquadrarli in maniera coerente. La sua testa, strapiena di dati, era diventata una massa di blocchi di informazioni scollegate tra loro. Era teso, distratto, stava diventando leggermente irritabile.

Forse era colpa di quel lungo periodo di astinenza.

Greta avrebbe dovuto arrivare prima di mezzogiorno. Negi aveva preparato per lei un pranzetto appetitoso a base di pesce. Ma Greta era in ritardo. La krew fece onore al pasto nel pullman, stappando alcune bottiglie di vino e salvando le apparenze; scherzarono perfino sul fatto che Greta non fosse arrivata. Ma quando Oscar li lasciò, il suo umore era diventato molto più cupo.

Si recò nella casa sulla spiaggia ad aspettare Greta, però le stanze che in precedenza gli erano sembrate sudice ma affascinanti adesso gli si rivelarono semplicemente sordide. Ma perché si stava coprendo di ridicolo, facendo tanti sforzi per imitare un nido d’amore? I veri nidi d’amore erano luoghi pieni di significato per gli amanti, colmi com’erano di oggetti che suscitavano autentiche risonanze emotive; piccole cose, magari stupidi souvenir: una piuma, una conchiglia, una giarrettiera, foto incorniciate, un anello. Non quelle tende e quelle lenzuola a nolo, quel set di spazzolini antisettici fatalmente nuovi.

Si sedette sul letto di ottone cigolante, si guardò intorno nella stanza e improvvisamente il mondo sembrò crollargli addosso. Si era preparato a essere affascinante e spiritoso, era stato ansioso di iniziare, ma lei non era venuta. Aveva prestato ascolto alla voce della ragione. Era troppo intelligente per venire. E adesso lui era da solo in quella orrenda catapecchia, a cuocere nel suo brodo.

Trascorse lentamente un’ora e Oscar si sentì felice che Greta non fosse venuta. Ovviamente era felice per se stesso, perché era stata una vera stupidaggine immaginare di iniziare una relazione con quella donna, ma era anche felice per lei. Non si sentiva ferito dal suo rifiuto, ma adesso aveva una visione più realistica di se stesso: era un predatore, un freddo seduttore. Lui era una creatura di lucenti superfici chitinose che tesseva tremolanti ragnatele. Rimanendo a casa, Greta aveva dimostrato di essere una falena molto saggia.

Adesso gli era molto chiaro ciò che doveva fare. Sarebbe tornato a Washington, avrebbe fatto il suo rapporto alla commissione e sarebbe rimasto lì, dedicandosi al suo vero lavoro. Nessuno si sarebbe aspettato un grosso successo dal suo primo incarico conferitogli dal Senato e invece aveva materiale più che sufficiente per levare una devastante denuncia sul funzionamento interno del Collaboratorio. Se questo non fosse stato inevitabile, avrebbe potuto evidenziare gli aspetti positivi del Collaboratorio: il profondo effetto delle ricadute biotecnologiche sull’economia della regione, per esempio. Avrebbe potuto vantare il fascino futuristico della prossima grande scoperta federale: la neuroscienza industriale ad alta tecnologia. Avrebbe detto ai senatori qualsiasi cosa avessero voluto udire.

Poteva diventare un politico di professione: erano una tribù numerosa e prospera. Poteva investire quantità ancora maggiori di energia su problemi perfino più oscuri e impegnativi. Non avrebbe diretto mai più un’altra campagna politica e certamente non sarebbe mai riuscito a conquistare il potere politico, ma, se non si fosse bruciato, avrebbe potuto fare molta strada. E, a fine carriera, nei giorni del suo declino, avrebbe potuto esserci qualche ricompensa piacevole, forse un posto nel gabinetto del governo, oppure un incarico di insegnamento in qualche università…

Lasciò la casa sulla spiaggia, incapace di calmarsi. La portiera del pullman era aperta, ma non ebbe il coraggio di affrontare la sua krew. Allora si recò nell’unica drogheria di Holly Beach, un posto allegramente cadente con i pavimenti non verniciati e il soffitto a travi da cui pendevano vecchie reti da pesca. Un’intera parete torreggiante di lucenti bottiglie di liquore andava dal pavimento al soffitto. Berretti da pesca come souvenir. Lenze e richiami di plastica. Teste di alligatore seccate, spettrali soprammobili scolpiti in Spanish moss e cocco. Cassette semi-illegali dall’aria sciupata — Oscar trovava decisamente irritante che adesso la musica olandese fosse tanto popolare. Ma come diavolo era possibile che un paese in procinto di essere sommerso e con una popolazione minuscola e in via di rapido invecchiamento producesse della musica pop migliore di quella degli Stati Uniti?

Comprò un paio di sandali da spiaggia dozzinali, un impulso all’acquisto assolutamente gratuito. Alle spalle del bancone c’era una ragazzina dai capelli scuri, una tipica abitante della Louisiana. Era annoiata e sola nel negozio freddo e silenzioso e gli rivolse un sorriso abbagliante, un sorriso da salve-attraente-straniero. Indossava un maglione di fattura dozzinale, pieno di bozzi, e una camicia a fiori in cotone manipolato geneticamente piuttosto squallida, ma aveva un carattere affabile ed era graziosa. Le fantasie sessuali, frustrate dalle delusioni di quella giornata, invasero di nuovo la mente di Oscar, questa volta deviate su uno strano binario parallelo. Sì, ragazza dei bayou, sono davvero un attraente straniero. Sono intelligente, ricco e potente. Fidati di me, io posso portarti via da tutto questo. Posso aprire i tuoi occhi al vasto, vasto mondo, camminare con te lungo corridoi dorati dì lusso e potere. Posso darti vestiti eleganti e un’istruzione, posso insegnarti tante cose, rimodellarti nel modo che preferisco. Posso trasformarti in qualcosa di completamente diverso. Tutto quello che devi fare per me è… Non c’era nulla che la ragazza potesse fare per lui. Il suo interesse svanì.

Oscar uscì dalla drogheria con i sandali che aveva acquistato in un sacchetto di carta e iniziò a camminare lungo le strade sabbiose di Holly Beach. C’era qualcosa di tanto ingenuamente volgare e squallido in quella cittadina da conferirle uno strano fascino decadente, una sorta di gotico da relitto marino. Immaginò che in estate Holly Beach divenisse interessante in modo bizzarro: famiglie con cappelli di paglia che chiacchieravano nel dialetto francese della Louisiana, tizi tatuati che accendevano i loro barbecue, uomini che lavoravano sulle piattaforme marine per l’estrazione del petrolio in vacanza che pescavano sogliole da un rivolo. Un cane pezzato lo stava seguendo, annusandogli i calcagni.

Era molto strano incontrare un cane dopo settimane trascorse in un ambiente infestato da kinkajou e caribù. Forse era davvero giunto il momento di arrendersi e di acquistare il suo animale esotico domestico. Sarebbe stato un gesto alla moda, un bel ricordo della sua permanenza nel Collaboratorio. Il suo giocattolo genetico personale. Un animale veloce, carnivoro. Sì, un animale con grandi macchie scure.

Passò accanto alla casa più vecchia della cittadina. L’edificio era così vecchio che non era mai stato spostato; era rimasto sempre lì dov’era stato costruito, anche mentre il livello delle acque dell’oceano continuava ad alzarsi. Un tempo quella casa era sorta solitaria, a grande distanza dalla spiaggia, anche se adesso era quasi sulla riva. Aveva un aspetto bizzarro, come se fosse stata messa insieme in qualche fine settimana dal cognato di qualcuno.

Le tempeste, la sabbia e l’impietoso sole del Sud avevano scrostato tutta la pittura, ma la baracca era ancora abitata. Però non era affittata. Qualcuno viveva lì dentro tutto l’anno. C’erano una casella postale ammaccata e un’antenna parabolica corrosa dalla sabbia sul tetto di metallo, da cui scendeva un cavo tagliato. C’erano tre scalini di legno che conducevano alla porta i cui cardini erano arrugginiti; gli scalini erano alti, venati e scheggiati, mezzi sepolti nella sabbia umida, l’architrave di legno corroso dalla sabbia poteva avere sessanta anni ma ne dimostrava seicento.

Nella luce invernale del tardo pomeriggio Oscar rimase affascinato dai segni che venavano quel legno annerito. Vecchi fori di chiodi marroni. Bianchi escrementi di gabbiano. Ebbe la netta intuizione che li vivesse qualcuno molto anziano. Vecchio, cieco, debole, ormai senza nessuno che gli volesse bene; adesso la famiglia se n’era andata, la storia era finita.

Poggiò il palmo nudo contro il legno riscaldato dal sole. Oscar ebbe un’improvvisa premonizione della propria morte. Sarebbe stata esattamente come quella casa: solitaria, avvizzita. Scalini rotti troppo alti perché lui potesse salirvi di nuovo. La lampeggiante falce della Morte lo avrebbe abbattuto e non avrebbe lasciato nulla, se non vestiti vuoti.

Scosso da quel pensiero, tornò in fretta alla casa sulla spiagge affittata per lui. Greta lo stava aspettando lì. Indossava un giubbotto grigio con un cappuccio e portava un borsone di tela.

Oscar si mise a correre. «Ciao! Mi dispiace di averti lasciato fuori!»

«Sono appena arrivata. Ci sono stati dei blocchi stradali. Non ho potuto avvertire.»

«Non preoccuparti! Vieni dentro, è caldo.»

La precedette sugli scalini e in casa. Una volta dentro, Greta rivolse un’occhiata al proprio abbigliamento con aria scettica. «Qui dentro fa caldo.»

«Sono così felice che tu sia venuta.» Oscar era spaventosamente lieto di vederla, tanto da sentirsi prossimo alle lacrime. Entrò nello squallido cucinino e si versò rapidamente un bicchiere di rugginosa acqua di rubinetto. Ne bevve un sorso, poi si calmò. «Posso offrirti qualcosa?»

«Volevo soltanto…» Greta sospirò e andò a sedersi, ovviamente, sul pezzo di mobilio più brutto di tutta la casa: un’orribile sedia di tessuto acquistata di terza mano. «Non importa.»

«Non hai pranzato. Vuoi darmi il giubbotto?»

«Non volevo neppure venire. Ma voglio essere onesta con te…»

Oscar si sedette sul tappeto, accanto al termosifone, poi si sfilò una scarpa. «Vedo che sei molto scossa.» Si tolse anche l’altra scarpa e incrociò le gambe sul tappeto. «Non preoccuparti, lo capisco perfettamente. È stato un viaggio molto lungo e molto difficile… la nostra situazione è molto difficile. Sono soltanto felice che tu sia venuta, ecco tutto. Sono felice di vederti. Molto felice. Sono addirittura commosso.»

Greta non disse nulla, ma assunse un’espressione cautamente attenta.

«Greta, lo sai che tu mi piaci. Non è così? Dico sul serio. Tra me e te esiste un legame. Non so perché, però voglio scoprirlo. E voglio che tu sia felice di essere venuta qui. Finalmente siamo soli, è un privilegio molto raro per noi, vero? Parliamo a cuore aperto, scopriamo tutte le carte, comportiamoci da buoni amici.»

Greta aveva messo del profumo. Aveva portato un borsone. Chiaramente era in preda a un attacco di panico, ma quegli indizi erano abbastanza rivelatori.

«Io voglio capirti, Greta. Io posso farlo, sai. Io penso di capirti almeno un po’. Tu sei una donna molto brillante, molto più brillante della maggior parte delle altre persone, ma hai intuito, sei sensibile. Hai fatto grandi cose nella tua vita, hai ottenuto grandi risultati, ma non c’è nessuno dalla tua parte. So che questa è la verità. Ed è molto triste. Io potrei essere dalla tua parte, se tu me lo permettessi.» Abbassò la voce. «Non posso farti nessuna delle solite promesse, perché noi non siamo gente normale. Ma noi due potremmo essere grandi amici. Potremmo perfino diventare amanti. Perché no? Le probabilità sono a nostro sfavore, ma questo non significa che non vi sia alcuna speranza.»

La casa era molto silenziosa. Avrebbe dovuto pensare a mettere un po’ di musica.

«Io penso che tu abbia bisogno di qualcuno. Tu hai bisogno di qualcuno che abbia a cuore i tuoi interessi, qualcuno che diventi il tuo campione. Gli altri non ti apprezzano per quello che sei. Le persone ti stanno usando per i loro fini meschini. Tu sei coraggiosa, svolgi il tuo lavoro con dedizione, ma devi uscire dal tuo guscio, non puoi isolarti ed essere educata con tutti, non puoi accontentare quegli idioti, non sono degni neppure di toccarti l’orlo della scarpa… della gonna… al diavolo, del camice da laboratorio.» Fece una pausa, poi un respiro tremante. «Senti, dimmi soltanto quello di cui hai bisogno.»

«Mi sbagliavo su di te» replicò Greta. «Pensavo che mi saresti saltato subito addosso.»

«No, ovviamente non farò nulla del genere.» Oscar le rivolse un sorriso incoraggiante.

«Smettila di sorridere. Tu pensi che io sia completamente innocente. Be’, io non sono innocente. Stammi a sentire: ho un corpo, ho degli ormoni, ho un sistema nervoso. Sono una persona dotata di appetiti sessuali. Vedi, ero seduta sotto i maledetti riflettori di quelle telecamere, ero annoiata a morte, inquieta, sull’orlo della pazzia, poi sei spuntato fuori tu. Sei arrivato e hai iniziato a farmi delle avance.»

Greta si alzò. «Ti dirò di cosa ho bisogno, se vuoi proprio saperlo. Ho bisogno di un uomo che sia freddo e disponibile, di un uomo che non mi crei molti problemi. Deve desiderarmi soltanto per il mio corpo, è ovvio. Ma tu non sei il tipo di uomo che voglio. No davvero.»

Vi fu un silenzio assordante.

«Avrei dovuto trovare un modo per dirti tutto questo, prima che tu venissi quaggiù e ti dessi tanta pena per me. Sono stata quasi sul punto di non venire, ma…» Si appoggiò stancamente allo schienale della sedia. «Be’, era più onesto venire qui e dirti tutto in faccia, tutto e subito.»

Oscar si schiarì la gola. «Conosci il gioco del go? Wei-chi, in cinese.»

«Ne ho sentito parlare.»

Oscar si alzò e prese il suo set da viaggio. «È stato il senatore Bambakias a insegnarmi a giocare a go. È la metafora fondamentale su cui si basa la sua krew, è il modo in cui pensiamo. E se vuoi avere a che fare con i politici moderni e combinare qualcosa, allora devi imparare subito questo gioco.»

«Tu sei davvero un uomo strano.»

Oscar aprì la valigia e prese il tabellone con le linee bianche e le coppette che contenevano pietruzze bianche e nere. «Siediti sul tappeto qui con me, Greta. Giocheremo subito, in stile orientale.»

Greta si sedette a gambe incrociate accanto al termosifone a petrolio. «Io non gioco mai d’azzardo.»

«Il go non è un gioco d’azzardo. Adesso dammi il giubbotto. Bene. E non si tratta neppure di scacchi. Questo non è uno scontro diretto, meccanico, in stile occidentale. Ormai scontri del genere non avvengono più. Il go si basa sulle reti e sui territori. Tu giochi per la rete — disponi le pietre nei punti in cui le linee si incrociano. Puoi catturare le pietre se le circondi da ogni lato, ma mangiarle è soltanto un effetto collaterale. Non è necessario mangiarle, non è questo lo scopo del gioco. Tu vuoi il vuoto, tu vuoi gli spazi vuoti nella rete.»

«Io voglio il potenziale.»

«Esatto.»

«Quando il gioco finisce, il giocatore con il potenziale maggiore vince.»

«Ma allora hai già giocato a go!»

«No, ma lo scopo del gioco è ovvio.»

«Tu prendi le nere» annunciò Oscar. Poggiò un gruppo di pietruzze nere sul tabellone. «Adesso, prima di iniziare, ti illustrerò il gioco. Si dispongono le pietruzze in questo modo, una alla volta. I gruppi di pietre attingono forza dai loro legami, dalla rete che formano. E i gruppi devono avere occhi, occhi vuoti all’interno della rete. Questo è il punto cruciale.» Dispose una barriera formata da una catena di pietre bianche intorno al gruppo nero. «Un singolo occhio non è abbastanza, perché potrei accecarlo con una sola mossa e catturare il tuo intero gruppo. Potrei circondare l’intero gruppo, attaccare al centro, accecare il tuo occhio e potrei togliere l’intero gruppo, così. Ma con due occhi — così, vedi? — il gruppo diventa un elemento permanente. Vive per sempre.»

«Anche se tu mi hai circondato da tutti i lati.»

«Esatto.»

Greta chinò la testa e osservò la scacchiera. «Posso capire perché ai tuoi amici piaccia tanto questo gioco.»

«Sì, è un gioco molto architettonico… Va bene, faremo una partita di allenamento.» Tolse le pietrazze dalla scacchiera. «Tu sei la principiante, dunque ti concedo il vantaggio di nove pietre libere in questi nove punti cruciali.»

«Sono un bel po’.»

«Non preoccuparti, ti batterò lo stesso.» Oscar poggiò la prima pietrazza bianca reggendola con due dita.

Giocarono per un po’. «Atari» ripeteva lui.

«Puoi smetterla di dire questa parola adesso. Vedo da sola che il mio grappo è in scacco.»

«Si tratta di un atto di cortesia tradizionale.»

Ripresero a giocare. Oscar stava iniziando a sudare. Si alzò e andò ad abbassare i termosifoni.

Si sedette di nuovo. Ora tutti e due erano profondamente rilassati, immersi com’erano nel gioco. «Stai per battermi» annunciò Greta. «Tu conosci tutti quegli sporchi trucchetti negli angoli.»

«Sì, è vero.»

Lei sollevò lo sguardo e incontrò quello di Oscar. «Ma io posso imparare quei tacchetti e allora avrai molte difficoltà a battermi.»

«Mi piacciono le difficoltà. È bello affrontarle.»

La batté di trenta punti. «Impari in fretta. Proviamo a giocare sul serio.»

«Non togliere ancora le pietre» lo bloccò Greta. Studiò la propria sconfitta con profondo apprezzamento. «Questi schemi sono così eleganti.»

«Sì. E sono sempre diversi. Ogni partita ha la propria fisionomia.»

«Queste pietre somigliano molto a dei neuroni.»

Oscar le rivolse un sorriso.

Iniziarono una seconda partita. Oscar prendeva molto sul serio il go. Giocava a poker per motivi di pubbliche relazioni, ma non perdeva mai di proposito una partita di go. Era troppo bravo. Era un giocatore dotato, brillante, paziente e profondamente astuto, ma il modo di giocare di Greta era addirittura stupefacente. Commetteva degli errori da principiante, ma non li ripeteva mai e la sua comprensione del gioco era incredibilmente profonda.

La batté di diciannove punti, ma soltanto perché era un giocatore assolutamente privo di scrupoli.

«Questo è davvero un gioco molto bello» commentò Greta. «È così contemporaneo.»

«Ha tremila anni.»

«Davvero?» Greta si alzò e si stiracchiò, facendo scrocchiare sonoramente le ginocchia. «Adesso ci vuole proprio un drink.»

«Fa’ pure.»

Greta trovò il borsone di tela e ne estrasse una bottiglia quadrata di gin olandese.

Oscar andò in cucina e tolse due bicchieri da bistrò dal loro involucro di plastica. «Vuoi un po’ di succo d’arancia con quella roba?»

«No, grazie.»

Oscar si versò un succo d’arancia e le portò un bicchiere vuoto. Oscar la fissò, provando un vago stupore, mentre Greta versava lentamente tre dita di gin liscio con l’attenzione di un chimico.

«Un po’ di ghiaccio? Abbiamo anche del ghiaccio.»

«Va bene così.»

«Senti, Greta, non puoi bere gin liscio. È la strada che conduce alla rovina.»

«La vodka mi fa venire il mal di testa e la tequila ha un sapore schifoso.» Greta poggiò il suo labbro superiore sporgente sull’orlo del bicchiere e bevve un lungo sorso meditabondo. Poi rabbrividì. «Mmm! Tu non bevi, vero?»

«No. E tu dovresti andarci piano. Il gin puro uccide neuroni a bizzeffe.»

«Io uccido neuroni per lavoro, Oscar. Adesso giochiamo.»

Fecero una terza partita. Il liquore aveva sciolto qualcosa dentro la testa di Greta e adesso giocava con accanimento. Oscar si batté come se ne andasse della sua vita, ma evitò a stento di perdere.

«Un vantaggio di nove pietre è troppo per te» commentò infine. «Dovremmo ridurle a sei.»

«Stai per vincere di nuovo, vero?»

«Forse di venti punti.»

«Quindici. Ma non dobbiamo finire questa partita adesso.»

«No.» Oscar reggeva una pietruzza bianca tra la punta delle dita. «Non dobbiamo finirla.»

Allungò una mano oltre la scacchiera, con grande delicatezza. Con le due dita le sfiorò il mento. Greta sollevò lo sguardo, sorpresa, e Oscar le carezzò la linea della mascella. Poi si sporse lentamente in avanti, fino a quando le loro labbra non si incontrarono.

Fu un bacio timido, appena accennato, lieve come il tocco di una piuma. Poi Oscar fece scivolare la mano sulla nuca di Greta e la baciò sul serio. Il sapore acre del gin gli scottò la lingua.

«Andiamo a letto» propose.

«Questa non è una buona idea.»

«Lo so, ma facciamolo lo stesso.»

Si alzarono, attraversarono la stanza e si sdraiarono sul letto di ottone quadrato.

Fu il peggior sesso che Oscar avesse mai fatto. Si trattò di un coito esitante, incerto, analitico. Sesso privo di ogni componente calda, animale. Ogni stilla di piacere semplice e liberatorio provocato dall’atto era stata eliminata in anticipo, mentre i rimorsi e i rimpianti post-coito incombevano accanto al letto, come un paio di guardoni sbavanti. Più che terminare, l’atto venne fatto cessare di comune accordo.

«Questo letto è davvero un rottame» commentò Greta in tono neutro. «Cigola in modo incredibile.»

«Avrei dovuto comprarne uno nuovo.»

«Non puoi comprare un letto nuovo soltanto per una notte.»

«In quanto a questo, non posso farci nulla; domani parto per Washington.»

Greta si sollevò sulle lenzuola scintillanti. Le sue spalle, bianche come porcellana, erano solcate da una sottile rete di venuzze azzurre. «E cosa dirai a quelli di Washington?»

«Tu cosa vuoi che dica?»

«Di’ loro la verità.»

«Tu mi dici sempre che vuoi la verità, Greta. Ma sai cosa significa ottenerla?»

«È ovvio che io voglia la verità. Io voglio sempre la verità, a qualsiasi costo.»

«Benissimo, allora ti darò un po’ di verità.» Oscar intrecciò le mani dietro la testa, respirò a fondo e fissò il soffitto. «Il tuo laboratorio è stato costruito da un politico profondamente corrotto. Il Texas perse il programma spaziale quando venne interrotto e non sono mai riusciti a sfruttare a fondo le tecnologie digitali. E così hanno tentato di darsi alla biotecnologia. Ma il Texas orientale è il posto meno adatto del mondo per costruirvi un laboratorio di genetica. Avrebbero potuto costruirlo a Stanford, a Raleigh oppure sull’autostrada 128. Ma Dougal li convinse a costruirlo nel bel mezzo del nulla, tra folte foreste di pini. Usò il tipo peggiore di tattiche luddiste per suscitare il panico. Convinse il Congresso a sovvenzionare una gigantesca cupola a tenuta stagna per evitare qualsiasi rischio biologico e dotata di ogni dispositivo di sicurezza immaginabile, in modo da potere riempire le tasche di un folto gruppo di appaltatori militari che non avevano più oche da spennare e avevano un bisogno disperato dei contratti federali. E i locali lo hanno amato per questo. Lo hanno votato più e più volte, anche se non avevano la minima idea di cosa fosse la biotecnologia o di cosa significasse la parola. Gli abitanti del Texas orientale erano semplicemente troppo arretrati per costruire un’industria genetica di base, anche con la pioggia dei fondi governativi. E così tutte le industrie si trasferirono oltre il confine di stato e finirono nelle mani del miglior amico e discepolo di Dougal, un demagogo senza scrupoli della zona cajun. Green Huey è un populista del tipo peggiore. È davvero convinto che l’ingegneria genetica appartenga di diritto a un mucchio di semianalfabeti che vivono nelle paludi.»

Oscar le rivolse un’occhiata. Greta lo stava ascoltando con attenzione.

«E così Huey deliberatamente — e ci è voluto un bizzarro tipo di genialità, lo ammetto — deliberatamente, dicevo, ha ridotto le scoperte migliori del tuo laboratorio in facile ricette che qualsiasi ragazzino di dodici anni potrebbe usare. Ha preso un mucchio di raffinerie di petrolio in Louisiana, ormai chiuse, e le ha trasformate in giganteschi calderoni ribollenti di vudú genetico. Huey ha dichiarato tutta la Louisiana una zona franca per la produzione di gumbo genetico non autorizzato. E vuoi sapere una cosa? Gli abitanti della Louisiana sono diventati molto bravi in questo lavoro. Loro nella manipolazione genetica ci sguazzano, come topi muschiati nell’acqua. Hanno un vero talento istintivo per questo tipo di industria. La amano! E amano Huey per avergliela data. Huey ha regalato loro un nuovo futuro e loro lo hanno trasformato in un re. Adesso il potere lo ha reso pazzo, praticamente governa lo stato a colpi di decreti. Nessuno osa opporsi a lui.»

Greta era diventata molto pallida.

«I texani non si sono mai liberati di Dougal. Il Texas non farebbe mai una cosa del genere. A loro non importa quanto abbia rubato, è il loro protettore, il loro alcalde, il padrino, ha rubato tutto per il Texas, dunque è un uomo a posto. No, quel dannato tizio si è rimbecillito a furia di sbronzarsi. Ha continuato a bere fino a quando non si è fatto scoppiare il fegato e non è più riuscito a partecipare alle sedute del Senato. E così adesso Dougal è finalmente fuori gioco. E sai cosa significa questo per te?»

«Cosa?» chiese Greta in tono inespressivo.

«Significa che la tua festa è quasi finita. Far funzionare quel gigantesco cetriolo costa una fortuna, molto più di quanto quel posto valga per chiunque, e il paese è in bancarotta. Se oggi qualcuno vuole intraprendere ricerche genetiche, può farlo in modo molto economico e in edifici molto più semplici, magari situati nel collegio elettorale di qualcun altro.»

«Ma ci sono gli animali» ribatté Greta. «Le apparecchiature genetiche.»

«Questa è la parte davvero tragica. Non puoi salvare una specie in pericolo clonando animali. Lo ammetto, meglio questo che la prospettiva di vederli sterminati completamente, persi per sempre. Ma adesso sono delle semplici curiosità, dei graziosi animaletti diventati oggetti da collezione per gli ultraricchi. Una specie vivente non è soltanto un codice genetico, ma l’intera varietà genetica in una popolazione numerosa che vive allo stato brado, oltre ai loro comportamenti appresi, alle loro prede e ai loro predatori, il tutto immerso in un ambiente naturale. Ma non esistono più ambienti naturali. Perché il clima è mutato.»

Si mise a sedere e le molle del letto lanciarono un sonoro cigolio di protesta. «Adesso il clima è instabile. Non è possibile proteggere interi ecoambienti sotto cupole sigillate. Soltanto due tipi di piante prosperano nel mondo attuale: colture transgeniche e piante parassite che si adattano in fretta. E così adesso il nostro mondo è invaso da bambú e kudzu, e ormai non ha più nulla a che vedere con la digitale minacciata e la sua preziosa nicchia ecologica su qualche montagna dimenticata. Da un punto di vista politico odiamo ammettere tutto questo con noi stessi, perché significa ammettere la piena portata dei crimini orribili che abbiamo commesso contro la natura, ma si tratta di una realtà ecologica. Questa è la verità che mi hai chiesto di dirti. Questa è la realtà. Pagare montagne di soldi per conservare i frammenti del guscio di Humpty Dumpty è un gesto ipocrita.»

«Ed è questo che andrai a dire ai tuoi senatori.»

«No, no, non ho mai detto nulla del genere.» Oscar sospirò. «Volevo soltanto dirti la verità.»

«Ma allora cosa vuoi dire ai tuoi senatori?»

«Cosa voglio? Io voglio te. Voglio che tu sia al mio fianco. Voglio riformare la vostra situazione e voglio che tu mi aiuti e mi consigli.»

«Io ho già la mia krew, grazie.»

«No, tu non hai nulla. Hai una struttura molto costosa che ti è stata data in prestito per breve tempo. E hai a che fare con gente a Washington che può chiudere una base dell’aeronautica e scherzarci sopra. No, quando osservo la partita dalla tua posizione, vedo che hai due opzioni realistiche. Numero uno, te ne vai adesso, prima della purga. Ti trovi un altro incarico, magari in qualche università, o perfino in Europa. Se sei brava, puoi portarti dietro alcuni dei tuoi dottorandi e assistenti preferiti.»

Greta si accigliò. «E qual è l’opzione numero due?»

«Prendere il potere. Un attacco preventivo. Ti impadronisci del laboratorio e sradichi tutti quei corrotti figli di puttana. Colpisci in fretta, sorprendi tutti e fai saltare in aria tutto.» Oscar si appoggiò su un gomito. «Se colpisci nel momento giusto, utilizzando le fonti giuste, nell’ordine giusto e nel modo giusto, puoi sbarazzarti dei passascartoffìe e conservare la maggior parte delle persone che fanno vero lavoro di ricerca. È una mossa molto rischiosa, probabilmente non funzionerà e ti farai un mucchio di nemici mortali per tutta la vita. Ma c’è un grosso vantaggio: se sei tu a mettere sottosopra il laboratorio, il Congresso rimarrà tanto sorpreso che non lo chiuderà. Se riesci a ottenere una buona copertura giornalistica e a loro piace il tuo stile, potrebbero perfino sostenerti.»

Greta si appoggiò al cuscino con aria stanca. «Stammi a sentire, io voglio soltanto lavorare nel mio laboratorio.»

«Questa non è una delle opzioni disponibili.»

«Si tratta di un lavoro molto importante.»

«Lo so, ma non è un’opzione.»

«Tu non credi davvero in nulla, eh?»

«Sì che ci credo» replicò Oscar in tono convinto. «Io credo che persone intelligenti che lavorano insieme possano fare la differenza in questo mondo. So che tu sei molto intelligente e che se noi lavoriamo insieme, allora forse io posso aiutarti. Se non sei con me, allora dovrai sbrigartela da sola.»

«Non sono inerme. Ho degli amici e dei colleghi che si fidano di me.»

«Be’, è magnifico. Così potrete essere inermi tutti insieme.»

«No, non è magnifico. Perché tu sei venuto a letto con me e mi stai dicendo che distruggerai tutto quello per cui lavoro.»

«Ma è la verità! Sarebbe stato meglio se fossi venuto a letto con te senza dirti quello che stava accadendo? Sai, ci ho pensato, ma non ho avuto il coraggio di farlo.»

«Hai scelto la persona sbagliata per questo. Io odio il lavoro amministrativo, non posso prendere il potere, non sarei brava a gestirlo.»

«Greta, guardami. Io potrei farti diventare brava, non lo capisci? Io dirigo campagne politiche, sono un esperto, questo è il mio lavoro.»

«Che cosa orribile da dire!»

«Potremmo riuscirci benissimo. Specialmente se tu ci appoggiassi, se tu ci permettessi di consigliarti e aiutarti. La mia krew e io abbiamo preso un architetto che aveva il 5% nei sondaggi e lo abbiamo fatto diventare senatore del Massachusetts. La tua piccola, triste boccia da pesci non ha mai visto persone come noi.»

«Be’…» Greta sospirò. «Dovrò pensarci sopra.»

«Bene, fallo. Io starò via per un po’. Washington, Boston… Tu pensa seriamente a quello che ti ho detto.» Lo stomaco di Oscar emise un brontolio. «Dopo tutte queste chiacchiere, non ho assolutamente sonno. E tu?»

«Cielo, no.»

«Io sto morendo di fame. Andiamo a mangiare qualcosa. Sei venuta in auto, vero?»

«Sì, è un’auto a combustione interna.»

«Ma ci porterà lo stesso in una vera città. Stasera ti porto fuori. Andremo da qualche parte, ce la spasseremo insieme.»

«Sei impazzito? Non puoi fare una cosa del genere. Ci sono degli svitati che stanno tentando di ucciderti.»

Oscar agitò una mano. «Oh, e chi se ne importa? Non possiamo vivere in questo modo. A cosa serve? E poi, qui il rischio è minimo. Ci vorrebbe un’operazione di spionaggio di alto livello per scovarci in questo cesso di posto. Sarò molto più al sicuro in qualche ristorante scelto a caso di quanto lo sarò a Washington o a Boston. Questa è l’unica notte che potremo passare insieme. Mostriamo un po’ di fegato, troviamo il coraggio di essere felici.»


Si vestirono, uscirono dalla casa sulla spiaggia e salirono in auto. Greta si servì di una chiave metallica per avviarla. Il motore si accese con un fastidioso ruggito dei pistoni. Poi il telefono di Greta squillò.

«Non rispondere» ordinò Oscar.

Greta lo ignorò. «Pronto?» Fece una pausa, poi gli passò il telefono. «È per te.»

Era Fontenot. «Ma cosa diavolo credi di fare?»

«Sei ancora sveglio? Noi andiamo a cena.»

«Ma certo che sono sveglio! Mi sono svegliato non appena sei uscito da quella casa. Oscar, non puoi lasciare Holly Beach.»

«Sta’ a sentire, è notte fonda, nessuno sa che siamo qui, siamo in un’auto a nolo a cui non si può risalire e stiamo scegliendo una città a caso.»

«Volete mangiare? Vi porteremo noi del cibo. E se tu fossi fermato da uno sceriffo di contea? Inserirebbero i tuoi dati nella rete della polizia statale. Pensi che sarebbe divertente per uno yankee che ha messo i bastoni tra le ruote a Green Huey? Se la pensi così, stai commettendo un grosso errore, amico.»

«Se dovesse succedere qualcosa del genere, invierò un reclamo all’ambasciata americana.»

«Molto spiritoso. Smettila di fare lo stupido, okay? Mi sono occupato di tutta la faccenda di Holly Beach per te, e non è stato facile. Se non ti attieni al piano concordato, non mi assumo nessuna responsabilità.»

«Continua a guidare» ordinò Oscar a Greta. «Jules, apprezzo la tua professionalità, ma dobbiamo farlo e non c’è tempo per discutere.»

«Va bene» si arrese Fontenot con un gemito. «Prendi l’autostrada verso est e aspetta che mi metta di nuovo in contatto con te.»

Oscar interruppe la comunicazione e restituì il telefono a Greta. «Hai mai avuto una guardia del corpo?» le chiese.

Lei annuì. «Una volta, dopo l’annuncio del Nobel. Eravamo io e Danny Yearwood. Dopo che venne comunicata la notizia, Danny iniziò a ricevere tutte quelle minacce dagli animalisti… Nessuno ha mai minacciato me, un comportamento tipico. Si sono scagliati solo contro Danny. Il Nobel fu assegnato a entrambi ex aequo, ma sono stata io a fare tutto il lavoro di laboratorio… Durante la conferenza stampa c’era qualche uomo della sicurezza, ma si sono limitati a starsene lì, senza far nulla. In seguito hanno aggredito Danny all’esterno dell’albergo e gli hanno spezzato entrambe le braccia.»

«Ma no.»

«Ho sempre pensato che fossero quelli che si oppongono all’utilizzo di tessuto fetale ad avercela a morte con gli scienziati. Di solito gli animalisti si limitavano a fare irruzione nei laboratori e a rubare gli animali.»

Greta scrutò con attenzione la pozza di luce in movimento proiettata dai fari, stringendo il volante con le sue mani sottili. «Danny si è comportato da vero gentiluomo per quanto riguarda la paternità del lavoro. Ha voluto che il mio nome fosse scritto per primo sull’intestazione del saggio: l’ipotesi era mia, sono stata io a fare tutte le ricerche di laboratorio, dunque era giusto così. Ma lui è stato un vero angelo. Ha lottato per farmi ottenere i riconoscimenti che meritavo, non ha mai permesso loro di trascurare il mio contributo. Mi ha attribuito tutti i meriti possibili e poi lo hanno seguito e lo hanno aggredito, ignorando me. Sua moglie deve avermi davvero odiato molto.»

«E adesso come sta il dottor Yearwood? Come posso mettermi in contatto con lui?»

«Oh, non lavora più in campo scientifico, adesso si occupa di transazioni bancarie.»

«Vuoi scherzare? Transazioni bancarie? Ma se ha vinto il premio Nobel per la medicina!»

«Oh, il Nobel non conta più tanto, dopo tutti quegli scandali sulla corruzione dell’accademia svedese… Molti hanno sostenuto che è stato soprattutto per questo che abbiamo ottenuto il premio, sai, dandolo a una donna che non aveva ancora compiuto trent’anni, stavano tentando di ricominciare da zero. Non mi importa: a me piace il lavoro di laboratorio, inserire le ipotesi in un quadro teorico più ampio, le procedure, la forma. Mi piace il rigore, l’integrità. Mi piace la pubblicazione, vedere il mio lavoro messo nero su bianco, tutto verificato, tutto preciso. È allora che i dati raccolti si trasformano in conoscenza, che durerà per sempre.»

«Tu ami davvero il tuo lavoro, Greta. Questa è una cosa che rispetto molto.»

«È molto dura. Se diventi famoso, non ti lasciano più lavorare. Ti promuovono, non lavori più in laboratorio, ci sono un milione di stupide distrazioni. A quel punto non si tratta più di scienza, ma di dare da mangiare ai tuoi figli dottorandi. L’intero sistema scientifico moderno è solo un’ombra di quello che era nell’Età d’Oro: la prima guerra fredda. Ma…» Si lasciò sfuggire un sospiro. «Non so. Personalmente, a me è andata bene. Ad altre persone è andata molto peggio.»

«A chi, per esempio?»

«Molto tempo fa c’era una donna, Rita Levi Montalcini, la conosci?»

«Lo farò se mi spieghi chi è.»

«Anche lei aveva vinto un Nobel. Era ebrea, viveva negli anni Trenta, in Italia. Una neuro-embriologa. I fascisti stavano tentando di arrestarla e lei si nascondeva in un villaggio, in una capanna. Costruì gli strumenti per la dissezione con il filo di ferro e poi prese queste uova di gallina… Non aveva soldi, non poteva farsi vedere in giro, il governo stava tentando letteralmente di ucciderla, ma lei riuscì a ottenere lo stesso i suoi risultati, grandi risultati… Sopravvisse alla guerra e andò via dal suo paese. Fuggì in America, le affidarono delle ricerche di laboratorio davvero importanti e, ormai ultranovantenne, divenne una celebrità mondiale nel suo campo. Ecco, Rita è l’esempio perfetto di ciò che significa fare ricerca scientifica.»

«Vuoi che adesso guidi un po’ io?»

«Mi dispiace di stare piangendo.»

«Va tutto bene. Accosta soltanto.»

Uscirono dalla vettura nell’oscurità e si scambiarono di posto. Oscar iniziò a guidare con un sonoro crepitio di gusci d’ostrica sul ciglio della strada. Era passato molto tempo dall’ultima volta che aveva guidato. Tentò di fare molta attenzione, per evitare un incidente mortale. Le cose stavano diventando piuttosto interessanti. Il sesso era stato una delusione, ma, in ogni caso, era soltanto una parte della faccenda. Adesso Oscar stava davvero stabilendo un contatto con Greta e questa era la cosa più importante.

«Oscar, non devi permettere loro di distruggere il mio laboratorio. So che questo posto non è mai stato all’altezza della sua fama, ma è un luogo molto speciale, non dovrebbe essere distrutto.»

«Dirlo è facile. Potremmo anche riuscirci. Ma fino a che punto sei disposta a lottare per quello che vuoi? Cosa sei disposta a dare? Cosa sei disposta a sacrificare?»

Il telefono di Greta squillò di nuovo. Lei rispose. «È di nuovo il tuo amico» annunciò. «Vuole che andiamo in un posto chiamato ‘Buzzy’s’. Ha già prenotato.»

«Il mio amico è davvero un uomo in gamba.»


Entrarono nella città di Cameron e trovarono il ristorante. Buzzy’s era un locale con qualche pretesa e in cui si suonava anche dal vivo. Era aperto fino a tardi ed era affollato di turisti. Il gruppo stava suonando musica classica per quartetto d’archi: tipica musica etnica anglo. Era sorprendente quanti anglo si fossero dedicati alla scena musicale classica in pieno boom. Gli anglo sembravano avere un talento innato per un tipo di musica rigida e lineare che gruppi etnici meno nevrotici non potevano sperare di eguagliare.

Fontenot aveva prenotato per due persone, usando i nomi del signor e della signora Garcìa. Ebbero un buon tavolo non lontano dalla cucina e a distanza di sicurezza dal bar, dove un gruppo di turisti texani in abito da sera stavano ubriacandosi tra l’ottone e gli specchi. C’erano tovaglioli di tela, belle posate d’argento, camerieri premurosi, menú in inglese e francese. Era un posto tranquillo e lo divenne ancora di più quando arrivò Fontenot in persona e si sedette a un tavolo accanto alla porta. Avere una guardia del corpo sveglia, sobria e che controllava tutti gli arrivi trasmetteva una rilassante sensazione di calore.

«Voglio mangiare del pesce» annunciò Oscar studiando il menù. «Un’aragosta andrebbe benissimo. Non ne ho mangiata una decente da quando ho lasciato Boston.»

«Ecrevisse» replicò Greta.

«Cos’è?»

«All’inizio di pagina due. Una specialità locale molto famosa, dovresti provarla.»

«Mi sembra una scelta magnifica.» Chiamò un cameriere con un cenno e ordinò. Greta chiese un’insalata di pollo.

Greta iniziò a far ruotare il sottile stelo del suo calice, che però aveva riempito di acqua minerale per evitare di bere altro gin. «Oscar, come faremo a gestire questa faccenda? Mi riferisco a noi.»

«Oh, dal punto di vista tecnico la nostra relazione non è eticamente corretta, ma questo non ha alcuna importanza, se si è scorretti lontano dagli occhi di tutti. Tu tornerai al tuo lavoro e io andrò sulla costa orientale. Ma poi tornerò e allora potremo continuare a vederci con molta discrezione.»

«È così che funziona nel tuo ambiente?»

«Quando funziona… viene accettato. Come, diciamo, il presidente e la sua amante.»

Greta inarcò le sopracciglia. «Leonard Two Feathers ha un’amante?»

«No, no, non lui! Mi riferisco al vecchio, all’uomo che è ancora ufficialmente presidente. Aveva questa ragazza… Pamela qualcosa, non c’è bisogno che tu sappia il suo cognome… Aspetterà fino a quando non sarà scaduto il suo mandato, poi pubblicherà il libro in cui racconta tutto, lancerà il profumo, l’abbigliamento intimo, tutte le solite operazioni commerciali… Sai, è la sua buonuscita.»

«E cosa ne pensa la first lady di tutto questo?»

«Immagino che pensi quello che le first lady hanno sempre pensato. Pensava che sarebbe diventata istantaneamente co-presidente e poi è stata costretta a stare a guardare per quattro lunghi anni mentre i comitati di emergenza inchiodavano il suo uomo in pubblico come una rana. Sai, come politico quel tizio è una vera nullità, ma non è stato bello assistere allo spettacolo. Quando assunse la carica, il vecchio sembrava ok, aveva ottantadue anni, ma, cavolo, tutti i membri del Partito dell’unità americana sono vecchi, l’intero blocco progressista conservatore ha un elettorato molto anziano… La carica non ha fatto altro che spezzarlo, ecco tutto, gli ha spezzato le ossa in pubblico. Immagino che avrebbero potuto rivelare questa vecchissima storia della ragazza, ma con tutti i problemi davvero seri che il presidente doveva affrontare, una simile rivelazione sulla sua vita sessuale era come sparare sulla croce rossa.»

«Non ho mai saputo nulla su questa faccenda.»

«La gente lo sa, qualcuno lo sa sempre; per esempio, la krew del presidente e il servizio segreto ne sono a conoscenza, ma questo non significa che la faccenda debba diventare pubblica. Le reti sono molto strane. Non sono mai uniformi, sono sempre irregolari. Probabilmente, da qualche parte, qualche svitato ha dei video di sorveglianza del presidente con Pamela. Forse li stanno cedendo in cambio di fotografie scattate di nascosto dai paparazzi alle stelle di Hollywood. Mio padre, la stella del cinema, veniva scoperto tutte le volte, ma di solito si trattava di sciocchezze: una volta andò a finire sui giornali per aver preso a pugni qualcuno al club del polo, ma non è stato mai scoperto quando se la faceva con i mafiosi. Degli svitati con molto tempo a disposizione possono scoprire un sacco di cose strane sulla rete. Ma rimangono sempre svitati, non importa quello che scoprono. Non sanno fare le mosse giuste e così sono trascurabili.»

«E anch’io non so fare le mosse giuste, dunque sono trascurabile.»

«Non prendertela. Nessuno dei tuoi ha mai contato qualcosa. Era il senatore Dougal a muovere tutti i fili. Ma adesso non c’è più e così sul tabellone non è rimasto nulla. Questa è la realtà politica.»

«Capisco.»

«Sai, puoi votare, sei un cittadino, hai un voto. Questo è molto importante.»

«Giusto.»

Scoppiarono entrambi a ridere.

Finirono il consommé, poi il cameriere servì la portata principale.

«Ha un odore fantastico» commentò Oscar. «C’è il bavaglino? E quell’affare per rompere le chele… magari un martelletto?» Osservò con maggiore attenzione il piatto. «Aspetta un attimo. Ma che cos’ha la mia aragosta?»

«È un’ecrevisse.»

«Ma cos’è esattamente?»

«Un grosso gambero, un crostaceo. Un’aragosta d’acqua dolce.»

«Ma cos’hanno queste chele? E poi la coda è tutta sbagliata.»

«È di allevamento. Allo stato brado, le aragoste di questa specie sono lunghe soltanto dieci centimetri. E stata manipolata geneticamente. Si tratta di una specialità locale.»

Oscar fissò il crostaceo bollito sul suo letto di riso giallo. Per cena gli era stato servito un mutante genetico gigante. Aveva l’impressione che le sue dimensioni fossero profondamente sbagliate. Non sapeva cosa pensare. Ovviamente aveva mangiato un bel po’ di coltivazioni transgeniche: pannocchie lunghe quanto il suo braccio, zucchine giganti, gustosi brocco-cavolfiori screziati, mele senza semi, anzi, ogni tipo di frutta senza semi… Ma adesso, davanti a lui, c’era un animale geneticamente alterato, bollito vivo e servito tutto intero. Aveva un aspetto bizzarro, completamente irreale. Sembrava un palloncino a forma di aragosta.

«Ha un odore delizioso» commentò.

Il telefono di Greta squillò.

«Senti, ma non possiamo mangiare in pace?» chiese Oscar.

Greta inghiottì una forchettata di insalata di pollo condita con molto aceto. «Spegnerò il mio telefono» rispose.

Oscar punzecchiò a titolo di prova una delle molte zampe dell’aragosta. L’arto bollito si spezzò come un ramoscello, rivelando un cuneo di carne bianca.

«Non essere timido» lo esortò Greta. «Qui siamo in Louisiana, ok? Mettiti in bocca la testa e succhia la polpa.»

Il gruppo smise improvvisamente di suonare, interrompendosi a metà di un quartetto. Oscar sollevò lo sguardo. L’ingresso del locale brulicava di poliziotti.

Erano poliziotti statali della Louisiana, uomini con cappelli dalla tesa piatta, auricolari e pistole stordenti nelle fondine. Stavano entrando lentamente nel ristorante. Oscar cercò frettolosamente con lo sguardo Fontenot e vide che l’ex agente segreto digitava con discrezione un numero sul suo telefono con un’espressione irritata.

«Scusami» disse Oscar. «Posso prendere in prestito il tuo telefono per un minuto?» Riattivò il telefono di Greta e iniziò la procedura sorprendentemente complessa per reinserire la sua presenza nella rete della Louisiana. I poliziotti si erano sparsi nella folla, adesso silenziosa, e avevano bloccato tutte le uscite. C’erano poliziotti nel bar, un poliziotto accanto al maître, poliziotti che svanivano silenziosamente in cucina, un paio di poliziotti che salivano al piano superiore. Poliziotti con computer portatili, poliziotti con telecamere. Tre di loro stavano parlando in tono sommesso con il direttore.

Poi si udì il frastuono tambureggiante di un elicottero che stava atterrando all’esterno del ristorante. Quando i rotori vennero spenti, tutti scoprirono di essersi improvvisamente messi a urlare. L’improvviso silenzio che seguì fu davvero impressionante.

Due guardie del corpo grandi come montagne e vestite in abiti civili entrarono nel ristorante, seguite subito dopo da un uomo basso e con il viso paonazzo in pantofole e un pigiama rosso.

L’uomo dal viso paonazzo attraversò rapidamente la sala del ristorante, con le pantofole ricoperte di pelo che scivolavano sulle piastrelle senza produrre il minimo rumore, «SALVE A TUTTI!» gridò con voce tonante come una grancassa. «Sono io!» Agitò entrambe le braccia e il pigiama si aprì, rivelando un ventre peloso. «Mi dispiace per il disturbo! Si tratta di una visita ufficiale! Rilassatevi! È tutto sotto controllo.»

«Salve, governatore!» gridò qualcuno. «Ehi, Huey!» gridò un altro avventore, come se avesse voluto gridare quella frase per tutta la vita. Improvvisamente tutti stavano sogghignando, si scambiavano occhiate felici, tiravano indietro le loro sedie con espressioni deliziate. Erano stati fortunati: la vita e il colore erano entrati nelle loro grigie e squallide esistenze.

«Chiedete cosa hanno di speciale i ragazzi!» urlò il governatore. «Stasera vi tratteremo da re! Offro io! Va bene? Boozoo, occupatene tu! E subito.»

«Sì, signore» rispose Boozoo, una delle guardie del corpo.

«Portatemi un CAFFÈ!» tuonò Huey. Era basso, ma aveva le spalle di un difensore di football. «Portatemi un caffè doppio! È tardi, dunque metteteci dentro qualcosa di forte. Portatemi una demi tasse. Al diavolo, portatemi un’intera dannata tasse. Qualcuno vuole portarmene due di tasse? Devo aspettare tutta la notte? Dannazione, qui dentro c’è un odorino! Vi state divertendo, gente?»

Tutti si affrettarono a urlare di sì con entusiasmo.

«Adesso fate come se io non ci fossi» gridò Huey riabbottonandosi distrattamente il pigiama. «Non sono riuscito ad avere un pasto decente a Baton Rouge e ho dovuto volare fin quaggiù per riprendermi. Questa sera ho un appuntamento molto importante.» Proseguì con andatura sicura nella sala del ristorante, avvicinandosi al tavolo di Oscar come una nave da guerra. Poi si fermò, incombendo improvvisamente davanti a loro con le mani che si agitavano nervosamente, la fronte madida di sudore.

«Clifton, portami una sedia.»

«Sì, signore» rispose l’altra guardia del corpo. Clifton sollevò una sedia da un tavolo vicino come se stesse prendendo uno stuzzicadenti e la posizionò abilmente sotto il posteriore del suo capo.

Improvvisamente Oscar, Greta e Huey si ritrovarono seduti faccia a faccia. Osservata da vicino la testa del governatore era simile alla luna piena; era gonfia, luccicante e leggermente butterata. «Salve, Etienne» lo salutò Greta.

«Salve, petite!» Con grande irritazione di Oscar, i due iniziarono a parlare in un francese rapido e dialettale.

Oscar cercò di incrociare gli occhi di Fontenot, ma l’altro, mantenendo lo sguardo fisso avanti a sé, gli impartì una lezione di buon senso. Oscar distolse immediatamente lo sguardo.

Un cameriere arrivò di corsa con il bricco del caffè, un bicchiere, della panna e un goccio di bourbon. «Sto morendo di fame» annunciò Huey in un tono di voce più «sommesso. «Che bel gamberone che hai lì, figliolo.»

Oscar annuì.

«Questi gamberoni mi fanno impazzire» affermò Huey. «Fammene assaggiare un po’.» Si rimboccò le maniche del pigiama, allungò le mani e strappò la coda dal carapace con un forte scricchiolio di cartilagine e carne, poi la piegò, facendone fuoriuscire un pezzo di carne bianca e fumante. «C’est bon, figliolo!» Si infilò la coda in bocca, diede un morso. «Cavolo, è davvero BUONO! Altro che le aragoste di Boston! Portatemi un menù. Il mio amico yankee, il Piazzista di Sapone, deve ordinarsi qualcosa. E dite al cuoco di darsi da fare.»

Adesso il loro tavolo era circondato da un nugolo di camerieri. Si materializzavano tra le file dei poliziotti, portando acqua, purea, tovaglioli, burro, pane caldo, piattini di salsa piccante. Erano ansiosi di servire, si spintonavano l’uno con l’altro per avere quell’onore. Uno offrì a Oscar un menù nuovo di zecca.

«Portate a questo ragazzo un piatto di jambalaya» ordinò Huey, respingendo il menù con un gesto delle sue dita rossicce. «Portategli due jambalaya di scampi. E di quelli belli grossi. Ne abbiamo bisogno perché il bambino prodigio ha l’aria un po’ sciupata. Ragazza, tu devi mangiare qualcosa di più di quelle insalate. Una donna non può vivere mangiando solo un’insalata di pollo. E dimmi, Oscar, un uomo deve mangiare. Non è così?»

«Sì, governatore» rispose Oscar.

«Ma quel tuo pupillo non sta mangiando!» Huey schiacciò la chela bollita dell’aragosta tra i pollici. «Il signor Grandi Gesti, il signor Architettura. Ma io non posso avere una cosa simile sulla coscienza! Se penso a lui, e alla sua bella moglie, che fanno la fame lassù, a nord, andando avanti con del maledetto succo di mela, non riesco a dormire la notte!»

«Mi dispiace sentire che siete preoccupato, vostra eccellenza.»

«Di’ al tuo pupillo di smetterla di preoccuparsi tanto. Nessuno mi vedrà mai fare la fame perché il cittadino comune non riesce a farsi ascoltare a Boston. Quaggiù arrivano continuamente yankee del genere. Scoprono la bella vita e si dimenticano completamente della vostra maledetta acqua sporca. Il signor Affamato deve divertirsi un po’ di più.»

«Lui riprenderà a mangiare quando lo faranno anche quei soldati, signore.»

Huey lo fissò, masticando con aria decisa. «Be’, allora puoi dirgli questo da parte mia — diglielo subito, questa sera stessa. Io risolverò il suo piccolo problema. Ho capito quello che voleva dimostrarmi. Adesso può lasciar perdere le sue maledette telecamere e il succo di mela, perché sto per fargli un favore. Sto prendendo misure esecutive per risolvere i contrattempi infrastrutturali di quel signore.»

«Farò in modo che il senatore riceva il vostro messaggio, signore.»

«Lei pensa che io stia scherzando, signor Valparaiso? Lei pensa che stasera la stia prendendo in giro?»

«Non penserei mai una cosa del genere, vostra eccellenza.»

«Bene, molto bene. Vuole sapere una cosa? Andavo pazzo per i film di suo padre.» Huey si girò a guardare da sopra la spalla. «COSA È SUCCESSO AL GRUPPO?» muggì. «Sono UBRIACHI? Fateli suonare!»

I musicisti ripresero posto rapidamente e iniziarono a suonare un minuetto. Il governatore bevve una tazza di caffè, poi rivolse di nuovo la propria attenzione all’aragosta mostruosamente grande e continuò a divorarla con gusto. Staccò e mangiò entrambe le chele, poi succhiò la polpa calda e speziata dalla testa con aria di profonda soddisfazione.

I camerieri iniziarono a deporre sul tavolo piatti freschi di prelibatezze cajun. Oscar osservò quel banchetto fumante. Di rado aveva avuto meno appetito.

«E tu che mi dici, Greta, tesoro mio!» domandò improvvisamente Huey. «Questa sera sei così taciturna.»

Greta scosse la testa.

«Tu devi sapere quello che è venuto a fare qui il Ragazzo delle Saponette, vero? Dougal è acqua passata, sono arrivati i democratici federali, adesso sicuramente sarà qualcun altro a decidere. Cosa ne pensi? Ti va un bel laboratorio sull’autostrada 128? Immagino che ti abbia fatto qualche promessa.»

«Lui non fa molte promesse» mormorò Greta.

«Ed è meglio così, perché non può promettere nulla di nulla. In Senato ho due ragazzi che possono sedersi sul collo del suo senatore da qui fino a domenica. Sono stato io a costruire quel maledetto laboratorio! Io! So qual è il suo valore. Su a Baton Rouge, abbiamo fatto approvare una nuova legge dalla commissione per il bilancio. Una grande espansione per ‘Bio Bayou’. Forse il mio laboratorio non è grande come il tuo, ma non deve esserlo, se non bisogna sfamare ogni cavolo di scienziato mangiafondi dei cinquanta stati. Io conosco la maledetta differenza tra la neuroscienza e quei figli di puttana che passano il loro tempo a catalogare cavallette. E tu sai che io la conosco questa differenza, vero?»

«Sì, lo so, Etienne.»

«È un vero peccato che tu debba sprecare il tuo tempo a riempire i moduli per i fondi federali in quintuplice copia. Una donna come te ha bisogno di avere mano libera! Diciamo che ti salta il ticchio di iniziare a lavorare sul bloccaggio del metilspirolpedirolo nei ricettori di dopamina extrastriatali. Per l’uomo comune può sembrare una cosa molto buffa, ma è la differenza fondamentale tra la sanità mentale e la completa schizofrenia. Ti sfido a trovare un singolo funzionario federale eletto che riesca perfino a pronunciare queste parole. Ma questo è il futuro. Il digitale, il biologico… e adesso il cognitivo. È chiaro come il sole. Tu pensi che ce ne rimarremo seduti qui in Acadie — noi, l’unico popolo non nativo che ha subito un’operazione di pulizia etnica — a osservare un mucchio di POLITICANTI SAPIENTONI che tentano di BATTERCI IN ASTUZIA? Che pensano di BATTERE IN ASTUZIA noi? Col cavolo, sorella!»

«Non mi occupo di scienza cognitiva, Etienne. Io sono soltanto un tecnico neurale.»

«Tu hai vinto il Nobel per avere individuato la base gliale dell’attenzione e affermi di non occuparti di scienza cognitiva?»

«Io studio i neuroni e le cellule gliali, studio la propagazione delle onde neurochimiche. Ma non studio la coscienza. Qui usciamo dal campo della scienza per entrare in quello della metafisica.»

«Teoricamente hai ragione, tesoro, eppure ti sbagli. Non si tratta di metafisica quando è su un tavolo di fronte a te, con una mela in bocca. Senti, ci conosciamo da molto tempo. Tu conosci il vecchio Huey, vero? Se tu sei amica di Huey, puoi avere tutto quello che vuoi. Qualsiasi cosa tu voglia!»

«Io voglio soltanto lavorare nel mio laboratorio!»

«E puoi farlo! Mandami i progetti! Cosa vuoi, un laboratorio a tenuta stagna? Abbiamo miniere di zolfo e di sale profonde più di un chilometro, buchi più grandi del centro di Baton Rouge. Laggiù potrai fare quello che diavolo vuoi! Potrai sigillare le porte alle tue spalle. Scienza, la frontiera infinita, tesoro! Non puoi chiedere nulla di meglio di questo! Non dovrai più firmare una dichiarazione in cui ti assumi la responsabilità dell’impatto che avranno le tue ricerche! Ottieni i tuoi risultati e pubblicali, è tutto quello che ti chiedo! Ottieni i risultati e pubblicali.»


Oscar e Greta tornarono alla casa sulla spiaggia verso le quattro del mattino. Osservarono dalla balaustra del portico mentre i fari della loro scorta di polizia statale, un corteo di sei auto, giravano e scomparivano nell’oscurità.

La krew, allertata da Fontenot, aveva sorvegliato attentamente la casa sulla spiaggia. Nessuno era entrato per perquisirla. Comunque sembrava un ben misero vantaggio. «Non riesco a credere che quelle persone gli abbiano baciato le mani» commentò Oscar.

«Erano solo tre.»

«Ma gli hanno baciato le mani! Piangevano e gli baciavano le mani!»

«Per la gente del luogo Huey ha fatto una grande differenza» spiegò Greta con uno sbadiglio. «Ha dato loro la speranza.» Entrò nel bagno con il suo borsone e chiuse la porta.

Oscar andò in cucina. Aprì la porta del frigorifero. Gli tremavano le mani. Huey non era riuscito a schiacciarlo. Oscar non aveva perso la calma, ma era spaventato dalla velocità di reazione di quell’uomo e del prezzo che avrebbe dovuto pagare se avesse corso dei rischi stupidi nella sfera di influenza di Huey. Trovò una mela nel frigorifero, la prese distrattamente, poi tornò nel salotto e si sedette su quella sedia orribile. Si alzò di nuovo immediatamente. «Ha riempito quel posto di imbecilli armati fino ai denti e quelle persone gli hanno baciato le mani!»

«Il governatore ha bisogno di guardie del corpo, la sua è una vita pericolosa» replicò Greta da dietro la porta del bagno. «Oscar, perché ti ha chiamato il ‘Piazzista di Sapone’?»

«Oh, quello. Era la mia prima società. Un’applicazione biotecnica. Producevamo emulsionanti per il liquido per lavare i piatti. Sai, la gente non pensa mai a queste cose. Pensano che la biotecnologia sia una disciplina assolutamente esoterica. Ma il sapone è un articolo molto diffuso. Nel mercato del sapone il margine di profitto è del cinque per cento e i tizi che vogliono comprare butteranno giù la porta…» La sua voce si spense. Greta si stava lavando i denti, non lo stava ascoltando.

Uscì dal bagno indossando un camicia da notte di flanella bianca. Le arrivava alle caviglie e aveva un fiocchetto rosa al collo. Aprì la borsa e prese un filtro d’aria portatile.

«Allergie?» chiese Oscar.

«Sì. L’aria all’esterno della cupola… be’, l’aria esterna ha sempre un odore strano per me.» Attaccò il filtro alla presa; l’apparecchio emise un forte ronzio.

Oscar controllò le finestre per assicurarsi che fossero chiuse e che le tende fossero tirate, poi la fissò. A sua completa insaputa, i sentimenti che provava nei confronti di Greta avevano subito un cambiamento profondo e violento. Il suo incontro con il governatore lo aveva scosso. Adesso era inquieto, teso, in preda alla passione. Si sentiva aggressivo, possessivo. Stava male per la gelosia. «Dormirai vestita così?»

«Sì. Di notte sento sempre freddo ai piedi.»

Oscar scosse la testa. «Non dormirai con quella cosa addosso. E non useremo il letto. Questa volta useremo il pavimento.»

Greta studiò il pavimento. Era coperto da un bel tappeto a pelo folto. Poi sollevò lo sguardo verso su di lui, con il viso rosso fino alle orecchie.

Oscar si svegliò poco dopo l’alba. Si era addormentato sul tappeto. Greta aveva usato il lenzuolo e la coperta per coprirlo e adesso era seduta alla scrivania e scriveva qualcosa sul suo taccuino.

Oscar studiò lentamente il soffitto macchiato d’umidità. Aveva le ginocchia irritate per averle strofinate sul tappeto. Gli doleva la schiena. Sotto il suo fianco c’era una macchia umida e scivolosa che si stava raffreddando. Per la prima volta dopo settimane si sentì davvero in pace con se stesso.

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