Il mercato di Canton era una tradizione texana risalente agli anni ’50 del diciannovesimo secolo. Ogni primo fine settimana del mese, venditori, collezionisti e curiosi convergevano in quel punto da centinaia di miglia di distanza per tre giorni di frenetici scambi commerciali. Naturalmente quella tradizione antica e decisamente affascinante era stata adottata prontamente dai nomadi prolet.
Oscar, Greta e Kevin si ritrovarono nel bel mezzo di una migrazione stradale, diretta verso Nord-Est, verso la città improvvisata. Nel rottame a nolo di Kevin, non spiccavano particolarmente tra gli altri veicoli e i viaggiatori in movimento: autobotti, camion, pullman nomadi, autostoppisti imbacuccati per difendersi dal gelo invernale.
Nel frattempo, Oscar e Greta si erano seduti entrambi sul sedile posteriore e si stavano esaminando a vicenda i graffi, i lividi e le sbucciature. Greta era ancora ammanettata, mentre la ferita alla testa di Oscar era ancora incrostata di sangue coagulato. Rimasero seduti insieme mentre Kevin mandava giù un panino e puliva i vetri dell’auto, appannati dai loro respiri.
Controllarsi a vicenda le ferite fu un processo lungo e intimo, che implicò un tenero sbottonarsi di camicie, respiri di sorpresa trattenuti, lingue che schioccavano per il dispiacere e l’uso, incredibilmente gentile, di liquidi antisettici. Oscar e Greta avevano subito entrambi una bella strapazzata che, in circostanze normali, avrebbe richiesto un checkup medico completo e un paio di giorni di riposo a letto. Le loro teste giravano e dolevano per l’effetto del gas stordente, postumi soltanto parzialmente curabile con i massaggi alle tempie, le carezze sulle sopracciglia e i baci lenti e gentili.
Greta si comportò in modo stoico. Costrinse Oscar a provare il suo rimedio speciale per curare i postumi della sbronza: sei aspirine, quattro acetaminofeni, tre cucchiai di zucchero bianco e quaranta microgrammi di acido lisergico legale. Questo miscuglio, insistette lei in tono d’autorità, li avrebbe ‘fatti riprendere’.
Nel tardo pomeriggio, lasciarono l’autostrada affollata e sfrecciarono verso est seguendo una stretta stradina di campagna in terra battuta. A un certo punto parcheggiarono e rimasero in attesa. Dopo un’ora, vennero raggiunti da Yosh Pelicanos, anche lui al/volante di un’auto a nolo dotata di localizzatore satellitare.
Come sempre, Pelicanos si dimostrò efficiente e pieno di risorse. Aveva portato loro computer portatili, carte di credito, un kit di pronto soccorso, due valige di vestiti, pistole a spruzzo di plastica, telefoni nuovi e, cosa non meno importante, un nuovo tronchese lungo un metro.
Kevin aveva più esperienza di tutti con le manette della polizia. E così iniziò a lavorare su quelle di Greta con il tronchese, mentre Oscar si cambiava d’abito all’interno dell’auto a nolo, spaziosa e immacolata, di Pelicanos.
«Voi due sembrate degli zombi. Spero che sappiate quello che state facendo» commentò Pelicanos in tono tetro. «Al laboratorio si è scatenato l’inferno.»
«Come se la sta cavando la krew nel gestire questa crisi?» chiese Oscar, radendosi delicatamente i capelli intorno al taglio irregolare sulla testa.
«Be’, alcuni di noi sono con il comitato di sciopero, altri si sono barricati nell’albergo. Possiamo ancora uscire e entrare dal laboratorio, ma non durerà molto. Corre voce che presto sigilleranno la struttura. I poliziotti del Collaboratorio stanno per porre fine allo sciopero. I poliziotti di Buna e gli sceriffi della contea sono in attesa all’esterno dell’albergo e il comitato di Greta è troppo spaventato per lasciare la Zona Calda… Siamo stati davvero conciati per le feste, Oscar. I nostri uomini sono completamente confusi. Gira voce che voi siete dei criminali, che ci avete abbandonati. Il morale è sottoterra.»
«E come hanno reagito le persone alla propaganda contro di noi?» chiese Oscar.
«Be’, la faccenda della fuga è davvero scottante. Ma come potrebbe essere diversamente, visto che si tratta di uno scandalo a sfondo sessuale? Voglio dire, è la mossa che ci eravamo sempre aspettati. Stanno circolando fotografie di te e Greta in quel cesso di casa a Holly Beach.»
«Quei poliziotti della Louisiana avevano dei teleobiettivi» sospirò Oscar. «L’ho sempre sospettato.»
«Lo scandalo non è ancora finito in pasto ai media nazionali. Ho avuto dozzine di chiamate, ma i giornalisti non riescono ad avere nessuna conferma… E una tipica voce a sfondo sessuale. Nessuno nel Collaboratorio la prende sul serio. A Buna tutti sanno già che stavi facendo sesso con Greta. No, l’attacco più serio è rappresentato dall’accusa di appropriazione indebita. Quella sì che è una faccenda seria. Perché il denaro del laboratorio è davvero sparito.»
«Quanti soldi ha rubato?» chiese Oscar.
«Ha rubato tutto! Il laboratorio è in bancarotta! Siamo in una brutta situazione, davvero brutta. Qui non si tratta di un semplice fallimento, ma di una vera e propria catastrofe finanziaria: tutti i bilanci del laboratorio e i dati finanziari sono stati distrutti. Non ho mai visto nulla del genere. Perfino le copie di backup sono state prese di mira e cancellate. Il sistema non riesce più neppure a fare le addizioni, non può aggiornare i suoi database, sputa assurdità. Si tratta di una totale lobotomia finanziaria.»
«Virus dell’esercito americano per la guerra informatica» spiegò Oscar. «Il bottino di cui Huey si è impadronito saccheggiando la base dell’aeronautica.»
«Sì, devono essere virus militari.» Pelicanos annuì. «Roba del genere ha rovesciato i governi di intere nazioni. I computer del laboratorio non avevano la minima possibilità.»
«Quanto tempo passerà prima che possiate ripristinare la funzionalità del sistema?» chiese Oscar.
«Stai scherzando? Cosa sono, uno che fa miracoli?» Pelicanos era davvero ferito. «Io sono soltanto un contabile! Non posso riparare i danni inferti da un attacco informatico militare! In effetti, penso che qualcuno abbia preso di mira me in particolare. Tutti i file che ho aperto negli ultimi due mesi sono stati distrutti in maniera specifica. Penso che abbiano anche manipolato il mio portatile — di nascosto. Non posso più fidarmi della mia macchina personale. Non posso neppure fidarmi dei miei dati non in rete.»
«Bene, Yosh, ho capito, riparare il sistema va al di sopra delle nostre possibilità. Ma allora chi è che può darci una mano?»
Pelicanos rifletté seriamente sulla domanda. «Be’, prima di tutto hai bisogno di una nutrita squadra di specialisti in diritto informatico per esaminare il codice danneggiato riga per riga… No, lascia stare. Ci vorrebbero anni per indagare e valutare i danni. E poi costerebbe una vera fortuna. Ammettiamolo, i libri contabili del laboratorio sono stati completamente distrutti. Costerebbe di meno buttare a mare l’intero sistema e iniziare da capo.»
«Penso di avere capito» replicò Oscar. «Huey ha distrutto permanentemente le finanze del laboratorio. Ha mandato in rovina un laboratorio federale con un attacco informatico, soltanto per cancellare alcune prove sulla corruzione della sua krew. Si tratta di un atto tremendo, orribile. Quell’uomo non ha alcuna coscienza. Be’, almeno adesso sappiamo qual è la nostra situazione.»
Pelicanos sospirò. «No, Oscar, la situazione è molto, ma molto peggiore. I tizi del dipartimento Ricadute pratiche sono sempre stati gli alleati favoriti di Huey. Sapevano di essere i prossimi a dovere cadere sotto la mannaia di Greta e così, ieri notte, si sono ribellati. Hanno lanciato un contrattacco. Si sono barricati nell’edificio e stanno distruggendo tutto. Rubano tutti i dati su cui possono mettere sopra le mani e distruggono il resto. Quando avranno finito, diserteranno e finiranno nei lavoratori nuovi di zecca di Huey in Louisiana. E stanno tentando di convincere anche tutti gli altri a seguirli.»
Oscar annuì, assorbendo la notizia. «Okay. Questo è vandalismo. Impedimento del corso della giustizia. Furto e distruzione di dati federali. Spionaggio industriale. Tutti quelli del dipartimento dovrebbero essere arrestati, processati e condannati al massimo della pena.»
Pelicanos rise in modo secco. «Sarebbe bello se le cose andassero così» commentò.
«Non è ancora finita» insistette Oscar. «Il nostro rapimento è fallito. Abbiamo di nuovo l’iniziativa tattica. Huey non sa dove siamo. Almeno siamo fuori dalla portata delle sue grinfie.»
«E allora cosa faremo? Dove andremo adesso? A Boston? A Washington?»
«Be’…» Oscar si carezzò il mento. «Le prossime mosse di Huey sono ovvie, vero? Sta per schiacciare il Collaboratorio proprio come ha fatto con la base aerea. Grazie al suo attacco informatico, adesso non ci sono più soldi. Presto, non ci saranno più rifornimenti, niente più cibo… Poi manderà una massiccia orda di prolet a occupare la struttura, ormai in abbandono, e sarà tutto finito.»
«Sì, è molto probabile che le cose vadano così.»
«Non è un superuomo, Yosh. Be’, ritiro quel che ho detto. Sono assolutamente certo che Huey sia un superuomo, ma ha commesso lo stesso un errore. In caso contrario, Greta e io staremmo languendo in una prigione privata nascosta in qualche tetra palude.»
Le manette di Greta si separarono con un ping! e uno snap! tanto forti che Oscar riuscì a udirli dall’esterno dell’auto. Greta aprì la portiera posteriore dell’auto malconcia di Kevin, uscì fuori, si stiracchiò la schiena indolenzita e le spalle. Mentre Kevin riponeva il tronchese nel cofano, Greta si unì a loro. Si avvicinò all’auto di Pelicanos e scrutò attraverso il finestrino del passeggero, strofinandosi i polsi dolenti.
«Qual è il piano?» chiese.
«Abbiamo il vantaggio della sorpresa» affermò Oscar. «E dovremo sfruttarlo fino in fondo.»
«Quando posso tornare al laboratorio? Voglio davvero tornare lì.»
«Ci andremo. Ma quando ci andremo, dovremo farlo in forze. Dovremo attaccare il Collaboratorio e impadronircene con la forza.»
Pelicanos fissò Oscar come se fosse impazzito. Greta si strofinò le braccia intirizzite e assunse un’aria seria, quasi preoccupata.
«Questo sì che è parlare!» esclamò Kevin, alzando il pugno.
«È fattibile» spiegò Oscar. Aprì la portiera e uscì nel freddo vento invernale. «So che sembra una pazzia, ma riflettete un istante: Greta è ancora il direttore legittimo. I poliziotti del Collaboratorio non sono truppe d’élite, sono soltanto un mucchio di burocrati.»
«Ma non puoi chiedere alla gente del laboratorio di attaccare la polizia» protestò Greta. «Non lo faranno mai. E illegale, è immorale, non è etico, né professionale… e poi, è molto pericoloso, vero?»
«In effetti, Greta, sono assolutamente sicuro che ai tuoi scienziati piacerebbe picchiare qualche poliziotto, ma capisco cosa vuoi dire. Ci vorrebbe troppo tempo per convincere quegli innocui intellettuali a pestare chiunque. E la mia piccola krew non è certo fatta di combattenti di strada anarchici. Ma se non riusciamo a ripristinare l’ordine nel laboratorio, e subito, entro oggi, allora la tua amministrazione è condannata. E anche il tuo laboratorio è condannato. Dunque dobbiamo correre il rischio. Questa crisi richiede una soluzione drastica. Dobbiamo impadronirci fisicamente di quella struttura. A questo punto, abbiamo bisogno di disperati duri, rivoluzionari e pronti a tutto.» Oscar respirò profondamente. «E così andremo in quel mercato e assolderemo qualche pistolero.»
Abbandonarono l’auto nuova di zecca di Pelicanos per ragioni di sicurezza e si stiparono nel rottame di Kevin, privo di targhe. Poi partirono.
La prima sfida che dovettero affrontare fu un blocco stradale dei Moderatori, a sud di Canton. I prolet texani li fissarono con curiosità. Oscar portava il cappello sghembo, ma anche così nascondeva a stento il taglio alla testa coperto da una benda. Kevin aveva la barba lunga ed era molto nervoso. Greta aveva le braccia incrociate per nascondere i segni lasciati dalle manette. Pelicanos aveva l’aria di un becchino.
«Venite da fuori lo Stato?» chiese un Moderatore. Era un ragazzo anglo con le lentiggini, i capelli azzurri, cuffie, otto collane di perline di legno, un telefono cellulare e una giacca di pelle di cervo con le frange. Le gambe erano infilate dalle ginocchia in giù in giganteschi stivali mukluk di pelo artificiale.
«Yo!» lo salutò Kevin, rivolgendogli tutta una serie di segni segreti di riconoscimento.
Il Moderatore fissò i gesti di Kevin con aria divertita. «Ma voi siete mai stati in Texas prima?»
«Abbiamo sentito parlare del mercato delle pulci di Canton» gli assicurò Kevin. «È famoso.»
«Potrei avere una tariffa di parcheggio pari a cinque dollari, per favore?» Il Moderatore intascò il denaro di plastica e appiccicò un adesivo sul loro parabrezza. «Seguite i bip dell’adesivo, vi condurrà alla vostra piazzola. Divertitevi alla fiera!»
Entrarono a bassa velocità nella città. Canton era una normale cittadina del Texas orientale con modesti edifici a due o tre piani: drogherie, cliniche, chiese, ristoranti. Le strade erano affollate di pedoni vestiti in modo bizzarro. La folta folla di prolet sembrava ben organizzata; I prolet ignoravano tranquillamente i semafori della città e si muovevano in ondate ritmiche, attraversando la città in una gigantesca danza popolare.
Kevin parcheggiò sotto un pino in un pascolo reso marrone dall’inverno e lasciarono l’auto. C’era il sole ma soffiava un vento freddo proveniente dal Nord. Si unirono a una piccola folla e raggiunsero il mercato.
Il vasto spiazzo in cui si svolgeva il mercato era dominato dalle antenne di plastica di torri di trasmissione artigianali per i telefoni cellulari. Nugoli di piccoli aeroplani ronzavano nel cielo. I rifugi più grandi erano enormi tendoni da circo polarizzati, fatti di fogli di plastica traslucida con un odore strano montati su pali alti e sottili.
Kevin comprò quattro paia di auricolari da un venditore seduto su una coperta. «Ecco, metteteli.»
«Perché?» chiese Greta.
«Si fidi di me, so come vanno le cose in un posto del genere.»
Oscar sistemò l’auricolare nell’orecchio sinistro. Il dispositivo emise un basso gorgoglio, lo stesso rumore che avrebbe potuto produrre un bambino di tre anni perfettamente felice. Fino a quando si muovevano con la folla, il lieve mormorio rimaneva nel loro orecchio, una presenza stranamente rassicurante, come l’amico immaginario di un bambino. Tuttavia, se Oscar disturbava il flusso della folla — se in qualche modo non capiva un’indicazione — il suono assumeva un tono querulo. Se avesse intralciato il passaggio troppo a lungo, l’auricolare avrebbe iniziato a piangere.
Da qualche parte un sistema informatico stava mappando il flusso di esseri umani e li controllava inviando loro quei gentili indizi. Dopo alcuni istanti, Oscar si dimenticò semplicemente di quei lievi mormorii; li percepiva ancora, ma a livello inconscio. L’esortazione non verbale era così infantilmente insistente che obbedirle diveniva quasi istintivo. Ben presto i quattro si mossero per evitare la folla prima ancora che qualsiasi folla potesse comparire. Tutti indossavano gli auricolari e così un computer si occupava di distribuire gli umani come un vento avrebbe fatto con delle farfalle.
Il mercato era pieno di persone, ma la folla era innaturalmente fluida. Davanti a tutte le bancarelle che vendevano roba da mangiare c’erano file brevi e ordinate. I bagni non erano mai affollati. I bambini non si perdevano mai.
«Andrò a trovare qualcuno con cui possiamo parlare seriamente» annunciò loro Kevin. «Quando avrò preso accordi, vi chiamerò.» Si girò e si allontanò zoppicando.
«Ti aiuto» si offrì Oscar, raggiungendolo.
Kevin si girò verso di lui con un’espressione tesa. «Senti, io sono il tuo capo della sicurezza, o no?»
«Ma certo che lo sei.»
«Questa è una questione che riguarda la tua sicurezza. Se vuoi aiutarmi, tieni d’occhio la tua ragazza. Assicurati che questa volta non te la porti via nessuno.»
Oscar era irritato di essere considerato persona non grata nelle macchinazioni private di Kevin. D’altra parte, l’ansia di Kevin era ragionevole — perché Oscar era l’unico uomo in quella folla di migliaia di persone che indossava un costoso coordinato formato da vestito, cappello e scarpe. Oscar spiccava nettamente tra quella gente.
Si girò a guardare da sopra la spalla. Greta era già svanita.
Localizzò immediatamente Pelicanos e, dopo quattro minuti sempre più angosciosi, riuscirono a trovare Greta. In qualche modo era finita in una lunga fila di tende e di tavoli, su cui erano esposte quantità incredibili di equipaggiamenti elettronici di seconda mano.
«Perché te ne stavi andando in giro da sola?» le chiese Oscar.
«Io non sono andata da nessuna parte! Sei stato tu ad andartene in giro.» Greta fece passare le dita su un vassoio di ottone poco profondo pieno di sonde non conduttive.
«Dobbiamo rimanere insieme, Greta.»
«Immagino che sia stata colpa del mio piccolo amico qui» commentò Greta, toccando l’auricolare. «Non mi sono ancora abituata.» Vagò con occhi luccicanti fino al tavolo successivo, su cui erano poggiate scatole colme di cavi multicolori, prese, scatole di montaggio, adattatori modulari.
Oscar esaminò una scatola di cartone piena di prese elettriche. La maggior parte erano di plastica, di un bianco giallastro, ma altre erano opera dei nomadi. Sollevò una delle prese dalla scatola e la studiò. Era stata ricavata da erba tritata. La cellulosa trattata era leggera ma rigida, con una grana composita, sembrava una pessima colazione a base di cereali ricchi di fibre.
Greta era affascinata e anche Oscar, suo malgrado, si lasciò coinvolgere. Non si era reso conto che i nomadi fossero diventati artigiani tanto abili. Diede un’occhiata su entrambi i lati del corridoio. Erano interamente circondati dai detriti delle industrie informatiche e telefoniche dell’America, ormai defunte; spazzatura senza il minimo valore etichettata con slogan promozionali dimenticati da molto tempo. ‘Appena usciti: Strata Vie e XIIe!’ C’erano programmi incredibilmente obsoleti che nessun essere umano sano di mente avrebbe mai impiegato. Pile di cartucce a getto d’inchiostro per stampanti non esistenti. Mouse e joystick non ergonomici, garantiti per erodere lentamente i tendini del polso… E quantità fantastiche di software, il suo ‘valore’ fittizio annullato dall’ultima guerra economica.
Ma questa non era neppure la parte più strana. No, la parte più strana era che nuovi manufatti nomadi si stavano infiltrando vigorosamente in quella giungla di antiche cianfrusaglie. Stavano creando nuovi oggetti, perfettamente funzionanti, che non erano residui commerciali, ma sinistre parodie di spazzatura commerciale, create mediante metodi nuovi, non commerciali. Dove un tempo c’erano stati costosi prodotti in plastica con le loro superfici lucide, adesso c’erano paglia e carta. Dove un tempo erano esistiti gli impiegati, adesso c’erano fanatici disoccupati con un equipaggiamento a poco prezzo, reti informatiche complesse e tutto il tempo del mondo. Dispositivi un tempo molto costosi e adesso commercialmente inutili stavano lentamente e silenziosamente venendo sostituiti da dispositivi quasi identici, anch’essi non commerciali, ma nuovi di zecca.
Un tavolo che offriva microspie che utilizzavano le frequenze radio stava facendo affari d’oro. Un uomo e una donna con delle alte acconciature e i volti adorni di pitture stavano orgogliosamente vendendo l’intera gamma dell’industria dello spionaggio, registratori da fissare al corpo, torce elettriche, tenaglie tagliafili, fili di massa, spugne adesive, trapani, forcipi dentali e una scatola dopo l’altra di microspie grandi quanto un’unghia. Chi tranne i nomadi, disoccupati permanenti, avrebbe avuto il tempo libero a disposizione per ascoltare pazientemente, collezionare e scambiarsi frammenti succosi di qualche dialogo captato da quelle microspie? Oscar esaminò una scatola di plastica piena di chiavi fisse con camma esagonale.
«Proviamo con l’altra fila» lo esortò Greta, gli occhi luccicanti e i capelli scompigliati. «Sono tutti prodotti medici!»
Scivolarono in un reame parallelo di quel commercio di zombi. Lì i tavoli erano pieni di forcipi emostatici, forbici chirurgiche, pinze vascolari, guanti di plastica sigillati sottovuoto, un residuo dell’epoca di massima diffusione dell’AIDS, ormai molto lontana. Greta studiò, ipnotizzata, i trapani ossei, i tubi di suzione, gli occhiali ingranditori fabbricati nella Cina meridionale, le piccole lattine di grasso di silicone sterile con apertura a strappo.
«Ho bisogno di un po’ di contante!» esclamò lei improvvisamente. «Prestami un po’ di soldi.»
«Ma che ti prende? Non puoi comprare questo ciarpame. Non sai neppure da dove proviene.»
«Ecco perché voglio comprarlo.» Greta lo fissò con sguardo accigliato. «Senti, io ero il capo del dipartimento Strumenti. Se stanno vendendo dei sequenziatori di proteine, io devo saperlo.»
Si avvicinò al proprietario, seduto davanti al suo portatile mentre ridacchiava guardando dei cartoni animati artigianali. «Ehi, mister, quanto vuole per questo citometro?»
Il nomade sollevò lo sguardo dallo schermo. «Allora è di questo che si tratta?»
«Funziona?»
«Non lo so. Mi pare che faccia il rumore giusto quando viene attaccata la spina.»
Comparve Pelicanos. Aveva comprato una giacca di seconda mano — un modello sportivo in Gore-Tex indistruttibile, nero e rosso.
«Grazie, Yosh» disse Greta, poi indossò la giacca, per lei troppo grande. Però, una volta indossato quell’orribile indumento, Greta divenne immediatamente parte integrale del panorama locale. Adesso sarebbe stata scambiata per una cliente normale, un’altra povera donna costretta a nutrirsi di rifiuti.
«Vorrei che Sandra fosse qui» mormorò Pelicanos. «A lei questo posto piacerebbe. Se non fossimo così nei guai, cioè.»
Oscar era troppo preoccupato per comprare cianfrusaglie. Era preoccupato per Kevin. Stava lambiccandosi il cervello per escogitare un piano di emergenza nel caso Kevin non fosse riuscito a stabilire un contatto utile, o, peggio ancora, nel caso Kevin fosse semplicemente svanito.
Ma Greta continuava ad avanzare tra i tavoli con sincero entusiasmo. Aveva dimenticato tutti i suoi dolori e le sue preoccupazioni. Grattate sotto la crosta di uno scienziato, e troverete immancabilmente un fanatico dell’hardware.
Ma no, la cosa era ancora più profonda. Greta era nel suo elemento. Oscar ebbe un breve lampo di intuizione su quello che avrebbe significato essere sposato con Greta. Scegliere l’equipaggiamento scientifico faceva parte del suo lavoro e il lavoro era il centro del suo essere. La vita domestica con uno scienziato tanto solerte sarebbe stata piena di momenti come quello. Avrebbe dovuto seguirla fedelmente per tenerle compagnia, e lei avrebbe dedicato tutta la propria attenzione a cose che lui non avrebbe mai compreso. La relazione che Greta intratteneva con il mondo fisico era completamente diversa da quella di Oscar. Greta amava gli apparecchi elettronici, ma non aveva alcun gusto. Sarebbe stato un inferno arredare una casa con uno scienziato. Avrebbero discusso sulla sua tremenda concezione delle tende. Lui avrebbe ceduto sulla questione delle posate brutte e poco care.
Il suo telefono squillò. Era Kevin.
Oscar seguì le istruzioni e localizzò la tenda in cui Kevin aveva trovato il suo uomo. Era difficile mancarla. Era una cupola oblunga di tessuto di paracadute dipinto, che ospitava un aereo leggero a due posti, sei biciclette e una marea di brande. Centinaia di stringhe multicolori di materiale fosforescente pendevano dalle cuciture della tenda, arrivando fino all’altezza della spalla. Una dozzina di prolet erano seduti su morbidi tappeti di plastica.
Su un lato, cinque di loro erano impegnati a compitare faticosamente un giornale stampato su carta.
Kevin era seduto e chiacchierava con un uomo che presentò come il ‘il generale Burningboy’. Burningboy era sulla cinquantina, con una folta barba brizzolata e un sudicio cappello da cowboy. Il guru nomade indossava jeans con ricami elaborati, un largo maglione fatto a mano e vecchi scarponi militari con i lacci. Sui polsi pelosi erano visibili tre bracciali di controllo per la libertà vigilata.
«Salve» lo salutò il generale prolet. «Benvenuti al mercato di Canton. Vi prego, mettetevi pure comodi.»
Oscar e Greta si sedettero sul tappeto. Kevin era già seduto; si era tolto le scarpe e si massaggiava distrattamente i piedi dolenti. Pelicanos non partecipava alle trattative. Attendeva mantenendosi a una certa distanza. Era il loro uomo di riserva, il loro backup di emergenza.
«Il vostro amico qui mi ha pagato una bella sommetta, soltanto per comprare un’ora del mio tempo» esordì Burningboy. «E mi ha anche raccontato una storia assolutamente incredibile. Ma adesso che vedo voi due…» Fissò pensosamente Oscar e Greta. «Sì, la cosa quadra. Ammetto di credere alla sua storia. E allora, cosa posso fare per voi?»
«Abbiamo bisogno di aiuto» rispose Oscar.
«Oh, sapevo che doveva trattarsi di qualcosa del genere» commentò il generale con un cenno del capo. «La gente normale non ci chiede mai favori, a meno che non sia davvero alle strette. Capita continuamente: ricchi idioti che spuntano dal nulla. Hanno sempre strane idee su quello che potremmo fare per loro. Qualche piano geniale che può essere realizzato soltanto dalla proverbiale feccia della terra. Tipo, perché non ci aiutate a coltivare eroina… O magari a vendere qualche binario di alluminio.»
«Non si tratta di nulla del genere, generale. Una volta ascoltata la mia proposta, se ne renderà conto.»
Il generale si sedette a gambe incrociate. «Sa, questo potrà sorprenderla, signor Valparaiso, ma in effetti noi inutili subumani siamo impegnati a vivere le nostre vite! Questo è il primo lunedì del mercato di Canton. Qui siamo nel bel mezzo di una vera e propria festa. Devo preoccuparmi di questioni serie; tipo… le fogne. Abbiamo centomila persone che si tratterranno qui per tre giorni. Lei comprende!» Burningboy si carezzò la barba. «Lei sa con chi sta parlando? Io non sono un elfo dotato di poteri magici, amico. Non esco da una bottiglia soltanto perché lei ha bisogno di me. Sono un essere umano. Ho i miei problemi. Adesso mi chiamano generale… Ma un tempo, ero un vero sindaco! Sono state eletto due volte sindaco di Port Mansfield, Texas. Una bella cittadina sulla costa, fino a quando non è stata sommersa.»
Una donna anziana con una veste di pelliccia entrò nella tenda. Fece due nodi con cura in una striscia fosforescente, poi andò via senza dire una parola.
Il generale riprese il filo del discorso. «Vede, figliolo — e anche lei, dottoressa Penninger» le rivolse un cortese cenno del capo — «tutti noi siamo gli eroi della nostra storia. Lei mi dice di avere un grosso problema — diavolo, tutti noi abbiamo grossi problemi.»
«Discutiamoli» replicò Oscar.
«Ho un buon consiglio per la vostra carriera, ragazzi prodigio. Perché voi pagliacci non ci rinunciate? Lasciate perdere tutto! Dateci un taglio, diventate nomadi! Vi godete la vita? Avete una comunità? Avete perfino una vaga idea di cosa sia una vera comunità? C’è qualche essere umano di cui voi, poveri relitti, possiate fidarvi? No, non rispondete! Lo so già. Voi due siete una coppia di falliti. Avete l’aria di essere stati mangiati da due coyote e poi cacati giù da una rupe. Adesso vi trovate di fronte a una qualche crisi e volete il mio aiuto… All’inferno, gente, voi dovrete sempre affrontare delle crisi. La crisi siete voi. Quando vi sveglierete? Il vostro sistema non funziona. La vostra economia non funziona. I vostri politici non funzionano. Nulla di quello che fate funziona. Siete finiti.»
«Per il momento» replicò Oscar.
«Mister, non vincerete mai a questo gioco. Adesso avete ricevuto una chiamata. Siete scomparsi, siete stati privati di tutto. Siete stati spazzati via. Be’, volete sapere una cosa? Quaggiù c’è un atterraggio morbido. Andate avanti e lasciate perdere tutto! Bruciate i vostri vestiti! Stracciate la vostra dannata laurea! Gettate nella spazzatura le vostre carte d’identità! Siete uno spettacolo disgustosamente pietoso, lo sapete questo? Una coppia simpatica, affascinante, piena di talento… Ascoltate, non è troppo tardi per voi due per farvi una vita! Adesso siete dei derelitti, ma potreste essere dei bon vivant, se sapeste qual è il vero significato della vita.»
Greta espresse la propria opinione. «Ma io devo davvero tornare al mio laboratorio.»
«Be’, io ci ho provato» si arrese Burningboy, sollevando le braccia al cielo. «Vedete, se aveste avuto il buon senso di starmi a sentire, quel mio ottimo consiglio avrebbe risolto tutti i vostri problemi, immediatamente. Stasera avreste potuto mangiare zuppa di mulligatawny e probabilmente avreste potuto anche scopare. Ma no, mica potete stare a sentire il vecchio Burningboy. Io sono molto più vecchio di voi, e ho visto molte più cose, ma cosa ne so io? Io sono soltanto qualche vecchio imbecille ignorante che indossa vestiti strani e che, prima o poi, verrà arrestato. Perché qualche ricco yankee di fuori città ha bisogno di lui per commettere qualche terribile atto criminale.»
«Generale, mi permetta di informarla sulla situazione» insistette Oscar. Poi lo fece. Burningboy lo ascoltò dimostrando una pazienza sorprendente.
«Okay!» esclamò infine Burningboy. «Diciamo che andiamo a impadronirci di questa cupola di vetro zeppa di scienziati. Devo ammetterlo, è un’idea molto attraente. Noi Moderatori siamo gente pacifica, siamo tutti amore e fiori. E dunque potremmo anche fare una cosa del genere, soltanto per accontentarvi. Ma cosa ci guadagniamo?»
«Ci sono dei soldi» offrì Oscar.
Burningboy sbadigliò. «Sicuro, sai quanto ci faranno comodo.»
«Il laboratorio è una struttura autosufficiente. All’interno troverete cibo e rifugio» aggiunse Greta.
«Sì, certo, fino a quando vi andrà di darceli. Una volta eseguito il nostro compito, sarà tempo di sloggiare.»
«Siamo realistici» lo invitò Oscar. «Voi siete una banda. Abbiamo bisogno di assoldare una banda per appoggiare il nostro sciopero. È una mossa tradizionale, vero? Cosa c’è di difficile in questo?»
«I poliziotti sono pochi e tutt’altro che coraggiosi» incalzò Greta. «Non sono neppure armati.»
«Gente, noi portiamo con noi il nostro cibo e il nostro riparo. Quello che ci manca sono dei fori di proiettile. O un mucchio di federali incazzati neri che vogliono farci il culo.»
Oscar rifletté sulla sua mossa seguente. Stava trattando con delle persone che avevano priorità profondamente aliene. I Moderatori erano emarginati radicali, dissidenti — ma, in ogni caso, erano esseri umani, dunque doveva esistere necessariamente un modo per mettersi in contatto. «Io posso farvi diventare famosi» propose.
Burningboy alzò il cappello. «Ah, sì? E come?»
«Posso farvi ottenere un’eccellente copertura mediatica. Sono un professionista, so come fare. La qui presente dottoressa Penninger è una vincitrice del premio Nobel. Questo è un grande scandalo politico. È molto drammatico. Fa parte di una storia in pieno sviluppo, legata allo sciopero della fame di Bambakias e all’attacco dei Regolatori a una base aerea degli Stati Uniti. Voi Moderatori potreste ottenere un’eccellente copertura mediatica ripristinando l’ordine in una struttura federale nel caos. Sarebbe esattamente l’opposto del crimine commesso dai Regolatori.»
Burningboy infilò una mano nella giacca con aria pensosa e ne estrasse tre sbarrette di sostanze che somigliavano a gesso colorato. Le poggiò su una lastra levigata di cote dell’Arkansas, prese un coltellino tascabile e iniziò a ridurre le sbarrette in una polvere sottile.
Poi sospirò a fondo. «Odio davvero farmi convincere solo perché un venditore abile come lei sa che noi Moderatori non amiamo molto i Regolatori.»
«Ma certo che lo so, generale. È risaputo da tutti, eh?»
«Noi amiamo quei Regolatori come se fossimo fratelli e sorelle. Con voi, invece, non abbiamo nulla in comune. Solo che… noi siamo Moderatori perché usiamo una rete dei Moderatori. E i Regolatori usano un’interfaccia tutta loro, con un software e dei protocolli speciali. Non penso che un pivello come lei capisca che di tipo di problema politico si tratti.»
«Io lo capisco» intervenne Kevin, parlando per la prima volta.
«Un tempo andavamo d’accordo con i Regolatori. Sono una tribù civile. Ma quegli imbecilli cajun hanno alzato la cresta grazie alla loro abilità di manipolatori genetici e all’appoggio che ricevono dal governatore dello stato, Green Huey… Hanno iniziato a importunare le altre tribù, rapendo le nostre menti più brillanti, e se volete saperlo, le loro krew voodoo-yaya-gumbo mostrano una predilezione eccessiva per il gas e il veleno…»
Percependo una debolezza, Oscar la sfruttò immediatamente. «Generale, non le sto chiedendo di attaccare i Regolatori. Le sto soltanto chiedendo di fare quello che hanno fatto i Regolatori, ma per motivi molto migliori, e in circostanze molto migliori.»
Il generale Burningboy sistemò la polvere in linee rette e le versò, una dopo l’altra, in un piccolo vasetto di grasso giallo. Agitò il grasso con l’indice, e se lo spalmò accuratamente dietro le orecchie.
Poi rimase in attesa, ammiccando. «Okay» disse infine. «Qui metto in gioco il mio onore personale, fidandomi della parola di completi sconosciuti, ma al diavolo! Mi chiamano generale a causa degli anni di affidabilità che ho accumulato con lunga fatica, ma, in tutta franchezza, questa carica mi pesa. Da un giorno all’altro, potrei anche distruggere tutto quello che ho costruito. E così farò a voi tre ricchi oziosi un grande, grandissimo favore. Vi noleggerò cinque plotoni.»
«Cinquanta duri dei Moderatori?» chiese Kevin in tono ansioso.
«Sì. Cinque plotoni, cinquanta persone. Ovviamente, non vi garantisco che le nostre truppe possano tenere quel laboratorio in caso di un contrattacco federale, ma non c’è alcun dubbio che possano impadronirsene.»
«Questi uomini hanno la disciplina necessaria per mantenere l’ordine nella struttura?» chiese Oscar.
«Non sono uomini, amico. Sono ragazzine. Un tempo, quando volevamo fare i duri, mandavamo i nostri giovani, ma — ehi! — i giovani sono davvero duri. I giovani uccidono le persone. Noi siamo una società alternativa con una certa reputazione, non possiamo permetterci di venire considerati dei saccheggiatori assassini. Queste ragazze agiscono con maggiore calma in un’azione di sabotaggio urbano. Inoltre, le donne minorenni tendono ad avere pene più leggere quando vengono prese.»
«Non vorrei sembrarle un ingrato, generale, ma non sono sicuro che lei si sia reso conto della nostra situazione.»
«No» intervenne Greta. «Le ragazze sono perfette.»
«Allora immagino che vi presenterò ad alcuni dei nostri comandanti sul campo. E potrete parlare di tattiche e di armamento.»
Oscar tornò a Buna in un pullman di chiesa fasullo, stracarico di tre plotoni di soldati nomadi Moderatori. Avrebbe potuto viaggiare con Kevin, ma era ansioso di esaminare le truppe.
Era quasi impossibile osservare le ragazze tra i quattordici e i diciassette armi e immaginarle come una forza paramilitare in grado di sconfiggere in combattimento un qualsiasi corpo di polizia. Ma in una società infestata da dispositivi di sorveglianza, le milizie dovevano assumere strane forme. Quelle ragazze erano invisibili, proprio perché erano così improbabili.
Le ragazze erano molto tranquille e silenziose; avevano tutte il fisico asciutto delle ginnaste e viaggiavano in gruppi. I loro plotoni erano divisi in gruppi operativi di cinque ragazze, coordinati da donne più anziane. Questi sergenti di plotone apparivano innocui e inoffensivi per quanto fosse possibile a un essere umano.
Ma tutte le ragazze avevano un aspetto innocuo, perché si vestivano per recitare la loro parte, deliberatamente. Avevano rinunciato ai loro inquietanti indumenti di plastica e cuoio. Adesso indossavano cappellini, scarpe ortopediche e vestiti a fiori che stavano loro male. Le giovani soldatesse avevano coscienziosamente coperto i loro tatuaggi con bastoncini di cerone color carne. Si erano pettinate i capelli alla perfezione. Indossavano giacche dai colori vivaci e pantaloni a scacchi, presumibilmente rubati dai centri commerciali di qualche comunità privata. L’esercito dei Moderatori somigliava a una squadra di hockey femminile in cerca di un locale dove servissero frullati al cioccolato.
Non appena i pullman e i soldati a bordo di essi furono riusciti a superare la porta stagna orientale, l’assalto al Collaboratorio non poté più fallire. Oscar rimase a guardare, ammutolito dallo stupore, mentre il primo plotone tendeva un agguato e distruggeva un’auto della polizia.
Due poliziotti in un’auto stavano sorvegliando una delle porte stagne che conducevano alla Zona Calda, dove il comitato di sciopero di Greta stava tristemente aspettando di essere sfrattato. Senza preavviso, la più giovane delle cinque ragazze si batté le mani sulle tempie ed emise un grido lacerante. I poliziotti, colti di sorpresa, uscirono immediatamente dall’auto e corsero ad aiutare la ragazza, però incapparono in una rete invisibile di laccioli di plastica. Quando caddero a terra, altre due ragazze li innaffiarono freddamente con il contenuto delle loro pistole spray, incollandoli al terreno.
Un secondo plotone di ragazze si unì al primo e, insieme, rovesciarono l’auto della polizia sul tettuccio e spruzzarono ragnatele sui monitor e sui pannelli degli strumenti.
Dietro sua insistenza, fu Kevin in persona a condurre l’assalto alla stazione di polizia. Il contributo di Kevin consistette nel parlare a raffica con il sergente di turno, una donna, mentre trenta ragazze entravano nell’edificio, chiacchierando e ridacchiando. Poliziotti sorridenti uscirono dai loro uffici, senza nutrire alcun sospetto, per scoprire cosa stesse succedendo e vennero coperti di ragnatele sparate a bruciapelo. Con gli occhi e la bocca coperti da quel materiale appiccicoso e impossibilitati a respirare, furono facili prede di squadre addestrate che li afferrarono per i polsi, li presero a calci nelle caviglie e li rovesciarono con forza incredibile. Poi vennero rapidamente ammanettati.
I Moderatori si erano impadroniti di una struttura federale in quaranta minuti esatti. Una forza di cinquanta ragazze era fin troppo numerosa. Alle sei e mezza il colpo era pienamente riuscito.
Però era stato commesso un errore tattico. Il direttore della sicurezza del laboratorio non era al lavoro, né a casa, dove un plotone di ragazze era stato inviato ad arrestarlo. A casa sua non c’era nessuno, tranne la moglie, assolutamente sbalordita, e due bambini.
Venne fuori che il capo della sicurezza era in un bar con la sua amante; era ubriaco fradicio. Delle ragazze minorenni non potevano entrare in un bar senza attirare l’attenzione. Tentarono di farlo uscire fuori; ma, confuse dall’illuminazione fioca, aggredirono e immobilizzarono l’uomo sbagliato. Il capo della sicurezza riuscì a sfuggire all’arresto.
Due ore dopo venne scoperto di nuovo: si era chiuso in un veicolo antisommossa improvvisato nella cantina dell’edificio che ospitava il dipartimento di antinfortunistica. Brandiva freneticamente un telefono cellulare e un fucile da combattimento.
Oscar andò dentro per negoziare con lui.
Rimase immobile davanti al paraurti di gomma del tozzo veicolo per la decontaminazione. Rivolse un gesto di saluto verso il finestrino corazzato, mostrando le mani vuote, poi chiamò il capo della sicurezza servendosi di uno dei telefoni standard del Collaboratorio.
«Ma cosa diavolo pensa di fare?» domandò l’uomo. Il suo nome, Oscar lo ricordava perfettamente, era Mitchell S. Karnes.
«Mi dispiace, Karnes, si è trattato di un’emergenza. Adesso la situazione è sotto controllo. Nessuno si farà alcun male.»
«Sono io quello che si occupa delle emergenze» replicò il capo.
«L’emergenza eravate lei e i suoi uomini. Da quando il direttore Penninger è stato rapito, ieri sera, temo che lei e la sua squadra abbiate tradito la sua fiducia. Tuttavia, adesso il laboratorio è di nuovo nelle mani delle sue autorità legittime. E così lei e il suo staff sarete sollevati dal vostro incarico e tenuti in custodia fino a quando non saremo riusciti a riportare la situazione alla normalità.»
«Ma di cosa diavolo sta parlando? Lei non può licenziarmi, non ne ha alcun autorità.»
«Be’, capo, ne sono perfettamente consapevole. Ma questo non cambia la nostra situazione. Dia un’occhiata alla nostra situazione. Io sto qui fuori, tentando di essere ragionevole, mentre lei è chiuso in un veicolo corazzato con un fucile, tutto da solo. Siamo entrambi adulti, comportiamoci da uomini ragionevoli. La crisi è finita. Metta giù il fucile e venga fuori di lì.»
Karnes ammiccò. Aveva bevuto molto per tutto il giorno e non si era ancora reso conto della gravità della situazione. «Senta, quello che dice è una vera follia. Una cosa è uno sciopero lavorativo, oppure i virus del computer. Perfino una guerra di rete è comprensibile. Ma questo è un vero e proprio golpe eseguito con le armi in pugno. Non la passerete liscia dopo avere attaccato degli ufficiali di polizia. Sarete arrestati. Tutti quelli che conosce verranno arrestati.»
«Mitch, sono d’accordo con lei. In effetti, l’ho preceduta. Sono pronto a costituirmi alle autorità legittime, non appena saremo riusciti a capire quali siano. Prima o poi si faranno vedere; nel lungo periodo andrà tutto a posto. Ma nel frattempo, Mitch, si comporti da uomo sensato, okay? Adesso tutti i suoi colleghi sono in detenzione. Adesso abbiamo noi il controllo della crisi. Stasera riforniremo la prigione, ci saranno ciambelle, caffè e birra gratis. Giocheremo insieme a pinnacolo e ci racconteremo storie di guerra. Stiamo progettando di organizzare delle visite coniugali.»
«Oscar, lei non può arrestarmi. È contro la legge.»
«Mitch, si rilassi. Se obbedisce alla dottoressa Penninger, probabilmente possiamo aggiustare tutta la faccenda! Certo, immagino che lei possa fare l’uomo di saldi principi, se vuole. Ma anche se rimarrà seduto tutta la notte in quel camion con un fucile carico, cosa diavolo sarà riuscito a ottenere? Non cambierà nulla. Andiamo, venga fuori di lì.»
Karnes uscì dal camion. Oscar prese un paio di manette, osservò le strisce di plastica, scrollò le spalle e le rimise in tasca. «Non abbiamo davvero bisogno di questi affari, vero? Siamo adulti. Andiamo, mi segua.»
Karnes iniziò a camminare dietro di lui. Uscirono dal sotterraneo e iniziarono a camminare insieme sotto la cupola. Oltre il vetro brillavano le stelle dell’inverno. «Lei non mi è mai piaciuto» affermò Karnes. «Non mi sono mai fidato di lei. Però sembra essere un ragazzo così ragionevole.»
«Io sono un ragazzo ragionevole.» Oscar diede una pacca sulla schiena del poliziotto, coperta da un giubbotto antiproiettile. «So che adesso le cose sembrano molto caotiche, capo, ma io credo ancora nella legge. Devo soltanto scoprire dov’è l’ordine.»
Dopo avere visto l’ex capo della polizia al sicuro dietro le sbarre, Oscar conferì con Kevin e Greta nella stazione di polizia conquistata. Le ragazze nomadi si erano sbarazzate dei loro vestitini per indossare indumenti molto più di loro gusto: cinturoni, bastoni e uniformi da combattimento con le maniche tagliate. «E così la nostra dichiarazione sulla politica interna è stata trasmessa?»
«Ma certo» rispose Kevin. «Ho chiamato almeno una volta ogni telefono nel Collaboratorio e Greta è andata in diretta. La tua dichiarazione è stata una buona mossa, Oscar. Sembrava davvero…» Fece una pausa. «Magnanima.»
«La magnanimità va benissimo. Per domani mattina avremo altri manifesti, che dichiarano che lo sciopero è finito. La gente ha bisogno di questi atti simbolici. ‘Lo sciopero è finito’. Una dichiarazione del genere contribuirà a calmare le acque.»
In preda all’entusiasmo, Kevin scese dalla poltrona di pelle del capo della sicurezza e strisciò gattoni sino a un armadietto al livello del pavimento. Era zeppo di un equipaggiamento per le comunicazioni telefoniche, una foresta di cavi in fibra ottica multicolori e pieni di polvere. «Qui hanno un sistema telefonico davvero antiquato! È pieno di microspie, ma è unico; ha uno zilione di funzioni davvero ganze che nessuno ha mai usato.»
«Perché è così sudicio e trascurato?» chiese Oscar.
«Oh, ho dovuto spostare quelle console per arrivare ai cavi. Non ho mai avuto un simile controllo totale su una stazione di commutazione. Un paio di settimane quaggiù e questo posto funzionerà come un orologio.» Kevin si alzò, si spazzolò la polvere dalla dita. «Penso che adesso farei meglio a indossare una di queste uniformi da poliziotto. A qualcuno dà fastidio se, da ora in poi, indosso un’uniforme da poliziotto?»
«Ma perché vuoi fare una cosa del genere?» chiese Oscar.
«Be’, quelle ragazzine nomadi hanno delle uniformi. Adesso sono il vostro capo della sicurezza, giusto? Come pretendete che io controlli le mie truppe se non indosso un’uniforme? E devo avere anche un berretto strafico.»
Oscar scosse la testa. «È un punto discutibile, Kevin. Adesso che abbiamo conquistato il laboratorio, dobbiamo fare uscire quelle piccole streghe di qui il più presto possibile.»
Kevin e Greta si scambiarono un’occhiata. «Stavamo proprio discutendo su questa faccenda.»
«Quelle ragazze sono davvero brave» commentò Greta. «Abbiamo riconquistato il laboratorio, ma nessuno è stato ucciso. È sempre bello quando avviene un golpe e nessuno viene ucciso.» Kevin annuì vigorosamente. «Oscar, abbiamo ancora bisogno delle nostre truppe. Abbiamo una banda di pericolosi contras di Huey asserragliati nell’edificio Ricadute industriali. Dobbiamo spezzare subito la loro resistenza! E così dovremo usare armi non letali — fruste con l’anima di spugna, gas al peperoncino, megafoni ultrasonici… Cavolo, sarà davvero divertente!» Kevin si fregò le mani.
«Greta, non starlo a sentire. Non possiamo rischiare di ferire seriamente quelle persone. Adesso abbiamo il controllo totale del laboratorio e dunque dobbiamo comportarci in maniera responsabile. Se abbiamo dei problemi dai sostenitori di Huey, ci comporteremo come farebbero le autorità normali. Incolleremo le loro porte, taglieremo le linee telefoniche e dei computer e li prenderemo per fame. Una reazione eccessiva sarebbe un serio errore. Da adesso in poi, dobbiamo preoccuparci di come verrà vista tutta questa faccenda a Washington.»
Il lungo viso di Greta assunse un’espressione vuota. «Oh, al diavolo Washington! Non fanno mai nulla di utile. Qui non possono proteggerci. Sono stufa di loro e delle loro parole a doppio senso.»
«Aspetta un attimo!» esclamò Oscar, ferito. «Io vengo da Washington, ma sono stato utile.»
«Be’, tu sei l’unica eccezione.» Si strofinò i polsi ossuti con un gesto rabbioso. «Dopo quello che mi è successo oggi, so contro quello che combatto. Non ho più illusioni. Non possiamo fidarci di nessuno, tranne di noi stessi. Kevin e io ci impadroniremo delle porte stagne e sigilleremo l’intera struttura. Oscar, voglio che tu ti dimetta. Faresti meglio a farlo prima che quei tizi a Washington ti licenzino.» Iniziò a puntare le sue dita simili a zampe di ragno verso di lui. «No, prima che ti arrestino. O ti mettano sotto accusa. O ti mandino sotto processo. O ti rapiscano. O semplicemente ti uccidano.»
Oscar la fissò allarmato. Greta stava perdendo la calma. La pelle delle guance e della fronte aveva l’aspetto teso di una cipolla appena pelata. «Greta, andiamo a fare una passeggiata all’aria fresca, vuoi? Sei troppo nervosa. Dobbiamo discutere sulla situazione in modo ragionevole.»
«Adesso basta parlare. Sono stanca di essere trattata come un’imbecille. Non mi farò più gassare e ammanettare, a meno che non arrivino con i carri armati.»
«Tesoro, nessuno usa più i ‘carri armati’. Quella era roba del ventesimo secolo. Le autorità non devono usare la forza. Il mondo ha superato quella fase della civiltà. Se vogliono schiodarci da qui, faranno…»
Oscar tacque improvvisamente. Non aveva preso in considerazioni le varie opzioni dal punto di vista delle autorità, e quelle opzioni non sembravano troppo promettenti. Greta Penninger — e i suoi alleati — si erano appena impadroniti di un laboratorio biologico blindato. Quel posto poteva resistere a un’esplosione atomica ed era pieno di catacombe sotterranee. All’interno vivevano centinaia di specie tanto rare quanto fotogeniche, che formavano una combinazione tra un deposito di cibo mobile e un corpo di potenziali ostaggi. La struttura aveva la sua fornitura d’acqua, la sua fonte di energia, perfino la propria atmosfera. Minacce finanziarie di embargo erano prive di significato, perché i sistemi contabili erano già stati distrutti dai virus informatici.
Il posto era isolato dall’esterno. I rivoluzionari tascabili di Greta si erano impadroniti dei mezzi di comunicazione. Avevano requisito i mezzi di produzione. Avevano una popolazione leale e attiva, che nutriva una profonda sfiducia nel confronti del mondo esterno. Avevano conquistato una possente fortezza.
Greta riportò la propria attenzione su Kevin. «Quando potremo liberarci di questi pidocchiosi telefoni prolet e tornare al nostro sistema normale?»
Kevin rispose assumendo un tono sorprendentemente servizievole. «Be’, prima dovrò assicurarmi che sia sicuro… Quanti programmatori può darmi?»
«Eseguirò una ricerca tra il personale per trovare quelli con un talento particolare per le telecomunicazioni. Può trovarmi un ufficio nella stazione di polizia? Forse passerò molto tempo lì dentro.»
Kevin sogghignò allegramente. «Ehi, il capo è lei, dottoressa Penninger!»
«Ho bisogno di un po’ di pausa» si rese improvvisamente conto Oscar. «Forse dovrei concedermi un sonnellino. È stata una giornata davvero tremenda.» Greta e Kevin lo ignorarono cordialmente: erano impegnati a discutere sulle cose da fare. Oscar lasciò la stazione di polizia.
Mentre camminava nei giardini immersi nel buio, diretto verso la Zona Calda, la stanchezza lo sopraffece come una scura ondata metabolica. Le esperienze di quel giorno improvvisamente gli sembrarono totalmente folli. Era stato rapito, gassato, bombardato; aveva viaggiato per centinaia di miglia in auto che erano dei veri rottami; aveva concluso un’alleanza incauta con una potente banda di emarginati; era stato diffamato, accusato di appropriazione indebita e di essere fuggito al di là dei confini dello Stato… Aveva arrestato un gruppo di poliziotti; aveva convinto un fuggiasco armato ad arrendersi… E adesso la sua amante occasionale e il suo capo della sicurezza si erano uniti per complottare alle sue spalle.
La situazione era grave, molto grave. Ma questo non era neppure il peggio. Perché domani è un altro giorno. Il giorno seguente, avrebbe dovuto lanciarsi in una massiccia offensiva di relazioni pubbliche che in qualche modo sarebbe dovuta servire a giustificare le sue azioni.
Improvvisamente si rese conto che non ce l’avrebbe fatta. La situazione era difficile. Troppo difficile. Ormai aveva raggiunto un sovraccarico psicologico. Era nero, blu e verde per le ferite e i lividi; era affamato, stanco, stressato e traumatizzato; il suo sistema nervoso era sovraccarico di adrenalina stantia. Eppure, dentro di sé, si sentiva bene per gli eventi di quel giorno.
Aveva superato se stesso.
Certo, aveva commesso un errore elementare come quello di farsi rapire. Ma, in seguito, aveva gestito ogni situazione pericolosa, ogni crisi, con un aplomb sorprendente e un successo continuo. Ogni mossa era stata la mossa giusta al momento giusto, ogni opzione era stata una scelta ispirata. L’unico problema era che erano troppe. Era come un pattinatore che dovesse eseguire una serie infinita di tripli axel. Qualcosa avrebbe ceduto.
Sentì d’improvviso il bisogno di un riparo. Riparo fisico. Porte chiuse, un lungo silenzio.
Ritornare in albergo era fuori questione. Lì ci sarebbero state delle persone, delle domande, dei fastidi. Meglio la Zona Calda.
Si avviò lentamente verso una delle porte stagne della Zona, adesso sorvegliata da un paio di sergenti anziani nomadi, che facevano il turno di notte. Le nonnette vestite di uniformi mimetiche si stavano divertendo, giocavano con degli yoyo artigianali in spugna sintetica. Oscar superò le donne con un saluto stanco ed entrò nei corridoi vuoti della Zona Calda.
Cercò un posto dove nascondersi. Un oscuro ripostiglio per l’equipaggiamento sarebbe stato il luogo ideale. C’era soltanto un’altra piccola faccenda da risolvere, prima di rilassarsi e lasciarsi andare. Doveva avere il suo computer portatile. Quello era un pensiero molto confortante per Oscar: ritirarsi in un angolino chiuso con il suo computer. Era una reazione istintiva a una crisi insopportabile; era qualcosa che aveva fatto da quando aveva sei anni.
Aveva lasciato un portatile di riserva nel laboratorio di Greta. Entrò in silenzio nella stanza. L’ex quartiere generale dello sciopero, un tempo sterile e immacolato, recava i segni delle manovre politiche sotterranee — adesso era sporco, pieno di fogli gettati in disordine, cibo mangiato a metà, appunti, bottiglie, rifiuti. L’intera stanza odorava di panico. Oscar trovò il suo portatile, mezzo seppellito sotto un mucchio di nastri e di cataloghi. Lo tirò fuori, lo mise sotto il braccio. Grazie a Dio.
Il suo telefono squillò. Rispose per istinto. «Sì?»
«Sono davvero fortunato! Ho beccato il venditore di sapone al primo tentativo! Come va, saponetta? Tutto sotto controllo?»
Era Green Huey. Il cuore di Oscar perse un colpo mentre la sua mente si schiariva immediatamente. «Sì, grazie, governatore.»
Ma come diavolo aveva fatto Huey a inserirsi nel sistema telefonico del laboratorio? Kevin gli aveva assicurato che il sistema di crittografia era assolutamente a prova di intrusioni.
«Spero che non ti dispiaccia se ti ho chiamato molto tardi e all’improvviso, mon ami.»
Oscar si sedette lentamente sul pavimento del laboratorio, appoggiando la schiena contro un armadietto metallico. «Assolutamente no, vostra eccellenza. Noi viviamo per servire.»
«È molto bello che tu dica questo, saponetta! Lascia che ti spieghi dove mi trovo adesso. Sono in un dannato elicottero che sorvola il fiume Sabine, e sto osservando un dannato raid aereo.»
«Non me lo dica, signore.»
«BE’, IO TE LO DICO ECCOME!» gridò Huey. «Quei figli di puttana hanno spazzato via i miei uomini! Elicotteri dipinti di nero con missili e armi automatiche, che massacrano civili americani sul terreno! È stato un dannato massacro!»
«Ci sono state molte vittime, governatore? Voglio dire, a parte lo sfortunato incidente del sommergibile francese?»
«ALL’INFERNO, certo che ci sono state delle vittime!» strillò Huey. «Come avrebbe potuto essere altrimenti? I boschi su entrambi i lati del fiume pullulavano di Regolatori. Una totale disfunzione operativa! Troppi agenti segreti hanno rovinato tutto! Un fallimento totale! Maledizione, io non ho mai ordinato a quei dannati imbecilli di scaricare te e la ragazzina geniale dentro qualche dannata falsa ambulanza!»
«No, vostra eccellenza?»
«Diavolo, no! Dovevano attendervi con pazienza e cogliervi di sorpresa quando sareste usciti insieme di nascosto dal laboratorio per un incontro al calore bianco. In quel contesto, un rapimento sarebbe stato ragionevole. Il problema con i nomadi è che non riescono a controllare molto bene i loro impulsi. Non era quello che volevo, ragazzo, questo te lo assicuro! Avevo soltanto qualcosa che tenevo a farvi vedere, ecco tutto. Adesso io, tu e la tua ragazza avremmo potuto essere stravaccati da qualche parte, con degli ombrellini nei nostri drink. Dovevamo avere un incontro scientifico, dovevamo appianare tutte le nostre divergenze.»
Oscar socchiuse gli occhi grigi, che gli bruciavano tremendamente. «Ma la squadra incaricata di eseguire il rapimento ha avuto un incidente per strada. Sono arrivati in ritardo all’appuntamento. Il suo comitato di ricevimento si è innervosito. E quando una squadra di SWAT federali è apparsa improvvisamente sulla scena, ne è seguito un violento scontro a fuoco.»
Huey rimase in silenzio.
Oscar sentì la sua voce alzarsi in un torrente di parole, come una mitragliatrice. «Governatore, spero mi crederà quando le dico che a me dispiace che sia accaduto tutto questo molto più che a lei. Posso capire che per lei sarebbe stato un indubbio vantaggio politico se i suoi agenti avessero potuto sorprenderci durante un incontro scandaloso. Allora avremmo potuto fare ben poco, e si sarebbe trattato di una mossa efficace da parte sua. Ma affrontiamo i fatti. Lei non può semplicemente rapire un direttore di laboratorio e un funzionario federale. Non si gioca così. Le avventure a base di commando sono politicamente stupide. Di solito, nella vita reale, funzionano molto di rado.»
«Ah! Be’, tu sembri avere gestito un attacco con un commando molto bene, ragazzo.»
«Governatore, quando due mesi fa sono arrivato qui, impadronirmi di questo laboratorio con la forza delle armi era la cosa più lontana dalla mia mente. Ma date le circostanze, non avevo altra scelta. Adesso dia un’occhiata alla nostra situazione. È pericolosamente sovraccarica di fattori estranei. Non è più una questione tra lei, me, il senatore Bambakias, gli scienziati in sciopero e la sua quinta colonna nel laboratorio. Già quella era una situazione davvero complessa! Ma adesso si sono aggiunti SWAT federali, truppe dei Regolatori semicompetenti, ragazzine armate fino ai denti, virus informatici, operazioni politiche di diffamazione… sta tutto andando fuori controllo!» La gola di Oscar si contrasse in un grido. Staccò il telefono dall’orecchio.
Poi lo riavvicinò con un gesto deciso, come se fosse la canna di una pistola. «Questa faccenda mi costerà la carriera al Senato. Immagino che da una parte sia un atto meschino dirlo, ma mi piaceva quel lavoro. Da un punto di vista personale, mi dispiace tremendamente.»
«Figliolo, è tutto a posto. Calmati. So cosa può significare una promettente carriera al Senato per un giovane come te. È esattamente per questo che io sono entrato in politica, capisci? Io ero il capo dello staff per Dougal quando costruimmo questo laboratorio.»
«Governatore, perché siamo dovuti arrivare a tanto? Perché sta tentando disperatamente di battermi in astuzia? Adesso non ci stiamo più comportando con la dovuta ragionevolezza. Perché non mi ha semplicemente chiamato per invitarmi ad avere una conversazione privata? Sarei venuto. Avrei negoziato. Sarei stato lieto di farlo.»
«No, non lo avresti fatto. Il tuo senatore non avrebbe accettato questo tipo di accordo sottobanco.»
«Ma io non glielo avrei detto. Sarei venuto a incontrarla in ogni caso. Lei è una persona importante, un protagonista. Io devo parlare con quelli come lei, oppure non otterrei mai nulla.»
«Allora il povero bastardo è davvero andato» sospirò Huey. «A te non importa un bel nulla del vecchio Bambakias, ti stai dando da fare alle sue spalle. Povero vecchio Mr. Spettacolo… Non ho mai avuto nulla contro di lui; io amo le teste d’uovo yankee liberal che non riescono neppure a parcheggiare le loro biciclette! Ma perché diavolo ha voluto mettersi contro di me per quella pallosissima questione dei finanziamenti della base? Non potevo permetterlo! Non posso permettere che un senatore appena eletto mi dia fastidio quando non si rende neppure conto di come stanno le cose. Uno sciopero della fame, Cristo santo — diavolo, non sono stato io a farlo morire di fame! È ricco, poteva permettersi un pasto. Ma lui non ha neppure un briciolo di buon senso! Tu sei un ragazzo intelligente, tu queste cose devi saperle.»
«Sapevo che era un idealista.»
«Ma perché hai scelto proprio lui?»
«Era l’unico disposto ad assumermi come direttore della sua campagna elettorale» spiegò Oscar.
Huey emise un grugnito. «Be’! Okay, allora! Adesso comincio a capire tutto. Avrei dovuto sapere che sei sempre stato tu, perché sei un ragazzo abbastanza duro. Ma perché diavolo lo hai caricato come un giocattolo a molla e me lo hai mandato contro? E poi, chi sei tu? Cosa diavolo ci fai nel mio laboratorio scientifico preferito? Tu non sai neppure cosa stanno facendo lì dentro. Non sai neppure quanto valga davvero!»
«Ho i miei sospetti» replicò Oscar. «Qui hanno qualcosa di importanza vitale per lei, qualcosa che vale molto.»
«Senti, io ho bisogno di quel laboratorio. Certo, hanno qualcosa di molto speciale che bolle in pentola. Altrimenti, non mi darei tanto da fare. Avrei diffuso la loro scoperta. Avrebbe cambiato tutto.»
«Governatore, non tenti di sviarmi. So già cosa aveva in mente per noi. Greta e io saremmo svaniti in qualche miniera di sale, dove lei e le sue spie industriali state sviluppando la tecnologia neurale. Lei è ansioso di mettere le mani su qualche scoperta neurale, qualcosa che riguarda il controllo della mente. Proprio come gli animali qui dentro. Saremmo stati tutti trasformati in zombi educati. Saremmo diventati i suoi animali domestici addomesticati e ci saremmo dichiarati d’accordo su qualsiasi cosa lei avesse ordinato. Questo è l’attacco informatico supremo: sovvertire il sistema nervoso umano.»
Huey scoppiò in una risata latrante, come se fosse assolutamente sbalordito. «Cosa? Ma per chi mi hai preso, per Mao Zedong? Io non ho bisogno di robot a cui è stato fatto il lavaggio del cervello! Io ho bisogno di persone sveglie, di tutte le persone sveglie possibili! Tu non hai capito nulla!»
«E allora cos’è che mi è sfuggito, esattamente?»
«Ti sono sfuggito io, ragazzo, io! Io amo il mio Stato! Io amo la mia gente! Certo, tu odi la Louisiana, Mr. Laureato in economia a Harvard — è corrotta, fa troppo caldo, è per metà sommersa, è poverissima, è avvelenata da anni di pesticidi e di inquinamento, non ha più il gas e il petrolio che voi yankee bruciavate per riscaldarvi in inverno. Metà della sua popolazione parla la dannata lingua sbagliata, ma maledizione, qui le persone sono ancora vere! La mia gente ha anima, ha spirito, sono persone autentiche, reali, vive! Non siamo come il resto degli USA, dove le persone sono troppo nauseate, scioccate, stanche e sorvegliate per combattere perfino per un futuro decente.»
Huey tossì rumorosamente e riprese a muggire nel microfono. «Loro mi accusano di essere un ‘governatore ribelle’ — be’, ma cos’altro potrei essere? Tutti i loro ‘comitati di emergenza’ sono assolutamente illegali, oppressivi e anticostituzionali! Guarda il nuovo presidente! È un assassino dal grilletto facile — e lui è l’uomo migliore che avete! Quell’uomo vuole sloggiarmi dal mio palazzo — all’inferno, al presidente piacerebbe farmi fuori! Adesso la mia vita è costantemente minacciata! Controllo il cielo ogni minuto per paura di finire fritto da qualche dannato laser a raggi X! E tu — tu pensi che io voglia lobotomizzare una donna che ha vinto il Nobel! Sei impazzito come il tuo capo? Dio onnipotente, ma perché dovrei fare una cosa del genere? Quale vantaggio potrei trarne?»
«Governatore, se lei mi avesse spiegato queste cose prima, penso che saremmo potuti giungere a un accordo.»
«Ma perché diavolo dovrei dirti una sola dannata cosa? Tu non sei uno importante! Tu non conti! Dovrei calarmi i calzoni davanti a qualsiasi mezzatacca che lavora al Senato degli Stati Uniti? Ragazzo, tu sei un incubo politico: un giocatore senza storia e senza base di potere, sbucato dal nulla! Se non fosse stato per te, tutto sarebbe andato alla perfezione! La base aerea sarebbe finita in bancarotta. Il laboratorio scientifico pure. Tutti se ne sarebbero andati in maniera pacifica. E io li avrei assunti per pochi spiccioli.»
Kevin entrò nel laboratorio. Indossava un’uniforme da poliziotto che gli andava tutt’altro che a pennello, e dava l’impressione che i piedi gli facessero un male d’inferno. «Solo un attimo, governatore» si scusò Oscar. Mise la mano sulla cornetta.
«Kevin, ma come hai fatto a trovarmi qui dentro?»
«In questi telefoni ci sono dei tracciatori.»
Oscar strinse convulsamente il telefono. «Non me l’avevi mai detto.»
«Non avevi bisogno di saperlo.» Kevin si accigliò. «Oscar, fa’ attenzione, accidenti. Dobbiamo andare immediatamente nel centro media. Il presidente degli Stati Uniti è in linea.»
«Oh.» Oscar tolse la mano dalla cornetta del telefono. «Mi scusi, governatore. Non posso continuare la nostra discussione adesso — devo andare a rispondere a una chiamata del presidente.»
«Adesso?» gridò Huey. «Ma ormai non dorme più nessuno?»
«Arrivederci, governatore. Ho apprezzato molto la sua chiamata.»
«Aspetta! Aspetta. Prima che tu faccia qualcosa di stupido, voglio che tu sappia che puoi ancora venire a parlare con me. Prima che l’intera situazione sfugga di mano… la prossima volta, parliamone prima.»
«È bello sapere che lei è di questa opinione.»
«Ragazzo, ascolta! Un’ultima cosa! Come governatore della Louisiana, io appoggio strenuamente le industrie genetiche. Io non nutro alcun pregiudizio sul tuo problema personale!»
Oscar riattaccò. I suoi nervi stavano ronzando come un trasformatore elettrico rotto. Gli bruciavano gli occhi e le pareti nude sembrarono curvarsi su di lui. Passò un braccio sulla spalla di Kevin. «Come vanno i tuoi piedi, Kevin?»
«Sei sicuro di sentirti bene?»
«Sono davvero stordito.» Emise un grugnito. Il suo cuore batteva a martello.
«Devono essere le allergie» commentò Kevin. «Tutti sviluppano delle allergie quando lavorano nella Zona Calda. Si tratta di un rischio lavorativo.»
Oscar ebbe l’impressione che le parole dell’altro provenissero da una distanza di infiniti anni luce. «Uh, perché mi dici questo, Kevin?»
«Comprendere i rischi lavorativi è uno dei compiti fondamentali di un professionista della sicurezza, cavolo.»
Ma Oscar non era convinto che si trattasse di un’allergia. Sembrava più una commozione cerebrale non diagnosticata. O forse qualche insidioso postumo del gas stordente militare. O magari una brutta influenza in arrivo. La situazione era brutta, davvero brutta. Si chiese se sarebbe riuscito a sopravvivere. Il suo cuore ebbe un sobbalzo improvviso e cominciò a battere velocemente nello sterno, come una falena intrappolata. Incespicò, quasi cadde.
«Penso di avere bisogno di un dottore.»
«Certo, ma dopo. Non appena avrai finito di parlare con il presidente.»
Oscar ammiccò ripetutamente. I suoi occhi erano colmi di lacrime. «Non riesco neppure a vedere.»
«Prendi qualche antistaminico. Ascolta, accidenti — non puoi mollare adesso, perché questo è il presidente! Hai capito? Siamo finiti in un grosso casino. Se non lo fai ragionare su quello scontro a fuoco sulla riva del Sabine, io sono finito. Finirò in galera come mio padre, sconterò una condanna per terrorismo razziale bianco. E anche tu e la dottoressa Penninger finirete male. Okay? Tu devi gestire al meglio questa faccenda.»
«Giusto» replicò Oscar, poi raddrizzò la schiena. Kevin aveva assolutamente ragione. Quello era il momento cruciale per le loro carriere. Il presidente lo stava aspettando. A quel punto, il fallimento era impensabile. E lui stava avendo un attacco di tachicardia.
Kevin lo guidò oltre la porta stagna della Zona Calda, poi staccò dalla cintura un telefono mostruosamente grande e chiamò un taxi; arrivarono subito almeno dodici taxi vuoti. Kevin ne prese uno, che li condusse al centro media. Salirono in ascensore. Kevin lo guidò in una toilette, dove Oscar si sciacquò la faccia nel lavandino. Stava cadendo a pezzi. Erano apparse chiazze rosse sul petto e sulla gola. Le mani erano scosse da un tremito. La pelle era tesa e infiammata. Ma tuttavia bastò un getto di acqua fredda sulla nuca per schiarirgli la mente.
«C’è un pettine?» chiese Oscar.
«Non avrai bisogno di un pettine» rispose Kevin. «Il presidente sta chiamando con uno di quei caschi.»
«Cosa?» si stupì Oscar. «Realtà virtuale? Stai scherzando! Quella roba non funziona mai.»
«Ci sono dei sistemi per la realtà virtuale installati in tutti i laboratori federali. Qualche iniziativa di un pezzo grosso di un milione di anni fa. Nei sotterranei della Casa Bianca c’è un dispositivo VR.»
«E tu sai davvero come funziona questo aggeggio?»
«Diavolo, certo che no! Ho dovuto setacciare metà del laboratorio per trovare qualcuno che potesse avviarlo. Adesso lì dentro c’è seduto un bel pubblico. Sanno tutti che il presidente ha chiamato. Sai quanto tempo è passato dall’ultima volta che un presidente ha mostrato sia pure un briciolo di interesse per questo posto?»
Oscar tentò di riprendere fiato, fissando lo specchio, costringendo il cuore a rallentare con uno sforzo di volontà. Poi entrò nello studio, dove i tecnici presero un casco simile a quello di un palombaro e glielo fissarono sulla testa.
Il presidente si stava godendo una passeggiata attraverso onde di grano color ambra sotto i maestosi picchi rossastri delle Montagne Rocciose del Colorado. Oscar, dopo un istante di disorientamento, riconobbe lo sfondo come uno degli spot di Two Feathers. Evidentemente quello era il migliore sfondo virtuale che il nuovo staff della Casa Bianca era riuscito a trovare con un preavviso tanto breve.
Leonard Two Feathers era una creatura in netto contrasto con una generazione di politici americani incredibilmente telegenici. Il presidente aveva zigomi grandi e piatti, un naso imponente e una bocca larga come la porta di una cripta di una banca. Lunghi capelli brizzolati gli scendevano dritti fino alle spalle, che erano coperte dalla sua giacca di marca in pelle di cervo con la frangia. Gli occhi scuri e penetranti del presidente erano tanto distanti quanto quelli di uno squalo testa di martello.
«Signor Valparaiso?» chiese il presidente.
«Sì? Buona sera, signor presidente.»
Il presidente lo studiò in silenzio. Apparentemente, agli occhi del presidente, Oscar era un volto privo di corpo che fluttuava a livello delle spalle.
«Com’è la situazione nella vostra struttura? Lei e il direttore, la dottoressa Penninger, state bene, siete al sicuro?»
«Finora sì, signore. Abbiamo sigillato il luogo. Abbiamo subito un grave attacco informatico che ha distrutto i nostri sistemi finanziari, e così abbiamo dovuto interrompere la maggior parte delle comunicazioni telefoniche e telematiche. Abbiamo ancora dei problemi interni con un gruppo di protesta che occupa uno degli edifici. Ma in questo momento la nostra situazione sembra stabile.»
Il presidente rifletté su quelle informazioni. Credeva alla storia, ma questo non lo rendeva troppo felice. «Mi dica una cosa, giovanotto. In che cosa mi ha trascinato? Perché ci sono voluti un sommergibile francese e trecento guerriglieri cajun per rapire lei e una neurologa?»
«Il governatore Huguelet voleva vederci. Lui vuole questa struttura, signor presidente. Dispone di un numero cospicuo di truppe irregolari. Ha più truppe di quante ne possa controllare propriamente.»
«Be’, lui non può avere quella struttura.»
«No, signore?»
«No, non può averla — e neppure lei. Perché appartiene alla nazione, che io sia dannato! Ma cosa diavolo ha in mente? Assoldare una milizia di Moderatori e impadronirsi di un laboratorio federale? Questo non è certo il suo lavoro! Lei è un organizzatore di campagne elettorali che ha un lavoro procuratole dal suo protettore. Lei non è Davy Crockett!»
«Signor presidente, sono assolutamente d’accordo con lei. Ma non avevamo nessun’altra possibilità realistica. Green Huey costituisce un vero pericolo. È in combutta con una potenza straniera. Domina completamente il suo Stato e adesso sta lanciando avventure paramilitari al di là dei confini della Louisiana. Cos’altro potevo fare? Il mio addetto alla sicurezza ha informato il suo ufficio per la sicurezza nazionale non appena ha potuto. Nel frattempo, ho intrapreso i passi possibili.»
«A che partito appartiene?» chiese il presidente.
«Sono un democratico federale, signore.»
Il presidente rifletté qualche istante. Lui apparteneva al Movimento patriottico socialista, i ‘soc-pat’. I soc-pat erano la fazione dominante nel Blocco tradizionale di sinistra, che comprendeva inoltre i Democratici sociali, il Partito comunista, Potere al popolo, America operaia, e l’antico, ma ormai esiguo Partito democratico. Di recente il blocco aveva sofferto meno disaccordi ideologici del solito. Erano stati in grado — sia pure per un pelo — di impadronirsi della presidenza americana.
«Questo significa il senatore Bambakias del Massachusetts?» chiese.
«Sì, signore.»
«Ma cosa ha visto in lui?»
«Mi piaceva. Ha molta immaginazione e non è corrotto.»
«Be’,» commentò il presidente «io non sono un senatore malato di mente. Guarda caso, io sono il suo presidente. Sono il suo nuovo presidente che ha appena prestato giuramento e ho dei collaboratori ingenui che si lasciano infinocchiare troppo facilmente da imbroglioni con la lingua sciolta che hanno legami familiari con dei criminali che sostengono la supremazia della razza bianca. Adesso, grazie a lei, sono anche un presidente che ha avuto la sventura di uccidere e ferire molte dozzine di persone. Alcune di esse erano spie straniere. Ma la maggior parte erano nostri concittadini.» Nonostante il dispiacere espresso, il presidente sembrava più che disposto a uccidere di nuovo.
«Signor Valparaiso, voglio che mi ascolti con attenzione. Ho circa quattro settimane — forse tre — di capitale politico da spendere. Poi la luna di miele finirà e il mio ufficio verrà messo sulla graticola. Dovrò affrontare tutte le cause, le sfide costituzionali, le rivoluzioni di palazzo, le rivelazioni, gli scandali bancari e le macchinazioni dei comitati di emergenza che hanno rovinato ogni presidente americano negli ultimi venti anni. Io voglio sopravvivere a tutto questo. Ma non ho denaro, perché il paese è in bancarotta. Non posso fidarmi del Congresso. Sicuramente non posso fidarmi dei comitati di emergenza. Non posso fidarmi dell’apparato del mio partito. Sono il comandante in capo della nazione, ma non posso neppure fidarmi delle forze armate. Questo mi lascia soltanto una fonte diretta di potere presidenziale. I miei agenti segreti.»
«Sì, signor presidente.»
«I miei agenti sono stati troppo zelanti! Hanno appena fatto fuori un mucchio di gente nel bel mezzo della notte, ma almeno non sono dei politici, e così faranno quello che viene loro ordinato. E poiché sono spie, ufficialmente non esistono. E così neppure le cose che fanno esistono ufficialmente. E così, se tutte le parti coinvolte tengono chiuso il becco, potrei non dover dare conto di quel sanguinoso fallimento avvenuto la notte scorsa sul confine della Louisiana. Mi sta seguendo?»
«Sì, signore.»
«Io voglio che domani mattina lei per prima cosa si dimetta dal suo incarico al Senato. Non può fare quello che ha fatto e rimanere un funzionario del Senato. Si dimentichi del Senato, e si dimentichi anche del suo povero amico, il senatore. Lei è un pirata. L’unico modo in cui può sopravvivere a questa situazione è di unirsi al mio staff della sicurezza nazionale. E lei farà esattamente questo. Da adesso in poi, lei lavorerà per il suo presidente. Lei dipenderà da me. Il suo nuovo titolo sarà: consigliere scientifico del consiglio per la sicurezza nazionale.»
«Capisco, signore. Se posso dirlo, la sua è un’ottima analisi della situazione.» Non c’era alcun dubbio che avrebbe assunto quell’incarico. Significava staccarsi dal cerchio interno di Bambakias; significava anche rinunciare ai risultati di mesi di faticoso lavoro dietro le quinte nella commissione scientifica del Senato. Era come perdere due lobi del cervello in un istante. Ma ovviamente avrebbe lasciato perdere tutto per lavorare per il presidente. Perché significava raggiungere un livello di attività politica più alta — dove le opzioni fiorivano come stelle alpine. «La ringrazio per la sua offerta, signor presidente. Ne sono onorato e sono lieto di accettarla.»
«Lei si è comportato come un cowboy. Ha fatto male. Molto male. Tuttavia, da ora in poi, lei sarà il mio cowboy. E soltanto per assicurarmi che non vi siano più sfortunati incidenti, invierò lì un reggimento di paracadutisti per proteggere il perimetro del laboratorio. Arriveranno verso le diciassette di domani.»
«Sì, signor presidente.»
«Il mio staff invierà anche una dichiarazione che il suo direttore leggerà davanti alle telecamere. Questo ristabilirà i ruoli di tutti, d’ora in poi. Adesso questi sono i suoi ordini, ricevuti direttamente dal suo comandante in capo. Tenga quel posto lontano dalle grinfie del governatore Huguelet. Lei terrà i dati lontani da lui, terrà il personale lontano da lui, lei terrà quel posto completamente sigillato, almeno fino a quando non sarò riuscito a capire perché lo vuole tanto disperatamente. Se avrà successo, la farò entrare alla Casa Bianca. Fallisca, e cadremo entrambi. Ma lei cadrà per primo, e la sua caduta sarà più dura e più dolorosa, perché io cadrò su di lei. Sono stato chiaro?»
«Chiarissimo, signor presidente.»
«Benvenuto nell’affascinante mondo del ramo esecutivo.» Il presidente scomparve. Le onde di grano color ambra continuarono a ondeggiare serenamente.
Tirarono fuori la testa di Oscar dal casco della realtà virtuale con una certa fatica. Si ritrovò al centro della rapita attenzione di duecento persone.
«Be?» chiese Kevin, brandendo un microfono. «Cosa ha detto?»
«Mi ha assunto» annunciò Oscar. «Adesso faccio parte dello staff della sicurezza nazionale.»
Kevin sbarrò gli occhi. «Sul serio?»
Oscar annuì. «Il presidente ci appoggia! Sta inviando delle truppe qui per proteggerci!»
Si udì un urrà. La folla era sopraffatta dalla gioia. Nella loro reazione era chiaramente percepibile un sottofondo isterico. Era una farsa, una tragedia, un trionfo; erano ebbri. Iniziarono a darsi grandi pacche sulla schiena e ad abbaiare nei loro telefoni.
Kevin spense il microfono e lo gettò da un lato. «Ha detto qualcosa su di me?» chiese in tono ansioso. «Voglio dire, sul fatto che l’ho svegliato la notte scorsa e tutto il resto?»
«Sì, ha parlato di te, Kevin. Ha menzionato il tuo nome.»
Kevin si girò verso la persona più vicina, che, per caso, era Lana Ramachandran. Lana era stata convocata mentre stava facendo la doccia e si era precipitata nel centro media in accappatoio e pantofole. «Il presidente si è accorto di me!» le disse Kevin ad alta voce, gonfiando il petto con un’espressione di nobile sbalordimento. «Ha parlato di me! Io conto davvero qualcosa! Io, per il presidente, conto qualcosa.»
«Dio, sei senza speranza!» ringhiò Lana, digrignando i denti. «Come hai potuto fare questo al povero Oscar?»
«Fare cosa?»
«Guardalo, stupido! È coperto di vesciche!»
«Quelle non sono vesciche» lo corresse Kevin, scrutando Oscar con attenzione. «Sembra più un’infezione alla pelle o qualcosa del genere.»
«E cos’è quell’enorme bozzo che ha sulla testa? Tu dovresti essere la sua guardia del corpo, stupido bastardo! Lo stai uccidendo! È fatto soltanto di carne e ossa!»
«No, non è così» replicò Kevin in tono ferito. Il suo telefono squillò. Rispose. «Sì?» Rimase in ascolto, poi assunse un’espressione triste.
«Quello stupido falso poliziotto» ringhiò Lana. «Oscar, che cos’hai? Dimmi qualcosa. Fammi sentire il battito.» Gli strinse il polso. «Mio Dio! Hai la pelle che scotta!»
L’accappatoio di Lana si aprì. Oscar osservò il semicerchio di un capezzolo marrone eretto. Gli si rizzarono i peli sulla nuca. Provò un’improvvisa e folle ondata di eccitazione sessuale. Stava perdendo il controllo. «Ho bisogno di sdraiarmi» mormorò.
Lana lo fissò mordendosi un labbro. I suoi occhi da cerbiatta colmi di lacrime. «Ma perché non riescono a capire quando non ce la fai più? Povero Oscar! A nessuno importa mai nulla di te.»
«Forse un po’ d’acqua fredda mi farà bene» bisbigliò lui.
Lana trovò il suo cappello e glielo posò delicatamente sulla testa. «Ti porto fuori di qui.»
«Oscar!» gridò Kevin. «Il cancello meridionale è aperto! Il laboratorio sta per essere invaso! Ci sono centinaia di nomadi!»
Oscar reagì immediatamente. «Sono Regolatori o Moderatori?» Ma le parole emersero come un confuso balbettio. La lingua improvvisamente gli si era gonfiata nella gola. La lingua era diventata grossa, enorme. Era come se nella sua bocca ce ne fossero due.
«Cosa facciamo?» domandò Kevin.
«Allontanati da lui! Lascialo in pace!» gridò Lana. «Qualcuno mi dia una mano! Ha bisogno di aiuto.»
Una volta sottoposto a una visita medica nella clinica del Collaboratorio, Oscar ebbe la reazione che riceveva di solito dal personale medico: una forte perplessità e un leggero imbarazzo. Aveva molti sintomi di malessere, ma non riuscivano a fare una vera e propria diagnosi, perché il suo metabolismo non era del tutto umano. La sua temperatura stava salendo, il cuore batteva a martello, la pelle era piena di eruzioni cutanee, la pressione sanguina era alle stelle. Dato il suo corredo genetico unico, non esisteva un metodo di cura normale.
Tuttavia, una vera fasciatura alla testa, un impacco di ghiaccio e qualche ora di silenzio gli fecero molto bene. Finalmente piombò in un sonno ristoratore. Si svegliò a mezzogiorno, stanco, dolorante e scosso, ma di nuovo in sé. Si rizzò a sedere sul letto d’ospedale, bevve del succo di pomodoro e diede un’occhiata alle notizie sul computer portatile. Kevin non era con lui. Lana aveva insistito che il resto della krew lo lasciasse da solo.
All’una, Oscar ricevette una serie di visite inaspettate. Quattro nomadi pelosi e con gli stivali fecero irruzione nella sua stanza privata. Il primo era il generale Burningboy. I suoi tre duri avevano un’aria incredibilmente sinistra: pitture di guerra, sguardi corrucciati, muscoli in bella evidenza.
Il generale aveva portato un enorme mazzo di fiori. Alloro, giunchiglie e vischio. Il simbolismo floreale era chiaro.
«Come sta?» lo salutò Burningboy, appropriandosi di un vaso e gettandone a terra il contenuto. «Ho sentito che non stava molto bene e così io e i ragazzi siamo passati per tenerla su.»
Oscar osservò pensosamente gli invasori. Era felice di vederli. Il fatto di essere tornato tanto presto al suo lavoro aveva migliorato il suo morale. «È molto gentile da parte sua, generale. La prego, si sieda.»
Burningboy si sedette ai piedi del letto da clinica, che emise un cigolio allarmante sotto il suo peso. I suoi tre seguaci, ignorando le due sedie nella stanza, si accovacciarono con aria cupa sul pavimento. Quello più anziano appoggiò la schiena contro la porta.
«Non ‘generale’. Caporale. Adesso sono il caporale Burningboy.»
«E qual è il motivo di questa degradazione, caporale?»
«In realtà, si tratta di una questione veramente semplice. Ho consumato tutta la mia fiducia e credibilità di rete quando ho ordinato a cinquanta ragazze di entrare in questa struttura. Quelle ragazzine hanno padri, madri, fratelli e sorelle — perfino fidanzati. Io ho messo in pericolo quei tesorucci, in base al mio esclusivo giudizio. E, be’, questo ha esaurito la mia credibilità. Anni e anni di sforzi giù nella fogna! E adesso, sono un semplice diaspro.»
Oscar annuì. «Immagino che abbia qualcosa a che fare con i server di reputazione e le vostre reti nomadi.»
«Sì, lei ha capito alla perfezione.»
«Sembra assurdo che lei debba essere degradato, quando la sua operazione paramilitare si è conclusa con un successo eclatante.»
«Be’…» Burningboy socchiuse gli occhi. «Io potrei recuperare una parte del mio prestigio perduto — se si potesse dimostrare che noi Moderatori abbiamo davvero ricavato qualche beneficio da questa avventura.»
«Aha.»
«Finora, non abbiamo ricavato un bel nulla da questa faccenda, tranne una notte in bianco delle famiglie preoccupate per la sorte delle nostre coraggiose guerriere.»
«Caporale, lei ha ragione. Sono completamente d’accordo con la sua analisi. Il vostro aiuto è stato fondamentale e, fino a questo momento, noi in cambio non abbiamo fatto nulla per voi. Io riconosco il mio debito. Sono un uomo di parola. Voi ci avete aiutato quando ne avevamo bisogno. Io voglio vederla felice, caporale Burningboy. Mi dica semplicemente cosa vuole.»
Con un sorriso che spuntò a fatica dalla barba brizzolata, Burningboy si girò verso uno dei suoi compagni. «Hai sentito quello che ha detto? Un discorso meraviglioso, vero? Hai registrato tutto su nastro?»
«Affermativo» ringhiò il guerriero nomade.
Burningboy riportò la propria attenzione su Oscar. «Mi sembra di ricordare un mucchio di belle promesse su come noi Moderatori avremmo ottenuto una copertura mediatica favorevole da tutto questo e su come saremmo diventati i cavalieri e i paladini della legge e dell’ordine federale, e su come avremmo messo in imbarazzo i nostri vecchi rivali, i Regolatori… E, non che io dubiti neppure per un istante della sua parola, signor consigliere scientifico presidenziale, ma ho immaginato che con quattrocento Moderatori in casa, questo sarebbe stato… come si dice?»
«Hai detto che sarebbe stato un incentivo» gli venne in aiuto l’altro guerriero.
«Esatto, è proprio la parola giusta. Un ‘incentivo’.»
«Molto bene» replicò Oscar. «La struttura è nelle vostre mani. Le vostre truppe se ne sono impadronite la notte scorsa; e adesso la state occupando con centinaia di squatter. Questo non era compreso nel nostro accordo originale, ma posso capire i vostri motivi. Spero che anche voi possiate capire i miei. Ieri notte ho parlato con il presidente degli Stati Uniti. Mi ha detto che avrebbe inviato delle truppe.»
«Ha detto questo, eh?»
«Sì. Ha promesso che una brigata d’élite di paracadutisti armati sarebbe arrivata in volo questa sera. Forse lei vorrà riflettere su questa faccenda.»
«Diavolo, è tipico di Two Feathers» commentò Burningboy. «Non sto dicendo che il vecchio Geronimo le abbia mentito o qualcosa del genere, ma è famoso per questo trucchetto. Noi Moderatori ci spingiamo molto all’interno del Colorado e, quando Two Feathers era governatore, diceva sempre che avrebbe chiamato la guardia nazionale per ripristinare la legge e l’ordine… Qualche volta lo faceva davvero, iniziava a farti preoccupare. Ma il semplice fatto che Two Feathers stia portando le pitture di guerra, non significa che sia disposto a scendere sul sentiero di guerra.»
«Sta insinuando che il presidente non invierà truppe?»
«No, sto soltanto dicendo che non abbiamo intenzione di andarcene fino a quando queste presunte truppe non si faranno vive. In effetti, forse non ce andremo neppure allora. Non sono sicuro che lei abbia compreso la situazione, visto che lei viene dal Massachusetts e tutto il resto. Ma noi Moderatori abbiamo avuto a che fare con il governatore del Colorado. In effetti, ci deve dei favori.»
«Questa è un’affermazione molto interessante, caporale.»
«Noi nomadi tendiamo a rimanere in posti in cui nessun altro potrebbe sopravvivere. Questo, talvolta, ci rende molto utili. Specialmente visto che il Wyoming è stato in fiamme molto di recente e tutto il resto.»
«Capisco.» Oscar fece una pausa. «Perché mi sta dicendo questo?»
«Be’, signore, mi dispiace infastidire un uomo che non sta bene… Ma, francamente, lei è l’unico a cui posso raccontare queste cose. Lei sembra essere tutto quello che c’è in giro. Voglio dire, abbiamo appena ricevuto una severa paternale dal suo cosiddetto direttore. Quella donna semplicemente non ascolta. Non ha la più pallida idea di come viva la gente! Le stavamo spiegando che adesso siamo noi ad avere in mano tutte le carte e che lei è totalmente alla nostra mercé e così via, ma lei si rifiuta di crederci. Aspetta soltanto che le mie labbra smettano di muoversi, poi si lancia in questo delirio sulla libertà intellettuale e il progresso della conoscenza e solo Cristo sa cos’altro… Quella tizia è davvero strana. È una donna dall’aspetto strano, che agisce in modo strano. Poi abbiamo provato a parlare con il cosiddetto capo della polizia… Ma cos’ha quel tizio?»
«Cosa vuole dire, caporale?»
Burningboy divenne nervoso, ma era deciso a discutere la faccenda. «Non è che io abbia qualcosa contro gli anglo! Voglio dire, sicuramente ci saranno anglo buoni, onesti e rispettosi delle leggi. Ma — lei lo sa — dia un’occhiata alle statistiche! Gli anglo hanno tassi di criminalità alle stelle. E non parliamo della violenza — cavolo, la razza bianca è il gruppo etnico più violento in America. Tutte quelle croci bruciate, le bombe delle milizie, i tizi fissati con le armi da fuoco… Quei poveri bastardi non riescono proprio a darsi una calmata.»
Oscar rifletté su quelle affermazioni. Lo aveva sempre offeso udire i suoi connazionali discutere le bizzarrie della ‘gente bianca’. Molto semplicemente, non esisteva un’entità chiamata ‘gente bianca’. Quello stereotipo era un costrutto artificiale, come la ridicola definizione di ‘ispanico’. In tutto il resto del mondo, un peruviano era un peruviano e un brasiliano un brasiliano — soltanto in America quelle persone venivano accomunate nell’entità plurilinguistica e multinazionale chiamata un ‘ispanico’.» La maggior parte delle volte, Oscar stesso passava per ‘ispanico’, anche se, visto il suo background, sarebbe stato meglio definito con la formula, ‘di origine non umana’.
«Lei deve conoscere a fondo il mio amico Kevin» replicò. «Kevin è il classico diamante grezzo.»
«Okay. Certo. Mi piace un uomo che difende i suoi amici» commentò Burningboy. «Ma questo è il vero motivo per cui siamo qui, Oscar. Tu sei l’unico uomo in questo posto che possa convincerci con le parole a comportarci con buon senso. Lei è l’unico che sappia cosa stia succedendo.»