Oscar si raddrizzò leggermente. «Sì, senatore.»
«Mi fa piacere sentirti» esordì Bambakias. «Mi fa piacere sentire la tua voce. Ti ho inviato alcuni file un po’ di tempo fa, ma non è la stessa cosa, vero?»
«No, signore.»
«Voglio ringraziarti per aver sottoposto alla mia attenzione quella faccenda della Louisiana. Sai, quei nastri che mi hai inviato.» La voce sonora di Bambakias salì di tono, come quando il senatore era sul podio. «Il blocco stradale dell’aeronautica. È incredibile, Oscar. È semplicemente oltraggioso!»
«Davvero, signore?»
«È un vero scandalo! È qualcosa di inconcepibile! Quelli sono cittadini che indossano l’uniforme degli Stati Uniti! Le nostre forze armate!» Bambakias trasse un respiro tremante e la sua voce acquistò un tono ancora più intenso e stentoreo.
«Come possiamo pensare di ottenere la lealtà di quegli uomini e di quelle donne che hanno giurato di difendere il nostro paese, quando li usiamo, cinicamente, come pedine in una meschina, sordida lotta di potere? Li abbiamo letteralmente abbandonati a morire di fame, a morire congelati al buio!»
Fontenot si era avvicinato ai bambini che giocavano sull’altalena. Si era tolto la camicia e il cappello e stava gentilmente aiutando un recalcitrante bambino di tre armi a salire sull’estremità dell’asse. «Senatore, nessuno muore di fame al giorno d’oggi. Ora che il cibo costa così poco, è quasi impossibile. Ed è altrettanto poco probabile che la gente muoia di freddo qui, nel profondo Sud.»
«Stai cambiando argomento. Quella base non ha fondi, la sua esistenza non è più legale. Se si dà retta al comitato di emergenza per il bilancio, quella base dell’aeronautica non esiste addirittura più! I suoi uomini sono stati cancellati dal registro. È bastato il tratto di penna di qualche dannato burocrate a trasformarli in non-persone sul piano politico!»
«Be’, questo è sicuramente vero.»
«Oscar, qui ci troviamo di fronte a una questione molto importante. L’America ha avuto i suoi alti e bassi, nessuno lo nega, ma siamo ancora una grande potenza. Nessuna grande potenza può trattare i suoi soldati in questo modo. Non posso ammettere nessuna circostanza attenuante per un trattamento del genere. È assurdo, è una pura follia. Cosa accadrebbe se un comportamento del genere si diffondesse? Vogliamo forse che l’esercito, la marina e i marines si mettano a estorcere denaro ai cittadini -quelli che ci votano — solo per potersi procurare un po’ di contanti per tirare avanti? Questo è ammutinamento! È un aperto atto di banditismo! Sfiora quasi un vero e proprio tradimento!»
Oscar distolse lo sguardo dai bambini urlanti e accostò la cornetta all’orecchio. Sapeva fin troppo bene che i blocchi stradali erano un evento molto comune. Ogni giorno orde di persone bloccavano le autostrade e le vie in tutti gli USA. I blocchi stradali non erano più considerati ‘estorsioni’, ma una forma, generalmente tollerata, di disobbedienza civile. Costituivano un corrispettivo nel mondo reale dei problemi che da sempre piagavano le autostrade informatiche: ingorghi, spamming e accessi negati. Il fatto che anche l’aeronautica fosse stata coinvolta in un blocco stradale rappresentava semplicemente una variante, per quanto peculiare, di una pratica molto diffusa.
Ma, d’altro canto, la tirata retorica di Bambakias aveva i suoi meriti. Era forte, efficace, chiara, se ne potevano trarre facilmente delle citazioni da dare in pasto ai media. Un po’ troppo idealista, ma molto patriottica. Uno dei grandi vantaggi della politica, considerata come una forma d’arte, era che non doveva limitarsi a una qualsiasi forma di realismo.
«Senatore, c’è molto di buono in quello che dice.»
«Grazie» replicò Bambakias. «Naturalmente, non possiamo fare granché in questo scandalo, parlando da un punto di vista meramente legislativo, dal momento che non sono ancora in carica e che non presterò giuramento fino alla metà di gennaio.»
«No?»
«No. Perciò credo che sia necessario un gesto dimostrativo.»
«Aha.»
«Così potrò manifestare la mia solidarietà verso le deplorevoli condizioni in cui versano i nostri soldati almeno da un punto di vista personale.»
«Sì?»
«Domani mattina terrò una conferenza stampa in rete qui a Cambridge. Lorena e io annunceremo uno sciopero della fame. Fino a quando il Congresso degli Stati Uniti non acconsentirà a nutrire i nostri uomini e le nostre donne in uniforme, anche mia moglie e io digiuneremo.»
«Uno sciopero della fame?» esclamò Oscar. «È una mossa decisamente radicale per un funzionario federale appena eletto.»
«Spero che non ti aspetti che io faccia altri scioperi della fame dopo avere prestato giuramento» ribatté Bambakias in tono ragionevole. Abbassò la voce. «Ascolta, io e Lorena pensiamo che la faccenda sia fattibile. Ne abbiamo parlato in ufficio, a Washington, e nel nostro quartiere generale di Cambridge. Lorena dice che, dopo sei mesi di cene elettorali, siamo ingrassati come maiali. Se questa mossa è in grado di sortire qualche effetto, è meglio agire subito.»
«Ma è» — Oscar scelse con cura le parole — «è davvero consona alla dignità della sua carica?»
«Senti, io non ho mai promesso dignità ai votanti. Ho promesso loro dei risultati. Washington ha perso il controllo della situazione e ogni tentativo che fanno per recuperarlo non fa che peggiorare le cose. Se non strappo l’iniziativa a quei figli di puttana dei comitati di emergenza, allora tanto vale che mi consideri uno di quei fermalibri tanto decorativi. E non è certo per questo che volevo questa carica.»
«Sì, signore» commentò Oscar. «Lo so.»
«In ogni caso, esiste un’alternativa… Se lo sciopero della fame non produce alcun risultato, allora possiamo organizzare un convoglio e condurre una missione di soccorso. Raggiungeremo la Louisiana e provvederemo noi stessi a rifornire la base aerea.»
«Sta parlando di qualcosa di analogo ai nostri raduni preliminari per la campagna elettorale.»
«Sì, ma questa volta agiremo a livello nazionale. Avvertì l’apparato di partito, spargi la voce in rete, organizza i nostri attivisti e radunali in Louisiana. A livello nazionale, Oscar. Squadre di costruzione rapida, volontari della protezione civile, organizzazioni di beneficenza di base, picchetti, marce, copertura giornalistica totale. Insomma, la solita roba.»
«Mi piace» replicò Oscar. «Mi piace un sacco. È un piano assolutamente visionario.»
«Sapevo che avresti apprezzato questo aspetto. Dunque ritieni che si tratti di una minaccia credibile, nel caso lo sciopero fallisca?»
«Oh, sì» rispose prontamente Oscar. «Sicuro. Loro sanno che lei può permettersi di farlo. Naturalmente una gigantesca marcia di protesta è credibile. E una protesta a favore dei militari… sembra un’idea magnifica. Ma io avrei qualche avvertimento da farle, se desidera ascoltarlo.»
«Naturalmente.»
«Iniziare uno sciopero della fame è una mossa molto pericolosa. Gesti tanto clamorosi sono come un bel pezzo di carne cruda: rischiano di attirare un mucchio di squali.»
«Capisco cosa intendi dire, ma non ho paura.»
«Mettiamola così, senatore. Sarebbe meglio se lei e sua moglie moriste davvero di fame.»
«D’accordo» rispose Bambakias. «Si può fare. Abbiamo fatto la fame per anni.»
Come la maggior parte degli organismi del governo americano contemporaneo, il Collaboratorio Nazionale di Buna era diretto da una commissione. La fonte dell’autorità locale era rappresentata da un consiglio di dieci persone, presieduto dal direttore del Collaboratorio, il dottor Arno Felzian. Gli altri membri del consiglio erano i capi delle nove divisioni amministrative del Collaboratorio.
Leggi improntate alla trasparenza stabilivano che le riunioni settimanali del consiglio avessero luogo pubblicamente. L’accezione legale moderna del termine ‘pubblico’ implicava la presenza di telecamere, le cui riprese erano disponibili a un determinato indirizzo di rete. Però, almeno a Buna, la vecchia tradizione delle riunioni pubbliche era ancora viva. Gli scienziati che lavoravano nel Collaboratorio spesso assistevano in carne e ossa alle riunioni del consiglio direttivo, specie quando si aspettavano di vedere qualche membro del personale fatto a pezzi in pubblico.
Oscar aveva deciso di assistere di persona a tutte le riunioni settimanali del consiglio del Collaboratorio. Non aveva alcuna intenzione, però, di presentarsi formalmente o prendere parte agli affari della commissione. Si limitava a partecipare in modo che la sua presenza venisse notata. Per esserne sicuro, portò con sé il suo amministratore di sistema, Bob Argow, e la sua ricercatrice sull’opposizione, Audrey Avizienis.
La sala in cui il consiglio teneva le sue riunioni pubbliche era situata al secondo piano del centro media del Collaboratorio, dall’altro lato di una passerella priva di tettoia che partiva dall’edificio centrale dell’amministrazione. La sala, progettata nel 2030 per le riunioni pubbliche, era una sorta di piccolo anfiteatro dotata di un’acustica decente e di telecamere ben piazzate.
Ma il governo locale del Collaboratorio aveva avuto una storia piuttosto travagliata. Il centro media era stato saccheggiato e parzialmente bruciato all’epoca dei violenti scontri interni divampati nel laboratorio nel 2031. La sala, che aveva subito notevoli danni, era caduta in disuso durante le successive cacce alle streghe federali e gli scandali provocati dalla guerra economica. Le sue condizioni erano leggermente migliorate nel 2037, quando il Collaboratorio era riuscito a risanare le sue finanze perennemente in crisi. Gli appaltatori che avevano eseguito le riparazioni avevano tappezzato le pareti per nascondere le tracce dell’incendio e avevano cercato di abbellire la sala; adesso era diventata una sorta di giungla in miniatura di piante ornamentali.
Il palco del consiglio era perfettamente funzionale, con schermi acustici, illuminazione dall’alto, un tavolo e alcune sedie del tipo standard fornito dal governo federale. Le telecamere automatiche erano pronte a registrare. I membri del consiglio stavano seguendo l’ordine del giorno punto per punto. La questione attualmente discussa era la riparazione dell’impianto idraulico in una delle caffetterie del Collaboratorio. Stava parlando il capo della divisione Contratti e procure; stava leggendo, con aria dolente, un elenco di spese di riparazione da un foglio di lavoro.
«Non riesco a credere che la situazione sia così grave» borbottò Argow.
Oscar regolò rapidamente lo schermo del suo portatile. «Bob, c’è qualcosa che devo farti vedere.»
«È tanto terribile da sembrare assurda.» Argow lo ignorò. «Prima di venire qui, non mi ero mai davvero reso conto dei danni che abbiamo provocato. Mi riferisco alla razza umana, ovviamente. Abbiamo procurato danni irreparabili al nostro pianeta. Se ci pensi sul serio, tutto questo è assolutamente spaventoso. Ti rendi conto di quante specie sono state sterminate negli ultimi cinquant’anni? È una vera catastrofe, di dimensioni epiche.»
Audrey si sporse sulla spalla di Oscar. «Avevi promesso che avresti smesso di bere, Bob.»
«Sono sobrio come un giudice, piccola strega! Mentre tu te ne stavi seduta nel dormitorio con il naso incollato allo schermo, io mi sono fatto un giro per i giardini. Ho visto le giraffe, le marmotte dal pelo dorato. Tutte annientate in un olocausto! Abbiamo avvelenato l’oceano, abbiamo bruciato e raso al suolo le giungle e abbiamo mandato a puttane persino il clima. Il tutto in nome della vita moderna, giusto? E qual è stato il risultato? Otto miliardi di psicotici drogati di media.»
«Be’, di certo tu non sei tra quelli che potrebbero fare la predica» lo rimbeccò Audrey.
Argow sussultò in maniera assolutamente teatrale. «Come no! Rigira pure il coltello nella piaga! Senti, so benissimo che anch’io faccia parte del problema. Ho sprecato la mia vita gestendo reti, mentre intorno a me il pianeta veniva distrutto. E lo stesso hai fatto tu, Audrey. Siamo entrambi colpevoli, ma la differenza è che io adesso riconosco la verità. La verità mi ha colpito profondamente. Mi ha colpito qui.» Argow si batté il petto massiccio.
Il tono di voce brusco di Audrey si ammorbidì. «Be’, io non mi agiterei così, Bob. Non sei tanto bravo nel tuo lavoro da costituire una vera minaccia.»
«Calma, Audrey» intervenne Oscar in tono tranquillo.
Audrey Avizienis era una ricercatrice professionista sull’opposizione. Una volta provocata, le sue capacità critiche erano in grado di sortire effetti letali. «Senti, qui ci siamo venuti tutti e io sto facendo il mio dannato lavoro. Ma questo pagliaccio, con le sue manie da salvatore dell’umanità, è davvero deprimente. Ma cosa crede, che io non sia capace di apprezzare la natura solo perché passo un sacco di tempo a lavorare in rete? Be’, io so un mucchio di cose sugli uccelli, le api, le farfalle, i cavoli e tutto il resto.»
«Quello che so io, invece,» borbottò Argow «è che il pianeta sta andando a rotoli e che noi ce ne stiamo qui, rinchiusi in questo stupido edificio insieme a un branco di burocrati deficienti, a preoccuparci dei problemi delle loro fognature.»
«Bob,» osservò Oscar in tono calmo «dimentichi qualcosa.»
«Cioè?»
«La situazione è orribile come dici tu. Anzi è perfino peggiore, molto peggiore. Ma questo è il più grande centro di biotecnologia del mondo. Questa gente che abbiamo di fronte… be’, sono loro che dirigono questo posto. E adesso anche tu sei in prima linea. Va bene, sei colpevole, ma non quanto lo sarai se non ti dai da fare. Perché noi siamo al potere e tu adesso sei responsabile.»
«Oh» mormorò Argow.
«Dunque cerca di calmarti.» Oscar sollevò di nuovo lo schermo del portatile. «Ora, da’ un’occhiata a questo. Guarda anche tu, Audrey. Voi siete professionisti dei sistemi di rete e io ho bisogno del vostro aiuto.»
Argow studiò lo schermo del portatile di Oscar con i suoi occhi da gufo che luccicavano. Vide una pianura verde e, sullo sfondo, una catena di alti picchi rossastri. «Uhm… sì, ho già visto questa roba prima. Si tratta di un, ehm…»
«È un paesaggio algoritmico» annunciò Audrey con aria assorta. «Una mappa di visualizzazione.»
«Ho appena ricevuto questo programma da Leon Sosik» spiegò Oscar. «È la mappa di simulazione elaborata da Sosik sulle questioni politiche attuali. Queste montagne e queste valli dovrebbero riprodurre gli attuali orientamenti politici. La copertura della stampa, la reazione dei collegi elettorali, il movimento dei fondi delle lobby, dozzine di fattori che Sosik ha inserito nel suo simulatore… ma ora guardate qui. Ecco, sto muovendo questo cursore di ingrandimento… Vedete quella grossa ameba gialla sopra quella macchia rossa? È l’attuale posizione pubblica del neoeletto senatore Alcott Bambakias.»
«Cosa?» chiese Argow scettico. «Sta scendendo la china tanto in fretta?»
«No, adesso non più. Ora la sta risalendo…» Oscar fece doppio clic. «Guardate, questa enorme catena montuosa color kaki rappresenta gli affari militari… Ora riporterò la simulazione indietro di una settimana e poi la farò scorrere di nuovo fino alla conferenza stampa che Bambakias ha tenuto stamattina… Notate il modo in cui il consenso si mantiene più o meno stabile fino al problema e poi, all’improvviso, scatta verso l’alto?»
«Wow!» esclamò Audrey. «Ho sempre amato questo tipo di grafica così vistosa.»
«Robaccia» grugnì Argow. «Il fatto che tu abbia a disposizione un’ingegnosa simulazione non significa che tu sia attualmente connesso alla realtà politica. O a qualsiasi altro tipo di realtà.»
«Okay, va bene, non è reale. Questo lo so, è ovvio. Ma che importa, se funziona?»
«Be’,» rifletté Argow «anche questo non ci aiuta granché. È come un’analisi di mercato. Anche se riesci a elaborare una tecnica che funzioni davvero, la sua utilità ha una durata limitata. Ben presto gli altri cominciano a servirsi dei tuoi stessi strumenti, il tuo vantaggio svanisce e sei di nuovo al punto di partenza. Tranne un particolare. Da quel momento in poi, tutto diventa molto, molto più complicato.»
«Grazie per i tuoi commenti illuminanti, Bob. Cercherò di ricordarmene.» Oscar fece una pausa. «Audrey, perché credi che Leon Sosik mi abbia inviato questo programma?»
«Immagino che abbia apprezzato la rapidità con cui gli hai mandato quel binturong» rispose Audrey.
«Forse credeva che ne saresti rimasto colpito» commentò Argow. «O forse è talmente vecchio e rimbambito che pensa davvero che si tratti di qualcosa di nuovo.»
Oscar sollevò lo sguardo dallo schermo del portatile. Le nove persone sul palco avevano smesso improvvisamente di parlare e lo stavano fissando.
Per un attimo, il direttore del Collaboratorio e i suoi nove funzionari sembrarono vittime di uno strano incantesimo. Sotto l’effetto dei riflettori, somigliavano a un quadro di Rembrandt. Oscar conosceva i nomi di tutti loro — Oscar non dimenticava mai nessun nome — ma, in quel momento, nella sua mente i nove funzionari erano classificati come ‘Supporto amministrativo’, ‘Informatica e comunicazioni’, ‘Contratti e procure’, ‘Servizi finanziari’, Risorse umane’, ‘Genetica informatica’, ‘Strumenti’, ‘Biomedicina’, e, ultimo ma non meno importante, il tizio duro e con i capelli a spazzola del dipartimento, ‘Antinfortunistica e Sicurezza’. Si erano accorti della sua presenza e — Oscar se ne rese improvvisamente conto — avevano tutti paura di lui.
Sapevano che aveva il potere di fare loro del male. Si era infiltrato nella loro torre d’avorio e stava valutando il loro lavoro. Era un perfetto estraneo, non doveva nulla a nessuno e loro erano tutti colpevoli.
Oscar non era mai stato infastidito dagli sguardi degli sconosciuti. Era cresciuto come una celebrità. L’attenzione degli altri esseri umani si limitava a nutrire qualcosa dentro di lui, una sorta di oscura e profonda entità psichica che cresceva e prosperava con quel cibo mentale. Oscar non era crudele per natura, ma sapeva fin troppo bene che, in determinati momenti di quel gioco, era necessario ricorrere ad atti di intimidazione diretti e primitivi. Uno di quei momenti era appena arrivato. Oscar sollevò lo sguardo dallo schermo del portatile e rivolse ai membri del consiglio un’occhiata micidiale. «Io so tutto» sembrò volerli avvertire.
Il direttore sussultò. Consultò frettolosamente la propria agenda e proseguì con la pressante questione del controllo di qualità per l’ufficio adibito al trasferimento della tecnologia.
«Oscar» sussurrò Audrey.
Oscar si sporse verso di lei come per caso. «Sì?»
«Che sta succedendo? Perché Greta Penninger ti sta fissando in quel modo?»
Oscar guardò di nuovo verso il palco. Non si era accorto che ‘Strumenti’ lo stava fissando, ma era proprio così. Tutti gli altri direttori lo avevano fatto, ma Greta Penninger non aveva ancora smesso. Il suo volto pallido e sottile aveva un’aria assente e attenta nello stesso tempo, come una donna che osservi una vespa sul vetro di una finestra.
Oscar fissò a sua volta la dottoressa Greta Penninger con aria seria. I toro occhi si incontrarono. La dottoressa Penninger mordicchiava l’estremità di una matita con aria meditabonda e stringeva il legno giallo tra dita sottili come quelle di un chirurgo o come le zampe dei ragni. Sembrava che stesse guardando attraverso il corpo di Oscar e per cinque miglia oltre. Dopo un lunghissimo istante, la donna infilò la matita nei capelli scuri raccolti a coda di cavallo dietro le orecchie e rivolse di nuovo il suo limpido sguardo al suo grosso blocco di carta per gli appunti.
«Greta Penninger» mormorò Oscar in tono pensieroso.
«Sta morendo di noia» suggerì Argow.
«Lo credi sul serio?»
«Già. Perché lei è una vera scienziata. È famosa. Queste stronzate amministrative la stanno annoiando a morte. Ehi, stanno annoiando a morte anche me, e io nemmeno ci lavoro qui!»
Audrey richiamò velocemente il dossier di Greta Penninger sul suo portatile. «Credo che tu le piaccia.»
«Come mai ne sei convinta?» le chiese Oscar.
«Continua a guardare nella tua direzione e ad attorcigliarsi i capelli con le dita. Credo di averla anche vista leccarsi le labbra, una volta.»
Oscar rise silenziosamente.
«Guarda che non sto scherzando. Non è sposata, e tu sei il ragazzo appena arrivato in città. Perché non dovrebbe essere interessata a te? Io lo sarei.»
Audrey lesse più attentamente il file su Greta Penninger. «Ha solo trentasei anni, sai. Non è poi così brutta.»
«No, è davvero brutta» ribatté Argow con fermezza. «È molto peggio di quanto tu creda.»
«No, potrebbe essere graziosa, se solo si sforzasse di esserlo. Il viso è leggermente asimmetrico ed è chiaro che non va mai dal parrucchiere» notò Audrey con occhio clinico. «Ma è alta e sottile. Potrebbe indossare dei begli abiti. Sicuramente Donna riuscirebbe a valorizzarla al massimo.»
«Non credo che Donna abbia voglia di affrontare questa fatica improba» obiettò Argow.
«Ho già una fidanzata, grazie» tagliò corto Oscar. «Ma, visto che hai ancora il file sullo schermo: di cosa si occupa esattamente la dottoressa Penninger?»
«È una neurologa. Una neurologa che studia il sistema nervoso degli animali. Una volta ha vinto un premio importante per qualcosa chiamato ‘farmacocinetica dei radionuclidi’.»
«Quindi svolge ancora attività di ricerca?» domandò Oscar. «Da quanto tempo fa parte del consiglio direttivo?»
«Adesso controllo» rispose subito Audrey premendo alcuni tasti. «È stata qui a Buna per sei anni… Sei anni di lavoro in questo posto, riesci a immaginarlo? Non c’è da meravigliarsi se sembra così nervosa… Secondo questo dossier, sono quattro mesi che è stata nominata a capo della divisione Strumenti.»
«Allora è davvero annoiata» commentò Oscar. «È il suo lavoro ad annoiarla. Questo è molto, molto interessante. Prendine nota, Audrey.»
«Dici sul serio?»
«Ma certo. E invitiamola a cena.»
Oscar aveva organizzato un’uscita in pullman, un picnic per una parte della sua krew. Serviva a tenere in piedi la pietosa illusione della ‘vacanza’, li teneva lontani per un po’ dall’onnipresente sorveglianza elettronica e, soprattutto, offriva la possibilità di dimenticare per qualche ora il senso di oppressione psichica esercitato dalla cupola del Collaboratorio.
Parcheggiarono il pullman sul ciglio della strada in un parco statale chiamato Big Thicket. Il parco era un’area molto estesa del Texas che, sorprendentemente, era sfuggita al dilagare dell’agricoltura e al processo di antropizzazione. Non sarebbe stato del tutto appropriato definire quel parco una ‘terra incontaminata’, dal momento che i cambiamenti climatici l’avevano notevolmente danneggiata, ma per gente proveniente dal Massachusetts quel caos di dimensioni texane costituiva una piacevole novità.
La giornata era nuvolosa e umida, persino un po’ fredda, ma era piacevole trovarsi di fronte a un vero e proprio clima. Le folate di vento che spazzavano il parco non erano esattamente quella che viene definita ‘aria fresca’ — l’aria del Texas orientale era considerevolmente meno fresca di quella filtrata che si respirava all’interno del Collaboratorio — ma aveva un odore molto intenso, sapeva di un mondo dotato di orizzonti. Inoltre, i gitanti avevano il forno a gas portatile di Fontenot per riscaldarsi. Fontenot l’aveva appena acquistato, usato ma in buone condizioni, dal proprietario di una macelleria cajun a Mamou. Il forno era stato ricavato da un barile di petrolio; era annerito dal calore, funzionava a propano e aveva beccucci di ottone. Aveva l’aria di essere stato costruito da un ubriaco durante il Mardi Gras.
Quel posto, molto lontano dal Collaboratorio, era ideale per parlare in linea e fare qualche telefonata senza essere controllati. Ormai le microspie erano diventate molto economiche: in un’epoca in cui i telefoni cellulari costavano meno di una confezione di birra da sei, i dispositivi di spionaggio costavano quanto una busta di coriandoli. Ma una microspia economica non sarebbe stata in grado di trasmettere dati fino a Buna, a sessanta miglia di distanza. Una microspia molto costosa, d’altra parte, sarebbe stata scoperta dalle apparecchiature, altrettanto costose, di Fontenot. Questo significava che chiunque poteva parlare liberamente.
«Allora, come va con la nuova casa, Jules?»
«Procede, procede» rispose Fontenot in tono soddisfatto. «Dovresti venire a vederla. Potremmo prendere la mia barca nuova di zecca. Ci divertiremmo un mondo.»
«Mi farebbe piacere» mentì Oscar, diplomatico come sempre.
Fontenot sparse il basilico tritato e le cipolle sul suo roux bollito, poi si buttò a pesce sul pasticcio fritto, innaffiandolo con whiskey a profusione. «Qualcuno mi aprirebbe il contenitore del ghiaccio?»
Oscar si alzò dal contenitore e aprì il coperchio isolante. «Cosa ti serve?»
«Quelle astriche.»
«Le cosa?»
«Istriche.»
«Cosa?»
«Vuole dire le ostriche» intervenne Negi Estabrook.
«D’accordo» rispose Oscar. Individuò una busta con i molluschi nel contenitore.
«Adesso bisogna fare bollire l’acqua» Fontenot avvertì Negi con la sua strascicata pronuncia cajun. «Aggiungi un altro po’ di quella salsa piccante.»
«Io so come preparare una zuppa, Jules» replicò Negi in tono piuttosto teso. «Ho una laurea in alimentazione.»
«Ma non una zuppa cajun, ragazza.»
«Quella cajun non è una cucina difficile» ribatté la donna in tono paziente. Negi aveva sessant’anni; Fontenot era l’unico membro della krew che osasse chiamarla ‘ragazza’. «Sostanzialmente la cucina cajun è una cucina rustica francese di antichissima tradizione. Usa molto peperoncino. E lardo. Tonnellate di lardo tutt’altro che salutari.»
Fontenot fece una smorfia. «Avete sentito tutti? Parla così solo per ferire i miei sentimenti.»
Negi rise. «Come se tu ne avessi!»
«Sapete» intervenne Oscar, «mi è venuta una buona idea.»
«Spara pure» lo invitò Fontenot.
«La nostra situazione nel dormitorio all’interno del Collaboratorio è chiaramente insostenibile. E neanche la città di Buna ha la possibilità di ospitarci in maniera decente. Buna non è mai stata una vera e propria città: è fatta di serre, fiorai, piccoli motel scalcinati e di qualche industria leggera in declino. Purtroppo la città non possiede un luogo adatto in cui stabilirci; un posto dove potremmo, per esempio, ricevere una commissione del Senato in visita. Perciò, costruiamocelo noi il nostro albergo.»
Fred Dillen, il lavandaio della krew, che fungeva anche da custode, mise giù la sua birra. «Il nostro albergo?»
«Perché no? Sono due settimane che ci stiamo riposando qui, a Buna. Abbiamo ripreso fiato. È arrivato il momento di riorganizzarci e di lasciare sul serio una traccia tangibile del nostro passaggio. Possiamo creare un albergo. È sicuramente alla portata dei nostri mezzi e delle nostre capacità. Dopo tutto, è sempre stata la nostra tattica migliore per le campagne. Gli altri candidati si dedicherebbero ai raduni, cercherebbero di lavorarsi i media. Ma Alcott Bambakias potrebbe radunare una moltitudine di gente per la campagna, offrendo loro un alloggio permanente.»
«Vuoi dire che dovremmo costruire un albergo per ricavarci un profitto?»
«Be’, prima di tutto per nostra comodità, ma poi, certo, anche per guadagnare qualcosa, è naturale. Potremmo farci inviare i progetti e il software dalla ditta di Bambakias. Siamo sicuramente capaci di costruire la struttura e, soprattutto, siamo perfettamente in grado di gestire un albergo. A pensarci bene, una campagna politica itinerante è fondamentalmente un albergo mobile. Ma, in questo caso, noi resteremo in un unico posto, saranno gli altri a venire da noi. E poi ci pagheranno anche.»
«Cavolo!» commentò Fred. «Che mossa bizzarra, assolutamente insolita…»
«Credo che ce la possiamo fare. Potete tutti continuare a svolgere i ruoli che avete ricoperto durante la campagna. Negi, tu puoi occuparti della cucina. Fred, tu invece ti occuperai della lavanderia e delle camere. Corky gestirà il servizio di accoglienza ospiti e la reception. Rebecca si occuperà della sicurezza fisica e, occasionalmente, fungerà da massaggiatrice. Collaboreremo tutti quanti e, se dovessimo averne bisogno, possiamo assumere a tempo determinato qualcuno del posto. E guadagneremo un po’ di soldi.»
«Quanti?»
«Oh, il segmento superiore del mercato dovrebbe essere generoso. All’interno del Collaboratorio, ho visto appaltatori milionari stipati con ricercatori e laureati. Non è una sistemazione che definirei naturale.»
«Non al giorno d’oggi» ammise Negi.
«È una buona opportunità commerciale. Yosh penserà a raccogliere i nostri fondi. Lana tratterà con le autorità locali e della città di Buna. Gestiremo il tutto tramite una società di Boston, per evitare qualsiasi conflitto di interessi. Quando avremo finito qui, venderemo l’albergo. Nel frattempo, avremo un posto decente in cui vivere e una buona fonte di reddito.»
«Sai,» commentò Ando ‘Corky’ Shoeki, «l’ho visto fare decine di volte. Ho anche partecipato, ma ancora non riesco ad abituarmi all’idea. Voglio dire, al fatto che gruppi di persone del tutto inesperte possano costruire alloggi permanenti.»
«Sono d’accordo, la costruzione distribuita ha ancora un forte impatto. È così che si è arricchito Bambakias, ma quaggiù è ancora una novità. Mi piace l’idea di fare questo lavoro proprio nel Texas orientale. Faremo vedere a questi bifolchi di che stoffa siamo fatti.»
«Sapete,» intervenne Fred lentamente «mi sto sforzando in ogni modo di trovare una ragione valida per non fare quello che dice Oscar, ma davvero non ci riesco.»
«Siete tutti persone intelligenti» li blandì Oscar. «Trovatemi qualche ragione per cui il mio piano non potrebbe essere realizzato.» Rientrò nel pullman, in modo da dar loro la possibilità di discuterne. Se avesse provveduto lui a mostrare loro i pro e i contro della faccenda, li avrebbe solo privati di un divertimento.
Entrato nel pullman, si tolse il cappello. «Allora, Moira,» chiese «come va la cause celebre!»
«Oh, alla grande» rispose Moira, facendo ruotare la sedia. Moira aveva un aspetto molto migliore da quando era iniziato lo sciopero della fame del senatore. Moira viveva a seconda della sua esposizione ai media. «Gli indici positivi dei sondaggi sul senatore sono altissimi. Settanta, settantacinque per cento. Gli altri sono confusi, per lo più si tratta di indecisi.»
«Fenomenale.»
«Mettere in rete i livelli dello zucchero nel sangue di Alcott… be’, quella sì che è stata un’idea brillante. La gente si sta collegando ventiquattrore su ventiquattro soltanto per vedere come muore di fame! E anche Lorena ha molte sostenitrici. Da mercoledì è presente in ben dieci siti di moda. Le persone adorano la sua dieta pane e acqua, non si stancano mai di lei!»
«E che mi dici del nostro problema? I comitati di emergenza hanno già fatto qualcosa di utile per la base aerea?»
«Oh,» rispose Moira «non mi sono proprio mossa in quella direzione… io, uh, ero convinta che se ne sarebbe occupata Audrey.»
Oscar grugnì. «Okay.»
Moira si toccò il mento incipriato con la punta delle dita. «Alcott… è così speciale. L’ho sentito pronunciare tanti discorsi, ma quello che ha fatto con il pigiama d’ospedale e il succo di mela… è durato appena novanta secondi, ma è stato davvero drammatico, un confronto reale, tangibile; oro puro, credimi. All’inizio la copertura sul posto era tutt’altro che massiccia, ma il traffico sulle linee chat e il download è stato incredibile. Alcott va oltre qualsiasi steccato ideologico. Non ha mai avuto sondaggi positivi dai sostenitori del Blocco tradizionale di sinistra, eppure persino loro cominciano a raccogliersi intorno a lui. Sai, se il Wyoming non fosse in fiamme proprio adesso, credo davvero che sarebbe questa la storia politica del giorno. Per questa settimana, almeno.»
«Come si sta sviluppando il caso del Wyoming, a proposito?»
«Oh, la situazione è notevolmente peggiorata. Il presidente è lì.»
«Quello uscente, oppure Two Feathers?»
«Two Feathers naturalmente. A nessuno importa più nulla di quello vecchio, è finito, ormai è soltanto un facile bersaglio. So che Two Feathers non ha ancora prestato giuramento, ma la gente detesta il periodo di transizione post-elettorale. La gente vuole che le cose cambino in fretta.»
«Vero» tagliò corto Oscar. Moira gli stava snocciolando un cumulo di banalità.
«Oscar…» lo sguardo di Moira era una muta supplica. «Dovrei chiedergli di portarmi con sé a Washington?»
Oscar allargò le braccia in silenzio.
«Ha bisogno di me. Avrà bisogno di qualcuno che parli per lui.»
«Non dipende da me, Moira. Devi discuterne con il capo del suo staff.»
«Puoi mettere una buona parola per me con Leon Sosik? Sembra che tu gli piaccia molto.»
«Ne riparleremo» le promise Oscar.
Lo sportello del pullman si spalancò. Norman il Volontario spinse dentro la sua testa arruffata e urlò, «Si mangia!»
«Oh, fantastico!» esclamò Moira, alzandosi immediatamente. «Questi strani piatti cajun a base di pesce sono buoni buoni buoni!»
Oscar si rimise giacca e cappello e la seguì all’esterno del pullman. Con gesti eleganti, Fontenot stava distribuendo enormi cucchiaiate di roba scura galleggiante. Oscar si mise in fila. Prese una ciotola di carta colorata e un cucchiaio biodegradabile.
Oscar fissò il gumbo caldo e oleoso e pensò tristemente a Bambakias. La squadra addetta alle pubbliche relazioni di Cambridge aveva certamente svolto un lavoro eccellente nel tenere sotto controllo il senatore a digiuno: pressione del sangue, battiti del cuore, temperatura, consumo calorico, borborigmi, produzione di bile — non c’era alcun dubbio che il suo digiuno fosse autentico. L’intero corpo di Bambakias era divenuto di dominio pubblico. Ogni volta che Bambakias beveva un sorso del suo succo di mela da sciopero della fame, una foresta di monitor tremolava e palpitava per tutto il paese.
Oscar seguì gli altri fino a un tavolino da picnic e si sedette accanto a Negi. Esaminò il suo cucchiaio colmo. Aveva seriamente preso in considerazione l’ipotesi di non mangiare quella sera. Aveva pensato che si sarebbe trattato di un gesto molto dignitoso. Bene, lasciamo che sia qualcun altro a compierlo.
«Angioplastica in una ciotola» commentò Negi al colmo della beatitudine.
Oscar sorseggiò dal suo cucchiaio. «Varrebbe la pena di morire per un gumbo del genere» annuì.
«Sono così vecchia» si lamentò Negi, soffiando sul cucchiaio. «In passato, quando avevo tatuaggi e piercing, le persone davano fuori di matto se tu mangiavi roba grassa e ti ubriacavi. Naturalmente, questo accadeva prima che venisse scoperta la terribile verità sull’avvelenamento da pseudo-estrogeni.»
«Be’,» commentò Oscar in tono amichevole, «almeno quei tremendi disastri causati dai pesticidi ci hanno liberato da tutte quelle diete e quegli esercizi senza senso.»
«Passami il pane, Norman» ordinò Rebecca. «Questo è vero burro? Un vero tubetto di burro tradizionale? Wow!»
Un aereo leggero volò sopra le loro teste. Il suo piccolo motore scoppiettava energicamente, come unghie che picchiettassero su una pelle di tamburo. L’aereo sembrava terribilmente fragile. Con le sue superfici di volo bizzarre e disegnate al computer, somigliava a un giocattolo di carta per bambini; era come se fosse stato fabbricato con forbici seghettate, bastoncini da gelato e adesivo. Sulle punte delle ali erano fissati nastri simili a piume e lunghe code di aquiloni sbrindellate. Sembrava che volasse grazie alla sola forza di volontà.
Poco dopo apparvero altri tre aerei simili, iniziando a compiere manovre spericolate proprio sopra le cime degli alberi. Volavano come esche che tentino di fare abboccare una trota. I piloti erano provvisti di guanti e occhialoni, e avevano sagome massicce; erano tanto imbacuccati nei loro indumenti imbottiti da somigliare a balle di tela umane.
Uno di essi si staccò dalla formazione, planò come una foglia cadente e ruotò dolcemente intorno al pullman posteggiato sul ciglio della strada. Fu come se una palla di fieno stesse loro ronzando intorno. Tutti i partecipanti al picnic sollevarono lo sguardo dal cibo e salutarono educatamente il pilota agitando il braccio. Il pilota restituì il saluto, finse di mangiare, imitandoli con un gesto della mano coperta dal guanto, poi virò verso est.
«Nomadi dell’aria» commentò Fontenot, socchiudendo gli occhi.
«Si stanno dirigendo verso est» notò Oscar.
«Green Huey usa il pugno di ferro nei confronti delle associazioni per il tempo libero.» Fontenot depose la sua ciotola, si alzò con aria decisa ed entrò nel pullman per dare un’occhiata alle sue macchine. Aveva la tipica espressione seria di quando lavorava.
La krew di Oscar riprese a mangiare, adesso in silenzio e con determinazione. Nessuno provò il bisogno di dire ad alta voce quello che sapevano tutti: presto sarebbero arrivati molti più nomadi.
Fontenot riemerse dal pullman, dove aveva analizzato i rapporti sul traffico stradale. «È probabile che tra non molto saremo costretti ad andare via» annunciò. «I Regolatori si sono riuniti nella riserva di Alabama-Coushatta e ora stanno procedendo in questa direzione. Questi prolet del posto sono tutt’altro che remissivi.»
«Be’, anche noi siamo stranieri qui non te lo dimenticare» ribatté Negi. La donna aveva vissuto per strada, ai vecchi tempi in cui i senzatetto non disponevano di cellulari e computer portatili.
Dieci minuti dopo arrivarono due scout nomadi su un sidecar. Indossavano abiti invernali: kilt, poncho a strisce ed enormi mantelli di stoffa ruvida meravigliosamente ricamati con vecchi marchi di multinazionali del ventesimo secolo. La loro pelle luccicava per effetto di uno spesso strato di grasso isolante, che serviva a proteggerli dal vento. Calzavano stivaletti che arrivavano a metà polpaccio, realizzati in una sostanza che, per aspetto e lucentezza, ricordava molto il vinile.
Gli scout si fermarono, scesero e cominciarono a camminare. Erano silenziosi e avevano un contegno orgoglioso; con sé avevano delle videocamere cellulari. Quello che aveva guidato la moto stava masticando una grossa barretta di cibo artificiale verde, simile a erba alfalfa compressa.
Oscar fece loro cenno di avvicinarsi. In effetti era chiaro che quei nomadi non erano i leggendari Regolatori, ma vagabondi texani, molto meno avanzati nei loro costumi peculiari rispetto ai prolet della Louisiana. Parlavano solo spagnolo. Lo spagnolo che Oscar aveva appreso durante la sua infanzia era alquanto arrugginito e Donna Nunez non era nei dintorni; Rebecca Pataki, però, aveva un’infarinatura di quella lingua.
I nomadi si complimentarono gentilmente con loro per il pullman e offrirono delle barrette vegetali. Oscar e Rebecca rifiutarono educatamente e offrirono a loro volta del gumbo all’ostrica. I nomadi trangugiarono con cautela gli avanzi dello stufato caldo, profondendosi in complimenti per il suo sapore. Non appena i grassi animali cominciarono a circolare nelle loro arterie, divennero meno sospettosi. Indagarono, cercando di non dare nell’occhio, sulla disponibilità di metallo da riciclare: per caso non avevano chiodi, ferro, rame? Corky Shoeki, che era il maggiordomo del campo e l’esperto di riciclaggio, regalò loro qualche scatoletta vuota che si trovava nel pullman.
Oscar osservò con preoccupazione i computer dei nomadi. Non usavano tastiere standard: avevano eliminato la disposizione QWERTY, adottandone un’altra maggiormente efficiente. Quei relitti umani non digitavano neppure come persone normali. Il che, stranamente, irritò Oscar molto più del fatto che quei nomadi fossero dei fuorilegge messicani.
Muovendosi come se avessero avuto a disposizione tutto il tempo del mondo — e in effetti era proprio così — i due uomini se ne andarono. Il traffico sull’autostrada era improvvisamente diminuito. La gente aveva subodorato l’imminente spostamento dell’orda dei Regolatori e stava già evitando le strade. Passarono due auto della polizia con le luci intermittenti accese, ma non le sirene. Le tribù nomadi non avevano paura della polizia locale. Erano troppo numerose perché le si potesse arrestare con tranquillità e, in ogni caso, i prolet avevano la loro polizia.
Comparve l’avanguardia del convoglio dei Regolatori. Camion e pullman di plastica che procedevano a una velocità di circa trenta miglia orarie, centellinando il consumo di benzina e cercando di ridurre al minimo il logorio dei loro motori. Poi giunse il nucleo centrale dell’orda, la base tecnica dei nomadi. Camion con pianale e autobotti carichi di tutto l’equipaggiamento necessario per la coltivazione: mietitrici, frantoi, saldatori, rulli, vasche di fermentazione, tubi e valvole. I nomadi si nutrivano delle erbacce raccolte ai bordi delle strade e di lievito manipolato geneticamente. Le donne indossavano gonne, scialli e veli, si vedevano frotte di bambini, i loro corpi sottili e scattanti erano coperti da abiti patchwork cuciti a mano e perline multicolori.
Oscar era ipnotizzato dallo spettacolo. Non si trattava di emarginati morti di fame del Nord-Est, gente che tirava avanti con cibo economico e l’aiuto dell’assistenza pubblica. Quelle erano persone che si erano radunate in un’orda e avevano deciso di uscire ‘fuori’. Erano stanchi di un sistema che non offriva loro niente e così ne avevano inventato uno a loro misura.
La krew fece pulizia nel posto in cui si era svolto il picnic. Fontenot si rimise al lavoro, cercando una strada per tornare al Collaboratorio che consentisse loro di evitare l’orda in movimento. Fontenot li avrebbe scortati fin lì, rimorchiando il forno cajun ammaccato con il suo fuoristrada elettrico. Nel caso fossero stati bloccati da un’orda di Regolatori, sarebbero stati abbastanza al sicuro, chiusi nel guscio metallico del loro pullman. Anche se la situazione era piuttosto improbabile, si sarebbero mescolati all’orda.
All’improvviso il telefono di Oscar squillò. «Oh, no, Oscar» ironizzò Rebecca. «Di nuovo quel tuo telefono.»
«Stavo aspettando questa chiamata» replicò Oscar. «Scusatemi.» Andò sul retro del pullman, mentre gli altri continuavano a fare i bagagli.
Era la sua fidanzata, Clare, di nuovo a Boston. «Come stai, Oscar?»
«Bene. Tutto sommato, le cose quaggiù stanno andando benone. La situazione è molto interessante. Come va la vita lì, alla fattoria? Mi manchi.»
«La tua casa è a posto» rispose Clara. Troppo in fretta.
Nella calma di Oscar si aprì una sottilissima crepa. Non ti agitare, pensò. Non saltare subito alle conclusioni. Non è una come le altre, è Clare. Si tratta di Clare, ce la puoi fare.
Oscar desiderò affrontare direttamente il problema. No, sarebbe molto stupido. Giraci intorno. Lascia che sia lei ad aprirsi per prima. Cerca di essere brillante, usa tutto il tuo fascino. Conversa piacevolmente. Trova un argomento neutro. Ma, in quel momento, non sarebbe riuscito a trovarne uno neppure se fosse stata in gioco la sua vita.
«Abbiamo fatto un picnic» disse infine.
«Sembra bello. Mi sarebbe piaciuto partecipare.»
«Anche a me avrebbe fatto piacere» ribatté Oscar, poi ebbe un’ispirazione improvvisa. «Che ne dici? Puoi venire quaggiù? Abbiamo dei progetti, sono certo che ti interesserebbero.»
«Non posso venire in Texas adesso.»
«Hai sentito della situazione della base aerea in Louisiana, vero? Il senatore sta facendo lo sciopero della fame. Qui ho delle ottime fonti. È una storia piena di sostanza, potresti prendere un aereo e raggiungermi, potresti occuparti del punto di vista dei locali.»
«Penso che il tuo amico Sosik abbia già imbastito tutta la storia» rispose Clare. «Io non mi occupo più della situazione politica di Boston.»
«Cosa?» Oscar era stordito. «Perché no?»
«La rete mi ha assegnato un altro incarico. Vogliono che vada in Olanda.»
«In Olanda? E tu cosa hai risposto?»
«Oscar, io sono una giornalista politica. Come potrei non andare a L’Aia? È la guerra fredda, è la più grande occasione della mia carriera.»
«D’accordo, ma quanto tempo durerà il tuo incarico oltreoceano?»
«Be’, questo dipende da come me la caverò.»
Il cervello di Oscar cominciò a ronzare. «Questo lo capisco. Naturalmente cercherai di fare del tuo meglio. Però… la situazione diplomatica… gli olandesi sono così pronti alla provocazione. Sono dei veri estremisti.»
«Ma certo che sono estremisti, Oscar. Il loro paese sta affondando. Anche noi saremmo degli estremisti, se la maggior parte dell’America fosse sommersa sotto il livello del mare. Adesso gli olandesi hanno tutto da perdere, sono proprio con le spalle al muro. È per questo che sono così interessanti.»
«Tu non parli olandese, però.»
«Lì parlano tutti inglese, sai.»
«Gli olandesi sono radicali militanti. Sono pericolosi. Fanno delle richieste assurde agli americani, ce l’hanno sul serio con noi.»
«Io sono un reporter, Oscar. Non posso spaventarmi con tanta facilità.»
«Quindi hai davvero intenzione di partire» concluse Oscar in tono triste. «Stai per lasciarmi, vero?»
«Non voglio metterla su questo piano…»
Oscar fissò con sguardo assente il retro del pullman. All’improvviso, ebbe l’impressione che il suo involucro assolutamente liscio fosse qualcosa di orribile, di alieno. Lo aveva strappato alla sua casa, alla camera da letto in cui dormiva la sua donna. Il pullman lo aveva rapito. Gli volse le spalle e iniziò a camminare con il telefono, procedendo alla cieca, verso gli intricati boschi del Texas. «No» rispose. «Lo so. È il nostro lavoro. Sono le nostre carriere. E io sono stato il primo. Ho accettato un lavoro impegnativo e ti ho lasciata. Non è così? Ti ho lasciato sola e sono ancora via. Sono molto lontano e non so quando tornerò.»
«Be’,» replicò Clare «l’hai detto tu, non io. Ma questa è la pura verità.»
«E così non posso incolparti di nulla. Se lo facessi, sarei un ipocrita, non ti pare? Entrambi sapevamo che poteva accadere una cosa del genere. Il nostro non è mai stato un legame ufficiale.»
«Già.»
«È stata una relazione.»
«A me piaceva.»
«È stata bella, no? È stata molto bella, fin quando è durata.»
Clare sospirò. «No, Oscar, non posso permetterti di parlare così. Non dire queste cose, non sarebbe giusto. È stata più che bella. È stata grandiosa, una storia ideale. Voglio dire, per me tu sei stato una fonte fantastica di informazioni. Non hai mai cercato di rifilarmi informazioni manipolate e hai mentito di rado, soltanto quando era strettamente necessario. Mi hai permesso di vivere in casa tua. Mi hai presentato a tutti i tuoi amici ricchi e influenti. Mi hai aiutato nella mia carriera. Non hai mai alzato la voce con me. Sei stato un vero gentiluomo. Tu sei un uomo brillante, il fidanzato ideale.»
«Sei così dolce.» Oscar sentiva che stava per avere un’emorragia.
«Mi dispiace davvero di non essere mai stata capace di… sai… superare quella faccenda del tuo problema personale.»
«Non preoccuparti,» la rassicurò Oscar con una certa amarezza, «ci sono abituato.»
«Sai, è… è una di quelle tragedie permanenti. Capisci, come per me il fatto di appartenere a una minoranza.»
Oscar sospirò. «Clare, io non credo che qualcuno ce l’abbia davvero con te perché sei un’anglosassone di razza bianca.»
«Ti sbagli, la vita è dura per chi fa parte di una minoranza razziale. È così. Ecco, tu più di chiunque altro dovresti capire cosa vuol dire. So che non si può fare nulla per il modo in cui si è nati, però… be’, questa è una delle ragioni per cui voglio accettare l’incarico in Olanda. Molti bianchi sono fuggiti dall’America in Europa… La mia famiglia è lì, sai? Le mie radici sono lì. Credo che questo potrebbe aiutarmi, in qualche modo.»
Oscar non riusciva più a respirare.
«Tesoro, mi sento un verme, ho l’impressione di averti deluso.»
«No, è meglio così» la tranquillizzò Oscar. «Fa molto male, ma sarebbe stato sicuramente più doloroso trascinare la cosa fingendo. Lasciamoci da amici.»
«Potrei tornare, sai. Non devi essere così frettoloso. Non devi fare subito testa o croce. Perché si tratta di me, della tua amica Clare, capisci? Non è una decisione di management.»
«No, diamoci un taglio netto» replicò Oscar in tono fermo. «È meglio per noi. Per entrambi.»
«Va bene. Se sei sicuro, credo di poterti capire. Arrivederci, Oscar.»
«È finita, Clare. Arrivederci.» Oscar interruppe la comunicazione, poi scagliò il telefono tra gli alberi.
«Non funziona mai nulla!» gridò rivolto verso il cielo grigio, in cui si alzavano nubi di polvere rossastre. «Non riesco mai a far funzionare niente!»