Sei

Greta arrivò dopo mezzanotte, in un taxi privo di autista.

Oscar controllò lo schermo video della porta. Aveva iniziato a soffiare un vento proveniente da nord-est, uno dei tanti regali dall’effetto serra, e grossi fiocchi di neve turbinavano nei coni di luce proiettati dai lampioni stradali. Un robot della polizia di pattuglia saettò dietro la testa di Greta come una rondine di cuoio nero. Oscar socchiuse la porta blindata, sbirciando all’esterno con un sorriso allegro.

Greta entrò in casa con il volto rannuvolato. Oscar rinunciò subito all’idea di abbracciarla. «Non hai avuto problemi ad arrivare qui, vero?»

«A Boston? Cielo, certo che no.» Si tolse il cappello e lo scosse, spazzando via la neve dalla tesa.

«Prima c’è stato un piccolo problema in strada.» Oscar fece una pausa piena di tatto. «Nulla di troppo grave. Raccontami come è andata la conferenza.»

«Sono uscita con Bellotti e Hawkins. Hanno tentato di farmi sbronzare.» Sia pure in ritardo, Oscar si accorse che Greta era decisamente ubriaca. Era davvero partita. Le tolse il cappotto come un infermiere che rimuove una benda. Greta si era vestita con eleganza: gonna di lana che le arrivava alle caviglie, scarpe comode e una camicetta di cotone verde.

Oscar appese il cappello e il cappotto spiegazzato all’interno della nicchia all’ingresso. «Bellotti e Hawkins sarebbero quei signori che studiano le fibrille» commentò.

L’espressione accigliata di Greta svanì. «Be’, la conferenza è stata molto interessante, ma la serata è andata male. Bellotti continuava a pagare da bere per tutti e Hawkins cercava di farmi rivelare i risultati delle mie ricerche. A me non dà fastidio discutere sui risultati prima della loro pubblicazione, ma quei tizi non si comportano con correttezza. Non sono disposti a rivelare i loro risultati più importanti.» Le sue labbra si atteggiarono in una smorfia di disprezzo. «Sai, potrebbero avere un potenziale commerciale.»

«Capisco.»

«Si sono venduti all’industria. Tengono la bocca chiusa, sono nervosi, conoscono tutti i trucchi più sporchi. Sono senza speranza.»

Oscar la guidò attraverso il salotto e accese le luci della cucina. Nell’improvvisa luce soffusa, il viso di Greta sembrò di un pallore cereo. Aveva il rossetto sbavato, i capelli scuri in disordine, ma il particolare peggiore erano le sopracciglia non sfoltite. Greta esaminò con attenzione le sedie con la base a stelo, il tavolo cromato, il bancone con il ripiano piastrellato, i risonatori incorporati. «La tua cucina è davvero curiosa» commentò in tono meditabondo. «È così… pulita. La si potrebbe usare come laboratorio.»

«Grazie.»

Greta si sedette con la tipica cautela degli ubriachi nel guscio di plastica bianca di una sedia a tulipano di Saarinen.

«Hai perfettamente ragione a lamentarti» affermò Oscar. «Sei circondata da sfruttatori e imbecilli.»

«Non sono imbecilli, sono persone molto brillanti. È solo che… Ecco, io non faccio ricerche per conto delle industrie. La scienza non c’entra nulla con i soldi. La ricerca scientifica di base serve… capisci, si suppone che serva a…» fece un gesto di irritazione. «Cosa diavolo era?»

«Al bene pubblico?» suggerì Oscar in tono soave.

«Sì, esatto! Il bene pubblico! Immagino che per te si tratti di una convinzione molto ingenua. Ma io so soltanto una cosa: non penso a far lievitare il mio conto in banca mentre i contribuenti pagano le mie ricerche.»

Oscar cercò tra le mensole luccicanti di una credenza di Kuramata. «Un caffè ti aiuterebbe? Ne ho un po’ di solubile.»

L’espressione accigliata riapparve sul volto di Greta, facendole aggrottare le sopracciglia come se fossero tatuate. «Non è possibile fare vera ricerca scientifica e poi giocare agli uomini d’affari nei fine settimana. Se si lavora seriamente, non esistono fine settimana.»

«Questo è un fine settimana, Greta.»

«Oh.» Greta lo fissò con un misto di sorpresa e dispiacere provocati dall’alcool. «Be’, io non posso rimanere con te per l’intero fine settimana. Domani mattina, alle nove, c’è un seminario molto interessante. ‘Domini citoplasmatici’.»

«Immagino che sia un seminario a cui non puoi assolutamente mancare.»

«In tutti i casi, stasera sono qui. Beviamo qualcosa insieme.» Aprì la borsetta. «Oh, no, ho dimenticato il gin. È nella mia borsa da viaggio.» Ammiccò. «Oh, Dio, Oscar, ho dimenticato la mia borsa da viaggio! L’ho lasciata in albergo…»

«Hai dimenticato anche che io non bevo» le ricordò Oscar.

Greta si strinse la testa tra le mani.

«Non preoccuparti» la consolò Oscar. «Dimenticati del lavoro per un minuto. Sai che ho una krew; possiamo fornirti tutto quello di cui hai bisogno.»

Seduta al tavolo della cucina, Greta era in preda allo sconforto. «Lascia che ti mostri la casa» si offrì Oscar in tono allegro. «Vedrai, sarà divertente.»

La condusse in salotto, arredato con un tavolo da caffè ellittico di Piet Heim, sedie in acciaio e legno di betulla, e un divano gonfiabile di vinile.

«Vedo che ti piace l’arte moderna» commentò Greta.

«Quello è il mio Kandinskij del 1923, Composizione VIII.» Oscar sfiorò la cornice, raddrizzandola leggermente. «Non so proprio perché venga ancora chiamata ‘arte moderna’ quando ormai ha 120 anni.»

Greta osservò con attenzione la tela illuminata, rivolse un’occhiata meditabonda a Oscar, poi esaminò di nuovo il dipinto. «Invece io mi chiedo perché chiamano ‘arte’ questa roba. Si tratta soltanto di una tremenda confusione di figure geometriche e di macchie.»

«So che a te dà questa impressione, ma è perché tu non hai gusto.» Oscar represse un sospiro. «Kandinskij conosceva tutte le krew artistiche più importanti dei periodo: il gruppo Blaue Reiter, i surrealisti, i suprematisti, i futuristi… Kandinskij era famoso.»

«Ti è costato molto?» Era chiaro che Greta sperava che non fosse così.

«No, l’ho acquistato per pochi spiccioli a una svendita del Guggenheim. Attualmente tutte le opere concepite tra il 1914 e il 1989 — sai, il periodo comunista, il nucleo del ventesimo secolo — sono assolutamente fuori moda. Adesso Kandinskij è esattamente l’opposto dell’arte moderna, ma, sai, io lo trovo assolutamente rilevante. Vassilij Kandinskij mi dice davvero qualcosa. Sai… se Kandinskij fosse ancora vivo, penso davvero che avrebbe potuto capire la nostra situazione.»

Greta scosse la testa con aria stordita. «’Arte moderna’… Ma come hanno fatto a non farsi beccare? A me dà l’impressione di un tremendo bluff.» Improvvisamente starnutì. «Mi dispiace. Sai, le mie allergie.»

«Vieni con me.»

La condusse nel suo centro mediatico. Era particolarmente fiero di quella stanza. Era una sala da guerra politica moderna, arredata nello stile di un determinato periodo storico. Sedie in alluminio erano impilate una sull’altra accanto a una parete, c’erano unità di memorizzazione modulari, una miriade di schermi piatti, scaffalature danesi, un portavivande pieno di ampolle, cestini dei rifiuti in plastica chiara Kartell, eleganti lampade italiane… Niente fronzoli, niente decorazioni. Tutto era essenziale, molto efficiente, elegante.

«Mi piace!» esclamò Greta. «Potrei lavorare in un posto come questo.»

«Sono lieto di sentirtelo dire. Spero che ne avrai la possibilità.»

Greta sorrise. «Perché no? Mi piace qui. Questo posto somiglia molto a te.»

Oscar rimase profondamente toccato da quelle parole. «Sei molto dolce, ma devo essere onesto… Non sono stato io a disegnare gli interni. Voglio dire, ovviamente quel quadro di Kandinskij l’ho scelto io, ma dopo avere venduto la mia società appena avviata, ho comprato questa casa e ho contattato un arredatore professionista… Allora ci tenevo molto a questa casa. Abbiamo lavorato su questo posto per mesi. Giovanna è stata molto brava, abbiamo girato per tutti i mercatini d’antiquariato…»

«Giovanna» ripeté Greta. «Che bel nome. Deve essere stata una donna molto raffinata.»

«Lo era, ma non ha funzionato.»

Greta improvvisamente fissò con attenzione petulante i faretti e la pila di sedie luccicanti. «E poi c’è stata quell’altra donna… la giornalista. A lei questa stanza deve essere piaciuta moltissimo.»

«Clare viveva qui! Questa era casa sua.»

«Adesso è in Olanda, vero?»

«Sì, è andata via. Anche quella storia non ha funzionato.»

«E come mai le tue storie non funzionano mai, Oscar?»

«Non lo so» ammise lui, poi infilò le mani in tasca. «È una buona domanda, vero?»

«Be’,» replicò Greta «forse lo è, e forse non avrei dovuto fartela.»

«No, Greta, mi piace quando sei ubriaca e decisa a litigare.»

Oscar incrociò le braccia. «Adesso permettimi di parlarti con franchezza, va bene? Vedi, io sono il prodotto di circostanze inusuali. Sono cresciuto in un ambiente molto particolare: la casa di sogno di Logan Valparaiso. Una classica villa hollywoodiana. Campi da tennis. Palme. Monogrammi dappertutto, pelle di zebra e maniglie d’oro. Un grande campo da gioco per gli amici di Logan, tutti questi milionari maquiladora e re della droga dell’America latina. Mio padre aveva il gusto peggiore del mondo. Io volevo che questo posto fosse diverso.»

«E che cos’ha di diverso?»

«Nulla» replicò Oscar in tono amaro. «Volevo che la mia casa fosse genuina. Ma questo posto non è mai stato reale. Perché non ho famiglia. Qui dentro non ha mai vissuto nessuno che mi amasse abbastanza da voler restare. In effetti, anch’io vi ho vissuto di rado. Sono sempre in giro. Dunque questo posto è una finzione, un guscio vuoto. Ho fatto del mio meglio, ma è stata soltanto una fantasia malvagia, è stato un fallimento completo.» Scrollò le spalle. «Dunque, benvenuta a casa.»

Greta sembrava molto colpita. «Senti, io non ho detto nulla del genere.»

«Be’, ma era quello che stavi pensando.»

Greta scosse la testa. «Tu non sai a cosa penso.»

«Sono d’accordo, ma so cosa provi.»

«Non sai neppure questo.»

«Oh, sì che lo so, ma certo che lo so. Lo so dal modo in cui parli, in cui muovi le mani. Me ne accorgo dal modo in cui osservi le cose.» Sorrise. «Perché sono un politico.»

Greta portò una mano alla bocca.

Poi, senza preavviso, lo abbracciò e gli stampò un bacio umido sul labbro superiore. Oscar le cinse il busto snello con le braccia. Greta si sentì magnetica, ipnotica, assolutamente irresistibile.

Si abbandonò all’abbraccio di Oscar e rise.

Oscar la spinse verso il divano. Caddero su di esso con un lieve rimbalzo e un cigolio. Lui affondò il volto nel punto in cui il collo di Greta si univa alla spalla.

Greta fece scivolare la sua mano sottile sotto il colletto aperto della camicia di Oscar. Lui le sfiorò la mascella. Quelle meravigliose cavità sotto i lobi delle orecchie; l’assoluta unicità dei tendini del suo collo.

Le loro labbra si staccarono con un leggero rumore umidiccio. Greta si ritrasse di un centimetro. «Mi piace essere gelosa» affermò. «È una sensazione nuova per me.»

«Potrei spiegare tutto.»

«No, non spiegare nulla. Scommetto che i vestiti di Clare sono ancora nell’armadio della tua camera da letto.» Scoppiò in una risata. «Dai, fammeli vedere.»

Una volta saliti al piano superiore, Greta iniziò a ruotare a su se stessa, rischiando di colpire Oscar con la borsetta e barcollando leggermente. «Ehi, ma questa stanza è fantastica! Soltanto i tuoi armadi sono più grandi della stanza che ho nel dormitorio.»

Oscar si tolse la scarpe, poi si sfilò le calze, prima una, poi l’altra. Iniziò ad armeggiare con i polsini. Perché ci metteva sempre un’eternità a spogliarsi? Perché i vestiti non potevano semplicemente svanire, in modo che le persone potessero darci subito dentro? Nei film, i vestiti svanivano sempre.

«Queste pareti sono davvero foderate di pelle scamosciata bianca? Hai una carta da parati in pelle!»

Oscar si guardò intorno. «Hai bisogno di aiuto per svestirti?»

«No, non preoccuparti. Non c’è bisogno che mi strappi i vestiti.»

Sei infiniti minuti dopo, Oscar giaceva ansimando in un nido di lenzuola. Greta andò in bagno, i capelli in disordine e le scapole arrossate. Oscar la sentì aprire il rubinetto del bidet, poi ogni altro rubinetto nella stanza — quello della doccia, della vasca, quelli dei due lavandini, uno bianco e l’altro nero. Greta stava sperimentando tutto l’equipaggiamento del luogo. Oscar rimase a letto, respirando profondamente e sentendosi stranamente soddisfatto, come un bambino piccolo ma brillante che si era servito di un bastone per rubare una caramella da sotto la porta.

Greta uscì dal bagno dopo avere fatto la doccia, con i capelli neri che le scendevano dritti e gocciolanti, gli occhi luminosi come quelli di un furetto. Entrò nel letto e lo abbracciò, bagnata, con i piedi freddi, profumata di shampoo costoso. Lo tenne stretto e non disse nulla. Oscar si addormentò profondamente, come se fosse caduto in un pozzo.

Si svegliò più tardi, con la testa confusa e ronzante. Greta era in piedi davanti a una delle antine dell’armadio aperta, studiando il proprio corpo nello specchio a figura intera. Indossava soltanto le mutandine e un paio di calze di Oscar, che aveva infilato, alla rovescia, sui piedi piccoli e stretti.

Sollevò un vestito davanti a sé e ne studiò l’effetto. Oscar riconobbe improvvisamente il vestito. Aveva regalato a Clare quel prendisole perché in giallo aveva un’aria adorabile. Ancora stordito, si ricordò che Clare odiava quel vestito. Clare lo aveva sempre odiato. A Clare non piaceva neppure il giallo.

«Ma cos’è stato tutto quel rumore?» gracchiò.

«Qualche altro idiota si era messo a bussare freneticamente alla porta» rispose Greta. Fece cadere il vestito sul pavimento, su una pila di un’altra mezza dozzina di indumenti. «I poliziotti lo hanno arrestato.» Prese un abito da sera con i lustrini. «Torna a dormire.»

Oscar si girò nel letto, sprimacciò ben bene il cuscino, tentò di addormentarsi e non ci riuscì. Gli si schiarì la testa e la osservò attraverso gli occhi socchiusi. Erano le quattro e mezzo del mattino.

«Non hai sonno?» le chiese.

Greta colse l’occhiata di Oscar dallo specchio, sorpresa di vederlo ancora sveglio. Spense la luce dell’armadio, attraversò la stanza in silenzio, nell’oscurità, entrò a letto.

«Cosa hai fatto per tutto questo tempo?» mormorò lui.

«Ho esplorato la tua casa.»

«E hai fatto qualche grande scoperta?»

«Sì, ho scoperto cosa significa essere la ragazza di un uomo ricco.» Sospirò. «Non mi meraviglia che le persone si mettano in fila per fare questo lavoro.»

Oscar rise. «E che ne dici della mia situazione? Sono l’uomo-oggetto di una vincitrice del premio Nobel.»

«Ti ho osservato mentre dormivi» rivelò Greta in tono pensoso. «Avevi un’aria così dolce.»

«E come mai?»

«Quando dormi, non hai un programma di lavoro.»

«Be’, adesso ce l’ho.» Poggiò una mano sul fianco ossuto di Greta e lo strinse. «Ho un programma che mi occupa al cento per cento. Cambierò la tua vita. Ti trasformerò. Ti darò il potere.»

Greta si rigirò tra le lenzuola. «E come accadrà questo bizzarro miracolo da nulla?»

«Domani ti farò conoscere il mio caro amico, il senatore Bambakias.»


Yosh Pelicanos, il maggiordomo e factotum di Oscar, fece arrivare una consegna a domicilio alle otto del mattino. Yosh non era uomo da lasciarsi scoraggiare dal piccolo fatto di trovarsi a centinaia di miglia di distanza. Aveva una tastiera e un elenco delle necessità di Oscar e così la mano elettronica dell’economia di rete consegnò quattro scatole di articoli molto costosi sulla soglia della sua casa.

Oscar montò il nuovo filtro dell’aria nell’angolo colazione, risolvendo il problema delle allergie di Greta. Le allergie erano molto diffuse tra i ricercatori del Collaboratorio; l’aria filtrata era così pura che non riusciva a sollecitare a sufficienza i sistemi immunitari delle persone, che di conseguenza diventavano iper-attivi.

Poi Oscar si legò un grembiule sul pigiama e si mise al lavoro in cucina, con risultati eccellenti. Oscar e Greta divorarono il salmone affumicato, i panini e i pasticcini, innaffiando il tutto con succo di frutta e caffè. Quando ebbero placato la fame, piluccarono i toast triangolari di pane di segala e il caviale di ciclottero.

Oscar fissò con amore Greta dal lato opposto del massiccio centrotavola. Le cose stavano andando così bene! Lui credeva fermamente nelle colazioni Le colazioni del giorno dopo erano molto più intime e colme di emozioni di qualsiasi cenetta romantica. Aveva fatto colazioni terribili: colazioni tese, piene di vergogna, di timori inespressi o di cortesia stiracchiata fino al limite massimo; ma la colazione con Greta era un segnale di successo. Avvolta in un accappatoio di spugna di un bianco immacolato e seduta comodamente sulla sedia di Saarinen, somigliava a un cigno in piena muta.

Greta spalmò del caviale nero sul toast, poi si leccò la punta del dito. «Finirò per perdere quella conferenza sul citoplasma.»

«Non preoccuparti. Ti ho comprato i nastri dell’intera conferenza. Te li spediranno per l’ora di pranzo. Potrai saltare le parti più noiose in sala media.»

«Nessuno va alle conferenze per guardare dei nastri. Le cose più importanti succedono nei corridoi o durante le presentazioni. Devo tornare lì. Devo conferire con i miei colleghi.»

«No, Greta, oggi hai una cosa più importante da fare: devi venire a Cambridge con me a parlare con un senatore degli Stati Uniti. Donna arriverà da un momento all’altro; è andata a fare compere e ti darà una bella sistemata.»

«Chi è Donna?»

«Donna Nunez fa parte della mia krew. È una consulente per l’immagine.»

«Pensavo che avessi lasciato la tua krew in Texas, nel laboratorio.»

«No, ho portato Donna con me. E poi sono in contatto costante con la mia krew. Non sono stati abbandonati, laggiù sono molto impegnati: stanno preparando il terreno. E per quanto riguarda Donna, ha dedicato molto tempo a questo progetto. Sarai in buone mani.»

Greta poggiò il toast nel piatto con aria decisa. «Be’, io non faccio cose del genere. Non ho tempo per il look.»

«Ma Rita Levi Montalcini lo ha trovato.»

Greta socchiuse gli occhi. «Ma tu cosa ne sai di lei?»

«Una volta mi hai detto che questa donna era molto importante per te. E così ho messo al lavoro i miei ricercatori su di lei. Adesso sono un esperto sul tuo modello, la dottoressa Rita. So che ha vinto un premio Nobel, che era una neuroscienziata e che era una ricercatrice molto importante per il suo paese. Ma la dottoressa Rita sapeva come ricoprire il proprio ruolo. Era sempre vestita con eleganza impeccabile.»

«Non si fa ricerca scientifica vestendosi con eleganza.»

«No, ma vestendosi con eleganza si dirige la ricerca scientifica.»

«Ma io non voglio fare nulla del genere! Io non voglio dirigere nessuna maledetta cosa! Io voglio soltanto lavorare nel mio laboratorio! Perché non riesci a ficcartelo in testa? Se solo tu mi lasciassi fare le cose che so fare meglio, non avrei dovuto occuparmi di tutte queste sciocchezze!»

Oscar sorrise. «Scommetto che sarebbe stato meraviglioso. Ma adesso possiamo parlare da adulti?»

Greta emise uno sbuffo ironico.

«Non pensare che io sia frivolo. Sei tu che sei frivola. Tu sei una celebrità nazionale. Non sei una laureata senza il becco di un quattrino che può nascondersi nella sua provetta gigante. Rita Levi Montalcini indossava camici di laboratorio fatti su misura, andava dal parrucchiere e calzava scarpe vere. E così farai tu. Rilassati e mangia il tuo caviale.»

La porta emise un trillo. Oscar si forbì delicatamente le labbra con il tovagliolo, sistemò la vestaglia e calzò le pantofole.

Donna era arrivata, portandosi dietro una montagna di bagagli e un set di valige per vestiti. In un secondo taxi aveva portato due manicure di Boston in vestiti invernali. Le tre donne stavano conversando animatamente con un giovane anglo. Oscar riconobbe l’uomo. Non sapeva come si chiamasse, ma riconosceva la faccia, il bastone e le scarpe ortopediche. Lo sconosciuto era un tizio che abitava nel quartiere, un vicino di casa.

Oscar aprì la porta. «Meno male che siete arrivate! Benvenute. Potete portare tutto su, nella stanza dei preparativi. Vi manderemo la vostra cliente immediatamente.»

Donna accompagnò di sopra le due ragazze chiacchierando allegramente in spanglish. Oscar affrontò l’uomo con il bastone. «Posso esserle utile, signore?»

«Sì. Mi chiamo Kevin Hamilton e sono l’amministratore del condominio subito dopo casa sua.»

«Sì, signor Hamilton?»

«Mi chiedevo se potessimo scambiare due parole, su tutti quei tizi che si sono fatti vivi tentando di ucciderla.»

«Capisco. La prego, entri.» Oscar chiuse accuratamente la porta alle spalle del suo nuovo ospite. «Parliamone nel mio ufficio.» Fece una pausa, notando il bastone di Hamilton e le goffe scarpe ortopediche. «Non importa, possiamo parlarne anche qui.»

Condusse lo zoppicante Hamilton in salotto. Greta comparve improvvisamente, a piedi nudi e in accappatoio.

«Allora, dove vuoi che vada?» chiese in tono rassegnato.

Oscar indicò. «Di sopra, prima porta a sinistra.»

Hamilton accennò un saluto galante con il bastone.

«Salve» replicò Greta, poi iniziò a salire le scale come se stesse venendo condotta al patibolo.

Oscar fece entrare Hamilton nella sala dei media e tolse la prima sedia di alluminio dalla pila per farlo accomodare. Hamilton si sedette con evidente sollievo.

«Una bambola niente male» commentò.

Oscar ignorò quel commento e andò a sedersi nella seconda sedia.

«Questa mattina non l’avrei disturbata,» spiegò Hamilton «ma di solito in questo quartiere non assistiamo a molti tentativi di omicidio.»

«No.»

«Ieri, io stesso ho ricevuto un messaggio di posta elettronica che mi esortava a ucciderla.»

«Ma davvero! Non mi dica.»

Hamilton si grattò i capelli castani; aveva un ciuffo ribelle e una riga dritta come un fulmine. «Sa, io e lei non ci siamo mai incontrati prima, ma l’ho vista in giro molte volte; entrava e usciva di casa a tutte le ore, con varie ragazze. E così, quando questo messaggio di posta elettronica automatico mi ha comunicato che era un pornografo pedofilo, ho subito immaginato che doveva trattarsi di una bugia colossale.»

«Penso di riuscire a seguire il suo ragionamento» replicò Oscar. «La prego, vada avanti.»

«Be’, allora sono andato a ritroso, ho trovato un server in Finlandia, mi sono introdotto di soppiatto, ho seguito il percorso del messaggio fino in Turchia… Stavo giusto scaricando i file di registro del server turco quando ho sentito alcuni spari provenire dalla strada. Naturalmente ho controllato i video di sorveglianza, ho analizzato tutti i movimenti sulla TV a circuito chiuso del quartiere… Era già molto tardi. Ma ormai era davvero irritato. E così ho passato tutta la notte alla tastiera.» Hamilton sospirò. «E, be’, le ho risolto il problema.»

Oscar lo fissò con stupore. «Lei ‘mi ha risolto il problema?’»

«Be’, non sono riuscito a localizzare il programma, ma ho trovato le sue fonti di informazioni. Riceve tutti i suoi aggiornamenti da un service in Louisiana. E così l’ho ingannato. Ho informato il programma che l’avrei uccisa. Poi ho creato un falso comunicato stampa che annunciava la sua morte, ho falsificato i titoli e l’ho inserito in rete. Il programma mi inviato un bel biglietto di ringraziamento. Questo dovrebbe avere risolto il suo problema. Quel programma è stupido come un mulo.»

Oscar rifletté sul racconto di Hamilton. «Posso offrirle qualcosa, Kevin? Un succo di frutta? Magari un caffè espresso?»

«In effetti, sono stanchissimo. Penso che adesso andrò via. Volevo soltanto essere il primo a darle la notizia.»

«Be’, lei mi ha davvero dato una bella notizia. Una notizia eccellente. Lei mi ha fatto un grosso favore.»

«Ah, ma non è nulla» si schermì Kevin. «Qualsiasi buon vicino avrebbe fatto la stessa cosa. Se fosse un buon programmatore, cioè. Il che non capita molto spesso, di questi tempi.»

«Mi perdoni se glielo chiedo, ma come mai lei possiede queste capacità di programmazione?»

Hamilton si carezzò il mento con l’impugnatura del bastone. «A dire il vero, ho imparato tutto da mio padre. Era un eccellente programmatore, prima che i cinesi mandassero in malora l’economia informatica.»

«Lei è un programmatore professionista, Kevin?»

«Sta scherzando? Non esistono più programmatori professionisti. Quegli incapaci che al giorno d’oggi si definiscono amministratori di sistema non sono assolutamente dei programmatori! Si limitano a scaricare programmi già pronti da un sito pirata e a usarli.»

Oscar annuì in segno di incoraggiamento.

Hamilton fece ondeggiare il bastone. «Sono dieci anni che l’informatica non fa più progressi! Non c’è più il potenziale commerciale a spingerla. Gli europei hanno standardizzato i protocolli di rete e i cinesi piratano immancabilmente qualsiasi software venga messa in commercio… E così gli unici che programmano sul serio sono pochi strambi scienziati informatici e i nomadi: loro hanno molto tempo libero. E, sa, qualche pirata informatico anglo.» Hamilton sbadigliò. «Però, come può vedere, io ho un mucchio di problemi con i miei piedi. E così la programmazione mi aiuta a passare il tempo. Una volta capito come programmare, si tratta di un lavoro molto interessante.»

«È sicuro che non c’è nulla che possa fare per aiutarla? Mi sento in debito con lei.»

«Be’, sì, una cosa c’è. Io sono il presidente della ronda di quartiere, dunque è probabile che mi tempestino di chiamate per quella sparatoria. Sarebbe davvero bello se, più tardi, potesse fare un salto da me e aiutarmi a rassicurare gli inquilini del palazzo.»

«Sarò felice di aiutarla.»

«Allora siamo d’accordo.» Hamilton si alzò con una smorfia di stoica sopportazione.

«Mi permetta di accompagnarla alla porta, signore.»

Quando Hamilton fu andato via con la sua andatura zoppicante, Oscar trasferì immediatamente il contenuto del suo portatile nel sistema casalingo e iniziò a lavorare subito. Inviò un messaggio a Audrey Avizienis e Bob Argow in Texas, chiedendo loro di eseguire subito una ricerca sul suo vicino. Non che non si fidasse di Kevin Hamilton — Oscar era fiero del suo atteggiamento assolutamente privo di pregiudizi nei confronti degli anglo — ma una notizia del genere sembrava troppo bella per essere vera.


Alle 11:15, Oscar e Greta presero un taxi per recarsi nel quartiere generale di Bambakias a Cambridge. «Vuoi sapere una cosa?» chiese Greta. «Questo vestito non è così stretto come sembra. Anzi, è molto comodo.»

«Donna è una vera professionista.»

«E mi va anche a pennello. Ma come è possibile?»

«Oh, qualsiasi scanner di sorveglianza intelligente può calcolare le misure di una persona. In un primo momento, si trattava di un applicazione per lo spionaggio militare, ma è dovuto passare soltanto un po’ di tempo prima che iniziasse a venire utilizzato nel mondo dell’alta moda.»

Passarono il Longfellow Bridge, che attraversava il fiume Charles. La neve del giorno prima si era quasi trasformata in fanghiglia sulle pareti inclinate delle dighe erette contro l’effetto serra. Greta osservò dal finestrino del taxi i lontani edifici dello Science Park. Le due estetiste assunte da Donna le avevano sfoltito le sopracciglia. Adesso le sopracciglia sottili e arcuate conferivano al volto affilato di Greta un’espressione di incredibile potenza intellettuale. I capelli avevano acquistato una vera forma, una sorta di lucentezza che intimidiva. Greta irradiava competenza. Aveva davvero l’aspetto di una persona importante.

«Qui a Boston le cose sono diverse» commentò Greta. «Perché?»

«Politica» rispose Oscar. «Boston è governata da persone ultraricche. E i ricchi di Boston pensano bene — questa è la differenza. Hanno orgoglio civico. Sono dei veri patrizi.»

«E tu vuoi che l’intero paese diventi così? Strade pulite e sorveglianza totale?»

«Io voglio soltanto che il mio paese funzioni. Io voglio un sistema che funzioni. Ecco tutto.»

«Anche se è elitario e avvolto nel cellofan?»

«Tu non puoi proprio criticare, Greta. Tu vivi nella comunità chiusa suprema. È perfino a tenuta stagna.»

Gli uffici di Alcott Bambakias erano situati in un edificio di cinque piani nelle vicinanze di Inman Square. Un tempo quell’edificio era stato una fabbrica di dolciumi, poi era diventato un club portoghese; attualmente apparteneva alla società di costruzione e design internazionale di Bambakias.

Uscirono dal taxi ed entrarono nell’edificio. Oscar appese il cappello e il cappotto a un attaccapanni che somigliava allo scolabottiglie di Duchamp. Attesero l’autorizzazione a entrare nella reception al pianoterra, che sfoggiava sei modellini in scala di eleganti grattacieli cinesi. La Cina era l’ultima nazione ancora in grado di costruire svettanti grattacieli e Bambakias era uno dei pochi architetti americani in grado di disegnare grattacieli in stile cinese. Bambakias aveva avuto molto successo in quel mercato. Godeva di una reputazione altrettanto solida anche in Europa, molto prima di diventare famoso, sia pure a fatica, in America. Aveva costruito eleganti stadi in Italia, robusti complessi di dighe in Germania, un habitat per un gruppo di ecologisti svizzeri fanatici della sopravvivenza… Aveva perfino ricevuto alcune commissioni da parte degli olandesi, prima che scoppiasse la seconda guerra fredda.

Leon Sosik arrivò per accompagnarli dal senatore. Sosik era un uomo corpulento sulla sessantina, con le spalle di un pugile, bretelle rosse e una cravatta di seta. Sosik indossava raramente un cappello, poiché sfoggiava orgogliosamente un folto manto di capelli — un caso di calvizie curata con successo. Squadrò Oscar dall’alto in basso. «Come vanno i tuoi trucchi, Oscar?»

«I trucchi vanno benissimo. Permettimi di presentarti la dottoressa Greta Penninger. Dottoressa-Penninger, questo è Leon Sosik, il capo dello staff del senatore.»

«Abbiamo sentito molto parlare di lei, dottoressa» affermò Sosik, stringendo gentilmente le dita di Greta, smaltate e limate da poco. «Avrei preferito conoscerla in circostanze migliori.»

«Come sta il senatore?» chiese Oscar.

«Al è stato meglio» rispose Sosik. «Ha preso male tutta questa faccenda, molto male.»

«Sì, ma sta mangiando, vero?»

«Non tanto che qualcuno se ne accorga.»

Oscar si allarmò. «Senti, hai annunciato che stava mangiando. Adesso lo sciopero della fame è finito. Alcott dovrebbe stare divorando carne di cavallo cruda. E allora perché diavolo non sta mangiando?»

«Dice che gli fa male lo stomaco. Dice… Be’, dice un mucchio di cose. Devo avvertirti di non prendere come oro colato tutto quello che Al dice in questo momento.» Sosik si lasciò sfuggire un profondo sospiro. «Ma forse tu riuscirai a farlo ragionare. Sua moglie sostiene che in questo sei bravissimo.» Sosik infilò distrattamente una mano nella tasca dei pantaloni. «Dottoressa Penninger, le dispiace se controllo che non abbia microspie su di sé? Di solito è il nostro addetto alla sicurezza a occuparsene, ma è ancora a Washington.»

«Non c’è problema» rispose Greta.

Sosik mosse la mano nell’aria intorno a Greta come un vescovo stanco che spruzzasse acqua benedetta. Lo scanner non rilevò nulla di particolare.

«Controlla anche me» intervenne Oscar. «Insisto.»

«È una cosa infernale» commentò Sosik, eseguendo il rituale. «Abbiamo tenuto Al sotto controllo per settimane. Il suo sistema nervoso è sotto controllo, oltre al suo flusso sanguigno, il suo stomaco, il suo colon. Ha fatto esami MRI e PET pubblici, ha bevuto succo di mela con dentro traccianti radioattivi — l’interno della sua carcassa è diventato un maledetto circo pubblico. E quando finalmente lo stacchiamo dai sensori, lui decide di andare fuori di testa.»

«Lo sciopero della fame ha ottenuto una copertura stampa eccezionale, Leon. Questo te lo concedo.»

Sosik mise a posto lo scanner. «Certo, ma cos’è questa storia di quello stronzo giù in Louisiana? Come diavolo ha fatto questa faccenda a finire nella nostra agenda politica? Al è un architetto! Avremmo dovuto limitarci alle questioni che riguardano i lavori pubblici e le cose sarebbero andate benone.»

«Sei stato tu a lasciarti convincere a portare avanti questa faccenda» gli ricordò Oscar.

«Sapevo che si trattava di un’idea assurda! È solo che… Be’, per Al aveva senso. Al è il tipo di uomo che può fare questo tipo di cose.»

Sosik li fece entrare in un ascensore di vetro e plastica. Bambakias aveva eliminato il quinto piano dell’edificio, creando al suo posto un cavernoso hangar in stile contemporaneo con tubi dell’acqua esposti, condotti d’aria e cavi d’ascensore, tutti dipinti con grande gusto in sfumature arancioni, turchesi, pesca e blu di Prussia.

All’interno di quegli uffici vivevano trentacinque persone: la krew professionale di Bambakias. Era sia una residenza comune, sia un centro di design. Sosik li condusse oltre sedie d’ufficio ergonomiche, teche da esposizione in kevlar e pile di mattoni di costruzione che vibravano. All’esterno faceva freddo e spruzzi di vapore tiepido riscaldavano le membrane a bolla sotto i loro piedi.

Un ufficio d’angolo era stato attrezzato come una combinazione tra una sala media e un centro medico. Adesso le apparecchiature mediche erano state spente e disposte in fila lungo la parete, ma gli schermi video erano accesi e silenziosi; sintonizzati su varie trasmissioni, ammiccavano metodicamente.

Il senatore era sdraiato, nudo e a faccia in giù, su un lettino ospedaliero snodabile, con un asciugamano che gli copriva il posteriore. Un massaggiatore della krew stava lavorando sul collo e sulle spalle.

Oscar rimase scioccato. Aveva saputo che lo sciopero della fame quasi totale, durato ventotto giorni, aveva fatto perdere a Bambakias molto peso, ma non si era reso conto dell’effetto che aveva sulla carne umana. Bambakias sembrava invecchiato di dieci anni. Ballava nella sua pelle, come se si trattasse di una tuta.

«È bello vederti, Oscar» lo salutò Bambakias.

«Posso presentarle la dottoressa Penninger?» replicò Oscar.

«Non un altro dottore» gemette il senatore.

«La dottoressa è una ricercatrice scientifica federale.»

«Oh, ma certo.» Bambakias si rizzò a sedere sul letto, aggiustandosi distrattamente l’asciugamano. La sua mano era divenuta quasi scheletrica. «Va bene così, Jackson… Porta ai miei amici un paio di… cos’abbiamo? Porta loro un po’ di succo di mela.»

«Non ci dispiacerebbe un buon pranzo» replicò Oscar. «Ho promesso alla dottoressa Penninger di farle assaggiare un po’ della tua zuppa di pesce di Boston.»

Bambakias ammiccò, gli occhi infossati, le orbite sbiancate. «Di recente il mio cuoco non ha avuto molte occasioni di fare pratica.»

«Vuoi dire che non sa più fare la zuppa speciale?» lo rimproverò scherzosamente Oscar. «Ma come è possibile? Per caso è morto?»

Bambakias sospirò. «Jackson, provvedi affinché il mio grasso direttore di campagna riceva un po’ di maledetta zuppa di pesce.» Bambakias abbassò lo sguardo verso le proprie mani rinsecchite, studiò il loro tremore con totale disinteresse. «Di cosa stavamo parlando?»

«La dottoressa Penninger e io siamo venuti qui per discutere sulla politica scientifica.»

«Ma certo. Allora mi vestirò.» Bambakias si alzò barcollando sui suoi piedi ossuti e uscì dalla stanza, scomparendo dietro un paravento shoji scorrevole. Lo udirono chiamare con voce fievole il suo consulente per l’immagine.

Una tenda pieghettata si sollevò verso l’alto come una palpebra, rivelando un lucido fascio di luce invernale che filtrava attraverso le vetrate. L’ufficio d’angolo era un piccolo miracolo di aria e di luce; perfino mezzo vuoto, dava l’impressione di essere uno spazio completo, pieno.

Un piccolo robot peloso entrò nell’ufficio reggendo un paio di pacchetti di plastica tra le sue braccia tubolari. Poggiò i pacchetti sulla moquette e andò via.

I pacchetti si contorsero e si sollevarono, con una sommessa sinfonia interna di scricchiolii e di cigolii. Aste e cavi geodesici lampeggiarono come vettori grafici sotto la tappezzeria traslucida. Improvvisamente i pacchetti divennero un paio di sedie con i braccioli.

Greta aprì la sua nuova borsetta in stile executive e portò un fazzoletto al naso. «Sapete, qui dentro c’è un’aria davvero buona.»

Bambakias tornò, indossando una maglietta e pantaloni di seta grigia, seguito come un’ombra da una giovane donna che portava le scarpe, la camicia e le bretelle. «Dov’è il mio cappello?» domandò in tono querulo Bambakias. «Dov’è il mio mantello?»

«Queste sedie sono molto interessanti» commentò Greta. «Me ne parli.»

«Oh, sono stato io a progettare queste sedie, ma non hanno mai avuto successo» rispose Bambakias, infilando un braccio scheletrico nella manica della camicia. «Non so perché, ma le persone non si fidano abbastanza dei computer per sedervici sopra.»

«Io mi fido dei computer» gli assicurò Greta, poi si sedette. I perni e i cavi interni si adattarono al suo peso, in un rapido crescendo di schiocchi secchi di corde di chitarra. Greta rimase comodamente seduta a mezz’aria, una regina su un trono tensile di aste e di ragnatele intelligenti. Oscar ammirava le strutture tensili come chiunque altro, ma si sedette sulla seconda sedia con molto meno brio.

«Un architetto diventa famoso per gli edifici che costruisce» spiegò Bambakias. «I suoi fallimenti… be’, su quelli si può fare crescere l’edera. Ma i mobili bizzarri che non hanno successo bisogna nasconderli in ufficio.»

Un gruppo silenzioso di appartenenti alla krew tolse il tavolo da massaggio e lo sostituì con un letto d’ospedale. Il senatore si sedette sul bordo del letto, sollevando i suoi grandi e magri piedi nudi come un gigantesco uccello marino.

«Entrando ho notato un altro set di queste sedie» affermò Greta. «Ma erano solide.»

«Non ‘solide’. Rigide. Sono state spruzzate con una vernice particolare.»

«Meglio sottrarre che aggiungere» commentò Greta.

Una scintilla di interesse brillò nel volto cascante del senatore mentre la ragazza lo aiutava a infilare le scarpe e le calze. «Come ha detto di chiamarsi?»

«Greta» rispose lei in tono gentile.

«E cos’è, una psichiatra?»

«Ci è andato molto vicino. Sono una neuroscienziata.»

«È vero. Me lo aveva già detto.»

Greta si girò e rivolse a Oscar un’occhiata colma di comprensione e di pietà. Da quando aveva cambiato look, le espressioni di Greta avevano una chiarezza nuova e sorprendente — la sua fuggevole occhiata si conficcò nel cuore di Oscar come un arpione.

Oscar si protese in avanti sulla sedia di ronzanti corde di pianoforte e intrecciò le mani. «Alcott, Lorena mi ha detto che lei è un po’ irritato dagli sviluppi della situazione.»

«Irritato?» ripeté Bambakias, sollevando il mento quando la ragazza gli annodò l’ascot. «Non direi ‘irritato’. Direi ‘realistico’.»

«Be’… il realismo è una questione di opinioni.»

«Ho scatenato una crisi statale e federale. Quattrocentododici milioni di dollari di equipaggiamento militare sono stati saccheggiati da banditi anarchici e sono svaniti nelle paludi. È il peggior evento di questo tipo dall’attacco a Fort Sumter nel 1861; cosa c’è da essere irritati?»

«Ma, Al, questa non è mai stata la sua intenzione. Nessuno può darle la colpa di questi sviluppi.»

«Ma io ero lì» insistette Bambakias. «Io ero con quella gente. Sì… ho parlato con tutti loro, ho dato loro la mia parola d’onore… Ho i nastri che lo dimostrano! Guardiamo le prove un’altra volta. Dovremmo vederle insieme. Dov’è il mio amministratore di sistema? Dov’è Edgar?»

«Edgar è a Washington» rispose in tono tranquillo la ragazza che lo stava vestendo.

Il volto scavato del senatore assunse un’espressione seccata. «Ma allora devo proprio fare tutto da solo?»

«Ho seguito lo svolgimento dell’assedio» affermò Oscar. «Mi sono tenuto aggiornato sugli sviluppi.»

«Ma io ero lì!» insistette Bambakias. «Avrei potuto essere d’aiuto. Avrei potuto costruire delle barricate. Avrei potuto portare dei generatori… Ma quando il gas li ha colpiti, hanno perso la testa. È stato allora che mi sono reso conto che non era un gioco. No, noi eravamo semplicemente impazziti.»

L’ufficio piombò in un silenzio malaugurante.

«Il senatore ha passato molto tempo in rete con quella gente dell’aeronautica» spiegò loro la ragazza in tono mite. «In pratica era quasi come se fosse lì con loro.» Improvvisamente i suoi occhi si riempirono di lacrime. «Vado a trovare il suo cappello» annunciò, poi andò via a capo chino.

Arrivò un carrello per il pranzo, apparecchiato per due. Era arrivata la zuppa di pesce.

Oscar avvicinò la sedia, leggera come una piuma, e spiegò ostentatamente un tovagliolo di lino. «Questa non è una sconfitta, Al. È solo una scaramuccia. C’è ancora molto spazio sul vecchio tabellone del go. Un mandato del Senato dura sei anni.»

«Sai che vantaggio per quei poveri ragazzi! Adesso sono nei campi di prigionia! Riesci a credere che il nostro governo sia così crudele? Hanno lasciato i nostri soldati nelle mani dell’uomo che li ha gassati!» Bambakias agitò una mano in direzione dello schermo tremolante alle sue spalle. «Ho visto in che modo Huey ha manipolato l’avvenimento, come se fosse stato lui a salvarli. Quel figlio di puttana agli occhi dell’opinione pubblica è diventato il loro salvatore!»

«Be’, si è trattato di un incidente molto brutto, ma almeno non ci sono state vittime. Adesso possiamo andare avanti. Domani è un altro giorno.» Oscar immerse il cucchiaio luccicante nella zuppa di pesce, la inghiottì con ostentazione. Come al solito, era superba.

«Un attimo» disse rivolto a Greta, che non aveva fatto alcuna mossa per mangiare. «C’è qualcosa che non va.» Si irrigidì leggermente sulla sedia. «Ma cosa è successo al suo chef, Alcott? Per caso ci ha rifilato della zuppa in scatola?»

Bambakias si accigliò. «Cosa?»

«Questa non è la sua zuppa speciale.»

«Ma certo che lo è. Deve esserlo per forza.»

«La provi» insistette Oscar.

Greta annuì; si trattò di un gesto tutt’altro che necessario: il senatore aveva allungato una mano dal letto e si era già impadronito del suo cucchiaio. Assaggiò la zuppa.

«Ha un retrogusto metallico» affermò Oscar, facendo una smorfia.

Bambakias ne inghiottì altre due cucchiaiate. «Assurdo!» ringhiò. «È deliziosa come sempre.»

I due mangiarono rapidamente, in un silenzio febbrile. «Andrò a trovarmi un’altra sedia» mormorò Greta. Si alzò e lasciò la stanza.

Bambakias si sedette nella sedia lasciata libera da Greta e masticò una mezza manciata di cracker al gusto di ostrica. La ragazza che lo aiutava a vestirsi tornò di nuovo e posò lì vicino il cappello e il mantello del senatore. Bambakias la ignorò, piegandosi sulla ciotola con uno sforzo penoso. Le mani erano scosse da un forte tremito; riusciva a stento a stringere il cucchiaio.

«Adesso avrei proprio voglia di un frullato» annunciò Oscar. «Sa, come quelli che bevevamo durante la campagna.»

«Una buona idea» commentò Bambakias in tono distratto. Sollevò il mento, fece un gesto con due dita e parlò rivolto apparentemente all’aria. «Vince, due frullati maxi come quelli della campagna elettorale.»

«Sosik le ha mostrato gli ultimi sondaggi, Al? Da questo episodio lei ha ricavato molto più di quel che pensa.»

«No, è qui che voi due vi sbagliate di grosso. Ho rovinato tutto. Ho provocato una grave crisi prima ancora di avere prestato giuramento. E adesso che sono uno sporco criminale come tutti gli altri, non avrò altra scelta — dovrò giocare come piace a loro. E quello del Senato è un gioco da imbecilli.»

«Perché dice questo?» replicò Oscar.

Bambakias deglutì faticosamente e sollevò un dito ossuto. «In questo paese esistono sedici partiti politici. È impossibile governare con una cultura politica tanto frammentaria. E i partiti sono soltanto l’interfaccia grafica del vero caos che c’è sotto. Il nostro sistema educativo è crollato. Il nostro sistema sanitario è caduto tanto in basso che esistono gruppi per la condivisione degli organi. Viviamo in uno stato di emergenza permanente.»

«Non mi sta dicendo nulla di nuovo» lo rimproverò in tono gentile Oscar. Si protese in avanti e fissò con espressione invidiosa la ciotola di zuppa di Bambakias. «Sta per finirla?»

Bambakias si piegò sulla ciotola con lo sguardo affamato di un lupo.

«Okay, non c’è problema.» Oscar alzò la voce per rivolgersi ai microfoni nascosti. «Vincent, sbrigati con quei frullati! Portaci dell’altra zuppa. E dei panini.»

«Non voglio nessun dannato panino» borbottò Bambakias. Gli lacrimavano gli occhi e aveva il volto arrossato. «Le nostre disparità di ricchezza sono folli» bofonchiò quasi affondando il volto nella zuppa. «Abbiamo una valuta non convertibile e un’economia a pezzi. Abbiamo subito tremendi disastri ecologici. Siamo pieni di sostanze tossiche inquinanti. Il tasso di natalità è in continua diminuzione, quello di mortalità in netto aumento. La situazione è grave, molto grave; non abbiamo più speranze, per noi è finita.»

«Vincent, portaci qualcosa di davvero nutriente. E in fretta. Portaci del teriyaki. Portaci del dim sum.»

«Ma cosa stai dicendo?» chiese Bambakias.

«Alcott, lei mi ha messo davvero in imbarazzo. Ho promesso alla dottoressa Penninger che qui avrebbe trovato del cibo eccellente, ma ha appena mangiato il suo pranzo!»

Incredulo, Bambakias fissò i resti della zuppa. «Oh, mio Dio…»

«Alcott, lasci che me ne occupi io. Il minimo che lei possa fare è sedere qui con noi e assicurarsi che la sua ospite venga nutrita a dovere.»

«Dio, quanto mi dispiace!» gemette Bambakias. «Dio, mi sono sbagliato su tutto. Pensaci tu, Oscar! Pensaci tu.»

Arrivarono due frullati in calici di vetro con le basi coperte di brina. Li portò lo chef in persona, su un vassoio orlato di sughero. Rivolse a Oscar un’occhiata di confusa gratitudine e si affrettò a uscire dall’ufficio.

Il sottile pomo di Adamo di Bambakias andò su e giù metodicamente. «Lascia che ti dica qualcosa di davvero orribile» proseguì, pulendosi la bocca sulla manica della camicia. «Tutta questa faccenda è stato un tragico errore sin dal primo giorno. Il comitato di emergenza non aveva alcuna intenzione di chiudere la base aerea. Il loro software per la gestione e il bilancio era difettoso. Nessuno si è mai preoccupato di controllarlo, perché tutto quello che fanno quegli stupidi bastardi è un’emergenza ufficiale! E così, quando l’errore è stato scoperto, tutti hanno presunto che fosse stato commesso deliberatamente — perché era un modo molto scaltro e subdolo di rompere le uova nel paniere a Huey. Morivano dalla voglia di fare una cosa del genere, perché Huey è l’unico politico in America che sa quel che vuole e agisce per ottenerlo. Ma quando ho cercato il genio occulto che aveva tirato le fila di questa brillante cospirazione, non ho trovato nessuno.»

«Le hanno fatto credere questa assurdità? Spero che lei non ci sia cascato» replicò Oscar, scambiando silenziosamente il bicchiere vuoto di Bambakias con il proprio. «Quei bastardi dei comitati di emergenza sono dei veri geni dell’inganno.»

«Sì? Allora dimmi chi ha tentato di farti uccidere!» Bambakias ruttò. «Stesso problema, stessa controversia — avresti potuto essere ucciso, per colpa di questa faccenda! Ma di chi è la colpa? Di nessuno, ecco di chi! Dai la caccia al responsabile e poi scoprì che si tratta di un programma software a mezzo anno luce di distanza nella catena di comando.»

«Adesso lei non sta pensando come un uomo politico, Alcott.»

«La politica non funziona più! Noi non riusciamo a farla funzionare perché il sistema è così complesso che ormai il suo comportamento è praticamente casuale. Nessuna si fida più del sistema e così nessuno gioca più secondo le regole. Ci sono sedici partiti, cento idee brillanti e un milione di aggeggi che ronzano e lampeggiano, ma nessuno riesce a capire la situazione, a eseguire gli ordini e a fare ciò che è necessario in tempo e per bene. E così la nostra politica è diventata assurda. Il paese è piombato nel caos. Abbiamo rinunciato alla forma di governo repubblicana. Abbiamo abbandonato la democrazia. Io non sono un senatore! Sono un signore feudale. Posso soltanto costruire un culto della personalità.»

Cinque membri della krew di Bambakias arrivarono contemporaneamente. Rimasero sbalorditi osservando il senatore che mangiava. La stanza si trasformò immediatamente in un caos di tavoli da picnic in kevlar, di posate, di piatti di antipasti e bicchieri di aperitivo.

«So anch’io che siamo nel caos» insistette Oscar, alzando il tono di voce per farsi udire al di sopra del frastuono. «Tutti sanno che il sistema è fuori controllo. È una verità lapalissiana. Ma l’unica risposta al caos è l’organizzazione politica.»

«No, ormai è troppo tardi per questo. Adesso siamo troppo intelligenti per sopravvivere. Siamo così ben informati che abbiamo perso qualsiasi senso del significato. Conosciamo il prezzo di tutto, ma abbiamo dimenticato cosa sia il valore. Abbiamo messo tutti sotto sorveglianza, ma non conosciamo più il significato della vergogna.» Tutto il cibo trangugiato in fretta e furia stava facendo effetto su Bambakias. Aveva il volto paonazzo, respirava con difficoltà. E apparentemente aveva smesso di pensare, perché stava citando a memoria i suoi discorsi elettorali.

Greta ricomparve sulla soglia, evitando il letto d’ospedale mentre due membri della krew lo trasportavano fuori dall’ufficio. La dottoressa entrò e si sedette con aria compunta su una sedia appena solidificatasi.

«Dunque si può usare tutto quello che c’è a disposizione» concluse Bambakias.

«Grazie, senatore» replicò Oscar, afferrando con abilità uno spiedino di pollo teriyaki. «Mi piacciono questi brunch di lavoro.»

«Capisci, tutto cambia troppo in fretta e in modo troppo complesso perché qualsiasi cervello umano possa tenersi al passo.»

«Immagino che è per questo che possiamo sederci sopra!» esclamò Greta.

«Cosa?» chiese Oscar.

«Queste sedie pensano in maniera più veloce di un cervello umano. Ecco perché questa fragile rete di bastoni e di nastri è in grado di trasformarsi in una sedia perfettamente funzionale.» Osservò le loro espressioni sbalordite. «Non stiamo discutendo del design dei mobili? Mi dispiace.»

«Non deve scusarsi, dottoressa» replicò Bambakias. «Questo è il mio rimpianto maggiore. Avrei dovuto continuare a fare l’architetto; almeno sarei servito a qualcosa. In quel campo, ero in grado di realizzare i miei progetti, capite? Un senso della struttura davvero moderno… questo avrebbe potuto essere il mio monumento. Avrei potuto fare cose meravigliose… Dottoressa, quella sua vecchia cupola di vetro in Texas è indietro di vent’anni. Attualmente potremmo creare una cupola dieci volte più grande con della paglia e quattro spiccioli! Potremmo rendere il suo piccolo, triste museo vivo e fiorente — potremmo trasformare quell’esperimento nella realtà quotidiana. Potremmo integrare il mondo naturale nella sostanza delle nostre città. Se sapessimo come usare il nostro potere correttamente, potremmo fare passare mandrie di bisonti attraverso le nostre strade. Potremmo vivere in un Eden, in pace con i lupi. Dovremmo avere soltanto abbastanza buon senso e l’intuizione di quello che siamo e di ciò che vogliamo.»

«Mi sembra una prospettiva meravigliosa, senatore. Perché non cerca di realizzarla?»

«Perché siamo un branco di ladri! Siamo passati direttamente dalla barbarie alla decadenza, senza neppure creare un’autentica civiltà americana. Adesso siamo stati sconfitti, e questo ci dispiace. I cinesi ci hanno rifilato una solenne batosta durante la guerra economica. Gli europei hanno applicato politiche ragionevoli e sostenibili sulla popolazione e la crisi meteorologica. Ma noi siamo una nazione di dilettanti, governata da mercenari da quattro soldi, da relitti di un sistema defunto. Siamo tutti corrotti! Siamo tutti egoisti e corrotti!»

Oscar decise di intervenire. «Lei non è un criminale, Alcott. Dia un’occhiata ai sondaggi. La gente è dalla sua parte. Lei è riuscito a conquistare la loro immaginazione. Si fidano delle sue intenzioni, la appoggiano.»

Bambakias ricadde con violenza sulla sedia, che emise un ronzio allarmato. «Allora dimmi una cosa» ringhiò. «Che ne dici di Moira?»

«Perché dobbiamo discutere di questo argomento?» chiese Oscar.

«Moira è in prigione, Oscar. Spiegami la situazione. Vuoi spiegarla a tutti?»

Oscar continuò a masticare educatamente. Nella stanza era calato un silenzio mortale. Un mosaico mobile — un labirinto di losanghe dalle eleganti sfumature — aveva ricoperto le vetrate, alterando delicatamente la luce del giorno.

Oscar indicò una trasmissione di rete. «Per favore, potremmo sentire quel servizio? Alzate l’audio.»

Uno dei membri di Bambakias rispose: «È in francese.»

«La dottoressa Penninger parla francese. Dottoressa, mi aiuti a tradurre quel servizio.»

Greta si girò verso lo schermo. «È un servizio su una defezione» tradusse. «Stanno parlando di una portaerei francese.»

Bambakias emise un gemito.

«Il ministero degli Esteri francese ha emesso un comunicato,» proseguì Greta in tono incerto «qualcosa su degli ufficiali americani… Jet da guerra elettronica… Due piloti dell’aeronautica hanno fatto atterrare i loro velivoli su una portaerei francese, al largo nel Golfo del Messico. Hanno chiesto asilo politico.»

«Lo sapevo!» esclamò Oscar, gettando il tovagliolo sul tavolo. «Sapevo che Huey aveva degli infiltrati. Vedete, adesso arriva il bello. Questo è uno sviluppo importante, fondamentale.»

«Oh, ma questa è una cosa gravissima» gemette Bambakias. Aveva assunto un colorito cinereo. «Questa è l’indegnità finale, la catastrofe suprema. Questa è davvero la fine.» Deglutì rumorosamente. «Sto per vomitare.»

«Aiutate il senatore!» ordinò Oscar balzando in piedi. «E fate venire subito qui Sosik.»

Bambakias svanì in un gruppo di membri della krew in preda al panico. La stanza si svuotò in un lampo, come una carrozza della metropolitana di Tokyo. Oscar e Greta si ritrovarono improvvisamente da soli.

Oscar osservò lo schermo. Uno dei disertori americani era appena stato inquadrato dalla telecamera. L’uomo aveva un aspetto familiare: aveva un’aria assolutamente cinica ed era estremamente sbronzo. Oscar si ricordò di averlo conosciuto: era l’ufficiale addetto alle relazioni pubbliche della base aerea della Louisiana. Stava pronunciando in tono stanco una dichiarazione preconfezionata, con sottotitoli in francese. «Che mossa geniale! Huey ha messo il suo cavallo di Troia nella mani degli agenti segreti francesi. I francesi nasconderanno quegli aviatori corrotti in qualche cripta di banca a Parigi. Non sentiremo mai più parlare di loro. Hanno venduto il loro paese e adesso quei figli di puttana faranno vita da nababbi.»

«Un’interruzione davvero provvidenziale» commentò Greta. Stava ancora mangiando, usando le bacchette con la precisione di un chirurgo. «Il senatore ti aveva inchiodato. Non riesco a credere che tu abbia avuto il coraggio di usare quel trucco.»

«In effetti, ho sempre tenuto d’occhio lo schermo, nel caso avessi avuto bisogno di una mossa diversiva.»

Greta assaggiò il dim sum e gli rivolse un sorriso scettico. «No, stai mentendo. Nessuno può fare una cosa del genere.»

«Io sì. Lo faccio ogni giorno.»

«Be’, comunque non riuscirai certo a distrarre me. Cos’era quella faccenda di Moira? Deve trattarsi di qualcosa di molto brutto, l’ho capito subito.»

«Moira non è un tuo problema, Greta.»

«Ah! Nessuno da queste parti si occupa dei miei problemi.» Si accigliò, poi versò un altro po’ di salsa di soia sul dim sum. «Però qui si mangia benissimo. Il cibo è incredibile.»

«Mi occuperò io dei tuoi problemi. Non li ho dimenticati. Li ho messi da parte per un istante, mentre tentavo di fare mangiare quel poveretto.»

«È un peccato che tu non sia riuscito anche a farglielo tenere dentro.» Greta sospirò. «Questa storia mi ha aperto gli occhi. Non avevo alcuna idea su quello che potevo aspettarmi dal tuo senatore. Avevo immaginato che sarebbe stato come te.»

«E questo cosa significa esattamente?»

«Oh… un mercenario politico ultraricco, machiavellico e pronto a catturare l’attenzione degli elettori con qualsiasi mezzo. Ma Alcott non è assolutamente così! Alcott è un vero idealista. È un patriota! È una tragedia che sia clinicamente depresso.»

«Tu credi davvero che il senatore sia clinicamente depresso?»

«Ma certo che lo è! È ovvio! Ha ceduto sotto la tensione dello sciopero della fame. E quel tremito mioclonico delle mani è provocato da una dose eccessiva di anoressizzanti neurali.»

«Ma dovrebbe avere smesso di prendere quelle pillole da molto tempo.»

«Allora deve averle prese in segreto. Un comportamento tipico di questo tipo di sindrome. Quelle ripetute affermazioni sulla sua cosiddetta colpevolezza, quell’ossessionante e assurdo senso di colpa… È sicuramente molto depresso. Poi, quando con un trucco lo hai indotto a mangiare, è entrato nello stato maniaco. Ciò di cui soffre è assolutamente lampante! Dovreste sottoporlo a degli esami clinici per stabilire se soffre di deficienze cognitive.»

«Ehi… era solo debole per la fame. Normalmente si sarebbe accorto di una mossa infantile come quella della zuppa.»

Greta poggiò le bacchette sul carrello e parlò a bassa voce. «Dimmi una cosa, ma sii sincero. Ti sei mai accorto se, in pubblico, il senatore è incredibilmente loquace ed energico, ma poi si ritrae invariabilmente in se stesso? Per, diciamo, due o tre giorni?»

Oscar annuì lentamente. «Sì.»

«Prima, è un uomo affascinante che lavora ventiquattr’ore al giorno e ha sempre un mucchio di idee geniali. Poi, sparisce. Afferma di stare riflettendo o che ha bisogno della sua intimità ma, fondamentalmente, si isola da tutto e da tutti. Non è un comportamento insolito nelle personalità creative. Il tuo senatore soffre di personalità bipolare. Immagino che sia sempre stato bipolare.»

«’È nel retro del pullman’.» Oscar sospirò. «Ecco cosa dicevamo, quando si comportava così durante la campagna elettorale.»

«Nel retro del pullman, con Moira.»

«Sì. Esatto. Moira era molto brava a stargli accanto quando abbassava la guardia.»

Greta lo fissò a occhi socchiusi. «E tu hai fatto qualcosa di brutto a Moira, vero?»

«Senti, quell’uomo è un senatore degli Stati Uniti. Sono stato io a fargli vincere le elezioni, devo proteggere i suoi interessi. Durante la campagna è trapelata qualche indiscrezione. E allora? Chi sono io per giudicare?» Fece una pausa. «E chi sei tu, se è per questo?»

«Be’, sono venuta qui per potere giudicare il senatore» rispose Greta. «Speravo davvero che potesse aiutarmi. Una volta tanto, sarebbe stato bello che un senatore onesto appoggiasse il laboratorio. Ovviamente, Alcott è un uomo che potrebbe davvero capire le esigenze di noi scienziati. Ma adesso è un uomo distrutto, solo perché ha deciso di scontrarsi con Huey — uno che si mangia a colazione tipi come lui. La politica distrugge sempre le persone come il senatore.» Il suo volto assunse un’espressione cupa. «Guarda cosa ha fatto con questo vecchio edificio senza speranza, guarda il lavoro meraviglioso che ha fatto. Doveva essere un vero genio e adesso è un uomo finito. Questo pensiero mi fa soffrire terribilmente. È una vera tragedia nazionale che un uomo simile sia uscito di senno.»

«Be’, ammetto che si tratta di un inconveniente.»

«No, è finita. Il senatore non si riprenderà solo perché lo costringi a mangiare. Vedi, è diventato pazzo. Non può più aiutarti — e questo significa che tu non puoi aiutare me. Dunque è tutto finito, per me è giunto il momento di dimenticare l’intera faccenda.»

«Noi non rinunceremo.»

«Oscar, adesso lasciami tornare al mio laboratorio. Lasciami lavorare; questa è la cosa più ragionevole.»

Certo, ma io non sono una persona ragionevole e questi non sono tempi ragionevoli.»

Leon Sosik entrò nell’ufficio. «Ci troviamo di fronte a un piccolo problema.» Il suo volto aveva assunto un colorito grigiastro.

«Riesci a credere all’audacia di quell’uomo?» chiese Oscar. «Huey ha una portaerei francese in attesa al largo. Quell’uomo è un traditore! È in combutta con una potenza straniera!»

Sosik scosse la testa. «Non è di questo di cui sto parlando.»

«Non possiamo rimanere inerti di fronte a un tentativo tanto lampante di impadronirsi del potere. Dobbiamo inchiodare i piedi di Huey al pavimento del Senato e suonarlo come un tamburo!»

Sosik lo fissò. «Stai dicendo sul serio, vero?»

«Ma certo! Il senatore ha stanato Huey e adesso il governatore ha finalmente gettato la maschera. È una minaccia gravissima per la sicurezza nazionale. Dobbiamo eliminarlo dalla scena politica il più presto possibile.»

Sosik si girò verso Greta, dando prova di una cortesia da vecchio gentiluomo di campagna. «Dottoressa Penninger, mi chiedo se sarebbe così gentile da concedermi di conferire con il signor Valparaiso in privato per un istante.»

«Oh, ma certo.» Greta si alzò con riluttanza, deponendo le bacchette.

«Posso ordinare allo chef di prepararle un cestino» si offrì in tono premuroso Sosik.

«Oh, no, devo andare via… Se solo fosse così gentile da chiamarmi un taxi. C’è una conferenza in città. Ho del lavoro da sbrigare.»

«La farò accompagnare dal nostro autista, dottoressa.»

«Sarebbe magnifico. La ringrazio molto.» Greta prese la borsetta e uscì.

Oscar la osservò andare via con riluttanza, poi vide un telecomando e lo prese. «Vorrei che non l’avessi fatto» disse a Sosik. «Anche lei ha un programma, sai. Avremmo potuto parlare con la dottoressa un po’ più tardi.»

«Mi avevano detto che eri così» commentò Sosik in tono sobrio. «Mi avevano detto che eri esattamente così, ma io non riuscivo a crederci. Per favore, vuoi lasciare perdere quel telecomando?»

Oscar usò il telecomando per passare da una trasmissione di rete all’altra. «Questo è uno sviluppo importante, Leon. Dobbiamo fornire la nostra versione su questa storia, e anche in fretta, per poi inchiodare Huey prima che lanci la sua prossima storia di copertina.»

Sosik tolse con gentilezza il telecomando dalla mano di Oscar. Poggiò la mano sulla spalla di Oscar. «Ragazzo, usciamo a fare una passeggiata. Dobbiamo discutere seriamente faccia a faccia.»

«In questo momento non abbiamo molto tempo da perdere.»

«Ragazzo, io sono il capo dello staff. Non penso che ti farò perdere tempo. Va bene?»

Una donna della krew passò loro i cappelli e i cappotti. Presero un ascensore e scesero in strada.

«Facciamo una passeggiata verso Somerville» propose Sosik. «Lì la sorveglianza audio è meno stretta.»

«E questo è un problema? Potremmo camminare in direzioni opposte e parlare servendoci dei telefoni crittografati.»

Sosik sospirò. «Ti dispiace rallentare alla velocità umana per un minuto? Io sono un uomo anziano.»

Oscar non rispose nulla. Seguì Sosik a nord, verso Prospect Street, ingobbendo le spalle per difendersi dal freddo. Alberi spogli, gente che faceva gli acquisti natalizi, ogni tanto la facciata di un negozio dipinta in tinte caraibiche.

«In questo momento non riesco a sopportare di rimanere in quell’ufficio» spiegò Sosik. «Lui vomita, trema come una foglia. Quelli della krew adorano perfino il terreno su cui cammina e hanno dovuto vederlo mentre andava in pezzi.»

«Sì, ma è improbabile che il vederci uscire insieme serva a tirarli su di morale.»

«Oh, ma chiudi il becco!» esclamò Sosik. «Sono trent’anni che lavoro in questo campo. Ho visto un mucchio di politici fare una brutta fine. Li ho visti finire alcolizzati, li ho visti diventare corrotti, venire travolti da scandali a sfondo sessuale, oppure economici… Ma il senatore è il primo tizio che ho visto crollare completamente prima ancora di essere arrivato a Washington.»

«Alcott è sempre più avanti degli altri» commentò Oscar annuendo. «Lui è un visionario.»

Sosik gli rivolse un’occhiata penetrante. «Perché hai scelto proprio lui? Non è un uomo politico normale. È stato per la moglie? Aveva una cotta per te? Oppure si è trattato di quella faccenda del tuo problema personale?»

«I politici normali non sanno più fare il loro lavoro, Leon. Questi non sono tempi normali. L’America non è un paese normale. Abbiamo esaurito tutta la nostra normalità. Non ne è rimasta più neppure una goccia.»

«Tu non sei normale. Cosa ci fai in politica?»

Oscar scrollò le spalle. «Qualcuno doveva avere a che fare con la tua solida esperienza professionale di trent’anni, Leon.»

Sosik fece una smorfia. «Be’, lui ce l’ha messa tutta. E adesso è cotto.»

«Non è cotto. È soltanto pazzo.»

«Pazzo significa finito. Okay?»

«No, non è così. È vero, ha avuto un crollo mentale. Questo è un problema. È un problema di immagine. Quando ci si trova di fronte a un problema tanto grosso, è impossibile nasconderlo. Devi evidenziarlo. Il problema è questo: è quasi morto facendo lo sciopero della fame per una protesta sincera e adesso è impazzito. Ma qui la parola chiave non è ‘pazzo’. Le nostre parole chiave sono ‘protesta’ e ‘sincera’.»

Sosik rialzò il bavero del cappotto. «Senti, non puoi agire così e sperare di farcela.»

«Sì, Leon, io potrei farcela. Il problema è se ci riuscirai tu.»

«Non possiamo avere un senatore che non è sano di mente! Come diavolo farebbe ad approvare un disegno di legge?»

«Alcott non è mai stato tagliato per fare l’azzeccagarbugli. Ormai la gente è stufa di quei noiosi pedanti. Alcott è un uomo carismatico, è un leader morale. Può svegliare la gente, può guidarla, indicare loro la cima della montagna. Quello di cui ha bisogno è un modo per attrarre la loro attenzione e di farli credere in lui. E adesso finalmente lo ha trovato.»

Sosik rifletté su quelle parole. «Ragazzo, se tu facessi una cosa del genere e funzionasse davvero, questo significherebbe che l’intero paese è impazzito.»

Oscar non rispose nulla.

«E quale taglio intendi dare alla nostra operazione mediatica?» chiese infine Sosik.

«Dobbiamo demonizzare Huey sulla questione del patriottismo e ammettere la verità sul problema clinico del senatore. Diffonderemo bollettini medici ogni volta che Al è lucido. Winston Churchill era bipolare. Abraham Lincoln era un uomo molto depresso. Riscuotiamo tutti i crediti che possiamo vantare presso i democratici federali, convinciamo il partito a sostenerlo. Sfrattiamo la moglie, lei è una che combatte, lo sta sostenendo lealmente. Stiamo ricevendo tonnellate di messaggi di simpatia dalla base. Io penso che sia fattibile.»

«Se lo è, allora io sono rimasto indietro. Questa non è l’America che conosco. Non ho il fegato per fare qualcosa del genere. Dovrei dare le dimissioni. Dovresti diventare tu il capo dello staff.»

«No, Leon, il capo dello staff rimani tu. Sei tu il professionista esperto, hai una credibilità nella Beltway e io… Be’, io non posso comparire nel quadro. Visto il mio problema personale, è impossibile che possa dirigere un’operazione mediatica tanto grande.»

«So che vuoi il mio posto.»

«Ho già le mani piene.»

Sosik emise uno sbuffo ironico. «Non raccontarmi panzane.»

«E va bene» replicò Oscar. «Ammetto che piacerebbe avere il tuo lavoro, ma adesso ho la mia agenda personale da curare. Vedi, si tratta di Greta.»

«Chi?»

«La scienziata, dannazione! La dottoressa Penninger.»

Sosik era sbalordito. «Cosa? Lei? È vicina ai quaranta e ha la faccia magra come la lama di un’accetta! Ma cosa ti succede, ragazzo? Neppure due mesi fa sbavavi per una giornalista politica. Hai avuto una bella fortuna a non essere scoperto. E adesso lei?»

«Sì, è così. Lei.»

Sosik si carezzò il mento. «Mi ero dimenticato di quanto un giovane sia manipolabile… È tanto brava?»

«No, non lo è» rispose Oscar. «Non è una bella favola d’amore, tutt’altro. È una brutta faccenda, molto peggiore di quanto tu possa immaginare. È terribile. Se fossimo scoperti, sarebbe la fine. Lei è una fanatica del lavoro — la scienza è l’unica cosa al mondo che non l’annoi a morte. Huey l’adora e vuole reclutarla per rinchiuderla in qualche laboratorio per geni pazzi che sta costruendo in una miniera di sale… Beve troppo. Ha un bel po’ d’allergie. Ha otto anni più di me… E, oh, è anche ebrea. Anche se, per qualche motivo, questa faccenda non è stata sollevata molto spesso.»

Sosik sospirò e il suo fiato formò una nuvoletta nell’aria. «E così questa è la tua situazione, eh?»

«Più o meno. Tranne una cosa: Greta è davvero un genio. È una creatura unica, brillante, meravigliosa.»


Kevin Hamilton si era recato in visita da Oscar per fare una chiacchierata tra vicini. Kevin, un uomo dagli orari irregolari, aveva portato un panino al burro d’arachidi e gelatina e un sacchetto di patatine alla banana.

«Adesso la politica è diventata irrilevante» lo informò Kevin in tono disinvolto.

«Io non ti sto chiedendo di diventare un attivista politico, Kevin. Ti sto soltanto chiedendo di unirti alla mia krew e di diventare il responsabile del mio apparato di sicurezza.»

Kevin masticò una manciata di patatine alla banana e bevve un sorso di latte al cioccolato. «Be’, essendo l’uomo che sei, immagino che tu abbia i soldi per una cosa del genere…»

Oscar aggiustò il computer portatile sul tavolo da conferenza. «Non abbiamo tempo per chiacchiere inutili, dunque mettiamo subito in tavola le carte. So che sei un uomo alquanto speciale, ma non sei l’unico al mondo in grado di fare delle ricerche sulla rete. Posso farle anch’io. Hai una fedina penale per reati di disobbedienza civile lunga come il mio braccio. Hai vissuto dieci anni senza alcun mezzo di sussistenza. Tuo padre è un pirata informatico in libertà vigilata e condannato a portare un braccialetto elettronico. Sei un informatore della polizia e un fanatico della sorveglianza. Penso davvero di avere bisogno di un tizio come te nel mio gruppo.»

«È bello che tu non abbia menzionato la mia origine etnica equivoca» replicò Kevin. Mise da parte il panino ed estrasse il suo computer portatile da una valigetta ammaccata. Il computer, un modello incredibilmente antiquato, era tenuto insieme da elastici e adesivi.

«Io non menziono mai quel tipo di cose» lo informò Oscar.

«Non lo faresti mai, non sei un tizio ‘etnico’.» Kevin consultò lo schermo. «Per quello che ne so io, sei un qualche tipo di prodotto di laboratorio.»

«Mi dichiaro colpevole.»

«Mio padre passò un brutto momento quando il campo in cui lavorava crollò, ma tuo padre era un vero gangster. Per te è una vera fortuna che i poliziotti non amino arrestare le stelle del cinema.»

«Sì, anche i suoi film erano dei crimini.»

«Cavolo, devi essere davvero alle strette. Io non faccio la guardia del corpo. Sono semplicemente molto bravo nell’organizzare una ronda di quartiere. È un bel lavoro per un tizio che un tempo era un nomade a tempo pieno — adesso sono diventato stanziale, ho un tetto sopra la testa. Ma tu sei un politico imbroglione con un bel po’ di nemici potenti. Potrei finire ucciso lavorando per uno come te.»

«Il piano è che io non vengo ucciso e che tu vieni pagato per questo.»

«Non so neppure perché ti sto ad ascoltare, accidenti! Ma sai, devo ammettere che la tua proposta mi piace… più o meno. Mi piace un uomo che sa quello che vuole e che agisce per ottenerlo. C’è qualcosa in te che… non so… ispira fiducia.»

Era il momento di giocare la carta successiva. «Senti, io capisco la situazione in cui si trova tuo padre, Kevin. Un mucchio di persone oneste hanno sofferto quando il mercato delle proprietà intellettuali crollò. Ho degli amici nell’ufficio del senatore che potrebbero convincere il governatore a concedere la grazia a tuo padre. Penso che potrei fare davvero qualcosa per te per quanto riguarda quella faccenda.»

«Ehi, sarebbe magnifico! Sai, mio padre se l’è davvero vista brutta. Lui non è mai stato il tipico terrorista razzista, convinto della supremazia della razza bianca su tutte le altre. I federali lo hanno accusato di terrorismo e di cospirazione in modo che fosse costretto a dichiararsi colpevole delle accuse di appropriazione indebita e di spionaggio.»

«Deve avere avuto un buon avvocato.»

«Più o meno… il suo avvocato ebbe il buon senso di fuggire in Europa quando iniziarono i veri problemi.» Kevin sospirò. «Anch’io sono quasi fuggito lì, ma poi ho pensato: Al diavolo! Puoi anche diventare un nomade ed è quasi la stessa cosa di lasciare il paese.»

«Non ti dispiace venire in Texas? Non ti dispiace perderti il Natale? Guarda che voleremo subito lì.»

«Non mi importa, fino a quando posso ancora collegarmi ai miei server.»

Il campanello della porta suonò. Qualche istante dopo, arrivò Donna con un pacchetto spedito via posta aerea.

«È per me?» chiese Kevin in tono allegro. Aprì il pacchetto servendosi di un massiccio coltello dell’esercito svizzero. «Maionese» annunciò in tono tutt’altro che convincente, mostrando un vasetto sigillato e privo di etichetta che conteneva una sostanza bianca e viscosa. «Questa roba potrebbe rivelarsi molto utile.» Infilò il vasetto nella sua valigetta a soffietto.

«Lei è arrivata» sussurrò Donna.

«Devo incontrare un altro ospite» spiegò Oscar a Kevin.

«Un altro ‘ospite’?» Kevin gli strizzò l’occhio. «Cosa è successo a quella bellezza in accappatoio?»

«Puoi tornare qui domani mattina e comunicarmi la tua decisione?»

«No, accidenti, ho già preso la mia decisione. Lo farò.»

«Ne sei sicuro?»

«Sì, mi sembra un cambiamento interessante. Mi metterò subito al lavoro. Informa il tuo amministratore di sistema e vedrò cosa posso fare per supportare la tua rete.»

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