IL CANE NERO

Le due tribù della grande foresta di Yeye erano nemici tradizionali. Quando un ragazzo degli Hoa o dei Farim cresceva, non vedeva l’ora di avere l’onore di essere scelto per un’incursione, sigillo e riconoscimento della sua maturità.

In genere, all’incursione si opponeva un’analoga spedizione di guerra dell’altra tribù e lo scontro si svolgeva su uno dei tradizionali terreni di battaglia, nelle radure delle collinette coperte di foreste e nelle valli fluviali dove abitavano Hoa e Farim.

Dopo avere combattuto duramente, quando sei o sette uomini erano stati feriti o uccisi, i capi guerrieri di entrambi gli schieramenti proclamavano la vittoria. I guerrieri di ciascuna tribù correvano a casa, portando con sé i morti e i feriti, per celebrare la danza della vittoria. I guerrieri morti venivano messi in piedi e legati a un sostegno perché potessero vedere la danza prima di essere sepolti.

Di tanto in tanto, per qualche errore nelle comunicazioni, nessun gruppo di guerrieri arrivava ad affrontare gli assalitori, i quali erano così obbligati a correre fino al villaggio nemico per ammazzare gli uomini e rapire come schiavi i più deboli. Questo era un lavoro sgradevole e spesso portava alla morte di donne, bambini e vecchi del villaggio, oltre alla perdita di molti membri della spedizione attaccante.

Era molto più soddisfacente per tutti che gli aggrediti sapessero dell’arrivo dell’incursione, in modo che il combattimento e le uccisioni potessero avere luogo su un campo di battaglia, e non sfuggissero di mano.

Gli Hoa e i Farim non avevano animali domestici, a parte piccoli cani, simili ai terrier, che servivano a liberare dai topi le capanne e i granai. Le loro armi erano corte spade di bronzo e lunghe lance di legno e portavano scudi di cuoio. Come Ulisse, usavano l’arco e la freccia per lo sport e per la caccia, ma non in battaglia.

Piantavano grano e tuberi nelle radure e ogni cinque o sei anni spostavano il villaggio in prossimità della nuova terra coltivata.

Le donne si occupavano della coltivazione, della raccolta, della preparazione del cibo, del trasporto delle capanne e di tutto il resto del lavoro, che in realtà non era chiamato lavoro, ma «quel che fanno le donne».

Le donne si occupavano anche della pesca. I ragazzi tendevano trappole per i topi del legno e i conigli, gli uomini davano la caccia al cervo roano della foresta e i vecchi decidevano quando fosse giunto il giorno della semina, quando si dovesse spostare il villaggio e quando fosse il momento di fare un’incursione nel villaggio nemico.

I giovani che venivano uccisi in queste incursioni erano così numerosi che non rimanevano mai molti anziani a discutere di tali argomenti; in ogni caso, se qualcuno cominciava a muovere obiezioni sulla semina o lo spostamento del villaggio, potevano sempre ordinare un’incursione.

Fin dall’inizio del tempo, le cose erano andate in questo modo, con incursioni un paio di volte l’anno, e con entrambe le parti che celebravano la vittoria.

L’avvertimento dell’incursione trapelava sempre con un certo anticipo e i canti del gruppo di guerrieri, quando si recavano ad attaccare il villaggio rivale, erano intonati a voce altissima; in questo modo gli scontri avevano luogo sui campi di battaglia, i villaggi rimanevano indenni, e ai loro abitanti bastava solo piangere gli eroi morti e dichiarare il loro odio inestinguibile verso i malvagi Hoa o i malvagi Farim.

I Farim vennero a sapere che gli Hoa stavano preparando una grossa incursione e quindi i loro guerrieri si denudarono, afferrarono spada, lancia e scudo e — intonando ad alta voce i canti di guerra — si avventarono lungo il sentiero della foresta fino al campo di battaglia noto come Vicino al Ruscello degli Uccelli. Laggiù incontrarono i guerrieri Hoa che arrivavano in quel momento: anche loro erano nudi, armati di lancia, spada e scudo, e intonavano ad alta voce i canti di guerra.

Ma davanti agli Hoa comparve qualcosa di strano: un enorme cane nero. Aveva la schiena alta fino al petto di un uomo, la sua testa era gigantesca. Correva a balzi, con gli occhi rossi e brillanti, con la schiuma che colava dalle mascelle larghe con i lunghi denti, e ringhiava in modo orribile. Attaccò il capo dei guerrieri Farim, balzandogli direttamente contro il petto. Lo gettò a terra e mentre l’uomo cercava inutilmente di colpirlo con la spada, il cane gli squarciò la gola.

Questo evento del tutto inatteso, non tradizionale, orribile, stupì e terrorizzò i Farim, li paralizzò. Il loro canto di guerra si spense. Non riuscirono a offrire molta resistenza all’attacco degli Hoa. Quattro altri Farim, uomini e ragazzi, vennero uccisi — uno dal cane nero — prima di fuggire in preda al panico, disperdendosi per la foresta, senza fermarsi a raccogliere i morti.

Una cosa del genere non era mai successa.

Di conseguenza, gli anziani dei Farim dovettero discuterne approfonditamente prima di ordinare un’incursione per vendicare l’onta.

Dato che le incursioni erano immancabilmente vittoriose, in genere passavano mesi, a volte persino un anno, prima che si sentisse la necessità di un’altra battaglia per mantenere ben viva la disposizione eroica dei giovani, ma questa volta era diverso. I Farim erano stati sconfitti. I loro guerrieri erano stati costretti a strisciare di notte fino al campo di battaglia, impauriti e tremanti, per raccogliere i morti, e vi avevano trovato i corpi deturpati dal cane: a un uomo era stato strappato l’orecchio, il braccio sinistro del capo guerriero era stato divorato e le sue ossa erano sparse tutt’attorno, segnate dai denti.

Il bisogno dei guerrieri Farim di vincere una battaglia era urgente. Per tre giorni e tre notti i vecchi cantarono inni di guerra. Poi i giovani si spogliarono, presero spada, lancia e scudo e corsero, con l’espressione truce e cantando a voce alta, lungo il sentiero della foresta, in direzione del villaggio Hoa.

Ma ancor prima di raggiungere il primo campo di battaglia di quel sentiero, videro venire contro di loro, lungo lo stretto passaggio in mezzo agli alberi, il terribile cane nero. Dietro l’animale venivano i guerrieri Hoa, che cantavano a voce spiegata.

I guerrieri Farim si voltarono e corsero via senza lottare, spargendosi per la foresta.

A uno a uno rientrarono nel villaggio, nelle ultime ore del pomeriggio. Le donne non li salutarono; posarono il cibo davanti a loro, ma non fecero parola. I figli distolsero lo sguardo dai padri e andarono a chiudersi nelle capanne. Anche i vecchi rimasero nelle capanne, e piansero.

I guerrieri si stesero per dormire, ciascuno solo sulla sua stuoia, e anch’essi piansero.

Le donne parlarono tra loro, alla luce delle stelle, nei pressi delle corde dove si metteva la carne a seccare.

«Saremo fatte schiave, tutte», dissero. «Schiave degli infami Hoa. I nostri figli saranno schiavi.»

Però, nessuna incursione giunse dagli Hoa, l’indomani, e neppure il giorno seguente.

L’attesa fu molto snervante. Poi, i vecchi e i giovani tennero consiglio e decisero che dovevano fare un’incursione contro gli Hoa e uccidere il cane nero anche se fossero morti nel tentativo.

Continuarono per tutta la notte a intonare i canti di guerra. La mattina, con la faccia cupa e senza cantare, si allontanarono, tutti i guerrieri Farim, lungo il sentiero più breve per Hoa. Non correvano. Camminavano con passo sicuro.

Continuarono a guardare davanti a sé, lungo il sentiero, in attesa di scorgere il cane nero, con i suoi occhi rossi e le mascelle enormi e i denti luccicanti. Con timore, continuarono a guardarsi attorno.

E il cane apparve. Balzava, ma senza lanciarsi contro di loro, ringhiava e latrava. Uscì dagli alberi e raggiunse il terreno libero; si fermò per un momento a guardarli, silenzioso, con quello che sembrava un sogghigno sulla bocca terribile. Poi si allontanò trotterellando davanti a loro.

«Fugge via da noi», esclamò Ahu.

«Ci guida», gli rispose Yu, il capo dei guerrieri.

«Ci porta alla morte», protestò il giovane Gim.

«No, alla vittoria!» esclamò Yu, e cominciò a correre, sollevando la lancia.

Furono al villaggio degli Hoa prima che i guerrieri nemici capissero che era un’incursione e corressero ad affrontarli, con ancora i vestiti addosso, impreparati e disarmati.

Il cane nero balzò sul primo uomo Hoa, lo gettò a terra e cominciò a lacerargli la faccia e la gola. Bambini e donne del villaggio cominciarono a urlare, alcuni corsero via, altri afferrarono bastoni e cercarono di assalire gli aggressori, il tutto nella massima confusione, ma fuggirono quando il cane nero lasciò la vittima e li attaccò.

I guerrieri Farim seguirono il cane nero lungo il villaggio. Laggiù, in un momento, uccisero parecchi uomini e si impadronirono di due donne. Poi Yu gridò: «Vittoria!» e tutti i suoi guerrieri fecero eco: «Vittoria!» quindi corsero a Farim, portando con sé i prigionieri, ma non i loro morti, perché non avevano perso alcun uomo.

L’ultimo guerriero della fila si guardò alle spalle. Il cane nero li seguiva. Dalla sua bocca colava saliva bianca.

Giunti a Farim tennero la danza della vittoria, ma non fu una danza che desse loro l’abituale piacere. Non c’erano guerrieri morti da sollevare sui bastoni, con la spada insanguinata nella mano fredda, per sorvegliare i danzatori e dare loro l’approvazione.

Le due schiave catturate sedevano a capo chino e piangevano, coprendosi la faccia. Solo il cane nero le sorvegliava, seduto sotto gli alberi, e sogghignava.

Tutti i piccoli cani del villaggio, adatti solo per dare la caccia ai topi, erano corsi a nascondersi sotto le capanne.

«Presto colpiremo di nuovo Hoa!» gridava il giovane Gim. «Seguiremo fino alla vittoria lo Spirito Cane!»

«Tu seguirai me», gli replicò il capo dei guerrieri, Yu.

«Voi seguirete il nostro giudizio», li redarguì il più anziano della tribù, Imfa.

Le donne continuarono a riempire le brocche della birra, in modo che gli uomini si potessero ubriacare, ma si tennero alla larga dalla danza della vittoria, come sempre. Si riunirono accanto alle corde dove seccava la carne e parlarono alla luce delle stelle.

Quando gran parte degli uomini si addormentò, ubriaca, le due donne Hoa che erano state catturate cercarono di allontanarsi col buio, ma il cane nero comparve davanti a loro, mostrando i denti e ringhiando. Allora tornarono subito indietro, atterrite.

Alcune donne del villaggio lasciarono i pali e le corde per seccare la carne e andarono a raggiungerle; cominciarono a parlare tra loro. Le donne dei Farim e degli Hoa parlavano la lingua delle donne, che è uguale per tutte le tribù, anche se il linguaggio degli uomini è diverso.

«Da dove viene fuori un cane come quello?» chiese la moglie di Imfa.

«Non sappiamo», rispose la donna Hoa più anziana. «Quando i nostri uomini sono partiti per attaccarvi, è comparso davanti a loro, e ha assalito i vostri guerrieri. L’ha fatto anche una seconda volta. Così i vecchi del villaggio gli hanno dato da mangiare cacciagione e conigli vivi e l’hanno chiamato lo Spirito della Vittoria; oggi si è rivoltato contro di noi e ha dato la vittoria a voi.»

«Anche noi possiamo dar da mangiare al cane», commentò la moglie di Imfa. Le donne ne discussero per un certo tempo.

La zia di Yu tornò presso i cavalletti per seccare la carne e prelevò un’intera spalla di cervo affumicato e seccato. La moglie di Imfa spalmò sulla carne una certa pasta. Poi la zia di Yu la portò al cane nero.

«Qui, cagnolino», gli disse. Lasciò sul terreno la carne. Il cane nero si fece avanti, ringhiando, prese il pezzo di carne e cominciò a divorarlo.

«Bravo cagnolino», commentò la zia di Yu.

Tutte le donne fecero ritorno nelle capanne. La zia di Yu portò nella sua capanna le due prigioniere e diede loro stuoie e coperte.

La mattina, i guerrieri Farim si alzarono con la testa e i muscoli doloranti. Videro e udirono i bambini di Farim che, tutti in un gruppo, chiacchieravano tra loro come un gruppo di uccelli. Che cosa guardavano?

Il corpo del cane nero, rigido e solo, trafitto da centinaia di colpi di lance per pescare.

«Sono state le donne», commentarono i guerrieri.

«Con la carne avvelenata e le lance da pesca», confermò la zia di Yu.

«Non vi abbiamo ordinato di farlo», le redarguirono i vecchi.

«In ogni caso», disse la moglie di linfa, «è fatto.»

Da allora in poi, i Farim organizzarono incursioni contro gli Hoa e gli Hoa contro i Farim a intervalli ragionevoli, e combatterono nel modo tradizionale, sui soliti campi di battaglia e tornarono a casa vittoriosi con i loro morti, che osservarono come sempre la danza di vittoria dei guerrieri e furono soddisfatti.

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