Quando Dawodow, cinquantesimo imperatore della Quarta Dinastia di Mahigul, giunse al trono, molte statue di suo nonno Andow e di suo padre Dowwode s’innalzavano nella capitale e nelle altre città del paese.
Dawodow ordinò che fossero tutte corrette a propria immagine, in modo che tutti divenissero suoi ritratti; inoltre fece scolpire innumerevoli nuove raffigurazioni di se stesso. Migliaia di operai vennero impiegati in immense cave di pietra e nelle botteghe, per eseguire ritratti idealizzati dell’imperatore Dawodow.
Tra le vecchie immagini con faccia modificata e quelle nuove, erano così tante che non rimanevano sufficienti piedestalli e plinti su cui posarle né nicchie dove infilarle, cosicché vennero piazzate sui marciapiedi, agli incroci delle strade, sui gradini dei templi e degli edifici pubblici e nelle piazze e nei rondò. E poiché l’imperatore continuava a pagare gli scultori perché scolpissero le statue e le cave continuavano a sfornarne, presto ce ne furono troppe per collocarle singolarmente; presero a formarsi gruppi e capannelli di Dawodow immobili, in mezzo alla gente che se ne andava per i suoi affari in ogni paese e città del regno. Anche i paesini più piccoli avevano i loro dieci o dodici Dawodow, immobili nella strada maestra o nei viottoli laterali, tra i porci e le galline.
Spesso, di notte l’imperatore indossava vesti nere, comuni e non appariscenti, e lasciava il palazzo da una porta segreta. Alcuni ufficiali della guardia di palazzo lo seguivano a una certa distanza per proteggerlo durante quelle escursioni notturne nella capitale, che all’epoca si chiamava Dawodowa. Sia loro, sia altri funzionari di palazzo, furono testimoni parecchie volte del suo comportamento.
L’imperatore scendeva nelle strade e nelle piazze della capitale, per fermarsi davanti a una delle proprie statue, o a un gruppo di esse. Si rivolgeva a bassa voce alle proprie immagini, in tono sprezzante, e le insultava in un sussurro, si chiamava codardo, scemo, cornuto, impotente, idiota. Quando passava davanti a una statua, le sputava addosso. E se nella piazza non c’era nessuno, si fermava a orinare contro la scultura, oppure orinava in terra, raccoglieva il fango e lo strofinava sulla faccia della propria immagine e sull’iscrizione che esaltava le glorie del regno.
Se l’indomani un cittadino riferiva di avere visto, mentre passava, che una statua dell’imperatore era stata lordata, le guardie arrestavano il primo che trovavano, del paese o forestiero — se non trovavano nessuno, arrestavano il cittadino stesso che aveva denunciato il crimine — lo accusavano di sacrilegio e lo torturavano finché non moriva o confessava. In tal caso, l’imperatore, nella sua veste di Giudice Divino, lo condannava a morire nella prossima Esecuzione Giudiziaria di massa. Le esecuzioni avevano luogo ogni quaranta giorni; l’imperatore, i suoi sacerdoti e la corte assistevano. Dato che le vittime erano strangolate a una a una con la garrota, la cerimonia durava parecchie ore.
L’imperatore Dawodow regnò per trentasette anni. Venne strangolato nel bagno dal nipote Danda.
Nel corso della guerra civile che scoppiò allora, gran parte delle migliaia di statue di Dawodow vennero distrutte. Un gruppo! di esse, innalzato davanti al tempio di una piccola cittadina montana, rimase al suo posto per molti secoli, venerato dalla popolazione locale che vi vedeva le immagini delle Nove Benedette Guide al Mondo Infero. La pratica di strofinare oli profumati sul volto delle statue portò a cancellarne i lineamenti, riducendole a superfici lisce, ma quanto rimaneva dell’iscrizione permise a uno studioso della Settima Dinastia di riconoscervi gli ultimi superstiti dell’Innumerabile Dawodow.